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Autore: Luxanne A Blackheart    31/10/2017    1 recensioni
Nella Londra vittoriana un affascinante uomo proveniente dall'India, un benestante e facoltoso Lord imparentato con la regina, si trasferisce in uno dei quartieri più ricchi e alla moda dell'epoca.
Lui e la sua famiglia si adatteranno alla vita sociale inglese, partecipando a balli reali e alla vita mondana dell'epoca.
Da lontano sembrano perfetti con i loro vestiti costosi, i bei sorrisi affascinanti e i modi di fare garbati. Ammalianti come un serpente prima di attaccare.
Ma sotto quella apparenza di perfezione c'è di più...
Il loro aspetto cela qualcosa di raccapricciante e orribile.
Grida e strani versi si odono nella buia e fredda notte; sangue, sospiri, affari di malcostume e morte incombono sulla loro bella casa e su chiunque osi avvicinarli.
In una Londra sporca, popolata dalla volgarità, dal malaffare, dal sangue e dalla morte la famiglia Nottern saprà trovarvi la dimora ideale.
E voi, saprete farvi conquistare dalla Famiglia del Diavolo?
Genere: Dark, Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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EPILOGO.




Se al principio non mi trovi, insisti,
se non sono in un posto, cerca in un altro,
io mi fermo da qualche parte ad aspettarti.”
-Walt Whitman, Canto di me stesso.







1997, Inghilterra, Londra.


Le urla cominciarono all'improvviso, il piccolo dai capelli biondi e i grandi occhi azzurri, abbracciò più stretto il pupazzo, il suo unico amico e consigliere fidato. La sua cameretta era buia, illuminata soltanto dalla lieve luce che proveniva dal corridoio, un piccolo spiraglio.
La mamma e il papà urlavano sempre, litigavano sempre, soprattutto quando il papà tornava presto da lavoro, tutto ubriaco. La mamma gli urlava di andare a rintanarsi in camera sua, di non muoversi e tapparsi le orecchie, di non sentire, perché la mamma e il papà dovevano parlare.
William però sapeva cosa succedeva.
Una sera li aveva visti.
Il papà che colpiva la mamma con pugni forti sulle braccia, sul corpo, sulla faccia; la mamma che gridava, che lo insultava e che si lasciava picchiare tra le lacrime, mentre incrociava gli occhi azzurri di Will, che stringeva tra le braccia il suo amichetto, che aveva chiamato James. Vedeva che lo implorava con lo sguardo di andarsene via, ma non poteva aprire la bocca, altrimenti lui, il suo piccolo amore, avrebbe fatto la stessa brutta fine.
“Sei stata tu, Camille, è sempre stata colpa tua se la mia vita è un totale fallimento. Tua e di quel bastardo di tuo figlio!”, le urlava contro suo padre, mentre la picchiava a sangue, violentemente e senza sosta.
“Allora vattene, Vladimir, vattene via!”
E Vladimir, suo padre, prendeva a picchiarla più forte, dicendole di stare zitta, zitta, zitta. E William guardava, soffriva, piangeva, veniva segnato, imparava a capire cosa volesse dire odiare qualcuno con tutto se stesso, imparava cosa volesse dire amare qualcuno con tutto se stesso, imparava ad uccidere ed essere ucciso.
Quella sera aveva deciso di dire basta.
Si alzò dal letto, silenziosamente, lasciando James a riposare sul letto, il quale gli urlava di tornare indietro, di non fare ciò che aveva in mente di fare, poiché ci sarebbero state gravi conseguenze.
Si recò nello studio di suo padre, dove passava la maggior parte del tempo a leggere libri di vario genere. Aprì il primo cassetto della scrivania e prese la piccola pistola che Vladimir aveva comprato illegalmente da un tizio poco raccomandabile.
Corse in cucina, stando attento a non farsi sentire e vide i suoi genitori per terra. Il papà sopra la mamma che si muoveva in modo strano e ansimava, la mamma che faceva lo stesso, ma sporca del suo stesso sangue, tumefatta.
Will puntò la pistola contro il padre e senza pensarci oltre, gli sparò in testa.
Camille urlò, spinse via il marito e guardò il figlio con la canna della pistola ancora fumante tra le mani. Le cervella dell'uomo si erano sparse per tutta la cucina e sulla faccia della donna, sotto shock e senza vestiti.
Il bambino corse dalla madre, abbracciandola forte. La madre non ricambiò.
“Che cosa hai fatto, Will? Che cosa ci hai fatto?”
“Ci ho salvato, mamma, adesso potremmo stare insieme per sempre e Vladimir non potrà farci nulla.”
William sorrise, afferrando il viso della madre con le manine. Camille gli sorrise, baciandolo sulle labbra, non come si farebbe con un figlio, ma in una maniera più intima e sporca, in una maniera che non si dovrebbe fare.
William ricambiò, sorridendo.
Era sua, solo sua, di nessun altro. Vladimir non l'avrebbe più toccata in quel modo, l'avrebbe fatto solo lui.
In quell'istante esatto si varcarono confini che non si dovrebbero varcare, in quell'istante esatto William diventò adulto, diventò malato, diventò il mostro che tutti teniamo.




Autunno, 2017, ospedale psichiatrico, Newham.




I libri di Dickens, di Charlotte ed Emily Bronte, di Baudlaire, di Wilde e Stoker erano disposti in una pila sul pavimento, accanto al letto bianco.
Il dottor Roman entrò nella stanza, guardandosi intorno come ogni volta. La camera era piena di libri di ogni genere e ogni epoca, che il paziente si era guadagnato durante quei dieci anni per la cura che stava seguendo, disturbo borderline della personalità.
Questa volta il paziente stava leggendo 'Delitto e Castigo' di Fëdor Michajlovic Dostoevskij. Il dottore sorrise, sedendosi sulla sedia nera, posizionata accanto al letto.
“Buongiorno, William. Come andiamo oggi?”, il dottore, uno psichiatra di successo e anche molto giovane, gli sorrise. Era un bell'uomo, per quanto potesse capirne di bellezza maschile. Alto, possente, capelli biondi e lunghi fino alla mandibola, occhi di ghiaccio, comportamenti gentili, scapolo. Era un bravo medico e l'aveva aiutato per tutti quei lunghi e interminabili dieci anni, quando l'avevano catturato in America, dove viveva con Camille, che avevano arrestato per l'omicidio di suo padre. Si era suicidata in prigione, qualche anno dopo e lui era rimasto con James e i suoi amici.
William adesso se ne rendeva conto della patologia che l'aveva afflitto per tutto quel tempo. Sapeva che cosa gli aveva fatto Camille, sapeva cosa avevano fatto a Vladimir e sapeva dove la sua mente malata, contraffatta, si era rintanata per tutto quel tempo, a chi si era affidato. Si era nascosto per dieci anni sotto James, Lucille, Roman, Jean, Camille, Vladimir e William Nottern, ma adesso loro non c'erano più. C'era solo lui, William Norman, un orfano, un ex malato mentale.
“Molto bene, grazie.”, William posò il libro, mettendosi a sedere sul ciglio del letto. Sorrise allo psichiatra, passandosi una mano tra i capelli biondi. “E lei, come sta?”
“Benissimo, William, grazie. C'è qualcosa di cui vorresti parlarmi oggi? Non ci vediamo da un po'!”, il dottore si sistemò sulla sedia, incrociò le gambe e aprì il quaderno, tenendo la penna ferma tra l'indice e il pollice della mano sinistra.
“Ho paura, dottore.”
“Di che cosa?”
“Di ritornare, di perdermi nella mia mente, di non essere normale, o almeno somigliare alla normalità. Ho paura di fare del male a qualcuno, non voglio.”
“Stai bene, adesso, William. La tua paura è normale, ma è ora che tu viva una vita sana. Hai venticinque anni, una passione per i libri e la scrittura. E poi ci vedremo due volte a settimana, continuerai a prendere i tuoi farmaci, sarai sotto stretto controllo. Non permetterò che Lucille, Jean, James o chi per loro, tornino a disturbarti. Te lo prometto.”, Roman gli sorrise, offrendogli una sigaretta, che William rifiutò. “Come sta andando il tuo libro, ad ogni modo?”
“Bene, ho finito di scrivere l'epilogo stanotte, dottore.”
“Ne sei soddisfatto?”
“Sì, Vladimir è stato ucciso dai suoi stessi figli.”
“E dopo che cosa è successo?”
“Si sono divisi. Roman e Theresa hanno avuto altri due figli, James ed Esmeralda si sono sposati e hanno avuto una vita felice, Jean se n'è andato in Oriente a ritrovare se stesso, mentre Lucille è rimasta a Londra, accanto a William. Dopo due secoli si sono rincontrati e hanno ricordato i bei tempi passati.”
“E' un bel finale, molto allegro.”
William annuì, sorridendo. “Ne sono abbastanza soddisfatto.”
Roman si alzò, sorridendo al paziente. “Sono molto fiero di te, ragazzo. Domani verrai dimesso e quando pubblicherai il tuo libro, vorrò avere il tuo autografo personalizzato.”




William si svegliò di soprassalto, in un bagno di sudore. Si alzò, andando a sbirciare dalla finestra. Era notte inoltrata, mancavano sette ore al suo rilascio e finalmente si sentiva al sicuro. Si passò le dita tra i capelli, sospirando. Non aveva più tanta paura, era felice adesso. Poteva essere libero, lontano da tutto e tutti.
Ritornò a letto, andando a stendersi. Chiuse gli occhi, mettendosi il braccio sinistro sopra.
Ma non c'era niente da fare, non riusciva a prendere sonno.
Sbuffò e quando aprì gli occhi, gridò.
“Ciao, William, pensavi di esserti liberato di noi?!”
Su di lui c'era Lucille, vestita con abiti ottocenteschi, gli occhi rossi e le zanne sporche di sangue.
“Tu non sei reale, non sei reale!”
“Invece lo sono, amore mio, più di quanto tu possa immaginare.”, Lucille gli accarezzò la testa, baciandogli l'incavo del collo.
William cominciò a piangere, non riuscendo ad evitare e nascondere il piacere che quella donna immaginaria gli faceva provare. Dopo tutto, l'amava profondamente.
“Ti prego, vattene, ti prego!”
“Noi resteremo sempre con te, siamo parte di te, siamo un tutt'uno, non riuscirai mai a mandarci via!”
Si baciarono lentamente, come poche volte avevano fatto, tra lacrime, pazzia e disperazione.
“Sei una parte di me, sei una parte di me, sei una parte di me.”
Lucille sorrise, annuendo. “Se tu muori, io muoio.”
“Se io muoio, tu muori.”
William sorrise, afferrò la penna e se la piantò nel collo, suicidandosi.
Il giorno dopo lo avrebbero trovato morto sul letto, accanto a lui, una ragazza che si era intrufolata di nascosto nella sua camera, la Lucille di cui si era innamorato realmente, ma che aveva problemi peggiori dei suoi, era una di quelle pazienti che non si potevano recuperare.
Sul muro, con il sangue dell'amato, aveva scritto: “Se lui rimane, io rimango. Se lui se ne va, io me ne vado. Se lui muore, io muoio.”
E così era stato, poiché si era piantata nel collo la stessa penna con la quale William si era suicidato.
Roman, guardando quella scena, sospirò, affranto. I due sfortunati amanti, i due sfortunati pazzi, giacevano l'uno tra le braccia dell'altra, felici e finalmente liberi.
“La Morte era la tua unica liberazione, la Vita la tua più grande punizione, l'Amore il tuo più grande dolore.”








RINGRAZIAMENTI.

Eccoci finalmente alla fine di questa breve storia. Non c'è data migliore per concluderla che il 31 ottobre, no? Probabilmente qualcuno di voi starà prendendo in considerazione di mettere fine alla mia vita, come io ho fatto con quella di William per ben due volte!
Vorrei ringraziare tutti quelli che mi hanno seguito, sia in silenzio che esprimendo un parere per messaggio personale.
Ringrazio specialmente Francesca e Chiara, che continuano a paragonarmi a William quando non ci somigliamo per niente e che mi hanno costantemente rinfacciato di essere una persona orribile, un'assassina sadica che prova piacere nell'ammazzare le sue stesse creature. Le ringrazio soprattutto per aver sempre letto i capitoli in anteprima e per aver sclerato con me.
Ringrazio tutti voi, ovviamente, per avermi seguito.
Ringrazio Abel Korzeniowski per avermi tenuta compagnia durante tutti i capitoli.
E ringrazio Will, Jean, Lucie, Jamie, Camille, Vlad e Roman per avermi fatto compagnia in questi dieci mesi e mi scuso per avervi reso la vita impossibile e infelice; siete parte di me, ma è meglio se non ci vediamo per un po', Will dico soprattutto a te! Sapete, siete particolarmente difficili da gestire nella mia testa fin troppo problematica.


Bene, scleri a parte, siamo veramente alla fine di questa avventura. Lasciatemi un commento e ditemi come vi è sembrata nel complesso e che cosa vi ha lasciato, se vi ha lasciato qualcosa.
Alla prossima!
   
 
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