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Autore: EffyLou    05/11/2017    2 recensioni
Londra, Inghilterra. 1888.
«[...] Se siete qui è perché siete individui curiosi, coraggiosi, bramosi di scoprire nuovi mondi. E noi, umili artisti e fenomeni da baraccone, siamo al vostro più totale servizio Ma badate bene: non lasciatevi sopraffare dalle regole della società. Nel perimetro dell'Imaginaerum... non bisogna opporre resistenza. Potreste fronteggiare cose inspiegabili, magiche forse. Non fatevi domande, perché non avrete risposte»
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La compagnia circense Imaginaerum è sulla bocca di tutti e genera emozioni contrastanti nel popolo e nell'individuo singolo: provocano curiosità per la ventata di novità e il tocco osé, ma al contempo vengono disprezzati per i loro azzardi.
Quando Jack lo Squartatore comincerà ad infestare Whitechapel, Scotland Yard dovrà far fronte anche alla misteriosa scomparsa di bambini per mano di colui che viene chiamato il Pifferaio Magico. L'Imaginaerum finisce sotto i riflettori: non è possibile che quell'accozzaglia di straccioni non c'entri niente.
Genere: Dark, Mistero, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Capitolo primo
 
 
Londra, Inghilterra.
Gennaio 1888.


Fieno. Polvere. Stoffa. Profumi di donna.
Talmente forti da far arricciare il naso. Sotto il tendone gli odori erano attufati, si concentravano e rendevano persino faticoso il respiro. Ancora peggio quando nel cerchio entravano gli animali.
Ma quella era la sera del debutto a Londra, dopo aver passato tutto l’anno precedente a Southampton. Era una grande opportunità, a detta di Faust. Anche se, in effetti, nessuno capiva di quale opportunità parlasse quel vecchio pazzo – probabilmente nemmeno suo figlio MadKing lo sapeva.
Erano arrivati due giorni prima e si erano stabiliti appena fuori il quartiere di Havering, a est della città, vicino al Tamigi. Avevano montato il tendone in fretta e, come avevano aperto il botteghino, i biglietti erano finiti in un batter di ciglia.
Che bello che era, l’Imaginaerum. Perfettamente attrezzato. Circondato da una recinzione in ferro battuto, il botteghino appena fuori i cancelli; e dentro il perimetro, un dedalo di tappeti che conducevano a vari tendoni e carovane. Il Tempio di Gipsy, per farsi leggere le carte o i palmi delle mani; il Teatro delle Pulci, per gli spettacoli dei burattini e i laboratori di mimo; le bancarelle per i dolci, riservati solo ai bambini. E poi l’imponente tendone degli spettacoli, che svettava nel cielo cupo di quella sera di gennaio e tra la pallida neve, con i suoi colori arcobaleno.
Che bello che era, l’Imaginaerum. Costruito appositamente per i bambini, ai quali veniva data la precedenza su tutto: entravano senza pagare, le prime file erano per loro, i dolci erano gratis e solo per loro. Gli adulti, in quel circo, non erano privilegiati. Erano come pesci fuor d’acqua, eccetto per il Tempio di Gipsy, riservato ai maggiori di quindici anni, o alcuni numeri a portata di tutti.
I cancelli si erano aperti con un cigolio metallico, due nani si erano adoperati per spalare la neve lì vicino in modo da permettere la completa apertura. La gente li aveva guardati come se fossero buffi animali, e prima che potessero fare qualsiasi cosa, un’orchestra aveva accolto il popolo emulando la melodia di un carillon. Clown, giocolieri, artisti sui trampoli, acrobati, avevano guidato il pubblico verso l’ingresso del tendone principale.
I nani si erano occupati di far sistemare i bambini in prima fila e distribuire loro sacchetti di popcorn caldi.
Attimi di trepidante attesa, quelli che precedevano l’inizio dello spettacolo. Nel tendone faceva freddo, ma meno rispetto a fuori per via delle lampade a gas e l’aria attufata. Certamente non era un circo costruito con poveri mezzi, ma con le tecnologie più all’avanguardia. Questo piaceva al pubblico, li faceva sentire al sicuro.

Ed eccoci al forte odore che faceva arricciare il naso.
Fieno. Polvere. Stoffa. Profumi di donna. Il brusio e il chiacchiericcio, il cerchio buio.
Infine, dalle pesante tende cremisi in fondo, uscì l’elegante figura di un uomo non troppo alto, che camminava con andatura zoppicante. Si appoggiava su un bastone nero, con sopra intagliata la testa di un elefante in avorio, il cilindro calato appena sugli occhi.
Le luci lungo il perimetro del cerchio si accesero velocemente, come animate da una strana stregoneria, e il pubblico trattenne il fiato. I fasci di luce si congiungevano nel centro, proprio dove si trovava l’omino, che sollevò il capo e allargò le braccia.

«Signore e signori, bambini di tutte le età! Vi do il benvenuto all’Imaginaerum! Io sono MadKing, il Re Matto, e prima di cominciare voglio dirvi due parole. Sarò breve. – si tolse il cappello, portandolo al cuore. – Innanzitutto non avete di che temere qui dentro: conosciamo gli incidenti avvenuti in altri circhi, ma qui siamo molto ben attrezzati e non corriamo alcun pericolo. Infine, se siete qui, è perché siete individui curiosi, coraggiosi, bramosi di scoprire nuovi mondi. E noi, umili artisti e fenomeni da baraccone, siamo al vostro più totale servizio Ma badate bene: non lasciatevi sopraffare dalle regole della società. Nel perimetro dell’Imaginaerum… non bisogna opporre resistenza. Potreste fronteggiare cose inspiegabili, magiche forse. Non fatevi domande, perché non avrete risposte»

Parlava lentamente, enfatizzando ogni parola come se stesse recitando. MadKing era il carismatico presentatore del circo, eccentrico nel suo trucco marcato intorno agli occhi e il sorrisetto ambiguo.
Gli spettacoli che seguirono comprendevano animali: le bestie feroci di Kà, i serpenti e gli elefanti di Kalì, la scimmietta di Alegria, i cavalli di Prittle-Prattle. Per poi passare a Diablo, giocoliere e mangiafuoco, fino alla contorsionista e funambola Bubblegum, all’uomo più forte d’Europa Boris, il trapezio di Dolly e Prittle-Prattle, il lancio dei coltelli di Kalì. E, tra un numero e l’altro, i siparietti comici dei gemelli clown Klunni e Tramp, le esibizioni di danza araba di Gipsy Persia e le veloci presentazioni di MadKing.
Verso il termine della serata, arrivò il numero di Faust, illusionista, maestro dell’ipnosi e abile giocatore di prestigio. Strane voci circolavano su di lui, se le trascinava dietro dalla sua terra natale, la Germania. Dicevano che avesse fatto un patto col Diavolo, e il passaparola era il più potente mezzo di propagazione dell’informazione. Tuttavia questa oscura fama, oltre ad essere sospesa tra realtà e menzogna, non fu motivo di allontanamento dal circo. La società vittoriana amava il macabro, e Faust suscitava un enorme interesse e curiosità.
Il suo numero era fuori dall’ordinario, qualcosa che nessuno aveva mai visto nei circhi inglesi o europei. Era un numero semplice, che comprendeva l’utilizzo di un solo oggetto: uno specchio.
 

Boris colpì la lastra di ghiaccio sulla superficie del fiume con un piccone. Era così spessa che persino a lui, l’uomo più forte d’Europa, ci vollero più di un colpo per spaccarla e riuscire a vedere l’acqua. L’inverno era un momento terribile per lavarsi. Le classi medie e basse non lo facevano, infatti, perché comportava doversi recare al fiume e rischiare l’ipotermia. E nonostante loro appartenessero all’ultima classe della società, non potevano permettersi di non lavarsi. C’era troppo contatto con gli animali, tra il fieno e la polvere. Perciò, in giorni di riposo in cui il circo restava chiuso al pubblico, si dedicavano anche a queste faccende.
Gli uomini spaccavano il ghiaccio e riempivano grossi barili d’acqua per poi trasportarli al tendone comune. Poi si spartivano l’acqua per lavarsi. Alle donne ne serviva sempre un po’ di più, e quella che restava veniva usata per lavare gli animali.
Dietro di Boris c’era la schiera degli altri uomini, compresi i nani che gli ricordavano tanto i folletti di Santa Claus. Solo che questi erano un po’ più scorbutici.
Boris era un gigante, con i capelli neri tagliati cortissimi e i tatuaggi sparsi per il corpo, e si stupiva sempre di come fossero piccoli quegli omini.

«Sarà alta l’acqua?» domandò Nahuel con il suo accento spagnolo, più a sé stesso che a Boris.

Nahuel era stato un cavallerizzo, quand’era ancora a Malaga, ma poi aveva avuto un brutto incidente e non era più salito su un cavallo. Si limitava ad aiutare con la cura delle gabbie degli animali. Era il fratello maggiore del piccolo Alegria, ed erano zingari di etnia kalé.

Diablo alzò le spalle, incurvando le labbra carnose verso il basso. «Mah. Controlliamo. – fece un cenno con la testa a Boris. – Tienimi che sennò vado a fondo»
Il russo lo afferrò sotto le ascelle, con il busto sporto in avanti sul fiume. Diablo s’immerse.
«Cristo Iddio, è congelata» brontolò.
«Accidenti, che perspicacia» lo prese in giro Tramp, il clown.

L’acqua gli arrivava al girovita, non era così alta ma certo dovevano fare in fretta prima di rischiare il congelamento. Nel fiume entrarono anche Nahuel e Tramp a riempire i barili, e a riva rimasero i nani con Boris, Klunni e Kà.
Un’efficace organizzazione, i barili passavano di mano in mano e i nani li portavano al tendone comune dell’accampamento. Ne riempirono dodici, poi furono costretti a fermarsi quando le labbra cominciarono a diventare viola e le mani prive di sensibilità.
Si trascinarono, infreddoliti, verso il centro dell’accampamento.
Il tendone comune era molto grande, era attrezzato con un angolo cucina e la lunga tavolata per i pasti, tutt’intorno grossi cuscini. Era collegato al tendone che fungeva da dispensa e a quello dei bagni.
Era lì che passavano il tempo tutti insieme, perché poi per dormire ognuno aveva la sua carovana.
Erano già tutti a tavola per il pranzo. Appena entrarono Carmen, la moglie di MadKing, scattò per fare i loro piatti e riempirli di stufato di verdure. Un vero toccasana per loro, infilati nell’acqua gelida fino alle anche. 

Diablo si lanciò un’occhiata intorno, con quei suoi grandi occhi tempestosi, poi si rivolse a Carmen. «Dov’è Persia?»
«Al Tempio. – gli rispose, lanciandogli un’occhiata maliziosa. – Ma non puoi andare da lei ora. È impegnata»
«Non volevo andare da lei. Solo che non la vedevo» brontolò con una scrollata di spalle.
Carmen non gli rispose neppure, gli piazzò tra le mani la scodella di stufato e lo mandò a sedere con un’occhiata che la sapeva lunga.

Non era passato inosservato il rapporto tra Diablo e Persia. Eppure era così strano che nessuno capiva cosa ci fosse davvero sotto, nemmeno loro due probabilmente. E non era comunque concesso saperlo: i rapporti che superavano una certa soglia d’affetto, non potevano essere mostrati. C’erano delle regole. Se si voleva infrangerle, allora l’unico posto per farlo senza essere visti da occhi attenti era il Tempio di Gipsy, per qualche motivo. Secondo Faust, perché nel tendone della ragazza c’erano cianfrusaglie scaramantiche che tenevano lontane certe energie. In effetti Persia ne aveva tanti, di oggetti scaramantici, lì dentro: prevalentemente seguivano la cultura zingara e persiana, come le sue origini, ma c’erano anche oggetti induisti, buddisti, persino qualche ninnolo dei nativi americani.

«Non la lasciano stare neanche all’ora di pranzo. – borbottò Diablo sedendosi vicino a Nahuel. – Sempre a leggere mani, carte, oroscopi, o altre diavolerie, per quei ricconi»
«A quelli non si può dire di no, possono disporre di noi come vogliono. È la regola» rispose l’amico con un’alzata di spalle.
Diablo s’incupì ma evitò di commentare ulteriormente per non dar voce a pensieri segreti.

Aveva smesso ormai da tempo di considerare Persia al pari di una sorella, come invece considerava Prittle. Quando arrivò, lei aveva quattordici anni e lui diciassette. Da allora erano passati dieci anni, e non c’era stato un momento in cui non avesse desiderato urlarle la sua frustrazione per quel sentimento così bruciante che era costretto a soffocare. Avevano condiviso brevi momenti di delicatezza di nascosto, che non andavano oltre un bacio sulla guancia o una carezza.
Al contrario di Boris e Bubblegum, che avevano fatto in tempo a sposarsi prima che subentrasse la nuova gestione del circo e, con essa, le nuove ferree regole che impedivano l’amore.

Persia fece il suo ingresso nel tendone quando tutti ormai avevano finito, e Carmen le riscaldò la sua parte di stufato. Incrociò gli occhi di Diablo, di quel colore blu come il mare in tempesta, ma abbassò subito lo sguardo sulla ciotola.
Prittle trotterellò vicino a lei. «Allora... Qualche buona novella da parte del riccone?»

Persia guardò l’amica con un sorriso divertito. Prittle era bionda, con gli occhi castani, magra, slanciata, atletica. Sempre pronta a portare una ventata d’ottimismo. Aveva avuto una vita difficile prima del circo: da bambina fu venduta ad un bordello, e perse la sua virtù a undici anni poiché un ricco imprenditore di Barcellona aveva chiesto proprio lei in quanto ancora vergine, pura e innocente. Alla perversione degli uomini non c’era limite, e questo Prittle lo comprese da bambina.

«Voleva che gli leggessi la carta natale. – alzò le spalle. – Ultimamente lo chiedono tutti»
Prittle le si fece vicino. «Prima Diablo ha chiesto dov’eri, non credo gli piaccia quando rimani sola nel Tempio con un cliente» le sussurrò all’orecchio, con un’occhiata maliziosa.
Persia arrossì e si pulì le labbra con un tovagliolo nel tentativo di mascherare il rossore. «Oggi è una bella giornata. Andiamo a fare un giro per Londra?»
«Puoi scommetterci»
Come a captare la loro conversazione, MadKing piazzò di fronte a loro dei rotoli di carta colorata. «Brave ragazze, e già che ci siete fate pubblicità al circo. A due belle signorine daranno senz’altro ascolto, e mi raccomando: priorità ai bambini»
   
 
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