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Autore: Prince Lev Swann    05/11/2017    1 recensioni
“Succo d’arancia, Swan?”
Killian posa un vassoio di brioches sulla scrivania, prima di sedersi sul letto; fisso per qualche secondo l’arancione intenso del succo nel bicchiere al di sopra di esso, perplessa. Fu una delle prime cose che mi chiese, il succo d’arancia.
“Emma...”
Da parte mia, nessuna reazione. Ho bisogno di qualche altro secondo.
“Tesoro, mi dici che c’è che non va?”
Sollevo lo sguardo, ricambiando quello dei suoi intensi occhi azzurri. Sembra davvero preoccupato; fa quell’espressione quando pensa che gli stia nascondendo qualcosa che mi preoccupa. Sotto la più superificiale agitazione ne traspare quel po’ di rancore che riserva ai miei ostinati tentativi, mai svaniti del tutto, di non lasciare che mi scopra completamente, di impedire a chiunque, lui compreso, di toccarmi nell’animo. Lo so, è fastidioso, ma sono sempre stata così. E sebbene Uncino sia l’unico in grado di oltrepassare le mie barriere, non mi nasconde più quell’aria di delusione, quasi di disappunto, nel constatare che ogni tanto mi riparo ancora dietro a quei muri. Ma ha ragione, e non se lo merita.
Stringo il pugno e faccio un sospiro. Basta muri.
“Sono incinta.”
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Henry Mills, Killian Jones/Capitan Uncino, Regina Mills, Un po' tutti
Note: Cross-over, Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!
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Mi giro verso mamma e papà e li fisso negli occhi, come se stessi cercando un sostegno morale nei loro sguardi.

Guardo di nuovo il portale e sospiro. Killian e Regina sono già entrati nel portale, ma io non faccio neanche un passo in avanti.

“Vai, Emma. Puoi farcela.” Mia madre mi rivolge un sorriso carico di affetto e speranza. “Quando lo saluterai tieni a mente che il vostro non sarà un addio, ma un arrivederci.”

Mio padre stringe la mano di mia madre.

“Se c'è una cosa che la nostra famiglia sa bene” si guardano l'un l'altro, e mio padre accarezza il mento di mia madre con l'indice “è che ci ritroviamo sempre.”

Annuisco. Inspiro e mi lancio dentro al portale. Non devo farmi intimorire dal futuro, solo concentrarmi sul presente. Henry ha bisogno di me, come io ne ho di lui. Ora, in questo momento. Questo momento è ciò che conta davvero.

 

* * *

 

Killian ed io camminiamo lungo il ponte della Jolly Roger, cullati dai movimenti ritmici delle onde e dallo stridio dei gabbiani. La sua mano stringe la mia e mi infonde sicurezza, e mi ricorda che un altro lui sta accompagnando mio figlio nella sua missione.

Ci fermiamo e appoggiamo le braccia sul cornicione della nave. Sorrido mentre osservo il sole in lontananza che cala all'orizzonte dipingendo il cielo di sfumature rossastre.

Mi volto verso Killian e le nostre labbra si incontrano in un caldo bacio. Le nostre lingue si intrecciano mentre le mie mani avvolgono mio marito e lo stringono a me. Lui geme, poi si allontana.

“Piano, Swan.” esclama con un sorriso. “Non vorremo spaventare il piccolo.”

“Sei un padre premuroso, Killian.” Ricambio il sorriso, ma un attimo dopo aggrotto le sopracciglia e Killian non impiega che un istante ad accorgersene.

A pochi metri da noi un gabbiano sta compiendo numerosi saltelli sul ponte, emettendo un grugnito ad ogni balzo.

“Hey, se stai cercando del cibo, temo che tu abbia sbagliato posto. C'è un ottimo pescivendolo, sul porto.”

Killian si avvicina al pennuto, che sbuffa, sbatte le ali e si innalza in volo. Alzo il volto e con lo sguardo lo seguo mentre plana verso Storybrooke.

Killian si inginocchia e raccoglie qualcosa da terra, poi torna verso di me.

“Sembra che volesse portarci un dono.” porge la mano e mi mostra una stella marina. La prendo e alzandola a mezz'aria ne studio i dettagli.

“È magnifica, non trovi?” domando senza staccare gli occhi. “Dovremmo metterla sotto coperta insieme alla nostra collezione di conchiglie.

Dopo aver sconfitto la Fata Nera, Killian ed io abbiamo attraversato i mari di altri regni e raccolto in ricordo conchiglie da ogni luogo che abbiamo visitato, e adesso la nostra splendida collezione di cimeli viene conservata nella coperta della nave. Presto non saremo più in due, e per un po' di tempo non compiremo più viaggi in giro per gli altri mondi.

La settimana successiva mi trovo nell'ufficio dello sceriffo per svolgere alcune pratiche quando ricevo una chiamata allarmata.

“Sono il barman del Rabbit Hole. Ho bisogno che venga qua immediatamente per risolvere una rissa in corso.”

Lascio i fogli ammucchiati sulla scrivania e corro verso l'auto. Schiaccio l'acceleratore e mi dirigo al locale.

Quando entro vengo subito accolta dalla musica che mi martella nelle orecchie e io mi guardo intorno. Una ragazza con le trecce e un grembiule bianco si para davanti a me con la bocca spalancata.

“Sceriffo, venga, presto. Avevamo un addio al nubilato in corso” un sospiro “quando un ragazzo è impazzito e...”

“Mantieni la calma.” le dico posando una mano sulla sua spalla. “Sei nuova?”

Lei, sempre con la bocca aperta, annuisce.

“Come ti chiami?”

“Jessy.”

“Bene, Jessy, sappi che questo genere di cose succede una volta a settimana. Non preoccuparti, tu torna a servire gli altri clienti mentre io gestisco la situazione.”

Jessy chiude la bocca e annuisce ancora una volta, poi si allontana.

Seguo le grida e raggiungo la sala del biliardo. Un ragazzo sta colpendo ripetutamente il tavolo da gioco con una mazza, fino a sfasciarla.

“Lui è qui! È qui!” urla.

Gli stringo le braccia, ma lui si dimena e riesce a liberarsi. Salta sul tavolo e calcia le biglie del biliardo.

“Fuggite! Andatevene!”

Mi sporgo sul tavolo e gli afferro nuovamente le braccia. Lo tiro verso di me e il ragazzo cade in ginocchio sul tavolo da gioco.

“Adesso basta! Una notte in cella ti schiarirà le idee.” Lo ammanetto e con uno strattone cerco di farlo scendere, ma lui si tira indietro e tenta di liberarsi dalla mia presa e di rialzarsi in piedi.

Con un gesto fulmineo lo colpisco tra capo e collo e lui cade in avanti. Lo trascino a terra e lo faccio sedere.

Il ragazzo sgrana gli occhi e mi stringe il colletto. “È arrivato!” Mi tira a sé, ma io allontano le mani di lui dalla mia giacca.

Mi giro verso alcuni ragazzi in piedi che ci fissano con gli occhi spalancati.

“Quanto ha bevuto?”

“N-non lo so.” balbetta uno di loro. “Io non l'ho neanche visto arrivare.”

“Non era tra gli invitati.”

Mi giro dall'altra parte e osservo una donna con i capelli neri riccioli.

“Come?” aggrotto le sopracciglia.

“Io sono la futura sposa. Non ho mai visto questo ragazzo prima di questa sera. Non era tra gli invitati alla festa.”

“Lui è qui! Lui è qui!” esclama ancora una volta il ragazzo.

Con uno strattone lo faccio alzare dalla sedia e lo trascino all'auto. Durante il tragitto lo guardo attraverso lo specchietto retrovisore. Ha la fronte imperlata e la camicia fradicia di sudore. Ansima forte, guarda fuori dal finestrino e picchia le mani contro il vetro. Le mie domande, come si chiama e da dove viene, non trovano risposta.

Raggiungiamo l'ufficio dello sceriffo e lo metto braccia al muro.

Lo perquisisco e percepisco qualcosa nelle tasche dei pantaloni. In quella destra un oggetto rettangolare; è il suo telefono cellulare. È protetto da una password. Lo appoggio sul tavolo, poi svuoto l'altra tasca.

Prendo in mano il contenuto e corrugando la fronte me lo rigiro tra le dita.

È una stella marina. È più piccola di quella che mi ha portato il gabbiano la settimana scorsa.

Chiudo il ragazzo nella cella e lui si aggrappa alle sbarre.

“Non lasciarmi qui. Lui mi troverà! Mi ha raggiunto fin qui! Lui è venuto qui per me.”

Entro nella mia stanza privata e chiudo la porta. Le pareti attutiscono le urla del ragazzo.

Mi metto a sedere e apro un cassetto, dentro cui getto la stella marina, poi studio il cellulare. Lo sfondo del bloccoschermo è una sua foto. È lui insieme ad una ragazza. Sono seduti sotto ad un albero e sorridono.

Ripongo il telefono dentro al cassetto accanto alla stella marina e lo chiudo a chiave. Sul tavolo c'è una bottiglia di scotch. La apro e la avvicino alla bocca, poi alzo lo sguardo all'orologio sul muro.

“Ormai dovrei essere a casa.” dico tra me e me.

Tappo la bottiglia e la metto accanto al monitor del computer, poi scosto la sedia dal tavolo e mi alzo in piedi.

Il ragazzo sta ancora implorandomi a gran voce di liberarlo. Prendo un bicchiere di carta e ci verso dell'acqua. Glielo porto, ma lui colpisce il bicchiere e lo fa cadere per terra.

“Come vuoi, torneremo quando sarai più cordiale. Buonanotte, ragazzo.”

Mi allontano, e alle mie spalle sento che continua a parlare tra sé e sé.

“Lui è tornato. Lui è tornato. Dobbiamo fuggire tutti.”

 

* * *

 

Killian ed io entriamo in ufficio. Il ragazzo è silenzioso, sta seduto in un angolo con il capo chino, i suoi vestiti sono bagnati e polverosi e dalla sua cella proviene odore di feci. Killian ed io arricciamo il naso ed entriamo nella stanza dello sceriffo.

“Quanti anni credi che abbia?”

“Non so, ventidue, venticinque al massimo” rispondo.

“Da quanto tempo è qui?”

“L'ho portato verso mezzanotte. Ormai la sbronza dev'essergli passata.”

Killian distoglie lo sguardo, poi apre la porta e guarda il detenuto dall'altra parte della stanza.

“Tenerlo qui non serve a nulla, se non a far assomigliare questo posto alla stalla dei tuoi genitori.” dice facendo un cenno della mano davanti al naso. Si avvicina alla cella, inserisce la chiave e apre la porta. Nel frattempo apro il cassetto della mia scrivania. Prendo il telefono e me lo metto in tasca, poi afferro la stella marina e blocco la mano a mezz'aria. Giro la stella e la osservo, poi la metto nell'altra tasca della giacca.

Esco dalla stanza e osservo Killian in piedi dentro alla cella.

“Andiamo, amico, sei libero di uscire.”

Il ragazzo mormora qualcosa.

“Non mi hai sentito? Sei uccel di bosco, ora.”

Il ragazzo tiene la testa china verso il basso e mormora parole incomprensibili.

Killian lo afferra sotto le braccia e lo tira in piedi. “Andiamo, muoviti.” Con una smorfia li raggiungo e tolgo le manette al ragazzo.

“È troppo tardi.” farfuglia lui. “È troppo tardi. È troppo tardi.”

“Al contrario, sono le dieci di mattina e tu hai tutto il tempo del mondo.” esclama mio marito trascinando il ragazzo in avanti.

“Lui è qui. Lui è arrivato.” ripete.

“Killian, aspetta.” dico afferrando un braccio del ragazzo. “Non è ancora in condizione di tornare a casa, ammesso che ne abbia una. Potrebbe aver assunto delle droghe, forse dovremmo portarlo all'ospedale.”

Guardo l'ex-detenuto. Ha gli occhi persi nel vuoto e continua a ripetere le stesse parole.

“Potrebbe non essere una cattiva idea.” afferma Killian grattandosi il mento. “Di sicuro risolveranno molto più di noi.”

“Tu resta qui, ci penso io.”

Killian ed io ci scambiamo un rapido bacio sulle labbra, e io faccio salire il ragazzo in auto.

Raggiungo l'ospedale di Storybrooke e stringendo il braccio del ragazzo lo accompagno dentro.

“Emma. Hai abbandonato il pirata e ti sei trovata un nuovo spasimante?”

Mi volto in direzione della voce e vedo un uomo in camice bianco e chioma bionda. Il medico porge una cartellina ad un'infermiera e compie un passo verso di me sfoggiando un largo sorriso.

“Whale, devo affidarvi questo ragazzo. Non so come si chiami, né dove abiti, ed è in stato confusionale da ieri sera.”

Whale si gira verso l'ex-detenuto e lo squadra da cima a piedi. Il suo sorriso scompare e il medico aggrotta la fronte. Il ragazzo guarda un punto fisso in alto, la testa piegata verso destra e la bocca spalancata.

“Dove lo hai trovato?”

“Al Rabbit Hole, ieri sera. Stava sfasciando il locale e gridava frasi senza senso.”

Whale non distoglie lo sguardo dal paziente. Il ragazzo gira il capo verso di lui e mormora qualcosa.

“Victor.”

Guardo prima il ragazzo, poi Whale.

“Lo conosci? Lui ti conosce?”

Il medico fissa negli occhi il ragazzo, che alza lentamente il braccio e allunga la mano verso il dottore.

“Whale!”

Il medico batte le palpebre e scuote la testa, poi mi rivolge un sorriso.

“No, non l'ho mai visto prima, mi dispiace. Probabilmente ha letto di me sui giornali, per via di quel morbo che ho scoperto l'anno scorso. Lo Specchio di Storybrooke lo ha definito 'Il vero mostro di Frankenstein', o qualcosa del genere.”

“D'accordo, allora lo lascio alle tue cure e torno al mio lavoro.”

“Senz'altro, Emma.” esclama Whale prendendo il paziente per mano. “Andiamo, ragazzo, tra non molto ti sentirai meglio.”

Esco dall'ospedale e guido fino all'ufficio dello sceriffo. Sto per entrare, quando mi accorgo di avere ancora in tasca la stella marina e il cellulare del paziente. Alzo gli occhi al cielo e sospiro, poi faccio dietro-front e torno al parcheggio a passo svelto.

Punto il telecomando verso la macchina e premo il pulsante. Compare una figura, e io sbatto contro di lei.

Chiudo gli occhi per alcuni secondi e mi massaggio il volto. Li riapro e osservo la figura per terra.

“Hey, tutto a posto?” domando mentre allungo il braccio verso la ragazza.

Lei annuisce e mormora un debole '', poi tende la mano verso la mia, rivelando una voglia a forma di stella sul polso.

Tiro la ragazza verso di me e con l'altra mano la aiuto a rialzarsi, mentre lei si scosta i capelli dal volto, poi abbozza un sorriso.

“Lily.”

   
 
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