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Autore: Frulli_    06/11/2017    3 recensioni
Inghilterra, 1805. Cathleen ed Emma non potrebbero essere più diverse: la prima è razionale e posata, la seconda entusiasta e romantica. Ma quando le due sorelle avranno a che fare con l'amore e i sentimenti, le reazioni saranno totalmente diverse.
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
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12. Love in not a Deal
 
 
25 Luglio 1806
Sollevò lentamente il capo, portando gli occhi sul riflesso che lo specchio le restituiva. Cercò di sorridere, ed il sorriso teso rimase poggiato lì qualche istante, prima di lasciar posto ad un'aria triste.
Le mancava Charles, e non sapeva come aveva fatto tutto quel tempo, prima di conoscerlo, a vivere senza la sua presenza. Deglutì, sistemandosi un boccolo dietro la piuma bianca sulla testa.
Aveva un presentimento, come se ci fosse qualcosa di strano. Di storto, di...segreto. Si svegliava in continuazione, di notte, in preda ai peggiori incubi, e nemmeno la valeriana del dottor Parson riusciva a placarla. Sognava sempre che qualcosa di orribile accadeva a Charles e, ogni volta, era sempre a causa di suo fratello...di Adam. Deglutì di nuovo, sentendo una morsa allo stomaco: preoccupazione, misto a senso di colpa. Sapeva che le sue preoccupazioni erano normali, dato che Charles era in mare da quasi un mese, e che gli incubi erano le sue paure che si manifestavano. Ma possibile che in un mese ancora non attraccavano in un porto per poterle spedire una lettera, e farle sapere che stava bene? Una parte malefica di sé le sussurrava nell'occhio che era fuggito, che non c'era nessuna barca da prendere a Londra e che l'aveva abbandonata...ma sapeva che non era così, che era solo la sua paura a parlare. Doveva seguire il consiglio di Emma: calmarsi, vivere giorno per giorno, tenere la mente occupata con i preparativi del matrimonio ed il tempo sarebbe passato più velocemente.
Qualcuno bussò alla porta. «Sei pronta?»
«Si» annunciò Cathleen, alzandosi «arrivo»
«Dai Cathy, tutti gli ospiti sono arrivati. Stai bene?» le chiese Emma, una volta aperta la porta. Lady Egerton era a dir poco radiosa, ed i tempi della sua indisposizione sembravano lontani. Indossava un bellissimo abito rosso passione, con ricami bianchi così come i guanti di seta che le arrivavano al gomito. I capelli biondi erano acconciati alla moda, tenuti da una piuma rossa, ed aveva un incarnato chiaro ma in ottima salute. I suoi occhi celesti, poi, erano a dir poco radiosi.
La sorella la prese sottobraccio e la condusse ai piani inferiori, dove cominciavano ad arrivare voci e chiacchiericci dalla sala della musica.
«Cerca di non pensarci, mh? Andrà tutto bene, sono sicura che presto dovrò asciugarmi lacrime d'emozione per vederti indossare l'abito nuziale» le sussurrò la sorella, prima di entrare nella Sala. Per l'occasione, era stato allestito un piccolo palco dove un quintetto d'archi accordava gli strumenti. C'erano almeno quaranta persone in attesa, chi sedute e chi in piedi intente alle ultime chiacchiere prima dell'inizio del concerto.
«Siete incantevole, cognata»
Si girò di scatto, notando la criniera rossa di Sir Egerton, e gli sorrise divertita.
«Vi ringrazio, Sir, anche voi state molto bene con questo completo blu»
«Un'idea di vostra sorella»
«Lo immaginavo, lei adora il blu»
Arthur sorrise alla giovane, porgendole il braccio. Cathleen accettò volentieri, dandogli un'occhiata: Arthur era cambiato molto negli ultimi mesi, o forse aveva solo rivelato la sua vera indole, calma e serena, facendo decadere ogni maschera e artifizio.
«Sapere, Miss Cathleen, questo concerto è anche un po' per voi. Vorrei essere perdonato per il mio pessimo carattere»
Cathleen sorrise, un po' sorpresa in cuor suo. «Nessun perdono deve esservi dato, Sir, perchè non mi avete arrecato particolare danno: amo la schiettezza, a dirla tutta, seppur la vostra sia stata indubbiamente, come dire...»
«Rude?»
Cathleen sorrise appena, divertita, facendo sorridere il cognato. «Siete perdonato, comunque sia» precisò.
Arthur sorrise fermandosi davanti la prima fila di sedie «Spero che vi divertiate, miss. Avrei voluto che ci fosse stato anche il Capitano Barrington, l'ultima volta abbiamo lasciato in sospeso un discorso che vorrei riprendere al più presto»
«E al più presto sarà, Sir» precisò Cathleen calma, sorridendo.
«Ne sono sicuro, non dovete preoccuparvi. Il Capitano è famoso per la sua bravura e il suo coraggio, non avete nulla da temere» rispose calmo Arthur «con permesso...»
Cathleen sorrise salutandolo quindi si sedette in prima fila, nella sedia più vicino al corridoio creato dalle postazioni. Pian piano si sedettero tutti: al suo fianco sua madre e suo padre, mentre Arthur ed Emma dall'altra parte della sala, sempre in prima fila. Si sorrisero, entusiasti, e non potè fare a meno di fantasticare qualche minuto prima del concerto su come sarebbe stata la vita con Charles: il loro primo ballo da sposati, la prima festa, il primo figlio, il primo nipote...
«Signore e signori, benvenuti. Questa sera il nostro modesto quintetto cercherà di allientarvi riproducendo le migliori opere del grande maestro Luigi Boccherini. Buon divertimento a tutti...»
Il primo violino si accomodò dopo la breve introduzione, seguita da un timido applauso, quindi dopo qualche istante le note allegre del quintetto si librarono nell'aria. Cathleen si girò un istante indietro, alla sua destra: Sir Barrinton e Mr Barrington erano seduti due file dietro di lei, vicini, e fissavano il quintetto suonare. Mr Barrington aveva un'aria un po' tesa e intravide le sue mani torturarsi a vicenda. Tornò a guardare il quintetto con i dubbi che l'assalivano: perchè era nervoso? Stava aspettando qualcuno? Poi pensò, con stupida ovvietà, che lui era il fratello del Capitano: era preoccupato, come lo era anche lei. E si sa, pensò, che le donne sanno gestire meglio le emozioni e le preoccupazioni. Si tranquillizzò e si godette il concerto. Rilassò la schiena contro lo schienale, sorrise verso la madre e osservò la maestria dei musicisti nello strofinare l'archetto contro le corde. Uno strumento difficile, il violino, il suo maestro di musica provò a insegnarglielo quando era bambina senza grandi risultati. No, lei era sempre stata innamorata del pianoforte, era quello il suo strumento del cuore. Si volse appena verso Emma ed Arthur, intravide le loro mani intrecciate e sorrise con dolcezza, tornando alla musica.
Passarono i minuti, passarono le sonate, gli applausi, le presentazioni dei pezzi man mano che venivano suonati. Passarono velocemente, era indubbio. A volte si sentiva la porta aprirsi, con i passi che offrivano champagne, limonata, vino o acqua, cercando di interrompere il meno possibile la performance. Per questo motivo Cathleen non si voltò quando sentì il portone aprirsi per l'ennesima volta. Il quintetto stava suonando una magnifica melodia dal colorito romantico, ed era persa a fantasticare sulle sue note. Per questo non si accorse nemmeno di Mr Barrington che borbottava qualcosa a qualcuno, per poi alzarsi ed uscire. E nemmeno di Sir Barrington che lo seguì subito dopo, uscendo dalla stanza.
Si resero conto della loro mancanza solo quando sentirono un grido, straziante e doloroso, e poi un tonfo. Il quintettò s'interruppe di colpo, stonando le ultime note che rimbombarono nell'aria insieme al chiacchiericcio allarmato dei presenti, che si girarono verso l'ingresso della Sala. Il presentimento risalì, inevitabile...il cuore accellerò, ineluttabile.
«Vado a vedere cosa è successo» annunciò serio Mr Colborne, seguito subito da Sir Egerton. Le donne rimasero in sala, e nel marasma della folla Cathleen non poteva certo vedere, da lì, Sir Barrington riverso a terra, con il dottor Parson che cercava di farlo rinvenire. Nè Mr Barrington poggiato al muro, gli occhi spalancati verso il vuoto. No, lei fissava la trama complicata del pavimento sotto i suoi piedi. Aveva le mani sudate, e la calma la stava abbandonando.
«Cathleen...»
Alzò gli occhi solo quando suo padre la chiamò, gli occhi velati di lacrime. Aveva una lettera in mano, stropicciata.
«Oh cara, mi dispiace...» sussurrò il padre, cercando di avanzare.
La sua mente voleva gridare, se avesse potuto. Gridare che cosa, di preciso, dispiaceva al padre. Di precisare quel suo dispiacere, ed il soggetto del dispiacere. Ma il cuore...oh il cuore lo sapeva benissimo, il cuore non aveva bisogno di spiegazioni. Lo sentì, dentro il suo sterno, cedere. Spezzarsi, come la corda di un tasto del pianoforte, quando viene usato troppo...si spezza, inesorabilmente, rompendo l'armonia. Le gambe cedettero, sembrarono rompersi anch'esse, e in un momento di lucidità arretrò, sedendosi sul bordo della sedia. Portò la mano alla bocca, aveva la sensazione di dover vomitare. Non davanti a tutti, pensò, non davanti a tutti.
Ma la sua gola non ascoltò le sue preghiere, e ricacciò qualcosa, dal corpo, che però uscì dagli occhi e dalla bocca. Lacrime e un rantolo. Un grido mescolato ad un pianto. L'orrore misto al dolore. Sollevò gli occhi verso suo padre, la causa di quel cuore rotto. Non riusciva a guardarlo bene, aveva la vista offuscata. Sentì qualcosa scivolare sulla sua guancia, una lacrima salata le cadde in bocca. Ne assaggiò il sapore, sapeva che avrebbe dovuto familiarizzare con quel sapore.
Non fece in tempo a dire nulla, perchè la vista si annerì del tutto. I suoni, lentamente, si allontanarono. Cadde in una pace e un silenzio piacevole. Lasciò andare la coscienza, la ragione, e chiuse gli occhi...sperando di averli chiusi per sempre.

Gli occhi erano pesanti, le palpebre molli. La luce del sole filtrava prepotente oltre le ciglia, e impiegò qualche istante ad abituarsi ad essa prima di poter aprire del tutto gli occhi, frastornata. Era sdraiata su un letto, e l'aria poco familiare delle pareti le fece intuire che non era a casa sua, ma con ogni probabilità a Egerton House. Questo le riportò subito alla mente quanto accaduto la sera prima, ed un pensiero ineluttabile sgorgò dalla sua mente.
Charles era morto.
Deglutì nella gola secca e cercò di schiarirsela. Sentì un fruscio nella stanza, girò la testa verso Emma che sembrava svegliarsi da un sonno profondo, lì seduta sulla sedia. Assonnata, solo dopo qualche secondo notò che Cathleen era sveglia e subito le si avvicinò.
«Cathy, come stai...»
«Acqua...» rantolò l'altra, non riuscendo a parlare. Cercò di mettersi un po' a sedere nel letto e bevve con urgenza l'acqua fresca che le porse la sorella. Poi, con calma, guardò oltre la finestra ed infine la sorella che la fissava con aria mortificata.
«Voglio leggere la lettera»
«Cathy non credo sia una bella idea»
«Voglio leggerla, Emma, ora»
La sorella fissò Cathleen qualche istante, quindi sospirò ed uscì dalla stanza rientrando qualche minuto dopo. Aveva tra le mani una lettera spiegazzata, ma ben leggibile. Cathleen la prese tra le mani tremanti, poi cominciò a leggere:
Rispettabile Sir Barrington,
è con grande dispiacere che le annunciamo il grave naufragio della Victoria, la nave di suo figlio, lungo le coste della Francia. La nave è stata colta da una tempesta improvvisa ed è affondata. Il mare ancora non ci restiuisce i corpi dei valorosi marinai e ufficiali che hanno combattuto per la Patria. Non le diamo false speranze, Sir Barrington...vostro figlio era un capitano valoroso e...”
Cathleen interruppe la lettura, poggiando il foglio sul letto. Le lacrime scivolarono sul viso e caddero sulle lenzuola senza che lo avesse comandato. Pianse, gridò, urlò tutto il suo odio a Dio e ai Santi. Pianse tutto ciò che aveva in corpo, pianse ciò che non poteva nemmeno immaginare o esprimere a parole. Quel giorno nessuno venne risparmiato da quel pianto doloroso e forte, da quella tristezza incolmabile, da quel cuore spaccato a metà, rovinato da una lettera non pervenuta.

«Non possiamo fare nulla per lei?» chiese Edward, osservando Elizabeth al suo fianco. Passeggiavano per la campagna, con bastoni e soprabiti leggeri. Era una giornata splendida, ma nulla poteva convincere la sua cara sorella a portare il viso fuori da Lavender House. Erano passati dieci giorni dall'annuncio della morte del capitano, e Cathleen non sembrava lontanamente essersi ristabilita. La sentiva piangere, di notte, nelle sue stanze. Nulla poteva consolarla, nulla poteva distrarla dal pensiero assordante che il suo amato promesso non c'era più.
«Purtroppo no, Edward, solo il tempo potrà lenire quel tipo di ferite. Ferite che io sono colpevole di aver creato. Ho fornito il coltello adatto per crearle...»
«Di cosa parlate, Miss?»
«Oh Mr Edward...l'amore è una faccenda complicata. E' il sentimento più potente al mondo, capace di farti scalare montagne o di farti deperire di dolore. Perchè credete che nessuno assennato si sposi per amore? Perchè ecco poi cosa succede. Io dovevo evitarlo, non si sarebbero dovuti frequentare, non avrei dovuto incoraggiarla...l'ho capito da subito che si amavano, eppure una parte stolta di me ha pensato che almeno la mia cara Cathleen si sarebbe potuta sposare con chi voleva. E invece le ho rovinato la vita...»
«Non credo che sia giusto incolparvi, Miss Elizabeth, per cose che non avete fatto. Avete invece dato una bellissima speranza a Cathleen, l'idea di sposarsi con chi volesse...lei, così fredda e razionale, era una gioia vederla arrossire in sua presenza. Mi mancherà molto il Capitano, era un giovane eccezionale. So che vostro zio ha avuto un brutto colpo alla notizia della sua morte...»
«Non vuole parlare con nessuno, nemmeno con Adam. Dicono che nella notte gridi il nome di Charles ed accusi Adam di averlo assassinato. Si rifiuta di mangiare, di bere...anche lui immagino si incolpi di qualcosa. Fino ad ora non mi ero mai pentita di nessuna scelta, Mr Edward, ma dannato il giorno che la incoraggiai a frequentare il mio povero cugino...»
«Miss vi prego non dite così. Cathleen è forte, supererà questo momento. E quando sarà pronta, potrà anche sposarsi con qualcun altro»
«Oh come vorrei che fosse così! Ma Charles era un uomo eccezionale, e io...» Elizabeth fermò il passo e la frase, con la voce tremante. Si asciugò velocemente una lacrima. Edward la fissava senza parole, come qualunque uomo davanti una donna sciolta in pianto.
«Miss Elizabeth, vi prego, non piangete...» mormorò, accarezzandole un braccio. Elizabeth, in risposta, si gettò fra le sue braccia, singhiozzando in silenzio. Edward lentamente la strinse a sé, cercando di consolarla.
«Suvvia, Miss, suvvia...» mormorò il giovane. Elizabeth sollevò lentamente il viso rigato di lacrime ed Edward gliele asciugò con delicatezza. Si scambiarono un lungo sguardo, carico di desiderio e interesse, ma di distrassero di colpo con il nitrito furioso di un cavallo e il rumore frenetico di zoccoli. Si girarono indietro, ammirando il cavaliere che galoppava solitario verso di loro. Si staccarono subito da quell'abbraccio, imbarazzati.
«Zio Jack» salutò Edward, sorridendo appena.
«Eddie...sono corso appena ho potuto, ero a Londra per conto della Marina e non potevo proprio...»
«Non preoccuparti, zio, sei assolutamente perdonato. Porti novità?» chiese Edward, guardandolo dal basso.
«Sì, dovrei parlare con tuo padre. In privato, è una questione piuttosto...urgente» precisò Jack, osservando serio il nipote.
«Papà è in casa, zio, credo che sia nel suo studio»
«Di cosa dovrà parlare tuo zio con tanta urgenza?» chiese Elizabeth una volta rimasti soli, con la figura del Commodoro che si allontanava verso Lavender House.
«Non ne ho idea, ma spero siano belle notizie...basta infauste novità»

Il tasto premuto rimandò un suono cupo e basso che, rimbomando nella music room, sembrava ricordare l'eco fiammeggiante dell'Inferno. Premette qualche altro tasto a caso, prima di chiudere la tastiera e posare i gomiti sul coperchio.
Nemmeno la musica le dava più conforto, perchè solo al pensiero di quella sonata che avrebbe dovuto comporre per lui le dita si irrigidivano e le lacrime si scioglievano. Quante lacrime ancora doveva piangere prima che la sua anima si svuotasse del tutto? Sollevò gli occhi intorno a sé, ricordando le serata tra amici e familiari a suonare allegre melodie; a quella volta che Emma suonò l'arpa, con grande dispezzo di Arthur. A come ballarono, sopra quelle assi di legno. Poteva ancora sentire il contatto della sua mano con quella di Charles, il suo profumo di colonia, il suo sorriso...
Le lacrime rotolarono di nuovo sul viso, posandosi sul coperchio della tastiera. La tristezza era come un mantello, il dolore come un abito, ormai erano parte di se stessa e nulla avrebbe potuto cambiare lo stato delle cose.
«Cathleen!» qualcuno gridò il suo nome lungo i corridoi. Fece appena in tempo ad asciugarsi le lacrime che la porta si aprì, mostrando Emma. Era pallida ed aveva un'espressione di terrore quasi.
«Che succede...» chiese Cathleen, alzandosi.
«Papà, Zio Jack, stanno...litigando, urlando. Ti prego vieni a fermarli, forse a te daranno ascolto!»
Cathleen sembrò acquisire tutte le sue forze ed energie, e in uno scatto veloce si gettò a capofitto sul corridoio, correndo accanto alla sorella verso lo studio del padre. Più si avvicinava e più poteva sentire le urla furibonde del padre e dello zio: non li aveva mai sentiti urlare così tanto.
«Sei un traditore del mio sangue! Sei una feccia umana! Maledetto il giorno che nostra madre ti partorì!»
«Sei tu il traditore, tu! Hai il cuore di pietra e l'anima di piombo! Non sai vedere la sofferenza nelle persone!»
«Ora basta» annunciò il padre, paonazzo. Afferrò Jack per la collottola ed altrettanto fece lo zio. Mrs Colborne gridò e fece come per svenire, sorretta subito dagli inservienti, incapaci di muoversi. Augustine era pietrificata, le lacrime le rigavano il volto.
«Basta, BASTA!» gridò Cathleen con tutta l'aria che aveva nei polmoni. Fu così anomalo sentire la sua voce, e gridare per di più, che tutti si bloccarono e si girarono verso di lei. Jack e Mr Colborne si staccarono subito, allarmati.
«Cosa ci fai qui, cara, non devi avere altri pensieri»
«L'unico mio pensiero è che Charles sia morto, padre, non credo che un litigio tra fratelli mi aiuti a non pensarci, ma grazie comunque. Ora mi volete dire qual è il problema?»
Jack deglutì, mortificato. Suo zio era un uomo alto e muscoloso, con un aspetto massiccio e che nemmeno dimostrava i suoi quarant'anni, ma in quel momento sembrava solo un bambino.
«Tuo zio è impazzito»
«Bene, l'avevo intuito dalle vostre grida. Perchè, di preciso?»
«Vuole sposare una ragazza di ceto inferiore»
«Non vedo cosa ci sia di male, a dirla tutta»
«Cathleen, tu ora rifletti solo con l'anima spezzata dal dolore, ma capirai da te che non è una cosa fattibile. La ragazza in questione è una...domestica, è povera, priva di ogni dote o proprietà. E se Jack non la smette, lo cancello dall'eredità di nostro padre»
«Non puoi farlo, e lo sai»
«Piuttosto vado in prigione!»
«Zio Jack non è un ragazzino, padre....sa perfettamente a cosa va incontro. Se, a discapito di tutto ciò, è ancora deciso a sposarla, non possiamo farci nulla»
Mr Colborne guardò sua figlia come se fosse una completa straniera, ma Jack le sorrise riconoscente. Cathleen girò i tacchi ed uscì dallo studio, continuando a sentire i due fratelli borbottare uno contro l'altro.
«Miss Cathleen»
Cathleen si girò, fermandosi a guardare Augustine che le veniva incontro, affiancandola.
«Augustine, dimmi tutto»
«Posso fare qualcosa per voi, Miss?»
«No ti ringrazio, Augustine, credo che andrò un po' a dormire...»
«Miss Cathleen...»
«Si?»
«Grazie..»
Cathleen si fermò, girandosi lentamente verso la giovane domestica. Sorrise, l'altra, osservandola con ammirazione. Ma certo, pensò Cathleen, doveva essere per forza lei.
«Augustine, sei tu che zio Jack...?»
La giovane domestica annuì, arrossendo. Cathleen, istintivamente, fece una cosa che non faceva da tempo: sorrise. Strinse forte Augustine, che rise appena, sorpresa da quell'improvviso gesto.
«Vieni, devi raccontarmi tutto» mormorò Cathleen, guidandola verso la propria camera. Una volta sole, si sedette vicino al camino e fece segno ad Augustine di fare altrettanto. La domestica deglutì e si accomodò, rigida. Cathleen pensò solo in quel momento che le domestiche non si sedevano mai nelle stanze padronali, ma le sorrise gentile.
«Allora, raccontami! Non ci credo che zio Jack si è innamorato, lui...intramontabile scapolo! Come è successo? Da quanto dura?» chiese, curiosa. Le si era accesa una fiamma, in quel suo cuore rotto, che la faceva palpitare come se in quella storia fosse lei la protagonista.
«Beh, in verità è molto...voglio dire, noi non abbiamo assolutamente mai...» cominciò Augustine, arrossendo di nuovo.
«Ma certo cara, non intendevo mica quello. Dicevo da quando avete scoperto di essere...interessati uno all'altra?»
«Oh beh, direi da quando sono arrivata qui, tre anni fa»
«Tre anni?» ripetè Cathleen, sorpresa.
«Si, suppongo di sì. Lui dice che lo ha colpito subito la mia intelligenza, i modi di fare, come rispondevo a tono ma con garbo...si vedeva, dice lui, che non ero figlia di contadini»
«Che mestiere fa tuo padre?»
«Libraio, Miss. Ho imparato a leggere ancora prima di camminare. Cominciammo a conoscerci proprio tramite i libri: io consigliavo qualche libro, e lui faceva altrettanto. Poi siamo diventati amici, trascorreva molto tempo con me quando tornava dai suoi viaggi...e poi si è dichiarato»
Cathleen arrossì insieme alla ragazza, ed entrambe sorrisero.
«Ti ha chiesto di sposarlo?»
Augustine annuì. «L'ho fatto aspettare quasi un anno prima di dargli una risposta. Sapevo che avrebbe litigato col padrone, non volevo deludervi, non volevo rovinare la pace di questa famiglia...non volevo, ma...»
«Ma al cuor non si comanda, Augustine. Hai fatto bene a dire di sì. Ma ora...come vivrete?»
Augustine chinò il capo. «E' la parte con cui mi sento più in colpa. Io non possiedo nulla, non ho dote né nulla, ha ragione vostro padre. Jack dovrà caricarsi ogni spesa, ma ringraziando Dio ha la sua rendita da Commodoro e vostro nonno gli lasciò un modesto appartamento a Londra, quanto basta per vivere bene. Io mi sarei accontentata anche di una stramberga, ma vostro zio? Lui è abituato alla servitù, al personale, ai grandi giardini...»
«Mio zio è abituato al mare, Augustine, e alle navi. Case galleggianti e rollanti, stanze minuscole e certamente privi di giardini. Non credo che per lui sia un peso enorme, nonostante tutto...»
Augustine sorrise gentile. «Se posso permettermi, Miss, vi ringrazio profondamente: siete l'unica che ci date una mano, e capisco perfettamente chi non lo fa. Per quanto mi riguarda, potrete venire a trovarci a Londra ogni volta che volete...sarò felice di rivedervi, Miss»
«Chiamami Cathleen, e diamoci del tu. Fra poco tempo sarai mia...zia» precisò Cathleen, ridacchiando.
«Solo per voi e per noi due, Miss, ma siamo d'accordo» annunciò Augustine, alzandosi lentamente «ora è meglio che vada a lavorare, finchè abiterò qui è questo il mio compito»
«Aspetta, voglio darti qualcosa» annunciò Cathleen, avvicinandosi alla sua scrivania. Rovistò dentro i cassetti, infilò qualcosa dentro un sacchetto nero, quindi lo porse a Augustine, sorridendo.
«Oh no Miss, non posso accettare vi prego» precisò la ragazza, alzando appena le mani.
«Non sai nemmeno cosa sono, apri»
Augustine aprì, spalancando appena la bocca. Porse il sacchetto a Cathleen, subito, come se fosse veleno.
«A maggior ragione non posso davvero accettare, miss, vi prego...»
«Ascolta» mormorò Cathleen, stringendo la mano della giovane intorno al sacchetto «non voglio che li indossi, voglio che li vendi. Io sono anni che non li indosso, per me sono troppo pomposi. Ma se tu li vendi, potrai sicuramente comprarti un nuovo guardaroba e mettere da parte dei soldi per i tempi più bui. Non accetto un no, quindi prendili e basta»
Augustine la fissò, gli occhi velati di lacrime. Abbracciò Cathleen di getto, stringendo il sacchetto a sé.
«Che Dio ve ne renda, Miss, davvero. Grazie mille, dal profondo del mio cuore»
Cathleen sorrise mentre l'altra usciva e si affacciò alla finestra, verso il giardino di lavande. Una fitta al cuore, a quei ricordi di Charles che ormai la accompagnavano ogni giorno. Fissò il cielo sereno, e sorrise tra sé. Sapeva che Charles sarebbe stato fiero di lei, e questo la rendeva felice, almeno un po', in cuor suo.


La mattina seguente, qualche ora dopo l'alba, gli inservienti caricavano i bauli sulla carrozza che avrebbe portato Jack ed Augustine a Londra, per sempre. Cathleen si sistemò lo scialle sulle spalle, cercando di non pensare al freddo che faceva in quella mattinata. Si guardò attorno, ed intravide suo padre alla finestra che fissava la coppia prima di sparire dietro la tenda. Emma, Edward e Charlotte erano con lei, gli unici che salutarono la coppia novella.
«Papà cambierà idea, zio, vedrai» commentò Cathleen, sorridendo appena verso l'uomo.
«Oh non preoccuparti se non gli passerà, Cathy...conosco mio fratello, non me la farà passare liscia. Ma non posso farci nulla, non posso fare finta, ci ho provato ma...è stato tutto inutile» ammise Jack, prendendo sotto braccio Augustine.
Cathleen la osservò qualche istante, sorridendo: indossava un semplice e delizioso abito bianco, con un cappellino di vimini ed un nastro verde chiuso sotto al mento. Aveva dei grandi occhi castani ed i capelli biondi sbucavano appena da sotto il cappellino. Sorrideva a Jack e lo guardava con occhi brillanti. Probabilmente era così che anche lei guardava Charles, pensò.
«Miss Cathleen...» fece per dire l'ex-domestica.
«Solo Cathleen, ricordi?»
«Si...giusto. Cathleen, grazie mille ancora per quello che avete fatto per noi, io...non so come sdebitarmi»
«Nessun debito, Augustine, fra qualche settimana faremo parte della stessa famiglia»
«Perchè non vieni al matrimonio, Cathy? Sarà a fine settembre se tutto va bene, il tempo di sistemare la casa: per ora Augustine starà da una sua cugina» propose lo zio.
Cathleen rimase qualche istante a pensare, poi sorrise appena. «Credo di potercela fare»
Augustine sorrise, abbracciandola. «Sarà magnifico avere qualcuno allo sposalizio»
«Bene, allora è deciso, ci vediamo fra qualche mese. Arrivederci, Cathy, e grazie ancora» annunciò Jack, abbracciandola «mi dispiace...» sussurrò poi al suo orecchio, sincero, stringendola ancora di più.
Cathleen ricambiò con trasporto l'abbraccio dello zio, ricacciando indietro le lacrime. Sorrise, anche quando la carrozza si allontanò dalla tenuta. Sventolò il suo fazzoletto, prima di rientrare in casa, la testa ricolma di pensieri, dubbi e angoscie.


«Grazie cara» mormorò Emma stanca, mentre la domestica le toglieva il soprabito dalle spalle. Poggiò la borsetta e il cappello sul tavolo all'ingresso, quindi risalì stanca le scale, un passo alla volta.
«Dov'è Sir Egerton?» chiese ad una domestica di passaggio.
«Nel suo studio, milady»
Ovviamente, dove poteva essere? O a caccia, o nello studio a far quadrare conti e fare affari. Si diresse lentamente verso lo studio ma rallentò, sentendo una voce maschile oltre a quella di Arthur. Bussò, prima di entrare.
«Oh Emma, vieni pure» annunciò Arthur sorridente. Emma sorrise verso il marito e verso quello che presto riconobbe come Mr Barrington, vestito da lutto.
«Mr Barrington, ben rivisto...vogliate accettare in ritardo le mie più sincere condoglianze. Come sta Sir Barrington?»
«Vi ringrazio Lady Egerton. Purtroppo mio padre non sta molto bene: la morte di Charles è stato un duro colpo per tutti, soprattutto per lui. E' allettato da giorni, si rifiuta di mangiare. Temo il peggio, a essere sinceri. E' per questo che sono venuto a chiedere aiuto di Sir Egerton. Ora...con permesso, temo di dover tornare a casa. Buona giornata» annunciò il giovane impettito, prima di fare un profondo inchino ed uscire dalla stanza.
Emma lanciò un'occhiata al marito, senza dire nulla finchè non vide dalla finestra la figura di Mr Barrington andare via in carrozza.
«Che tipo strano...» ammise Emma, girandosi lentamente verso Arthur.
«Pienamente d'accordo» precisò Arthur, togliendosi gli occhiali di vetro e posandoli sulla scrivania. Spostò indietro la sedia su cui sedeva, e fece cenno alla moglie di sedersi sopra le sue gambe.
Emma sorrise appena ed obbedì con piacere, posando un braccio intorno al collo del marito. Gli schioccò un bacio sulla guancia, con dolcezza, quindi gli accarezzò appena i capelli rosso acceso.
«Cosa ti ha chiesto?» chiese, curiosa.
Arthur si passò una mano sui capelli, sospirando. «Mi ha detto che...vuole vendere la parte dell'eredità di suo fratello»
Emma sgranò appena gli occhi. «Cosa? A Meno di un mese dalla sua morte? Che gesto spregevole...»
Arthur scrollò le spalle. «E' quel che ho pensato anche io. Ma mi ha mostrato la cessione di tutti i beni dei Barrington a lui come unico erede, c'è la firma di suo padre. Mi ha chiesto se ero interessato a qualcosa o se conosco qualcuno interessato. Personalmente ho risposto di no, ma che gli avrei fatto sapere se c'era qualcuno di interessato. Certo è che è strana come cosa. Anche per queste questioni, di solito, si aspettano almeno sei mesi. Ed in più hai sentito l'odore di alcol che aveva addosso?»
Emma annuì, quindi fissò il marito, assottigliando gli occhi. «Tu...credi che abbia modificato di proposito le carte?»
«Non sarebbe nemmeno difficile, se suo padre sta male come dice. Basta avergli detto che stava firmando un qualsiasi contratto o atto notarile, senza specificare a cosa stava dando il benestare. Non so, non mi convince...Sir Barrington è sempre stato più affezzionato a Charles, questo lo sapevano tutti...credo che ora Mr Barrington si stia vendicando»
«Non posso credere che un figlio e un fratello sia capace di ciò...ma poi che senso ha vendere quelle proprietà? Può darle in gestione, cederle a qualche parente...e poi non ha bisogno di soldi, fra qualche mese sposerà una contessa o qualcosa di simile no?»
Arthur scosse il capo. «E' saltato tutto, mi ha detto. Non so quale sia il motivo, ma pare che la contessa si sia rifiutata di sposarlo dopo l'ultimo loro incontro. Chissà cosa diavolo sarà successo, a me quel tizio non è mai piaciuto...Parliamo d'altro, dai. Come sta Cathleen?»
«Come sempre, e cioè non molto bene. Questa cosa tra zio Jack ed Augustine l'ha distratta almeno per qualche ora. Mi ha detto di averle dato dei suoi gioielli per venderli e guadagnare qualche soldo, ma se ho capito che gioielli erano...ci si farà un guardaroba nuovo come minimo. Zio Jack ci ha invitato al loro matrimonio, vorrei andarci. Dici che sarebbe disdicevole?»
«Disdicevole? Davvero t'importa del parere degli altri? Chi se ne frega, se hai piacere ad andarci ci andiamo. E poi tuo zio mi è sempre stato simpatico, non mi farò frenare dal parere altrui»
Emma sorrise. «Hai ragione. Credo che farà bene a tutti qualche giorno di vacanza a Londra, zio Jack ha convinto anche Cathleen. Sperando che per settembre stia meglio...»
«Vedrai che col tempo andrà sempre meglio. Certo...mi dispiace davvero, Charles era davvero un brav'uomo. Non c'è possibilità che sia naufragato da qualche parte, vero?»
Emma scrollò le spalle, triste. «Non ci sono giunte notizie da nessuna parte del continente, dopo due settimane ormai si sarebbe saputo. Purtroppo non vogliamo darci false speranze, né tantomeno darle a Cathleen. Prima lo dimentica meglio sarà»
Arthur strinse la mano della moglie, baciandole la guancia. «Non oso immaginare come possa sentirsi Cathleen. Perdere la persona che più ami al mondo, tornare a vivere soli...non so cosa potrei fare se tu...» non finì la frase, trovandosi Emma avvinghiata a lui in un abbraccio.
«Io non vado da nessuna parte, Arthur. Sono qui con te» mormorò Emma, stringendosi a lui. Sorrise Arthur, annuendo. Si guardarono a lungo, accarezzandosi il viso o i capelli. Incerto, Arthur sfiorò con il pollice la bocca della moglie che, senza nemmeno pensarci, schiuse appena le labbra. Arthur le sorrise appena, imbambolato a guardare la bocca della moglie che, qualche istante dopo, baciò con delicatezza. Aveva una bocca morbida, un sapore delizioso, e non potè fare a meno di continuare a baciarla. La strinse a sé, ne accarezzò la schiena, le guance, i capelli. L'uomo si fermò a guardarla un solo istante prima che la passione lo trascinasse del tutto dentro la moglie, con desiderio e foga, in un gesto intimo e primordiale: l'uomo e la donna uniti in un solo corpo.



Per finire: tadaaaaaan! I colpi di scena qui non finiscono mai, ormai dovreste saperlo :P non uccidetemi, ho pensato a tutto non temete :P Fatemi sapere di cosa ve ne pare anche di questo capitolo, spero vi sia piaciuto, e al prossimo! <3

 
  
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