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«Ho
lasciato Ginny.»
Qualcosa
lo trafisse in pieno petto, ma non era dolore né sensazioni di fine. Era
qualcosa che non riusciva a spiegarsi. «Credo di non aver capito bene.»
«Io
credo, invece, tu abbia capito benissimo,» ma il giovane Potter sorrideva. Il
sorriso più bello che avesse mai visto.
«Ma…»
«No!
Lasciami finire. Spiegare.»
«D’accordo.»
Snape
provò a rilassare le spalle, ma si sentiva così teso e impaziente e confuso che
non riusciva a credere di aver ascoltato davvero quelle parole, che per la
prima volta nella vita poteva davvero essere felice. Per un istante o un’ora o
un mese o un anno soltanto, ma poteva esserlo davvero, senza più doversi
nascondere.
Respirò
a fondo, cercando di calmarsi, stava correndo troppo, lo sapeva, e se c’era una
cosa che aveva imparato nel tempo, era che non si dovevano mai creare
aspettative, perché puntualmente venivano deluse, così cancellò quegli ultimi
pensieri e attese.
«Ho
parlato con Ginny, le ho detto tutto.» Si alzò dalla
poltrona, frenetico. «Non ce la facevo più a portare avanti questa vita. Stare
con lei mentre amo qualcun altro» parlava veloce mentre passo dopo passo si era
avvicinato a lui che lo fissava con i muscoli di nuovo rigidi. «Mentre amo te.»
Glielo
aveva detto tante volte, ma in quegli attimi sembrava avere un sapore diverso,
un altro suono che sembrava scioglierlo davvero.
«No!»
lo fermò ancora, prima ancora che potesse aprire le labbra. «Io voglio stare
con te e con te soltanto. Non m’importa se dovrò lasciare il Ministero o la mia
casa, non voglio più stare lontano da te. Senza di te. Perché in questo mondo
nulla ha valore se non posso viverlo con te accanto. Casa non è casa senza di
te. Senza di te, tutto è niente.»
Harry
pareva voler dire altro, come se avesse trattenuto dentro di sé parole per anni
e avesse voluto tirarle fuori tutte in quel momento, ma rimase immobile e in
silenzio a guardarlo. Ad attendere.
Lui,
invece, le parole faceva sempre fatica a farle uscire, il silenzio era più
affine alla sua anima, forse perché aveva ascoltato molte parole vuote e altre
che facevano male.
Che uccidevano.
E
in quegli attimi non sapeva cosa dire.
Più
di una volta aveva dichiarato il suo amore al giovane mago, ma era anche
scappato, lasciandolo su quella spiaggia senza mai voltarsi indietro,
rimpiangendo ogni minuto quella scelta, ma sforzandosi di convincersi che fosse
stata la cosa migliore da fare. Nient’altro che quello.
Ed
ora era lì. Aveva ascoltato ogni parola di Harry, l’aveva divorata e fatta
molecola della sua anima, ma non sapeva cosa dire.
Si
scoprì di non esserne in grado, e allora fece l’unica cosa che gli sembrava
sensata, l’unica cosa che cuore e mente gli urlarono di fare.
Prese
il suo viso tra le mani e lo baciò con una foga tale che quasi caddero entrambi
a terra, e lo spinse indietro verso la poltrona mentre le loro labbra
rimanevano incollate e i loro respiri si fondevano in uno soltanto.
E
si staccarono soltanto quando ebbero bisogno di prendere aria.
«Non
posso credere stia accadendo davvero.»
«Cosa
sta accadendo?» lo canzonò Harry, quasi sfidandolo, ma Snape
lo baciò di nuovo, incapace per la prima volta di trattenere l’euforia che
aveva dentro: se si fosse specchiato avrebbe addirittura faticato a
riconoscersi.
Chiunque
avrebbe faticato a farlo.
Era
completamente un altro, oppure, semplicemente, Severus
Snape era per la prima volta nella vita felice. E non
aveva paura di mostrarsi tale.
«Non
sarà una cosa facile.»
«Sai
cosa abbiamo dovuto affrontare noi due?» e gli prese di nuovo il viso tra le
mani, fissandolo. «Lo sai, Harry ciò che abbiamo passato io e te?» e si
avvicinò ancora un po’. «Credi che questo mi spaventi? Non mi spaventa
affrontare qualcosa, mi spaventano i sentimenti, provare ciò che non ho mai
provato e conosco. E il resto…»
«E
il resto?»
«Che
vada a farsi fottere!» e lo baciò per un istante, poi si ritrovarono entrambi a
ridere mentre il sole, fuori, iniziava a tramontare, gettando gli ultimi raggi
di luce sui fiori che continuavano a sbocciare e mutare anche se lui non li
vedeva.
Anche
se erano oltre le mura e le finestre, loro continuavano a ricamare il suo
essere più profondo, disegnandone i colori e ogni sfumatura, facendo esplodere
sentimenti che in lui cominciavano a fuoriuscire a piccole gocce. Una dietro
l’altra, fino a farne un rivolo.
Snape
si fermò per un attimo ad osservarlo bene: era cambiato così tanto dall’ultima
volta che lo aveva visto su quella spiaggia, più magro, più rughe, sembrava
essersi invecchiato troppo velocemente, eppure era ancora così giovane.
Era
ben consapevole che il suo ruolo fosse complicato e pesante, ad aggravare ciò
c’era la situazione con Ginny, con lui stesso e con
tutto ciò che sarebbe venuto, e avrebbero dovuto essere forti ancora per un
po’, per quegli attimi che servivano ad uscire dall’ombra e vivere la loro
vita, e poco sarebbe importato il pensiero della gente.
Loro
si amavano, ed era tutto ciò che contava.
Tutto
ciò che serviva.
Era
mortificato per le persone cui avrebbero causato dolori e dispiaceri, certo, ma
come poteva essere una colpa essere innamorati? Esserlo senza poterli nemmeno
vivere davvero quei sentimenti.
Non
seppe perché, ma si mosse, una mano sul viso, vicino alla bocca, e l’altra sul
petto del ragazzo, e poi posò le labbra sulla sua testa, in un gesto delicato
di affetto, come a voler dire io sono sopra di te per proteggerti da qualsiasi
cosa per tutta la vita, da ogni male che potrà colpirti, io sarò riparo e mi
farò ferire al tuo posto, ma starò per sempre al tuo fianco, vicino ad ogni tuo
respiro e ad ogni tuo battito.
E
quel rivolo, in un attimo, si fece torrente che lo travolse, e allora lo
afferrò e lo strinse a sé, senza dire una parola, rimanendo in silenzio lo legò
al suo corpo volendone sentire ogni più piccola sfumatura di calore e ogni
battito e respiro. Volendo sentire semplicemente Harry addosso.
Il
giovane Potter si mosse appena, percepiva il suo viso sul proprio petto anche
se c’era la stoffa a separarli e il suo profumo lo invase, e non avrebbe voluto
mai più staccarsi da lì, da quegli attimi di felicità e di – osò dire – amore.
«Non
mi hai ancora detto che posto è questo.» Harry alzò appena il viso per
guardarlo. Continuava a sorridergli.
«Questo…»
Severus non si mosse, continuava a stringerlo nel
proprio abbraccio, cercando di respirarne ogni essenza. «Questo… non lo so
nemmeno io cos’è. Il giorno in cui Dumbledore mi ha
chiesto di ammazzarlo sono scappato come un codardo qualsiasi pieno di paure e
dolori, e ho corso disperato e mi sono Smaterializzato e Materializzato fino a
quando non sono arrivato ai piedi di quella stupida statua e l’ho trovato.»
«È
un luogo bellissimo. Così tranquillo, lontano da tutto. Così silenzioso. Così strano ed enigmatico. Mi ricorda un po’
te, sai?» e anche Harry si strinse ancora un po’ a lui. «Mi ricorda molto te.
Ti rappresenta,» ma Snape bofonchiò qualcosa di
incomprensibile e al ragazzo venne da ridere, ma si strinse ancora a lui.
«Non
sono…»
«Non
sei silenzioso?»
«Beh,
sì, ma…»
«Non
sei strano ed enigmatico?»
«Non
direi.»
«Mmm…»
«D’accordo.
Va bene. Lo sono.»
«E…»
«Ti
prego, non aggiungere altro, per Salazar!»
«Ok
ok» si scostò un attimo da lui e per un attimo rivide
il ragazzino con quell’aria perenne di sfida negli occhi che lo irritava ogni
volta, quello sguardo che per anni aveva odiato rivedendo in lui nient’altro
che James, ma ora… ora c’era soltanto Harry.
Ora
c’erano soltanto loro due.
E
gli sembrava di scoppiare. Di morire.
«È
tutto un sogno, vero?»
Harry
piegò la testa e lo fissò, sorridendo. «No» e lo disse deciso, fermo, con una
convinzione che aveva davvero il sapore di un sogno, del sogno più bello che si
potesse mai fare. «Sarà la nostra vita. Saremo noi.»
Il
giovane Potter allungò una mano verso una delle proprie, continuava a fissare
gli occhi neri del professore con sicurezza, ma le dita gli tremavano, sembrava
come timoroso, come se qualcosa avesse potuto rompersi da un momento all’altro.
Snape, però, altrettanto timoroso ma deciso, strinse
le proprie in quelle del ragazzo: dita che s’intrecciavano, che s’incastravano
perfettamente le une nelle altre come se fossero state scolpite proprio per
quello. Ammassi di cellule che ne aspettavano altri, ben definiti.
Pelle
fatta per toccarsi.
E
loro erano lì, uno davanti l’altro a guardarsi, a scrutarsi nel profondo mentre
i loro respiri s’intersecavano in un punto ben preciso, in uno spazio che si
restringeva sempre di più, e ancora, fin quando tra le loro labbra non c’era
più nulla, soltanto il sapore delle loro labbra. Soltanto due bocche che più si
cercavano e più volevano scoprirsi, conoscersi per conoscere ogni brandello di
anima risucchiata nell’altro.
«Ti
amo.» Harry parlò dopo essersi appena staccato da lui, ma Severus
rimase muto, immobile.
Non
perché non lo amasse e non volesse rispondere, avrebbe voluto gridarlo,
gridarlo a chiunque, ma in quel momento voleva solo trovare le parole giuste,
il modo giusto; per la prima volta voleva dirlo nel modo perfetto.
“Anch’io”
era vuoto, non diceva niente, anch’io cosa? Non c’era sentimento in queste
parole, non c’era nulla.
“Ti
amo anch’io” non lo sentiva perfetto, quelle parole gli stonavano perché gli
sembrava contenessero una precisazione senza senso, di quelle che servono
soltanto ad elevarsi al di sopra dell’altro, “sì, tu mi ami, ma anche io, il
mio amore ha un valore superiore al tuo” e questo proprio non voleva dirlo, né
lo pensava, perché loro erano semplicemente loro, due persone che si amavano,
non c’era un di più e un di meno, un io
e tu, c’era solo un noi, un siamo ciò che siamo, niente scalini più alti o più
bassi.
E
allora cosa dire? Qual era la risposta perfetta quando qualcuno ti guardava
negli occhi e ti parlava di amore?
C’era
qualcosa di perfetto nell’amore oppure era fatto da tante piccole imperfezioni?
Da sbagli e sbagli e sbagli?
Lo
fissò ancora per un po’ e poi parlò, in modo semplice e chiaro.
«Ti
amo.»
Pronunciò
quelle stesse parole, perché lo stesso era il valore che avevano l’uno per
l’altro.
«Ti
amo» ripeté ancora senza distogliere lo sguardo dai suoi occhi, da quel verde
che mai come prima di allora aveva il sapore della speranza più pura di quello
che poteva essere, che qualcosa potesse esserci davvero. Della speranza di un
futuro.
Si
sorrisero l’un l’altro e poi, semplicemente, stettero a lungo a guardarsi, con
le labbra che si desideravano ma rimanevano immobili e piegate a cerare un
sospiro, ad attenderlo. Ad immaginarsi ogni sorriso ad ogni bacio.
Ad
ascoltare i battiti del cuore suonare nell’aria silenziosa di quel posto, e
quel silenzio così irreale e profondo non faceva altro che amplificarli, ad
aumentarne l’intensità fino a martellare le pareti.
Un
passo avanti, uno soltanto, e restarono immobili mentre fuori i fiori mutavano
ancora una volta. Non poteva vederli, ma ne sentiva il profumo, così come
sentiva quello di Harry.
Così
come sentiva il loro profumo di una vita.
E
continuarono ad abbracciarsi, desiderandosi, desiderando ogni loro imperfezione
e sfiorandosi cauti per poi esplodere ed entrare l’uno nell’altro con tutto
quello che si erano nascosti per tutto quel tempo, riversando l’uno nell’altro
persino la distanza e la confusione che svaniva.
E
i loro tocchi traboccavano di dolori come un bicchiere che continuava a
riempirsi, e loro non facevano altro che riempirsi dei loro respiri.
Fecero
l’amore a lungo, dimenticandosi di tutto il resto, e si baciarono ricordandosi
soltanto i loro nomi, soltanto i nomi di due persone che potevano finalmente
amarsi.
Sorridendo
ancora ognuno all’anima dell’altro, in silenzio, sfiorandosi appena tra un
passo e l’altro, uscirono da lì, da quella casa che profumava di fiori e sesso
e solitudine e tornarono, anche solo per un attimo, in quel luogo che più di
qualunque altro avevano considerato casa.
***
«Ron non vuole più parlare con me. Lo capisco, ma… non vuole
più parlare con me. Né vedermi.»
Il
Cancello di Hogwarts era di nuovo lì, gli sembrava
fosse passata un’eternità da quando era tornato, eppure erano trascorse appena
poche ore da quando era rimasto a fissarlo scappando poi di nuovo da quel posto
e persino da Minerva.
«Tornerà,
stai tranquillo,» ma il ragazzo tranquillo non lo era affatto, era triste,
glielo leggeva nello sguardo, così gli afferrò una mano e gli sorrise. «È solo
arrabbiato, ma vedrai gli passerà. Quando capirà, gli passerà, devi solo dargli
un po’ di tempo.»
Ron era sempre
stato un impulsivo e si faceva spesso soggiogare dalle proprie paure, ma era
una di quelle persone che tornava sempre e si sarebbe fatta uccidere per i
propri amici.
Senza
di lui, Harry sarebbe stato perso, lo sapeva persino Snape
che di amici veri aveva avuto soltanto sua madre, la dolce Lily che aveva
cercato in tutti i modi di metterlo in guardia dall’oscurità che cresceva
dentro il suo cuore, ma non era stato capace di ascoltarla; non aveva voluto
farlo.
E
non gli era stato mai permesso di ritornare l’uno dall’altra, perché la sua
cecità e follia l’avevano fatta uccidere.
Si
domandò cosa sarebbe successo se fossero mai tornati a passeggiare spensierati,
forse parlando di ciò che amavano o odiavano, se la vita avesse riservato loro
un destino diverso.
Si
chiese anche come avrebbe reagito alla sua relazione con Harry e per un attimo
alzò appena un angolo della bocca, divertito, e avrebbe riso ancora di più al
pensiero della faccia che avrebbe fatto James.
«Che
c’è?»
«Nulla,
scusami, stavo pensando ad una cosa, ma niente di importante. Andiamo? Sei
sicuro?»
«Non
molto» e ridacchiò, grattandosi la nuca, in quel gesto che faceva sempre e che
spesso gli aveva fatto perdere il controllo.
Guardando
il volto di Harry comprese di non essere l’unico a sentirsi così oppresso
eppure così legato a quel posto: entrambi facevano fatica ad avanzare, più
fissavano le mura oltre le mura, più sentivano il peso di tutto il loro
passato, di ogni sbaglio e di ogni colpa.
Certo,
il giovane Potter non avrebbe mai potuto eguagliare i propri, di errori;
varcare quella soglia avrebbe significato tornare lì dove aveva fatto del male,
dove le sue mani si erano sporcate del sangue peggiore, tornare a guardare
persone a cui aveva mentito così tanto e in questo capiva Harry più di chiunque
altro.
Capiva
perfettamente come doveva sentirsi, cosa aveva provato in quei lunghi mesi:
fissare le persone negli occhi e dire che il sole splendeva quando la realtà
era solamente pioggia e fulmini, parlare di sentimenti quando se ne provavano
altri.
Sussurrare
un amore quando se ne voleva urlare un altro.
Dichiararlo
e basta.
«Possiamo
tornare a casa.» Snape si accese una sigaretta.
«Casa?
Casa mi piace.»
«Ovunque
vuoi, io e te, e sarà casa.»
«Casa…
suona bene.»
«Allora
andiamo.»
Senza
neanche pensarci ulteriormente, si voltarono entrambi e iniziarono ad
allontanarsi dal cancello: ancora una volta si era fermato lì e ancora una
volta non lo aveva varcato, lasciandolo alle spalle mentre andava altrove; ma
stavolta non era da solo.
«Harry
Harry!» qualcuno stava chiamando il giovane mago, una
voce affannata che si faceva sempre più vicina. «Harry aspetta!»
Ronald
Weasley correva verso di loro e dopo qualche secondo
gli era davanti e si fermò all’improvviso, le mani sulle ginocchia e ansimante
per la corsa.
«Forse
è meglio se vi lascio da soli.»
«No…»
Ron parlava a fatica cercando di riprendere fiato.
«No… non c’è problema. Non ho mica più paura di lei, professore.»
Severus
si mosse appena e Ron fece un involontario passo
indietro: era bello costatare che certe cose non sarebbero mai cambiate.
Il
giovane Weasley si ricompose e si drizzò in tutta la
sua statura, tirando fuori tutto il suo coraggio e tutto quello che era venuto
a dire.
«Ti
ho odiato, Harry, è vero!» Ron parlava al passato, e
questa era già una bella notizia, ma vide che Harry era ancora teso, forse
troppo coinvolto per notare certe sfumature, ma non disse nulla, lasciò che il
ragazzo continuasse a parlare: «Ma Ginny è mia
sorella! Che fratello sarei stato se non ti avessi odiato, lo capisci?»
«Lo
capisco benissimo, e non mi devi alcuna spiegazione, avevi e hai tutte le
ragioni di questo mondo.»
No,
le sfumature proprio non le aveva notate.
«E
invece è giusto che io te le dia perché sei il mio migliore amico.»
Stavolta
parlava al presente: un’altra sfumatura positiva, importante, ma Harry non si
accorse neppure di quella.
Comprensibile.
«Ti
ho insultato così tanto che me ne sono vergognato subito dopo, ma ero troppo
orgoglioso per scusarmi immediatamente, mi dispiace.»
«Non
hai nulla di cui dispiacerti, avevi diritto a dirmi ogni cosa.»
«Non
è vero, avrei soltanto dovuto cercare di ascoltare e capire.»
«Ginny è una ragazza intelligente, forte e bellissima, e non
meritava ciò che le ho fatto ed io non meritavo lei. Voglio bene a tua sorella,
Ron, un bene profondo e sincero, ma non potevo darle
l’amore che desiderava e non volevo più che avesse un marito a meno di metà,
perché io ero niente, non potevo essere niente per lei se amavo un’altra
persona. Non potevo essere niente di più che un fratello che l’avrebbe sempre
protetta. Non posso essere che questo.»
«Credo
che Ginny l’abbia presa molto meglio di me, o meglio,
non che ne fosse felice, ma ha compreso i motivi. Ti ha ascoltato e li ha
compresi.»
«Non
voglio che soffra per me. Non ho mai voluto farla soffrire a causa mia, né te e
neppure la tua famiglia. Né nessuno, Ron, questo lo
devi capire.»
«Lo
so, amico mio, lo so.»
«Purtroppo
non ho preventivato di innamorarmi di qualcuno che non fosse mia moglie.»
«Lo
so» ripeté, «ma se la caverà e sarà felice. Meritiamo tutti di essere felici.»
Rimasero
in silenzio per alcuni minuti guardandosi per poi distogliere lo sguardo e poi
guardarsi di nuovo, mentre lui era fermo e li osservava e capiva le motivazioni di entrambi e si doleva per ogni singola
sofferenza che aveva causato ad ognuno di loro, ma si era solamente innamorato.
Punto.
Che
avrebbe dovuto fare? Reprimere i propri sentimenti ancora una volta?
No,
non era più disposto a nascondere ciò che aveva dentro, per quanto guardandosi
allo specchio avrebbe fatto fatica a riconoscersi, non lo avrebbe più fatto;
certo, non lo avrebbe urlato né avrebbe affisso manifesti, ma non avrebbe
neppure fatto finta che non esistessero, che ciò che provava non ci fosse.
Si
era nascosto per tutta la vita ed ora non lo avrebbe più tollerato.
«Io…
non… cioè, è strano!» Ron ruppe il silenzio fissando
per un momento prima l’uno poi l’altro. »Voi due… è decisamente strano!»
Snape
continuò a non dire nulla, non aveva voluto intromettersi, ma anche la sua
pazienza aveva un limite e gli sembrava così pesante tutto quel parlare e
parlare e parlare, eppure rimase muto, anche se voleva solo andarsene da lì.
Si
chiese se ne avessero ancora per molto. Tipico
di Snape.
Ron fece un passo
avanti, e lo stesso fece Harry, lui, invece, rimase fermo, le mani incrociate
al petto e lo sguardo sempre vigile ad osservare ciò che i due ragazzi
facevano, ogni più piccolo gesto e movimento, accorgendosi di molte più cose di
quante ne avrebbero viste quei due, così coinvolti ed emotivi.
Un
altro passo e impacciati nei loro sentimenti, si abbracciarono, contenti e
addolorati di tutto quel tempo che avevano trascorso lontani senza davvero
capirsi, senza neppure sfiorarsi con le parole, ma in fondo l’amicizia era
anche quello, erano alti e bassi. Erano mille sfumature. Erano chiarimenti,
arrabbiature, sorrisi e lacrime e risate.
Era
tornare sempre.
In
quel momento Severus non seppe trattenersi, e le sue
labbra si piegarono, e più li guardava più sorrideva, una gioia profonda che
gli veniva da dentro.
Era
felice, felice per loro, perché l’amicizia era importante, e lui che non
l’aveva mai realmente avuta, lo sapeva più di chiunque altro.
Lui
che non era mai stato davvero un amico per nessuno, comprendeva in quel momento
quanto avesse perso in tutti quegli anni e quanto avrebbe dovuto ancora fare
per riparare, per esserlo davvero.
Vide
Harry e Ron abbracciati che si scusavano nel silenzio
e si promettevano di esserci sempre, ed era felice.
Felice
davvero.
«Ne
abbiamo passate così tante e abbiamo visto così tanta morte che tutto il resto
sono cose che si possono superare. Mia sorella starà bene e… sono felice per
voi se lo siete.»
«Lo
siamo» rispose deciso Harry, senza neanche pensarci un momento, guardando Snape subito dopo aver parlato, con un sorriso sulle
labbra.
«Andiamo?»
Ron fece un passo verso il cancello, esortandoli a
fare lo stesso, ma nessuno dei due si mosse, rimasero come due statue,
fissandosi appena un paio di secondi per poi tornare a guardare il giovane Weasley.
«Non
ora.» Stavolta fu Severus a rispondere mentre gettava
a terra il mozzicone di sigaretta. «Non oggi.»
Dicembre
Erano
gli ultimi giorni d’autunno, ormai stava lasciando il posto al gelido respiro
dell’inverno che aveva già iniziato a sferzare ovunque.
Severus
Snape si svegliò sentendo il profumo di caffè.
Il
letto era comodo e soprattutto caldo, e non avrebbe voluto lasciare quelle
coperte, ma quel profumo gli aveva fatto aprire gli occhi.
Forse
perché era il profumo della semplicità.
E
allora scese e i piedi nudi sul pavimento gelido gli procurarono un brivido
lungo tutto il corpo, ma non ci badò molto, continuò ad avanzare verso la
cucina. Verso quell’aroma.
Un
aroma che sapeva di normalità.
«Pensavo
volessi dormire ancora un po’.» Il buongiorno era negli sguardi e non aveva
bisogno di uscire dagli occhi, da quel verde e nero che si conoscevano e si
toccavano anche quando non si sfioravano neppure.
«Ho
sentito odore di caffè.»
Harry
piegò le labbra in un sorriso, quello che amava, quello che sapeva di casa, e
fece altrettanto, sperando di disegnargli addosso quegli stessi sentimenti.
Il
camino in sala era acceso, ne sentiva il rumore fino a lì, quei piccoli crepiti
che gli piaceva spesso ascoltare mentre s’incantava a lungo a guardare le
fiamme: lo faceva spesso, gli ricordava quand’era bambino e si metteva davanti
al fuoco ad ascoltare le storie dei genitori, quando ancora sembravano una
famiglia normale.
E
andò a fissarle ancora una volta, per ricordare quei momenti, per ricordare
attimi felici del passato in attesa di crearne altri. Da solo. Con Harry. Con
ogni persona a cui voleva bene.
Il
giovane mago lo seguì, sedendosi accanto a lui, e gli porse una tazza di caffè fumante
e bollente.
Soffiò
appena e insieme bevvero finalmente il loro profumo di felicità.