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Autore: _Polx_    12/11/2017    2 recensioni
La vicenda prende ispirazione dall'ottava opera, non più narrativa bensì teatrale, che ha offerto al pubblico nuovi personaggi molto promettenti, ma al contempo uno sviluppo di trama, a mio parere, mediocre. Forse raccontare quanto venne dopo renderà tutto più chiaro.
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“Cos'ha a che vedere questo con Delphi? Lei è ad Azkaban, isolata dal mondo. Non può certo essere a capo di simili azioni criminali”.
“Ho la forte sensazione che in tutto questo Delphi sia sempre stata una semplice pedina. Un mezzo, inconsapevole d'essere tale, che infine è sfuggito dal controllo di chi cercava di governarlo”.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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Teddy non fu avventato quanto Tom temeva: un'ora dopo, Lok tornò da loro con un messaggio tra gli artigli che li incitava a raggiungere la Tana entro quindici minuti.
“La Tana?” chiese Tom, perplesso.
“Casa Weasley” spiegò Scorpius.
“Questo lo so bene, ma perché sceglierla quale punto di ritrovo?”
“Scommetto che sarà presente l'intera famiglia”.
“L'intera famiglia?” ridacchiò Tom “certo non t'invidio per questo, ma tuo padre è l'intera famiglia che t'è rimasta, o almeno così hai creduto fino a oggi”.
“I Weasley e i Potter non sono del medesimo avviso”.
Inutile dire che Scorpius avesse intuito correttamente.
Non ricordava una simile profusione d'entusiasmo nei suoi confronti dai tempi in cui, alla finale di Quidditch di due anni prima, i Serpeverde avevano ottenuto la vittoria in meno di otto minuti grazie alla sua presa ferrea e, soprattutto, alla sua sfacciata fortuna.
Tom sorrideva divertito, ma restava in disparte e, in realtà, gli veniva concessa ben poca attenzione, perché Teddy aveva assicurato che si trattasse d'un alleato affidabile... e nessuno metteva in dubbio le parole di Teddy.
Eppure, bastò un solo istante per incrinare quell'attimo di pura gioia: qualcuno si fece burberamente largo tra la calca e un silenzio di piombo precipitò su tutti loro, perché il suo sguardo era vitreo e spiccava su un volto teso, quasi ostile.
Persino Scorpius s'irrigidì, a disagio: “ciao, papà... giuro” si giustificò, come se avesse colpa di quanto accaduto, e indietreggiava cautamente, perché con sospetto Draco gli si avvicinava e non sembrava né sollevato né felice quanto gli altri “che non avevo idea di cosa zio Tom avesse in mente”.
Non ebbe modo di azzardare ulteriori scuse, perché una stretta salda quanto una tenaglia gli compresse le ossa e mai avrebbe immaginato che suo padre potesse essere tanto forte.
Il ragazzo ne rimase così perplesso che ebbe a malapena la prontezza di ricambiargli un paio di pacche sulla schiena. Tuttavia si ritrasse di nuovo, come un cagnolino che teme di ricevere un buffetto sul naso, quando Draco si allontanò d'un passo e puntò contro di lui un dito minaccioso, le labbra serrate, pronte a sfogare uno sproloquio così crudo e snervato che la mente non riuscì a elaborarlo a dovere. Alla fine, infatti, si arrese e semplicemente gli voltò le spalle, scuotendo il capo e prendendo profondi respiri. Solo allora notò la presenza di Tom: la sua mano andò istintivamente alla bacchetta e si sarebbe scaraventato contro di lui se Harry non l'avesse trattenuto: “no, Malfoy, manteniamo la calma. Non c'è nessuno da punire, qui”.
“Sono mortificato per questo inconveniente, ma non potevo fare altrimenti” fu la sola scusa che Tom concesse loro.
I saluti di bentornato, ad ogni modo, non erano finiti: prima ancora che Scorpius potesse chiedere dove fosse il suo migliore amico, la porta d'ingresso si spalancò e una figura mastodontica la riempì con la propria mole. Tra un improperio e l'altro, per la maggior parte rivolti allo stesso Scorpius, Albus sgusciò all'interno e si catapultò da lui. Pochi secondi dopo, entrambi i ragazzi furono ingabbiati nella morsa portentosa delle braccia di Hagrid.
Scorpius non era mai stato vittima di tanti abbracci in vita sua.
Districandosi dalla presa soffocante, scorse finalmente un'ultima presenza, sottile e discreta, rimasta oltre la soglia, nel buio della sera, celata fino a quel momento dall'imponenza di Hagrid. La sola per cui lui mostrò più sollievo di quanto non ve ne fosse negli occhi di lei, perché era l'unica di cui non avesse ottenuto notizie certe dal suo risveglio e aveva sinceramente temuto che le fosse accaduto qualcosa di terribile durante l'attacco ad Hogwarts: “oh, Cass, meno male che sei qui. Avevo paura che...” tacque di colpo perché, quando la raggiunse, Cassandra indietreggiò d'un passo e si sottrasse al suo tocco.
“Cassandra Goodman!” Tom Greengrass l'insinuò tra loro senza alcuna remora. Tese la mano destra: “ero impaziente di conoscerti”.
Cassandra la strinse ed entrò.
“Pare tu abbia salvato Malfoy dalla gogna. Impressionante per una babbana” continuò lui.
“Ho solo esposto i fatti”.
“Ovviamente” sorrise goliardico “vorrei che venissi con noi a Grimmauld Place. Sono certo che in questi due giorni non sei rimasta con le mani in mano e non oso immaginare cosa tu abbia scoperto”.
Cassandra non replicò, ma neppure negò.
“Due giorni?” ripeté Scorpius, sconcertato “l'attacco non ha avuto luogo ieri?”.
“No” ammise Tom “ha avuto luogo tre giorni fa... ho già ammesso di dover rimaneggiare quello Stupeficium”.
“Direi che dovresti rimaneggiare anche il tuo Marchio Nero” gli fece notare Scorpius “è ancora sul mio braccio”.
“Quello è reale”.
Gli occhi del ragazzo si sgranarono: “cosa?”.
“Mi spiace. Non c'è modo di contraffare un Marchio Nero”.
“No... no, non lo accetto. Toglimelo”.
“Non posso”.
“Sono un Mangiamorte?” inveì fuori di sé.
“Ma no” esclamò Tom “è solo un simbolo. Era necessario, per salvarti e mantenere la mia copertura”.
“Devi togliermelo” scandì.
“Non posso”.
“Questa è la tua più grande preoccupazione?” rimproverò Draco “per due giorni ti abbiamo creduto morto e tutto ciò a cui pensi è il Marchio Nero?”.
“Io non sono un seguace di Ursul” ringhiò Scorpius “io non sostengo i folli ideali di Voldemort. E non voglio questo marchio”.
“Ma dovrai tenertelo” troncò Teddy. Evidentemente, riteneva che il tempo a loro disposizione fosse finito: “Tom, ormai Lydia sarà a Grimmauld. Dovremmo muoverci”.
Il naso di Tom si storse a quelle parole, neanche gli avessero ustionato la pianta dei piedi.
“Aspetta di vederti” insistette Teddy “è felice di saperti qui e di rincontrarti dopo tanto tempo. Dovrebbe essere lo stesso per te”.
“Taci, Lupin” lo zittì burberamente “va avanti. Arriveremo uno alla volta, sfruttando la Polvere Volante”.
“Sarà un gran via vai” constatò Cassandra “e non escludo che la casa sia sorvegliata. Il nemico potrebbe insospettirsi”.
“La babbana pensa bene” annuì Teddy, ma subito la tranquillizzò, avvicinandosi al camino “in questa casa c'è sempre via vai. Nessuno perde più tempo in inutili intercettazioni. Non temere, io penso a tutto” e subito svanì in una vampata di fiamme verdi.
 
In breve tempo furono tutti stipati in uno degli ambienti più piccoli e soffocanti di Grimmauld Place.
“Bene, seguitemi” esordì Ted, che li accompagnò al piano superiore, dove gli spazi erano decisamente più ampi e l'aria meno stantia “Harry conosce bene queste stanze, non è così?”.
Harry non rispose. Da anni non metteva piede in quel luogo: gli sembrava d'aver appena compiuto un tuffo nel passato, colmo di ricordi e malinconia.
Infine raggiunsero il salone principale, dalle pareti un tempo tappezzate di raffinati teleri e gli alti soffitti affrescati. Ad attenderli, c'era una giovane donna, alta, slanciata e fiera come una valchiria, i lunghi capelli d'ambra e un volto che somigliava molto a quello di Tom, a eccezione per i grandi occhi affilati, verdi come smeraldi.
“Tu devi essere Teddy” esordì raggiungendoli e tendendo la propria destra “è un piacere incontrarti finalmente di persona”.
“Piacere mio” ricambiò il ragazzo con un ampio sorriso.
“Papà” salutò Tom con un cenno del capo “è un piacere ancora più grande rivedere te di persona, dopo tutto questo tempo”.
C'era tumulto nello sguardo di Tom, sebbene fosse difficile da definire: un caotico miscuglio di felicità, profonda e sincera; di adorazione quieta ma insolubile per quella ragazza di cui troppo a lungo aveva sentito la mancanza, a causa dell'orgoglio che entrambi mascheravano dietro una coltre di caparbia razionalità; di muta, raggelante paura. Mai prima di allora, mai come avendola davanti ai propri occhi, aveva compreso quanto la volesse estranea a quella follia, al pericolo che avrebbe corso prendendone parte, alle conseguenze che avrebbe dovuto pagare.
Desiderava dirglielo, a costo di rigettare su di sé tutto il suo odio e la sua delusione, a rischio di doverle parlare attraverso parole inchiostrate su carta per il resto della loro vita, se questo le avesse assicurato un ritorno sicuro e un'esistenza serena dall'altra parte del mondo, dove nulla del suo passato poteva toccarla.
Purtroppo, ormai era tardi e lui lo sapeva.
Lydia non comprese a pieno perché Tom attendesse di fronte a lei, impalato come uno stoccafisso, senza proferir parola. Sorrise un po' beffarda, scosse il capo e lo strinse nell'abbraccio di benvenuto che lui non sembrava intenzionato a darle.
Poi si prodigò in brevi presentazioni ed era palesemente onorata di poter stringere la mano a una celebrità come Harry Potter. Allo stesso modo, era impaziente d'incontrare il Ministro della Magia e gli altri eroi di guerra che il giovane Lupin aveva assicurato avrebbero preso parte all'operazione. Tuttavia, fu proprio Teddy a smorzare il suo entusiasmo: erano stati giorni di grande tensione e incertezza e avevano tutti bisogno di un buon riposo. Avrebbero ripreso la discussione il giorno seguente.
Ciascuno si ritirò negli alloggi assegnatigli. Solo Scorpius si attardò per i meandri dell'immensa dimora dei Black e non demorse finché non trovò chi cercava.
Bussò quietamente sullo stipite e Cassandra sobbalzò: si trovava in una delle stanze più arieggiate e vagava nei pressi delle finestre tenendo alto un piccolo oggetto luminoso.
“Non troverai campo: magia e tecnologia non vanno d'accordo” le ricordò lui.
“Già” si limitò a replicare. Improvvisamente calò un amaro imbarazzo, una tensione che lui non riusciva a spiegarsi e che, in qualche modo, lo spaventava.
“Cassandra, lo giuro, non ho partecipato consapevolmente al piano di mio zio”.
“Sì, no, certo” incespicò la ragazza e stavolta non arretrò quando lui le si avvicinò “lo so”.
“Allora perché ce l'hai con me?”.
Gli occhi di Cassandra si sgranarono e in quel momento capì che fra loro vi fosse una terribile fraintendimento: “non ce l'ho con te” esclamò.
“Non mi hai rivolto parola da quando ci siamo incontrati alla Tana. Non mi guardi neppure in faccia. Io non capisco...”.
“Ti chiedo scusa” troncò a disagio “sono solo un po' scossa. Credevo d'averti... è stato strano” ridacchiò un po' impacciata “erano anni che non piangevo apertamente davanti ad altre persone”.
Scorpius sorrise lusingato: “hai pianto per me?”.
Anche lei sorrise: “ho pianto per te”.
Seguì un imbarazzato silenzio, durante il quale nessuno dei due sapeva cosa fare o cosa dire.
Cassandra sdrammatizzò: “suppongo vorrai sapere come sono riuscita a fuggire da Hogwarts nel pieno d'un attacco magico”.
“Lo ammetto”.
“Domani te lo racconterò” ma, nonostante desiderasse sfruttare la suspense di quella promessa per un buon congedo, non se ne andò. Tentennò qualche istante prima di prendere un'iniziativa che lo stupì profondamente: scostati i molti capelli scarmigliati dal proprio volto, gli diede un bacio lieve, il primo che osassero scambiarsi. Poi lo superò e abbandonò la stanza.
Scorpius rimase solo, o così credeva.
C'era una seconda porta, più discreta e appartata, che immetteva in uno dei tanti corridoi: dall'ombra della soglia comparvero due mani impegnate in un aulico applauso e, poco dopo, il volto orgoglioso di Albus.
“Fai sul serio?” sobbalzò Scorpius, stizzito “ti diverte così tanto spiarmi?”.
“Dovevi morire prima di riuscire a farti baciare da una ragazza” lo ignorò.
“Vuoi darmi un bacino anche tu?”.
Albus, lo guardò maliziosamente: “non provocarmi” poi poggiò le spalle al muro “avete fatto di tutto per evitarlo, ma la cosa si sta ufficializzando per conto proprio: non credo che tuo padre ne sarà felice”.
“Se ci pensi è poetico” replicò Scorpius “lui ha voltato le spalle alla propria famiglia per mia madre. Accetterebbe di correre lo stesso rischio con me?”.
Albus espirò rumorosamente: “perdindirindina, se mi dici questo, significa che le cose tra te e Cassandra sono persin più serie di quanto immaginassi”.
“A quanto pare è così”.
Furono interrotti da una lontana discussione, che loro riuscirono a malapena a percepire, dall'angolo remoto di Grimmauld Place in cui si trovavano.
Si scambiarono uno sguardo d'intesa e, con gran discrezione, s'incamminarono verso il salone principale del palazzo dove, tra il silenzio incerto degli altri presenti, Lydia e Tom s'erano abbandonati a un battibecco tutt'altro che amichevole: a quanto pareva, Tom aveva infine espresso apertamente il desiderio che la figlia rifacesse i bagagli per tornarsene al riparo dall'altra parte dell'Oceano Atlantico e lei non l'aveva presa bene.
Lydia rinfacciò la lunga lontananza, che suo padre aveva imposto a entrambi a causa della sua snervante apprensione, e l'amarezza d'esser rimasta estraniata da qualsiasi sua azione per più di due anni, come se lei non fosse stata altro che un intralcio all'operazione, una zavorra che era meglio evitare.
“Non desideravo...”.
“Non desideravi che tornassi” lo sovrastò, poi gli si avvicinò e parlò in fil di voce “be', io sono tornata e non me ne andrò. Posso lavorare con te, ma se ti ostini a tal punto per impedirmelo, allora lavorerò sola. Pondera le possibilità, considera i rischi maggiori e rifletti sulla scelta più saggia” detto questo, carica di rancore, abbandonò la compagnia sgradita.
Scorpius e Albus non potevano vederla, perché stava spiando da un altro lato del salone, altrettanto discreto e recondito, ma Cassandra aveva assistito quanto loro alla scena e, appena comprese che Lydia se ne stava allontanando, agì d'impulso. La seguì a passo svelto per il portico interno, chiamandola a distanza.
Lydia se ne stupì, ma attese che la raggiungesse: “cosa c'è?” chiese bruscamente.
“Perdonami” si scusò Cassandra e doveva tenere alto lo sguardo per incrociare i suoi occhi “ma mi ha colpito la tua fermezza di spirito e desideravo parlarti”.
“Tu sei la No-Maj, giusto?”.
Lei impiegò qualche istante a comprendere, “oh, la babbana. Sì, sono io”.
Lydia riprese a camminare e Cassandra la seguì: “sai, credo che le scelte di tuo padre siano state opinabili e certo non lo giustifico, ma sono sicura che abbia agito in buona fede”.
“Non serve certo che sia tu a dirmelo”.
“Ma...” incitò l'altra,
“Ma la mancanza di fiducia che dimostra nei miei confronti è vergognosa” concluse la ragazza, aprendo la porta dei propri alloggi.
“Non lo metto in dubbio” Cassandra entrò senza chiedere permesso “però l'intera faccenda è davvero spinosa e i rischi sono molti. Quanto sai al riguardo?”.
“Poco” rispose Lydia, dandole le spalle “troppo poco”.
“Posso rimediare”.
Quelle parole catturarono la sua attenzione. Si voltò di nuovo verso quella giovane e bizzarra No-Maj: “allora rimediamo” acconsentì infine.
 
  
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