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Autore: MaxB    12/11/2017    8 recensioni
1_Quando la mattina il sole filtrò timido dalla coltre di neve, un certo Dragon Slayer si svegliò intorpidito e dolorante per la scomodità del divano. Ma, trovandosi davanti il visetto dolce e sorridente di una certa maga, pensò che mai il suo risveglio era stato più dolce.
4_Si appoggiò al muro con la mano sinistra e con la destra strinse forte la vita della compagna, che sembrava essersi incollata a lui. Ogni parte del suo corpo aveva trovato il suo posto in quello di lei, come se fossero stati due pezzi di puzzle.
8_Era bastato uno sguardo complice per far capire a Gajiru e Rebi che quello sarebbe stato il loro posto. Isolati da tutto e da tutti, in pace con il mondo e la natura.
12_Quando vide la matassa di capelli turchini premuta contro il suo petto e vari vestiti sparsi per la stanza, si ricordò cos'era successo la notte prima.

L'evoluzione della storia della mia otp preferita, mantenendo i nomi originali giapponesi. Un piccolo estraniamento dal manga originale per dare una prospettiva shoujo e non shounen.
"Perché l'amore rende tutto più bello e sopportabile♥"
Genere: Fluff, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gajil, Redfox, Levy, McGarden, Pantherlily
Note: Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La vita privata di una splendida coppia'
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Grande paura

 
- Che stai facendo, Rebi?
La donna ignorò il tono di voce allarmato e continuò a trafficare con uova e farina, per poi chinarsi e appoggiare i gomiti sul bancone su cui stava lavorando.
Di fianco a lei, Ririi guardò male il suo compagno, che aveva gli occhi fissi sul lato B della moglie, così ben messo in mostra dalla posizione. Gajiru roteò gli occhi in direzione del gatto, sistemandosi meglio in braccio la piccola Kinana che aveva la schiena appoggiata al petto del papà.
- Ohi! – incalzò poco dopo, quando divenne evidente che Rebi non aveva intenzione di rispondere.
- Che c’è? – chiese lei, lanciandogli un’occhiata di sfuggita prima di pesare la farina.
Se si fosse soffermata troppo sulla vista di Gajiru con in braccio la loro figlia, si sarebbe fiondata da loro per avere un abbraccio. E quello non era proprio il momento.
- Cosa fai con il grembiule e la bilancia… e il ricettario?! Ririi spediscila fuori dalla cucina.
Il gatto scosse la testa ridendo.
- Razza di… allora vieni a prendere Kinana e lasciami portare via Rebi.
Con aria esasperata il gatto si trasformò nella versione di Edoras e prese in braccio Kinana, che guardava i due maschi con curiosità.
- Ma cos… ah! Gajiru mettimi giù subito!
Rebi iniziò a battere i pugni sulla schiena del marito, che se l’era caricata senza avviso su una spalla.
- Non ci penso proprio, la cucina ci serve per mangiare e tu non la distruggerai, capito?!
La ragazza, indispettita, gli spalmò la mano infarinata sulla faccia, facendolo imprecare e starnutire.
- Marito ingrato e insensibile! Stavo facendo un dolce, lo sai che quelli mi vengono bene! E Ririi mi stava aiutando, quindi lasciami.
Gajiru ghignò e le morse una coscia, facendola urlare. – Andiamo a fare un altro bambino? – le propose spudoratamente.
Avrebbe giurato di aver sentito il sangue della moglie correre impazzito nelle sue vene per affannarsi ad arrivare alle sue guance, che in quel momento dovevano essere più rosse del sugo di pomodoro che Ririi aveva preparato il giorno prima.
 Quest’ultimo ringhiò sommessamente, inducendo Gajiru a osservarlo con curiosità. – Sai che non potrai uscirtene con queste simpatiche frasette quando Kinana sarà più grande, vero?
- Perché no? – ribatté Gajiru, perplesso.
A Ririi non rimase altro da fare che sedersi al tavolo della cucina e dar da mangiare ad Ana la mela tritata che le aveva preparato con gli avanzi della torta di Rebi.
Quando la sig.ra Redfox tirò un calcio fin troppo vicino all’organo riproduttore di Gajiru, lui decise di lasciarla andare, incassando senza pentimento lo sguardo bieco della moglie.
- Perché fai un dolce? – le chiese, osservandola mentre finiva di mescolare l’impasto di quella che, a giudicare dall’odore, doveva essere in piena regola una torta di mele.
- Perché così, sapendo che a casa ti aspettano tanti dolci buoni come questo, avrai voglia di tornare prima dalla missione.
Gajiru sorrise lievemente e prese il mento di Rebi tra il pollice e l’indice, costringendola a guardarlo. La conosceva così bene da riconoscere senza indugio la preoccupazione che tentava di mascherare con un sorriso, lampante nei suoi occhi. – Sei tu, e sono Kinana e Ririi a farmi desiderare di non partire nemmeno – la corresse, tenendola inchiodata con lo sguardo. – Sai che bene che non partirei, se fosse per me, ma è necessario. Una missione di quattro giorni non è poi così lunga, piccoletta. Le missioni brevi fruttano qualcosina lo stesso, ma sai bene che con quelle lunghe saremo a posto per più tempo.
- Almeno portati via Ririi – lo pregò Rebi, abbracciandolo e abbandonando l’impasto della torta.
- No, deve stare qui con te e Kinana, lo sai.
- Ma ho le ragazze che potrebbero darmi una ma…
- Il figlio rompiscatole di Natsu tiene impegnata la coniglietta ventisei ore su ventiquattro, Erza ha partorito da poco, Juvia è tutta presa dai gemelli, da Yoshirou e da Gray-sama, Kana fa solo disastri con la sua astinenza da sake e la sua pancia enorme e Lisanna dovrebbe partorire a breve. Devo continuare?
Rebi sbuffò. – No, ho capito.
- Tranquilla, Rebi – intervenne Ririi, attirando l’attenzione su di sé e sulla piccola. – Kinana ti terrà così impegnata da farti dimenticare di tuo marito.
- Ehi – borbottò lui, risentito.
Rebi ridacchiò e si staccò dal coniuge per andare a prendere la figlia. – Ririi finisci tu la torta? Io vado a vestire Ana così salutiamo papà tutte belle agghindate.
Il gatto strinse di più la piccola e, guardando il nakama, la spostò per metterla fuori dalla portata della madre. – Ma cos…? – protestò lei, prima di venire interrotta dalle braccia possessive di Gajiru.
- Ti do dieci minuti, razza di maniaco – borbottò Ririi, imboccando di nuovo una perplessa Kinana.
Gajiru ghignò e, afferrata la moglie, si fiondò in camera, depositandola sul letto. – Ma che fai? – chiese ancora lei, spiazzata.
- Ti do l’opportunità di ricordarmi perché non ho nemmeno voglia di partire – chiarì lui, leccandosi le labbra prima di chinarsi su di lei.
Rebi scoppiò a ridere e aprì le braccia per accogliere il marito contro il proprio petto, dove Gajiru prese posto senza farselo ripetere. – Che razza di scemo che sei.
- Mi hai sposato tu, sai?
- E lo rifarei, pensa che sciocca – ridacchiò lei. Poi si fece seria e lo spinse a guardarla negli occhi. – Mi raccomando, torna presto – gli ordinò, compunta.
- Tornerò prima di quanto pensi – le assicurò, allungandosi per baciarla. – Oh sì – mormorò poi, baciandola ancora e ancora, - molto presto… molto.
Rebi rise e si abbandonò al suo calore, sempre gradito nonostante l’appiccicosa afa di luglio.
 
- Mi manca Gajiru – mormorò Rebi per la terza volta, quel pomeriggio.
Gajiru era partito solo da qualche ora, e la ragazza era andata in gilda con Kinana per cercare di ingannare il tempo. Ririi le aspettava per cena con la promessa di un frigo nuovamente pieno e di una cena succulenta e dimentica-Gajiru.
- Ormai voi due vivete in simbiosi – la prese in giro Lucy, cercando di tenere fermo Daiki.
- Iosi! – ripeté il bimbo, battendo le mani e ridendo.
Kinana scalpitò in braccio alla madre, palesando il suo ardente desiderio di essere deposta sul tavolo con il suo amichetto grande.
- Iosi mama, iosi! – strepitò quando Lucy non gli diede retta, battendole la mano con forza.
- Sì, Daiki, ho capito. Bravo che mi sai dire simbiosi, bravissimo. Ora dì e fa silenzio – lo pregò Lucy.
- Iosi enzio! – urlò lui, ridendo.
Lucy guardò l’amica, sconsolata. – Kinana non ha ancora iniziato a ripetere i suoni?
- Un pochino – ammise Rebi, facendo avvicinare la figlia a Daiki. – Chiacchiera tanto soprattutto di mattina e per la maggior parte del tempo ripete le vocali. Fa fatica a ripetere suoni complicati come fa Daiki.
- Guarda, è solo una fortuna. Natsu non fa altro che ripetergli parole assurde dalla mattina alla sera, ridendo con Happy quando Daiki le ripete e le distorce. A volte mi sembra di avere in casa tre bambini, di cui Daiki è il più intelligente.
- Ente! – esclamò lui, confermando le parole della madre.
In quel momento l’attenzione di Rebi fu catturata dall’arrivo di Gerard, che depose per terra un’energica Arashi. La bambina di ormai quattro anni corse verso Inazuma e Yoshirou, i più grandicelli, e ordinò loro di giocare con la palla.
Gerard scosse la testa e si diresse verso le ragazze, visibilmente stremato.
- Che brutta cera! – fece notare Mirajane, che mise sul tavolo due succhi di frutta e un po’ d’acqua.
- Non vedo l’ora di andare in missione per recuperare un po’ di forze – ammise Gerard, lasciandosi cadere sulla panca di fronte a Lucy e Rebi.
- Problemi con Shizuka? – indagò Mira, premurosa.
- No, no, Shizuka è il minore dei mali. Diciamo che la tattica dei nomi ha funzionato. Ho costretto Erza a chiamarla Shizuka perché è un nome che ha a che fare con l’esercizio del silenzio, visto che Arashi significa tempesta e la mia bimba è un vero terremoto. Per ora Shizuka è un angelo e dorme come un ghiro, anche se Erza è parecchio stanca. Per questo è rimasta a casa oggi.
Mirajane annuì sorridendo, lanciando un’occhiata a Inazuma, che giocava a palla con un riottoso Yoshirou e un’invasata Arashi.
- Almeno una delle tue tre donne doveva essere calma, Gerard – lo prese in giro Lucy, strizzandogli l’occhio per fargli capire che anche lei, purtroppo, era nella sua stessa situazione.
- Guarda, penso proprio che Shizuka diventerà la mia preferita – ammise lui, anche se l’amore per tutte e tre le sue donne era lampante nei suoi occhi. – Per quanto mi facciano ammattire, non le cambierei con nulla al mondo, sono un regalo che ancora credo di non meritare.
Rebi gli posò una mano sul braccio, sorridendogli teneramente. – Te le meriti, Gerard, tranquillo. Anche se a volte, più che meritarle, sembra una punizione averle.
Il ragazzo ridacchiò prima di voltarsi per assicurarsi che la piccola Arashi non stesse infliggendo pene corporali a nessuno o che, peggio, non le stesse chiedendo per se stessa.
- Poca gente comunque oggi, o sbaglio? – chiese quando riportò l’attenzione sulle due ragazze di fronte a lui. Mirajane era tornata al lavoro senza dire una parola.
- C’è molta calma. Gray, Gajiru e Natsu sono in missione per conto loro, Juvia è lì che dorme con Umi e Nami in braccio e Yoshirou per ora ha ancora i vestiti addosso. Lisanna è al settimo mese e ha le caviglie così gonfie da non riuscire a camminare, mentre Kana ha costretto Bacchus a portarla a fare un giretto romantico per distrarsi dalla voglia di sake.
- Kana un giretto romantico? – indagò Lucy, scettica.
- Sì, era nel suo momento dolce. Probabilmente le passerà presto e trascinerà Bacchus dietro a qualche albero per fare un altro figlio, anche se la sua pancia è già occupata dal pargoletto scalciante di cinque mesi.
Gerard sogghignò e subito dopo sbiancò. Scattò fulmineamente verso Arashi, che poco distante aveva tirato la palla addosso ad Inazuma e preparato un pugno diretto verso la testolina blu scuro di Yoshirou.
Lucy e Rebi scoppiarono a ridere quando lo videro prendere in braccio la figlia e sgridarla pacatamente eppure con fermezza. Le ragazze avevano scoperto a discapito dei loro timpani quanto sensibile fosse la piccola Arashi, che scoppiava a piangere come un’ossessa se la si svergognava in pubblico.
- Sai qual è il bello? Che Arashi, sebbene sia incontrollabile e ti sproni al compimento di un omicidio infantile, è adorabile – commentò Lucy, fermando Daiki prima che una caduta frontale gli facesse spuntare un bernoccolo bluastro in fronte.
Rebi rise e annuì, bloccando il tentativo della figlia di scappare via carponi.
Quando Ririi, alcune ore dopo, raggiunse le due donne per andare a casa, Rebi venne colta da un eccessivo senso di depressione dovuto dalla mancanza di Gajiru. Per una volta rimpianse i lacrima-comunicatori che un tempo aveva usato durante le avventure al Concilio con il marito. Mettersi in contatto con lui non sarebbe stata una cattiva idea.
Ririi intuì i suoi pensieri e, nel tragitto verso casa, le passò affettuosamente un braccio attorno alle spalle, stringendola a sé e a Kinana, che si era appisolata in braccio suo.
- Vedrai che starà benissimo – le mormorò fiducioso.
Rebi gli sorrise e lo abbracciò a sua volta sapendo che, anche se il pelo del suo nakama non era minimamente paragonabile al calore del corpo tonico di Gajiru, con lui e Kinana nel lettone avrebbe scacciato il freddo dal suo cuore per i giorni che avrebbe trascorso lontana da suo marito.
 
Come Ririi aveva previsto, Kinana tenne occupata la mamma fin troppo, in quei giorni.
La mancanza della presenza statuaria e austera di Gajiru, che la inducevano ad imitarne lo stoicismo, si fece sentire, e la piccola si tramutò in una vispa peste. Le favole che la mamma le leggeva, cullandola, vennero sostituite da fughe silenziose a carponi per tutta la casa, e sia Rebi che Ririi faticavano a scovare i suoi nascondigli. I giochi tranquilli con cubi e triangoli o fogli su cui scrivere vennero sostituiti da un’insana voglia di diventare una percussionista, che si traducevano in sbatacchiamenti di mestoli di legno presi da chissà dove contro divani, sedie, pavimenti e mobili facilmente graffiabili. Persino i suoi allegri gorgheggi e chiacchiericci a base di “a”, “i” ed “e” si tramutarono in urla e canzoni cantate a squarciagola che prima facevano sorridere e poi piangere Ririi e Rebi.
La mattina del quarto giorno, Rebi si era quasi dimenticata dell’imminente ritorno del marito.
Gajiru rientrò in mattinata, quando Ririi si era appena allontanato per andare a fare la spesa e comprare un ciuccio nuovo, visto che i piccoli eppure inconfondibili canini dragheschi di Kinana avevano dilaniato l’ultimo che possedeva.
La porta di casa si aprì silenziosamente mentre Rebi, in soggiorno, stava giocando e chiacchierando con Kin, sperando che dicesse “mamma” prima dell’arrivo del papà, in modo da sbatterglielo in faccia. Si accorse che qualcuno era entrato solo grazie allo spiraglio di luce che si allungò sul pavimento del corridoio, giungendo fino al soggiorno.
Rebi si bloccò nel bel mezzo di una risata contenta di Ana. – Ririi, sei già tornato?
In risposta ottenne solo un rustico, stanco e inconfondibile grugnito.
- Gajiru! – esclamò allora lei, saltando in piedi e portando con sé la piccola. – Gajiru sei tor… che ti è successo?!
Giunta di fronte al marito, che si trascinava fiaccamente verso di lei, Rebi si bloccò. Era pallido, con gli occhi rossi, cioè più rossi del solito, e lucidi e il corpo visibilmente stanco, insieme a qualche ferita di prassi di cui lei aveva imparato a non curarsi più.
- Che ti è successo? – ripeté correndo verso di lui, accarezzandogli un taglio sullo zigomo con la punta delle dita, tenendo Kinana ferma con il braccio libero.
- Aaaààaa – disse la piccola, pacata e timorosa di fronte al cambio d’umore della madre.
Gajiru cercò di sorridere, con scarsi e, anzi, penosi risultati, e appoggiò la guancia contro la mano della moglie. – Niente, sarà un po’ di chinetosi, perché? – biascicò, facendosi strada fino al divano.
Rebi, stupita, lo seguì e si sedette sul bordo del sofà su cui lui si era lasciato cadere, esausto. – Non è chinetosi, non sei verde e non sono questi i sintomi – insistette, ravvivandogli i ciuffi di capelli che gli erano ricaduti sugli occhi.
Lui grugnò nuovamente e le diede le spalle. – Ho solo sonno, un pisolino e torno come nuovo. Ho dovuto fare un po’ di spionaggio notturno.
Dubbiosa, Levy si mise Kinana sulle ginocchia e assisté il marito mentre la piccola scalava la schiena del papà e si piazzava di fronte al suo viso, seria e scrutatrice.
- Ehi, piccola – la salutò lui a mezza voce, pizzicandole dolcemente una guancia. – Fai un po’ di nanna con papà?
Kinana fissò a turno i genitori prima di scoppiare a piangere. Rebi si affrettò a recuperarla e cullarla, e la posò a terra solo quando si fu calmata. Le diede il peluche di un gatto che assomigliava moltissimo a Ririi e tornò ad occuparsi del marito mentre la piccola mormorava complicati discorsi al suo amico imbottito.
- Gajiru ti porto a letto – lo informò, iniziando a slacciargli i pantaloni e a sbottonargli la maglia, imponendosi di non sbuffare. I suoi abiti da missione erano una sfilza infinita di borchie, ganci, aggeggi inutili che servivano solo a soddisfare il gusto stilistico di Gajiru e che lei odiava nel momento in cui doveva toglierli. Per quanto lo trovasse attraente in quei vestiti un po’ consunti e oculatamente pensati per sembrare quasi sciatti, perdeva la voglia di spogliarlo quando allungava le mani sulla sua cintura e la scopriva essere più inespugnabile di una cassaforte.
- Piccoletta, non che tu non sia sessualmente attraente, ma al momento sono proprio stufo e…
- Gajiru ti porto a dormire, non ti porto in camera per legarti al letto e approfittarmene di te! – lo redarguì, una punta di divertimento nella voce. – Dài, muoviti – lo spronò, passandosi un suo braccio attorno alle spalle e costringendolo a mettersi seduto sul divano, sorda alle sue proteste. – Datti una mossa, che Kinana sembra aver ingoiato dinamite ultimamente e sarebbe in grado di distruggere tutto il soggiorno mentre noi facciamo il tragitto divano-letto.
Lui bofonchiò qualcosa e si lasciò trasportare su per le scale, ghignando stancamente di fronte agli sbuffi di fatica che Rebi emetteva quando il suo peso le crollava addosso, passo dopo passo. Per quanto cercasse di non appoggiarsi troppo a lei, la fiacchezza stava lentamente allungando gli artigli sui suoi muscoli fino alle ossa, lasciandolo sempre più debole e spossato. Quando si lasciò cadere di peso sul letto, gemette e si raggomitolò come un bimbo nel ventre materno.
Rebi corse in bagno a mettere nel cesto della biancheria sporca i suoi vestiti sudici e a prendere un termometro. Quando raggiunse Gajiru vide che stava già per lasciarla e addentrarsi nel mondo dei sogni, ma il suo agognato pisolino avrebbe dovuto aspettare.
- Tieni questo sotto l’ascella mentre vado a prendere Kin – gli comandò sollevandogli un braccio per posizionarvi il termometro.
Fortunatamente la bimba, quasi consapevole della situazione non ordinaria, era rimasta immobile ad abbracciare il peluche del gatto, gorgheggiando e chiacchierando a modo suo.
Se solo Ririi fosse stato a casa avrebbe lasciato a lui la figlia, ma in quel momento era impossibile, così come lasciare da sola la piccola pulce piena di energia.
- Mostrami il termometro – ordinò Rebi una volta giunta in camera, cercando di non allarmarsi di fronte al respiro affannoso e alla stanchezza inusuale del marito.
Gajiru bofonchiò una risposta inintelligibile e rimase immobile.
Rebi gli estrasse il termometro senza fiatare, dopo aver posato Kinana sul letto.
La piccola si raggomitolò accanto a papà e gli diede uno dei suoi baci, a bocca aperta e senza schiocco, sulla guancia. Di solito Gajiru rideva, ma non quella volta. La piccola si rabbuiò e lo abbracciò stretto, ottenendo finalmente una reazione positiva: il papà alzò il braccio e la premette contro il proprio petto, intrappolandola contro di sé.
- Hai la febbre altissima Gajiru. Dimmi che è una semplice influenza e non un qualche tipo di veleno, per favore – lo informò Rebi, sedendosi nell’angolo del letto, accanto ai piedi gelidi del marito. Il resto del corpo era in fiamme come se fosse lui, in realtà, il Dragon Slayer del Fuoco.
- Non è veleno – la rassicurò lui. – Erano tutti malati in quella città… - biascicò poi, aprendo un occhio ancora più rosso del solito. – Mi sarò preso l’influenza come loro.
- Rebi? – chiamò Ririi salendo le scale. – Tutto a posto?
La ragazza attese che il loro nakama entrasse nella stanza, ma la sua espressione imperturbabile non lasciò trasparire l’ansia per quella situazione. Nel mostrare emozioni era proprio come Gajiru: impassibile, quasi statuario come il compagno. – Che succede?
- Gajiru ha l’influenza. Febbre alta – spiegò.
Ririi ghignò e si avvicinò al letto, alle spalle del malato. – Preparo un brodino di pollo per il deboluccio malaticcio?
In risposta ottenne solo un debole grugnito, e non il pugno che tutti, compresa Kinana, si aspettavano di fronte ad una provocazione così spudorata.
- Caspita! Se non fosse una semplice influenza direi che è quasi in punto di morte – esclamò Ririi. – Brodo di pollo sia, allora!
Senza aggiungere altro, Ririi lasciò la stanza confabulando fra sé riguardo a quali fossero le cose migliori da preparare per guarire Gajiru senza medicinali.
Rebi accarezzò la fronte del marito e decise che aveva davvero troppa febbre per farlo alzare dal letto. La doccia avrebbe dovuto attendere. In silenzio fece la spola tra il bagno e il letto per prendere disinfettanti, cerotti e garze e ripulirgli almeno le ferite esposte. Gajiru non emise un verso mentre la moglie lo medicava, il suo respiro affaticato era l’unico suono udibile.
Rebi lo ripulì, gli mise dei calzini caldi e puliti e prese una pesante coperta dall’armadio, adagiandola dolcemente sopra al marito e alla figlia, che si era addormentata grazie al tepore del corpo del papà. Nonostante Gajiru stesse male, Rebi non poté trattenere un sorriso orgoglioso alla vista dell’uomo che amava abbracciato alla loro figlia.
Era una visione a cui non si sarebbe mai abituata.
 
Quella notte, messa a letto Kinana, più tranquilla del solito, Rebi si concesse una doccia prima di infilarsi a letto con il marito.
Era riuscita a fargli fare una doccia veloce dopo averlo fatto mangiare, e ora se ne stava silenzioso e infreddolito sotto il lenzuolo estivo e la coperta pesante.
Rebi si allontanò da lui subito dopo esserglisi avvicinata. – Scordati di toccarmi, questa notte. Sei una stufa ed è fine luglio. Non ho intenzione di farmi un bagno di sudore a causa della tua febbre.
- Grazie – borbottò lui, dandole le schiena.
Rebi ridacchiò e gli accarezzò i lunghi capelli, costringendolo a girarsi verso di lei. Allora gli prese una mano e se la portò all’altezza del seno, lì dove batteva il cuore, addormentandosi lontano da lui eppure sempre in contatto.
- Grazie – ripeté lui, sinceramente, lasciandosi scivolare nuovamente nel sonno.
 
Due giorni dopo Gajiru era praticamente guarito, ma Kinana aveva qualcosa che non andava.
- Posso capire che la presenza del papà, che incute un po’ di timore anche se Kin si fida ciecamente di lui, possa calmarla, ma rispetto a cinque giorni fa è quasi amebica – commentò Rebi una mattina quando, dopo aver svegliato la figlia per andare in gilda, non si ritrovò le orecchie sanguinanti a causa delle urla gioiose di buongiorno della figlia.
- Eppure ieri sera l’ho messa a letto prima del solito – farfugliò quando la piccola si stropicciò gli occhi e si accoccolò contro il petto materno, senza blaterare come suo solito o toccare la mamma ovunque.
- Cosa stai farneticando, piccoletta? – domandò Gajiru scompigliandole i capelli, mentre serviva la colazione con efficienza da ristoratore esperto.
Ririi stava leggendo il giornale seduto a tavola, per una volta servito e non servitore. – Che succede a Kin? Ha tutte le guanciotte rosse – fece notare, sporgendosi sul tavolo per pizzicare dolcemente la gota esposta della piccola.
Inavvertitamente, Kinana mugolò capricciosamente e iniziò a piangere senza versare lacrime, lamentandosi e frignando.
- Be’? – la apostrofò Gajiru, versando il latte nella tazza della moglie senza nemmeno guardare. – Cosa sono questi capricci, Ana?
La bambina brontolò un altro po’ e si nascose nel petto della madre. Si rifiutò di mangiare e persino Gajiru, testardo di natura, perse la voglia di lottare con sua figlia per farle consumare la colazione, e la lasciò rimanere in stato catatonico abbarbicata contro la mamma.
 
La situazione in gilda non migliorò, e nemmeno Daiki riuscì a risvegliare e far ridere la sua piccola amichetta. Persino Arashi, idolatrata da Kinana per la sua forza di volontà e la sua spiccata autorità femminile, non riuscì a riscuoterla da quel torpore febbrile in cui era caduta lentamente e inesorabilmente.
- Temo che abbia la febbre – annunciò in tarda mattinata Rebi, convinta dallo strano comportamento della figlia e dalla sua elevata temperatura corporea. – Del resto, Gajiru è appena guarito da un’influenza in piena regola e Ana non ha ancora sviluppato chissà che anticorpi.
- Effettivamente è plausibile – confermò Lucy, costretta a giocare con suo figlio al posto di Kinana. – Magari si ammalasse il mio – sbuffò poi, insofferente.
Per quanto amasse suo figlio, avere in casa tre maschi del calibro di Daiki, Natsu e Happy era un vero calvario, persino per Lucy.
- Non vedo l’ora che cresca per mandarlo a giocare con Yoshirou e gli altri – aggiunse poi, guardando con invidia i più grandicelli che si divertivano tra di loro, senza bisogno di una presenza costante a controllarli perché non dessero accidentalmente fuoco a qualcosa. Be’, per fortuna Daiki non aveva ancora manifestato il suo potere.
Rebi ridacchiò, lanciando all’amica un’occhiata comprensiva, prima di alzarsi e portare la figlia con sé. Kinana non si era staccata da lei da quella mattina e non si sarebbe meravigliata se, una volta deposta a letto, avesse trovata una piccola rientranza a forma di Kinana nel proprio petto.
Mirajane, onnipresente grazie alla velocità con cui serviva ai tavoli, si materializzò di fianco a loro. – Vuoi prendere qualche medicinale dell’infermeria?
- No no, grazie. Ho ancora qualcosa avanzato tra i medicinali che ho usato per far scendere la febbre a Gajiru. Se proprio la situazione dovesse peggiorare proverò a portarla da Poryushika.
Dopo aver informato il marito e Ririi della situazione, Rebi si diresse verso l’uscita salutando tutti i presenti, con la famiglia al seguito.
Non avrebbe mai potuto prevedere il terrore bruciante che di lì a poco tempo le avrebbe dilaniato le viscere dalla paura.
 
Verso sera era ormai assodato che Kinana avesse la febbre, e la piccola passò quasi tutta la giornata a dormire un sonno agitato pieno di mugolii e lacrime silenziose che le sfuggivano dalle ciglia.
Ririi vegliò su di lei come se ne andasse della sua stessa vita, mentre i due genitori se ne stavano relativamente tranquilli.
- Ririi mi fa venire l’ansia – annunciò Gajiru dopo cena, entrando in biblioteca.
Rebi si stava occupando della sistemazione di alcuni nuovi libri, così aveva lasciato al marito il compito di riordinare la cucina. Ririi non si era voluto allontanare da Kinana e gli avevano portato la cena in camera della piccola.
- Lo sai quanto è apprensivo quando si tratta di Kin – asserì Rebi, occhiali calati sul naso e sguardo concentrato.
Gajiru rimase in mezzo all’enorme stanza con le braccia conserte, leggermente angustiato. – Lo so, ma… cavolo, sembra che debba morire. È solo febbre, giusto?
Rebi sorrise leggermente e si voltò per guardare il suo uomo, imponente e massiccio quanto una libreria, ma decisamente più caldo e morbido da abbracciare. – Certo, stai tranquillo. Le hai solo passato l’influenza, inavvertitamente. Vedrai che ne uscirà più forte nel giro di pochi giorni.
- Sì?
- Sì, assolutamente.
Silenzioso come un’ombra, Gajiru la circondò da dietro con le braccia forti, arrivando a coprirle quasi l’intero busto. Senza proferire parola, tenne la moglie stretta a sé, in un atteggiamento dolce che poche volte, per quanto amasse Rebi, si concedeva di manifestare.
Lei si abbandonò al suo corpo caldo e coprì le sue gigantesche mani con le sue, piccole e affusolate.
- Ehi – sussurrò dopo un po’, come per scacciare quel caldo torpore in cui il corpo di Gajiru era sempre capace di condurla. – Gajiru, va tutto bene, davvero.
- Mh-mh – annuì lui, sfregando il viso contro i suoi capelli. – Lo so, ma ho scoperto che questa è una posizione alquanto comoda.
Rebi rise e si avvicinò ad un pouf enorme posato sul pavimento in moquette, trascinando Gajiru con sé. – Dài – lo spronò – siediti che ti leggo una favola.
Lui obbedì e, stravaccandosi sul morbido divanetto, aprì le braccia per accogliere la moglie. Quando Rebi gli si fu accoccolata contro, però, le bloccò le mani e le sottrasse il libro, posandolo lì di fianco.
- Che succede? – indagò lei, perplessa.
- Mi sono appena ricordato che è da parecchio che non stiamo insieme come si deve, tra la missione e l’influenza.
Rebi ridacchiò sentendo il suo tono un po’ riflessivo e insinuante, e si mise a giocherellare con le sue mani. – Quindi?
- Quindi vorrei recuperare, no?
Rebi si voltò e fece in modo di sedersi tra le sue gambe, con la testa contro la sua spalla e le gambe piegate, come una sposa. – Mmh… - mormorò, assorta, accarezzandogli il petto.
- Però così sto bene – aggiunse poi lui, portandosi le braccia dietro la testa e stravaccandosi ancora di più. – Leggi, dài, abbiamo tutta la vita per recuperare.
Ridendo, Rebi si riappropriò del libro, che tornò al suo posto, per terra, non molto tempo dopo, sfuggito a delle mani divenute troppo stanche per sorreggerlo.
 
Quando Ririi andò a svegliarli, i due erano ancora addormentati sul pouf nella biblioteca.
Rebi si alzò sentendo subito l’indolenzimento dei muscoli farsi strada fino a raggiungere il cervello e l’intero sistema nervoso, facendola sentire rattrappita come una vecchia e annodata come un vecchio albero. Doveva aver passato troppo tempo in quella posizione inadatta per dormire, sopra Gajiru, ma la luce che non filtrava dalle finestre le fece intuire che era ancora notte.
Gajiru si stiracchiò scompostamente, urtando sia la moglie che Ririi nel mentre, e sbadigliando sonoramente aprendo la bocca quanto un leone o un drago.
Nonostante i residui di quel sonno profondo che avevano condiviso stesse ancora annebbiando le loro percezioni, bastarono poche parole di Ririi per svegliarli meglio di quanto avrebbe fatto un salto nel vuoto o una secchiata d’acqua gelida: - Qualcosa non va con Kin.
A tempo record si ritrovarono nella stanzetta della bimba, che respirava affannosamente, tremava, rabbrividiva, sudava e bruciava di febbre.
Mantenendo il sangue freddo, Rebi abbassò subito la sponda del letto che impediva alla piccola di cadere di notte, e si sporse verso di lei. Una bacinella di acqua fresca in cui galleggiavano delle pezze pulite, sommata alla vista degli occhi stanchi e opachi di Ririi, fecero capire a Rebi che il gatto premuroso aveva vegliato su sua figlia per quasi tutta la notte. E il panico nei suoi occhi calmi e tranquilli le confermarono che quella era un’emergenza.
Alle sue spalle, Gajiru rimaneva in piedi, immobile, ma Rebi non aveva tempo per guardarlo e accertarsi che respirasse. O forse non voleva proprio voltarsi, terrorizzata all’idea di cogliere nel suo sguardo impenetrabile una paura uguale, se non addirittura superiore, alla sua.
- Che cos’è successo? – chiese a Ririi dopo aver accarezzato la fronte bollente della figlia, scostandole dal viso umido e bagnato i violacei capelli ribelli, come i suoi.
- La febbre è aumentata ed è circa mezz’ora trema come una foglia, ma se la copro inizia a sudare e si riempie di macchie rossastre. Da pochi minuti ha cominciato a sudare anche senza che la coprissi.
Sotto i loro occhi sbarrati, Kinana gemette e rabbrividì così tanto da fare un piccolo salto nel letto. A quel punto iniziarono le convulsioni, che durarono alcuni secondi che parvero un’eternità. La bambina spalancò gli occhi, ciechi, che si rovesciarono all’indietro, lasciando in mostra solo il bianco del bulbo oculare.
Fu allora che Gajiru si riscosse.
Afferrata una coperta, prese la figlia in braccio in un unico movimento fluido e agguantò la mano della moglie.
Subito dopo le porse la figlia e chiamò Ririi, bloccato dall’impotenza e dalla paura.
- Portale da Polyushika subito. Okay, Ririi? Subito! – gli ordinò, spingendolo fuori dalla porta.
- E tu? – chiese Rebi, la bocca secca e gli occhi lucidi.
Proprio quando lei rischiava di perdere il sangue freddo di cui aveva assoluta necessità in quel momento, Gajiru si era imposto la calma e sembrava avere una fiducia e una pacatezza di cui lei si riteneva incapace. Se non avesse avuto la figlia tremante in braccio, si sarebbe messa ad urlare o avrebbe dato di matto in qualche altro modo. La stretta ferma del marito sulle spalle, però, le fece tenere i piedi per terra, letteralmente, perché quelle mani che tanto amava sembravano volerle scavare pelle e ossa.
- Io arrivo, prendo alcune cose che possono tornare utili. E poi non possiamo andare entrambi con Ririi, lo sai.
Il suo sguardo limpido le diede coraggio e Rebi, senza indugiare o mettersi a rimuginare, perdendosi in elucubrazioni di cui nessuno al momento aveva bisogno, si sporse per dargli un rapido bacio sulle labbra.
Poi uscì e corse in camera sua con Ririi e Kinana in braccio, dove spiccarono il volo dalla balconata.
Gajiru si concesse subito una rapida doccia fredda prima di caricarsi uno zainetto sulle spalle, chiudere la casa e correre nella foresta come se avesse il fuoco alle spalle. O la morte nel cuore.
 
Il silenzio che aleggiava intorno alla casa di Polyushika lo spaventò, invece di calmarlo. Per una volta rimpianse il casino della gilda, la baraonda di gente, il cozzare dei boccali di birra o il frantumarsi delle sedie, le urla di guerra e l’odore di umanità, che indicavano, anche se in modo un po’ alternativo e sicuramente non nobilitante, vita.
Il silenzio e il gelo improvviso di quella notte di luglio gli ricordavano un mortorio. E l’ombra di Ririi che, in forma di gatto, volteggiava sopra la sua testa con le mani attorno al viso non alleviò quell’inquietudine.
- Ehi, che succede? – sibilò, per non rompere quell’irritante silenzio che sembrava un vetro sottile tra la realtà e la tragedia.
- Non lo so – rispose Ririi atterrando. – Ha voluto solo Rebi dentro.
Gajiru era talmente sconvolto e incapace di ragionare da riuscire a percepire solo il rumore del silenzio. Quell’assordante assenza di suono che moltiplica la consapevolezza del proprio battito cardiaco e del proprio respiro, annullando il frinire dei grilli, lo stormire delle fronde, il respiro della notte e la presenza di altri accanto a sé.
- Non piange – fece notare Ririi, riferendosi a Kin.
Gajiru non trovò nulla con cui ribattere, né la voglia di farlo.
Cosa poteva significare il fatto che non piangesse? Perché Ririi lo aveva detto? Era un commento tanto per dire qualcosa, o sottintendeva altro?
Voltò la testa di scatto quando sentì un respiro strozzato di Rebi e poi l’assenza del suo respiro, come se lo avesse trattenendo. Mormoravano, lei e Polyushika, la prima quasi boccheggiando e la seconda calma nonostante una punta di agitazione nella voce.
Gajiru si trovò dentro la casa prima ancora di condensare in pensieri le sue azioni, e la vecchia maga non si prese nemmeno la briga di cacciarlo fuori.
Kinana aveva le convulsioni, gli occhi rovesciati, la pelle madida di sudore e coperta di pelle d’oca, il respiro rantolante.
Rebi la fissava intontita, come un cerbiatto davanti a dei fari, le lacrime che sembravano scavarle un solco nelle guance rosse.
A tratti la pelle della bambina sembrava tendersi, indurirsi e ingrigirsi in modo innaturale, facendola quasi inarcare.
- Vecchia…
Bastò quell’epiteto per indurre la donna a parlare, mentre inumidiva la fronte della piccola e le girava intorno come una mosca sul cibo, tergendole il sudore e accarezzandola.
- Ha un rigetto della magia – sancì, laconica.
Ririi, silenzioso come un’ombra, fu l’unico a rispondere. – Rigetto della magia?
Polyushika annuì e aprì la finestra, poi chiuse gli occhi bianchi di Kin e la spogliò con pochi e abili gesti. La pelle della piccola a tratti diventava di metallo, facendola gemere e contrarre. – La magia in lei è troppo forte. Se riuscirà a farla sua, diventerà una maga potente.
- Cosa vuol dire? – sussurrò Rebi, attaccandosi al braccio del marito, in cerca di sostegno. – A nessun bambino nella gilda è accaduta una cosa simile.
La vecchia scosse la testa. – Sì, invece. Hanno avuto tutti un’influenza lampo, breve ma intensa. Alla stessa età e nello stesso periodo. Significa che il corpo si è adattato alla magia. Più è forte la magia che abita il corpo del bambino, più è forte la malattia.
Nessuno seppe cosa ribattere, nemmeno Gajiru, che in un’altra occasione si sarebbe vantato della sua potenza e di quella della sua degna progenie.
- Potrebbe morire? – domandò Ririi.
- Potrebbe – ammise la vecchia. – La magia si è manifestata troppo in fretta in lei, a causa di un indebolimento del fisico causato dal passaggio dell’influenza dal padre a lei. Il suo corpo deve abituarsi, cosa già difficile di per sé. Inoltre la sua potenza magica è davvero notevole, potrebbe essere paragonata a quella della vostra amica dai capelli rossi, la deficiente che si fa punire a caso e va in giro con un mucchio di spade exquippabili.
- Non sapevo nulla di tutto ciò – mormorò Rebi, sorpresa dalla notizia, delusa dalla sua ignoranza e preoccupata.
- Solo i bambini nati da genitori che usano entrambi la magia hanno questo tipo di influenza. Chi impara ad usare la magia in seguito, no.
Gajiru osservava ipnotizzato la pelle della figlia che si solidificava in metallo puro e scintillante prima di tornare morbida e rosea.
- Possiamo fare qualcosa? C’è una cura? Una medicina? – chiese Ririi, avvicinandosi alla piccola.
- Purtroppo no, è una battaglia interiore in cui le medicine non hanno potere decisionale. Starà alla bambina scegliere se resistere all’influenza della magia o lasciarsi prosciugare da essa.
- Ma è una bambina – gridò Rebi, scoppiando a piangere. Sarebbe crollata a terra se suo marito non l’avesse trattenuta.
- Non c’è proprio nulla che possiamo fare? – supplicò Ririi, dopo aver deglutito un grumo di disperazione solida che gli aveva lasciato la bocca secca e amara.
Polyushika sospirò, asciugando la fronte della bimba. – Sperare. Sperare e pregare, se avete fede. E starle vicini.
Per l’intera notte non fecero altro.
 
Era quasi l’alba quando Gajiru sollevò Rebi dalla sedia su cui aveva passato le ultime ore. Si sedette al posto della moglie e fece in modo di farle da poltrona, così che si accoccolasse contro il suo petto. Rebi rantolò quando le sue giunture indolenzite, irrigidite per essere state costrette nella stessa posizione per troppo tempo, vennero smosse e allungate.
- Kinana – mormorò, in stato di semi-incoscienza, quando Gajiru le staccò la mano da quella della figlia.
Il ragazzo, divenuto ormai un uomo, seppur giovane, socchiuse gli occhi quando la finestra si aprì a causa di un vivace refolo di vento estivo mattutino, che permise alla luce di entrare nella stanza. Da quella posizione l’alba era nascosta dalla foresta, ma le foglie che si muovevano, leggere nel loro risveglio, facevano sembrare vivo il sole, come se i suoi raggi, le sue braccia di fuoco, stessero dando il buongiorno con una danza nel verde.
Ririi posò una mano sulla spalla del compagno, per poi porgergli una tazza di caffè.
Solo loro due avevano dormito, anche se dire che si erano riposati era menzognero. Polyushika si era svegliata ogni ora per verificare la situazione della piccola, per cui non aveva quasi chiuso occhio; Rebi era rimasta seduta al capezzale della figlia, tenendole la mano, stringendogliela con così tanta intensità che Gajiru credeva che le mani delle due donne che amava si fossero fuse l’una nell’altra; Ririi, nella versione piccola, aveva dormicchiato sul ventre di Gajiru, sdraiato sull’unica, malconcia e minuscola poltrona della casa. Entrambi avevano il torcicollo, insieme alla consapevolezza di aver chiuso gli occhi per pochi attimi tra un’interruzione di Polyushika e l’altra, un respiro tremolante di Kinana e un singhiozzo di Rebi ogni tanto.
- Kin… - sussurrò ancora Rebi, stremata, ormai più addormentata che consapevole.
Se avesse preso sonno, Gajiru ne sarebbe stato veramente grato. Solo l’incoscienza del sonno poteva dare un po’ di tregua alla moglie.
- Sta bene Rebi, è qui – le rispose Ririi, posando la sua grande, calda e pelosa mano su quella della piccola.
Rimasero immobili per alcuni lunghi minuti, mentre i battiti dei loro cuori e i loro respiri scandivano in silenzio il trascorrere del tempo. Era come se la tragedia li avesse tramutati in statue, in scogli immobili nel mezzo di un oceano in tempesta, costretti a subire le violente onde dei marosi, implacabili.
- Non… ti sembra che sia traslucida? – chiese Ririi di punto in bianco, chinandosi su una gamba della bambina.
Gajru sollevò lo sguardo e smise di cullare l’altra bimba che aveva in braccio, sua moglie.
Osservando il punto indicato da Ririi, socchiuse gli occhi, sorpreso. – Ma cosa…?
La gamba di Kinana, che per tutta la serata non aveva fatto altro che alternarsi tra la carne e il ferro, era diventata quasi trasparente, e la chiazza di brillante chiarezza si espandeva a vista d’occhio.
In pochi secondi persino la pancia di Kin diventò trasparente, eppure stranamente dura e fredda, luccicante in migliaia di piccola sfaccettature.
- Polyushika-san! – gridò Ririi, terrorizzato, facendo svegliare di soprassalto Rebi.
La vecchia accorse in un attimo, ma non poté far altro che osservare con stupore quel mutamento.
La macchia aveva ormai raggiunto il collo della piccola.
- Che sta succedendo? – chiese la mamma, troppo sorpresa per poter permettere alle emozioni di manifestarsi.
Polyushika non rispose, ma si chinò sulla bambina e le tastò la nuova pelle.
- Diamante… - mormorò poco dopo, in un soffio che solo Gajiru udì.
- Diamante?! Come sarebbe a dire ‘diamante’? Quella cosa è diamante?
Kinana respirò più affannosamente quando il suo volto e la sua nuca divennero del tutto trasparenti e lucidi, poi tacque.
Con lei, trattennero il respiro tutti i presenti.
Passò una vita intera prima che Kin respirasse di nuovo, il respiro di chi ha rischiato di annegare, e di chi respira per la prima volta.
Quando aprì le palpebre, il contrasto tra gli occhi marroni-rossicci e la sua pelle adamantina era tale da farli sembrare scolpiti nel legno rosso.
- Che cosa sta succedendo? – chiese Rebi, ritrovando l’uso della parola, dando voce ai quesiti silenziosi di tre persone.
- Diamante. Tua figlia ha la pelle di diamante.
La bimba, in risposta, sbadigliò e si grattò gli occhi, producendo un suono simile allo sfregamento dell’acciaio con la cote.
- Ma…
Polyushika sospirò, massaggiandosi le tempie.
- Il materiale più resistente al mondo è il diamante. La magia che predominava in lei, cioè quella di Dragon Slayer del Metallo, si è fusa con la sua forza, trasformando il tuo ferro, Gajiru, in diamante.
- Stai dicendo che lei… è… - azzardò Rebi, l’unica ad aver capito qualcosa.
- La Dragon Slayer del Diamante. È questa la sua magia.
In risposta, la bambina batté le mani, felice e completamente guarita dalla febbre.
Nel momento in cui l’armatura di diamante lasciò il posto alla sua pelle, però, un’improvvisa stanchezza la fece addormentare all’istante, guidandola in sonni tranquilli.
- Ce l’ha fatta – concluse Ririi. – Finalmente è fuori pericolo, vero?
Polyushika annuì. – Decisamente, visto quanto è forte.
- Ma cosa mangerà? – volle sapere Gajiru. – Per rafforzarsi ha bisogno del suo elemento base, e non è che io abbia la possibilità di acquistare carichi di diamanti come se fossero mele. A proposito, Rebi, metti al sicuro i gioielli.
Polyushika sbuffò, irritata. – Sai che Salamander potrebbe bere il liquido infiammabile contenuto negli accendini per potenziare il suo fuoco?
Gajiru la fissò senza capire, mentre Rebi strinse gli occhi, incuriosita.
- Io non gliel’ho mai detto, e spero che lui non lo scopra mai, perché altrimenti non so quali esplosioni nucleari potrebbe produrre. Il liquido non è direttamente fuoco, ma lo alimenta, lo compone, per così dire. Tu mangi solo ferro trattato e lavorato perché quando combatti è difficile trovare ferro grezzo e metalli puri.
La maga sbuffò sonoramente, interrompendo la spiegazione, quando l’espressione di Gajiru divenne così vuota da far temere che fosse diventato un fantoccio senza cervello.
Fu Rebi ad intervenire per prima, però. – Intendi dire che i Dragon Slayer, oltre all’elemento in sé, possono anche mangiare ciò che alimenta, o da cui può derivare, il loro elemento?
Polyushika borbottò qualcosa riguardo allo scarso giudizio di Rebi nello sposare un elemento con così scarso intelletto come Gajiru, cosa che lo fece grugnire di fastidio. – Esatto. Quindi la bambina potrà semplicemente mangiare…
- Piccoli diamanti – suggerì lui, orgoglioso di aver capito.
Ririi si batté sonoramente la mano in faccia, disperato.
- La grafite! – esclamò Rebi.
- La che?!
- La mina delle matite! – sbottò Ririi in risposta al compagno.
- La mina delle matite?!
Polyushika, con le mani che tremavano per il nervoso, cambiò stanza, alla ricerca della sua scopa, mentre Rebi spiegava al marito: - Il diamante è composto dallo stesso elemento della mina delle matite, il carbonio. In determinate condizioni, molto particolari, la grafite diventa diamante. È proprio come un gas infiammabile per Natsu.
- Dragon Slayer delle matite? – scherzò Gajiru, per allentare la tensione che non si era del tutto allontanata da quella stanza.
- Ehm… è meglio se scappi da qui – gli suggerì Ririi in risposta, notando con la coda dell’occhio che Polyushika aveva trovato la scopa.
Gajiru non se lo fece ripetere due volte.
 
Quel pomeriggio riportano a casa Kinana, che aveva solo una leggera febbre e una grandissima stanchezza addosso, così come i suoi genitori e Ririi.
Senza nemmeno pensare alla cena, Rebi e Gajiru la sdraiarono al centro del loro letto, sistemandosi poi ai suoi fianchi, con Ririi in forma di exceed sopra la testa della piccola.
Il respiro della bimba era ancora un po’ affaticato e rantolante, con qualche sporadico colpo di tosse causato dall’influenza, ma Rebi avrebbe voluto piangere sentendo quanto era regolare, finalmente.
- Ci hai fatto prendere un bello spavento, Kin – mormorò la mamma, circondando la figlia con un braccio.
Gajiru la imitò in silenzio, cingendo sia la figlia che la moglie. Nonostante tutte le esperienze passate, non era mai diventato un chiacchierone che esprimeva con facilità ciò che gli passava per la testa.
- Dragon Slayer del Diamante – commentò Ririi dopo alcuni istanti, sovrappensiero. – Niente male comunque, no?
- Raffinata, preziosa, indistruttibile. Non sei orgoglioso, papa? – scherzò Rebi, pungolando il petto del marito.
- Cosa ti aspettavi da mia figlia, mamma?
- Papà… mama….
Nemmeno la paura di perdere la loro bambina aveva fatto fermare e poi galoppare come un cavallo da corsa il cuore dei due genitori.
- Come, Ana?
- Mama – ripeté candidamente la bambina, voltando la testa per guardare Rebi e sorriderle con la sua boccuccia tutte gengive rosse e dentini bianchissimi e appuntiti.
Gajiru si sollevò sul gomito, guardando la piccola con occhi sorpresi e pieni di ammirazione. – Mamma e pa… - la incoraggiò.
- Papà – concluse lei, ridendo e aggiungendo cose senza senso.
- Mamma, papà e Ririi – la spronò Rebi, mettendosi seduta e stringendo la mano del marito, accarezzando Ririi con l’altra.
- Mama, ‘apà e I-ii – ripeté Kinana prima di sbadigliare.
Mentre la bambina prendeva sonno e il sole tramontava dietro casa loro, tingendo la sera di rosso, una brezza fredda annunciava un bel temporale estivo e Rebi, sdraiandosi su suo marito, si lasciò andare ad un disperato pianto liberatorio.
Mentre lasciava fluire via quella disperazione, rendendosi conto che se sua figlia fosse morta quel giorno non avrebbe nemmeno potuto udire la parola mamma pronunciata dalla sua voce squillante ed energica, Gajiru le accarezzava la schiena cercando di non piangere a sua volta.
Ririi tirò su con il naso e baciò sia Kinana che Rebi, congedandosi con la scusa di dover preparare la cena, solo per lasciare ai genitori un po’ di privacy.
Scossa dai singhiozzi, Rebi sentì a malapena le labbra di Gajiru che si posavano sulla sua nuca in un dolce e affettuoso bacio di conforto.
- ‘Amma… - biascicò ancora Kin, prima di abbandonarsi al sonno.
Rebi ridacchiò tra le lacrime. – Sono qui, piccola mia.
Gajiru le fece sollevare la testa per baciarla come si deve, facendole conoscere la sua disperazione grazie al tocco delle loro labbra.
- Ehi, piccoletta… voglio altri bambini – le rivelò alla fine.
Lei ridacchiò, asciugandosi le lacrime, e sollevò il viso per guardare il marito negli occhi. – E quanti ne vorresti?
Lui ghignò in quel modo solo suo, che le bloccava il cuore ogni volta. – Dieci.
Rebi sbarrò gli occhi. – Dieci?! – sibilò, terrorizzata.
Lui ridacchiò, attirandosi uno schiaffetto dalla moglie. – Dieci no, ma altri due sì.
- Tre figli? – chiese conferma Rebi.
- Tre figli – sancì lui, soddisfatto. – Va bene, no?
Lei annuì e sorrise, baciandolo ancora, dolcemente. – Va benissimo. Non vedo l’ora.
 
Quella notte dormirono tutti insieme nel letto matrimoniale, con Rebi e Gajiru da un lato, Kinana nel mezzo a Ririi al suo fianco.
Prima di addormentarsi, gongolando, Gajiru abbracciò la moglie e le sussurrò: - Comunque, Kin ha detto prima ‘papà’.
 
 
 
MaxB
Non è un capitolo che dovrebbe far piangere, ma tornare dopo mesi di inattività mi fa commuovere.
Anche se forse mi odierete proprio per l’abbandono a cui vi ho costretti.
Scusate dal profondo del cuore, non ho scuse. Spero che ci sia ancora qualcuno disposto a leggere e… concludere con me questa lunga storia.
Concludere, sì, perché mi impegnerò per mettere il flag su “storia conclusa” nel giro di massimo tre capitoli. Spero.
E sappiate che tornare a scrivere i nomi originali di Levy e Gajeel, dopo decine di storie in cui non li usavo, è stato un calvario. Può anche essere che li troviate scritti non in originale infatti. Va be’ portate pazienza.
Se volete uccidermi fate pure, ma almeno attendete la fine della storia, no?
Grazie a tutti,
MaxB
  
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