Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: ArtemisiaSando    13/11/2017    1 recensioni
1873, Massachusetts.
Elle Winters, infermiera dal passato turbolento, finalmente libera dal giogo dell'ex-marito, si trasferisce nella stanza di un affittacamere alla periferia di Boston.
Qui incontra Lance Crawford, investigatore privato e cacciatore di taglie per la Pinkerton National Detective Agency. Un uomo con molti segreti, nato e vissuto nella violenza, che ha fatto di alcol e solitudine i suoi migliori amici.
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Storico
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Travers Inn

Boston apparve in lontananza come un gigante addormentato.

Cullata dallo sciabordio del treno e dalla consapevolezza di aver ormai interposto fra lei e il passato miglia a sufficienza, Elle era riuscita ad assopirsi persino sullo scomodo sedile in legno della seconda classe.

Oltre il vetro umido e biancastro, il dolce paesaggio collinare del Massachusetts scorreva via alla velocità dei suoi pensieri ancora confusi, aprendosi sulla vallata in cui Boston riposava quieta da più di duecento anni.

Il sole che le feriva le palpebre stanche, ancora cerchiate dal sonno e dalla concitazione delle ultime ore, inondava col riverbero di un'onda gli alti edifici di mattoni, le ciminiere annerite dal fumo ed in lontananza il porto commerciale.

La moderna ferrovia l'attraversava con la linearità sgraziata di un'incisione da chirurgo, mentre lo sbuffo della locomotiva s'impastava all'aria densa di rugiada e cenere che dalle alte canne fumarie ricadeva giorno e notte sul paesaggio cotto dal sole della costa.

Elle si trovava ancora in una sorta di anestesia affettiva, mentre la pensilina in metallo forgiato della stazione si avvicinava a velocità suicida oltre il vetro zuppo accanto a lei.

Poco dopo la locomotiva si fermò accanto all'affollata banchina in cemento con un fischio assordante di giunture in ferro, sbuffando e ansimando come un animale di assurde proporzioni.

Scese dal treno avvolta dal calore della fuliggine e dal tocco abbacinante del sole che filtrava attraverso il grigiore statico del capolinea ferroviario. Per un attimo si lasciò sospingere dalla folla operosa che si disperdeva dai vagoni del treno come sangue che fluisce da una recente ferita, scappava via senza guardarsi indietro nella gelida brezza salmastra, i baveri alzati a proteggersi dal morso di quell'aria bizzosa e biancastra.

Com'era accaduto altre volte nella sua vita, Elle si sentì immobile, piantata nel terreno con la testarda volontà di un albero antico, mentre il mondo scivolava attorno a lei nella sua complessità di odori, rumori ed improbabili giochi di luce.

Eppure non era mai stato quello il suo spirito. Non era mai stata decisa e immutabile come la terra su cui da bambina camminava a piedi nudi, l'erba fra le dita, l'odore di fresca rugiada nelle narici.

No. Con quei lunghi capelli neri come pece, gli occhi ammalianti e lo sguardo antico da nereide, la sua era una bellezza da creatura marina, come le aveva ripetuto più volte sua madre. E come l'acqua avrebbe dovuto adattarsi, finalmente, trovarsi un posto nel mondo che non fosse ancorato al porto sicuro di un'ombra protettrice. Uno spazio solo per lei.

Camminò fuori dalla stazione, fra le strade sconosciute di una città che sembrava ribollire sotto le superfici cotte dal sole e sbiadite dal sale. Con i pochi soldi che aveva sottratto all'ebete voracità del marito, senza la minima idea di dove approdare, si diresse verso la prima insegna di affittacamere che le si parò davanti agli occhi.

Una palazzina spenta, incassata malamente fra due nuove svettanti costruzioni di chiara pretesa moderna, a baluardo di un passato che ancora non se la sentiva di cedere le redini alla geometrica frenesia di un secolo in espansione.

Affacciati agli scuri sbilenchi, pendevano ad ogni finestra pretenziose e affollate fioriere, particolare che, unito alla sua fretta, valse alla piccola "Travers Inn" il primo tentativo nella sua esplorazione di Boston.

Uno stonato scampanellio accolse il suo ingresso nella reception soffocata completamente nel legno, quasi ne fosse stata intagliata via pezzo per pezzo da un artista di folklore. L'odore di pino la faceva da padrone, persino sugli ostentati mazzi di fiori nei vasi sbeccati ai lati della stanza e ai pizzi impolverati a coprire ogni centimetro di superficie libera.

- E' permesso? –

Le parole rotolarono via nel vuoto scandito dai battiti del singolare orologio a cucù, tristemente penzoloni sull'architrave.

- Arrivo, arrivo. – borbottò un vocione da golia, emergendo, insieme al suo proprietario, attraverso la porta a vetri immediatamente adiacente al banco della reception.

Jacob Travers era un omaccione alto e grosso, ben piantato negli stivalacci neri da minatore in pensione, la barba grigia a coprire il collo taurino e la pelle di cuoio ruvido, ma gli occhi azzurri guizzavano ancora ben svegli dietro gli occhialetti cerchiati di corno.

Cozzava nell'ambiente saturo di trine e merletti quanto un elefante in una cristalleria, rigidamente imbalsamato dentro un completo scuro da impiegato di banca.

Non riuscì in alcun modo a nascondere lo sguardo di diffidenza alla vista di una donna sola, valigia in mano e sguardo allampanato di chi sa di averla fatta franca. La squadrò con calma, dalla punta del cappellino color tortora, storto sui capelli male acconciati, alla punta delle scarpe inzaccherate dalla fuga in piena notte.

- La signora desidera? –

- Signorina. – lo corresse con tutta la schiettezza che le era rimasta in corpo, sapendo che, per quanto scandalizzasse la sua virilità, non avrebbe certo potuto rifiutare moneta sonante.

- Desidero una stanza in affitto. Non ho pretese, basta che sia pulita e in buone condizioni. Vi anticiperò i primi due mesi di rendita, il resto lo pagherò con il mio salario. –

Dovette leggere nei suoi occhi determinazione sufficiente a zittire il suo buon costume, perché con un gesto sgraziato sfilò da sotto il bancone un pesante registro rilegato in consunta stoffa verde. Scorse il dito enorme fra le righe della pagina ingiallita, borbottando sotto i baffi a spiovente qualcosa d'incomprensibile al suo udito di donna soddisfatta e libera.

- Abbiamo un appartamento libero al secondo piano. Sia chiaro, non voglio problemi, signorina ... -

- Winters. Elle Winters. Non sono in cerca di guai, di questo potete esserne certo. – sorrise, pregando che le fosse rimasto ancora un po' di quel fascino esotico e marino di cui le aveva parlato sua madre.

Gli occhietti porcini di Jacob Travers indugiarono avidamente sulle banconote fra le dita sottili della ragazza, non più di un battito di palpebre, ma abbastanza da segnare il suo nome sul logoro registro incartapecorito.

Sapeva quanto fosse sconveniente la sua intraprendenza, quanto non l'avrebbe mai aiutata a farsi un nome fra i cittadini più rispettabili di Boston, ma non aveva poi molta scelta.

Poteva contare sulla propria esperienza, su un po' di fortuna, magari, e nient'altro. In quell'affannoso, inebriante tentativo di libertà, era sola.

Dopo aver discusso di tutti quei piccoli dettagli, estremamente disdicevoli da affrontare con una donna non accompagnata, il signor Travers l'accompagnò a passi scricchiolanti sotto il tenero legno di pino fino al secondo piano.

Dietro un'anonima porta in faggio laccato di un pallido verde rame, si nascondeva la stanza senza pretese che le era stata promessa alla vista del denaro contante.

La luce del giorno filtrava copiosa attraverso le imposte spalancate, gonfiando alla brezza salmastra le semplici tende di pizzo come minuscole vele di un fantastico veliero. I fiori che aveva notato prima di entrare occhieggiavano al vento piegandosi in un lento sciabordio, inondando l'interno dell'odore sfuggente della rugiada.

Il mobilio era a dir poco essenziale, una toeletta in porcellana, un grande letto a baldacchino, armadio e cassettiera e, in un angolo, uno scrittoio un po' sbilenco, ma le lenzuola erano fresche di bucato e l'ambiente pulito a dovere.

Non c'era nulla che fosse ombra, niente che fosse esitazione o dubbio, si respirava l'aria quieta di un porto sicuro.

Elle lasciò che il signor Travers si accomiatasse col suo borbottare da vecchia caffettiera, prima di alleggerire la presa sulla valigia sbiadita e posarla accuratamente sul letto matrimoniale che, d'ora in poi, avrebbe diviso solamente con i propri sogni. Disfece il bagaglio con l'accuratezza con cui avrebbe toccato uno strumento prezioso, sapendo che stava dipanando via quella vita compressa e raffazzonata per darle una forma nuova, sconosciuta.

I fantasmi erano rimasti altrove, lontano. Vivi o morticamminavano oltre quelle vele di veliero sconclusionato e vacuo, dove l'abbacinanteorizzonte d'acqua s'incontrava con l'aria fuligginosa del mattino. 

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: ArtemisiaSando