Milo di Scorpio ( Le Fleur Du Mal )
Aphrodite
dei Pesci ( Kijomi )
Camus dell’Acquario ( Ren-Chan )
Presentano:
Heramachia
Prologo
07. Prologo
Il loro cosmo dorato li precedeva, irradiandosi tra le
colonne e i corridoi dell’Heraion.
Due figure dorate sulla soglia, le corporature giovanili,
muscolose, ma atletiche, erano rese più imponenti dalle
sacre vesti. Apparsi
così, senza nemmeno farsi
annunciare
sulla soglia di Hera, parvero due giovani dei. Inaspettatamente
Milo si lanciò verso la soglia e verso di loro, con
l’urgenza impellente di doverli informare di qualcosa di
importantissimo, ma –
forse per l’eccitazione o per tutti quegli incensi
aromatizzati nella stanza –
non ricordava nulla di ciò che doveva dire a Gemini e
Sagitter. Attraversò lo
spazio senza incidenti,
conscio appena
dei fumi di incenso più radi, adesso, degli affreschi dei
gigli sulla parte
bassa dei muri. Dei sandali decorati della Madre Hera, seduta sul
trono, che
aveva accavallato le gambe lunghe mentre lui le dava le spalle per
correre via,
quasi per sfidarla.
Poco male, perché nella corsa trovò
immediatamente le mani
forti di Aioros, calde di Cosmo dorato, che lo sollevarono da terra.
Più circospetto, anche Aphrodite lo aveva seguito e Saga, al
fianco di Sagitter, gli aveva appoggiato una mano sulla schiena,
tenendolo
contro di sé. Pisces si irrigidì appena.
Non per Saga, pensò… no, invece, proprio per
Saga. Pieno di
rabbia, non riusciva ad alzare il viso a quello del compagno
più anziano. A
salvarlo! Erano andati a salvarlo! Con che orgoglio avrebbe potuto
guardarli
negli occhi?
Sospirò e tacque, mordendosi l’interno della
guancia,
nervoso.
Hera sorrise, davanti a loro, al punto opposto della stanza.
Sorrise con la dolcezza di una madre.
Non era ancora scesa dal trono e non lo fece. Irradiò invece
tanto potere da colmare la stanza, il suo Cosmo era maturo e colmo di
tenerezza.
Saga fece un passo avanti, offrendo il viso alla dea, le
sopracciglia sottili aggrottate sul suo viso d’adolescente.
La guardò,
nonostante tutto, come si guarda un nemico.
“Benvenuti” li
salutò
lei.
Allora e solo allora gli Argonauti presenti nella stanza
piegarono il capo cortesemente: Tifi e Menelao, accanto al seggio della
loro
dea, Argo e Giasone, contro la parete.
Solo Tiresia rimase immobile, lo sguardo fisso davanti a sé
nel suo modo inquietante, la testa piegata appena sulla spalla come se
fosse in
ascolto di qualcosa che solo lui poteva sentire.
“Sono Aioros di Sagitter ed egli è Saga di Gemini,
Santi
d’Oro devoti ad Athena”.
Hera annuì. Osservò la figura altera del giovane
che aveva
parlato, i riccioli che gli riamavano il collo, gli occhi verdi,
profondi. Poi
l’altro, così giovane eppure già
così forte, il volto bellissimo e seducente.
“Vi conosco”.
“Perché Pisces e Scorpio sono nelle vostre mani?” la
voce di Aioros era calda e
limpida, la richiesta posta con estrema cortesia. Eppure, al fianco di
Saga,
era la personificazione stessa della fermezza.
Giasone passò il peso da una gamba all’altra,
vagamente a
disagio.
Argo aveva fatto un passo avanti a lui, istintivamente, e
guardava i due nuovi arrivati con freddezza: erano ricoperti dai
leggendari
Gold Cloth voluti da Atena. Quello dei Gemelli copriva il giovane che
lo
portava interamente, regalando imponenza ad un corpo atletico e forte.
Quella
del Sagittario inguainava il ragazzo vicino, disegnando grandi ali
d’oro sulla
sua schiena. Emanavano santità e potere quanto lo stesso
tempio e Argo si
sorprese del fatto che altri schieramenti divini portassero in loro la
bellezza
del sacro quanto quello di Hera.
I due giovani guardavano
Veri guerrieri,
pensò Argo. Ma quello che uscì dalle sue labbra
fu: “Tsk! Mocciosi!”guadagnandosi
un’occhiataccia gelida del piccolo Aphrodite.
“Aioros di Sagitter e Saga di Gemini” la dea Hera
li salutò
formalmente dal trono, di fronte a loro. Portò di nuovo le
gambe unite e
appoggiò sulle cosce i palmi, regale. “Sono lieta
di accogliere nel mio tempio
la vostra visita. Speravamo giungeste presto”.
“Sapevate che saremo venuti e ci accogliete come amici.
Perché, se eravate a conoscenza dei motivi della nostra
partenza, non avete
avvertito il nostro Santuario?”
Le parole di Aioros risuonarono giovani e sagge insieme. Tiresia
tese le labbra in un sorriso strano che non raggiunse mai gli occhi
ciechi.
Il Sacerdote Menelao affiancava
“I fanciulli dei Pesci e dello Scorpione” stava
dicendo la
dea, infatti “sono stati miei ospiti” con uno
sguardo verde e un sorriso che si
allargò sul bel volto, sfidò i due bambini a
contraddirla.
“Ospiti?” domandò Saga “Ospiti
qui a Samo, quando Atene è
ben lontana?”
Hera non appannò il proprio sorriso materno neppure per un
istante.
“Non tutta l’Attica è sacra ad Athena
dagli occhi brillanti”
cinguettò, volutamente frivola “Come di certo
saprete, la stessa area di
Colono, vicina ad Atene, è consacrata a Poseidon. Allo
stesso modo, nei pressi
del vostro Santuario ci sono templi e regioni dedicati alla mia
persona. I
vostri compagni sono stati trovati su suolo sacro a me, Hera Madre
degli dèi
tutti. In qualità di guerrieri di Athena sono stati
trattenuti, pura
formalità”.
Aioros strinse Milo e girò una rapida occhiata a Saga: non
ricordava di alcun luogo consacrato ad Hera nei pressi del loro
Santuario. Era
anche vero che, per il ruolo che
La dea si rilassò, la schiena contro il proprio seggio, la
testa appena reclinata sulla spalla. Appoggiò una mano sul
bracciolo destro e
attese, guardando i quattro Gold Saint.
Aioros teneva ancora Milo in braccio, Saga aveva Aphrodite contro la
propria
gamba, e si era portato avanti di un passo come per proteggere i
compagni.
Le bastò uno sguardo per capire che non l’avevano
creduta
fino in fondo, quella storia.
Non ha alcuna importanza,
rifletté, basterà non
dare al Santuario di Atena pretesti
per mettere in dubbio le mie parole.
Porse l’altra mano e subito Tifi le fu al fianco, offrendole
appoggio. Hera si alzò e accompagnata dalla giovane
raggiunse i Gold Saint.
“Mi rendo conto che possiate avere male interpretato il
susseguirsi degli eventi” si rivolse ai due bambini, in
particolar modo, e sia
Aphrodite che Milo ebbero l’impressione di sentire una fresca
carezza di madre,
sulla guancia “Forse i miei soldati sono stati troppo duri.
Forse le regole
sono state fatte rispettare senza elasticità. Dunque faremo
così:” propose e
fece una pausa strategica osservando Aioros e Saga “Per
ripagarvi del disagio, vi
omaggerò secondo l’antico uso di Samo. Vi
darò in dono due dei miei celebranti,
che rimarranno al vostro servizio fino a che lo ritenete
necessario”.
Menelao alzò il viso, sorpreso, ma non disse una parola.
Aioros
non mosse un muscolo del viso, eppure le sue sopracciglia divennero
severe.
“Sarà il dono di una Madre alla dolce Athena,
quando
rinascerà su questa terra”.
La concessione fu così dolce e cortese, che né
Aioros né
Saga trovarono motivazioni da contrapporle. Sagitter chinò
il capo nel gesto
formale del ringraziamento: “Divina Hera, accettiamo le
vostre disposizioni e
onore vi fa la nobiltà del vostro animo. Al nostro ritorno
ad Atene riceverete
dal nostro Pontefice, il Sommo Shion, una missiva ufficiale che
chiarirà la
posizione del Santuario”.
“Molto bene” Hera annuì e sedette
nuovamente. Fece un gesto
con la mano. “Giasone. Tifi. Sarete voi ad accompagnare i
Cavalieri di Athena e
a servirli. Preparatevi per la partenza”.
Giasone parve sorpreso: aprì un paio di volte la bocca per
dire qualcosa, si umettò le labbra, ma poi non disse niente,
non osando
contraddire la propria dea. Spalancò gli occhi azzurri
spaesato, però, nel
momento esatto in cui lo fece anche Aphrodite.
Quel maledetto lo avrebbe seguito fino ad Atene! Si girò,
ancora stretto contro Saga e ancora incapace di sostenerne lo sguardo,
verso
l’Argonauta, come se Giasone fosse stato diretto responsabile
di quella scelta.
“Tifi…” mormorò invece il
vecchio Menelao, tendendo una mano
verso la fanciulla. Lei lo guardò, intenerita, ma
l’amore per lui non intaccò
la determinazione nel suo sguardo. Gli si avvicinò, gli
prese il viso tra le
mani e lo baciò con dolcezza, sulle guance.
“Addio, nonno” gli disse.
Menelao non emise un lamento. Strinse la nipote, il volto
affondato nei suoi capelli ricci e vaporosi.
“Addio, bambina. Nell’amore di Hera, resteremo
uniti”.
Dopo di che, Tifi si staccò e, composta, raggiunse il fianco
di Aioros. Milo la guardò, sospettoso. Con innaturale calma,
anche Giasone si
fece avanti, fermandosi accanto a Saga.
Guardò Tifi anche lui, confuso. Poi Menelao, come se il
Sacerdote potesse fare qualcosa. Non accadde niente. C’era
Atene nel suo
futuro.
Con ogni probabilità non avrebbe più visto
l’Heraion né i
suoi compagni per molto tempo. Si volse ad abbracciare con lo sguardo
la stanza
e solo in quel momento si rese conto che Tiresia non c’era.
In silenzio, se n’era andato e né gli Argonauti
né i Saint
avrebbero potuto affermare quando lo strano giovane si era allontanato
senza
attirare attenzione.
“E’ tempo di andare, ora” la voce di Saga
di Gemini fu
stentorea come un ordine.
“Piano, piano! Un momento!”
“Argo” lo chiamò la dea.
Madre Hera! Madre Hera, perdonate la mia richiesta! Chiedo
di poter andare a mia volta!”
“Argo, per quale motivo?”
Giasone che fino a quel momento si era guardato i piedi
afflitto, sollevò lo sguardo verso il compagno
d’arme. Restò col fiato sospeso.
“E’ una richiesta strana, Madre Hera… ma
vi prego di
esaudirla!”
“Taci, per favore, Argo” intervenne Menelao, pacato
“Hera ha
effettuato la sua scelta; né io né te possiamo
intervenire per modificare la
sua volontà divina. Quindi fatti da parte, ragazzo
mio”.
“Ma Sommo Menelao…!”
“Un momento, Menelao. E anche tu, Argo, ascolta
bene” Hera
alzò le mani, placando i suoi due Argonauti. “Le
mie disposizioni non cambiano:
Giasone e Tifi scorteranno i Gold Saint ad Atene e resteranno quale mio
tributo
al Santuario. Ma se tu, Argo, mi preghi di unirti a loro, in onore
della lealtà
dimostratami, lascerò che tu vada”.
“Divina Hera! Con tre Argonauti in meno, l’Heraion
sarà meno
custodito!”
“E dunque, mio Menelao? Non ho alcuna intenzione bellica e
non ne temo da altre divinità”. Sorrise e
inchinò la bella fronte ai quattro
Cavalieri d’Oro “Questi sono tempi di pace. E se
con questo gesto posso
riproporre la mia alleanza con la dolce Athena, non mi
tirerò indietro. Vai,
dunque, Argo”.
Argo della Vela, Argonauta di Hera aveva la mente in
subbuglio. Quando lui, Giasone e Tifi erano stati messi sulle tracce
dei Gold
Saint, a loro e agli altri Argonauti era stato detto che non avrebbero
dovuto
farsi scoprire, quando avrebbero rapito i bambini.
In caso contrario, se fossero stati sorpresi dal Santuario
di Atene, avrebbero dovuto pagare il loro errore per salvare i rapporti
diplomatici con l’Heraion, seguendo come tributo ad Atene i
fanciulli rapiti.
Una linea pericolosa, quella della Madre, ma audace: privandosi dei
suoi
Argonauti al Tempio, li inseriva senza destare sospetti
all’interno del Tempio
di Athena, a monitorare la situazione per lei. Non erano impreparati, a
quell’eventualità.
Tuttavia tra sapere una cosa e trovarcisi davanti a muso
duro c’era differenza e l’Argonauta si era sentito
irrigidire quando Tifi e
Giasone avevano ricevuto quell’ordine.
C’è poi da dire che
Giasone non è capace di stare in mezzo a tutti quei
mocciosi, come farà in
quell’asilo nido di Atene? E da solo non riuscirà
a non farsi mettere i piedi
in testa dal Sacerdote di Athena, sicuramente lo torturerà! E
già si
immaginava le cose peggiori. La verità era che non sarebbe
riuscito a separarsi
dal compagno d’arme con il quale era praticamente cresciuto.
“Sì, Madre Hera. Con il vostro consenso,
andrò”.
Argo si inchinò alla sua dea, salendo i pochi gradini e
appoggiando la fronte sui sandali intrecciati di lei.
Sospirò.
Insieme a lei sospirò Menealo che quel giorno perdeva due
compagni e una nipote.
“Sì, mio Menelao. E lo saremo per sempre, se
Athena
rispetterà l’antica alleanza, se non mi
costringerà a mettere in atto le
contromisure che abbiamo preso oggi”.
“Athena è una dea saggia”.
“E’ vero. Non abbiamo niente da temere: so che
pensi a Tifi.
Starà bene”
Il Sacerdote annuì e lei gli accarezzò il volto.
“Se Athena dagli occhi brillanti non fosse così
saggia,
Madre?”
“Allora non potremo opporci alla battaglia, mio Menelao. Ma
tre dei nostri potenti guerrieri sarebbero su suolo nemico ad aprirci
la
strada”.
“Siete previdente, Madre Hera”.
Lei lo guardò con affetto e lui ricambiò con
devozione: “Ora
raduna gli altri Argonauti: è tempo di tenere concilio, tra
di noi”.
Era passata un’ora dalla partenza dei Cavalieri di Athena e
sull’Heraion scendeva la sera, profumata dagli oleandri che
crescevano sulla
costa. Menelao si inchinò e andò a richiamare al
tempio i comandanti
dell’esercito di Hera. Tiresia fu l’ultimo a
presentarsi al cospetto della dea
e solo quando anch’egli si fu accomodato,con il suo sguardo
cieco fisso in
avanti e la testa reclinata sulla spalla, come in ascolto, si diede
inizio alla
riunione.
Dal canto suo, Milo trotterellava di fianco a Sagitter, per
stare al passo con lui, la manina ingoiata in quella più
grande del compagno.
“Dunque, giovane Scorpio” gli si rivolse ancora
Aioros con
la complicità che lo caratterizzava nei confronti dei
più piccoli “Hai
ricordato?”
“No!” Milo si tormentava. C’era qualcosa
che doveva
assolutamente dire a Sagitter e che lo torturava come una spina sotto
la pianta
del piede, ma non riusciva a trovarla nella sua memoria. La cosa era
frustrante
e il bambino stringeva le dita del più grande, in ansia.
“Ti verrà in mente, non devi temere. Ora
guarda!” Aioros
indicò davanti a loro, sulla collina rocciosa, la scalata
dei Dodici Templi che
emergevano candidi tra le rocce, nel cielo fiammeggiato del tramonto.
“Siamo a
casa”.
Anche Gemini sorrise, al fianco del compagno. La tenerezza e
l’abilità che dimostrava con i fanciulli gli
spalancavano il cuore. Osservò la
schiena minuta di Aphrodite, davanti a loro, la piccola mano di Milo
stretta in
quella di Aioros e il profilo nobile del Cavaliere di Sagitter. Si
sorprese
della leggerezza e della felicità di quella sera in cui
tornavano vincitori,
con i bambini scomparsi riportati dall’isola di Samo. Il
cuore di Saga da tempo
era ormai conteso dalla luce e dalla tenebra in una battaglia che
combatteva
ogni giorno e ogni notte.
In quel pomeriggio sereno, al fianco di Aioros e ai piedi
del Santuario, non c’era nemmeno un ombra, solo una luce
dorata e bellissima.
“A casa, sì” ripeté sereno,
sorridendo ad Aioros. “Andiamo”.
Giasone, dietro di loro con Argo e Tifi, sollevò lo sguardo
al Santuario di Athena. I dodici Templi si susseguivano l’un
l’altro lungo il
pendio del monte spiccando nella roccia nuda. Quello sarebbe stato il
posto in
cui avrebbe dovuto vivere da quel momento in avanti, si rese conto.
Guardò Argo e il compagno aveva il viso adombrato, le labbra
piegate in una smorfia disgustata. Non gli aveva parlato da quando
erano
partiti, ma non aveva nemmeno mai lasciato il suo fianco. Si
domandò cosa
stesse pensando. Se avrebbe avuto momenti per chiederglielo, nei giorni
successivi.
Guardò Tifi e lei gli sorrise. Composta e apparentemente
serena seguiva i Saint senza dimostrare incertezza o timore. Giasone
del Vello
d’Oro vide Milo di Scorpio girare la testa per osservarli da
sopra la spalla e
vide l’amica sorridere anche a lui e mostrargli la lingua per
gioco.
Il bambino rise.
“Stiamo per entrare al Santuario” Saga,
l’aria seria, si
volse a metterli al corrente. “Sarò io stesso a
condurvi dal Pontefice, che si
occuperà della vostra permanenza”.
Tifi annuì. Argo rispose con un grugnito.
Da oltre il Primo Tempio si udì un fischio,
spaccò l’aria
della sera a metà, vibrante.
“Ciuro! Sei
tornato!” un paio di ragazzini si agitavano, sulle scale.
Quello che aveva fischiato
aveva gli occhi rossi e Giasone ne rimase impressionato: dove era
capitato?
Aphrodite alzò la faccia e per la prima da giorni fece un
sorriso. Agitò una mano verso i due, più in alto.
Poi si lanciò in corsa verso
DeathMask e Shura.
Anche Milo trotterellò veloce dietro Pisces, quando tra le
colonne vide Camus, silenzioso ma attento, che era sceso non appena
aveva
avvertito il Cosmo dei guerrieri a ritorno.
Aioria balzò in avanti rispetto a Camus, corse
giù a fare le
feste al fratello Aioros che insieme a Saga tornava da una missione
insidiosa, e
balzò addosso a Milo, offeso e felice insieme. Finirono ad
azzuffarsi
sull’erba, quasi travolgendo Giasone.
Argo sospirò, sentendo l’inizio di una fastidiosa
emicrania
martellargli la tempia.