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Autore: Adhara    18/11/2017    1 recensioni
Soltanto una nuova minaccia per il Mondo Magico poteva far riavvicinare l'Auror Potter col suo ex professore di Pozioni. Due uomini del tutto nuovi, vecchi rancori e una strega oscura sono gli ingredienti per una pozione ammaliante e... pericolosa.
Genere: Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Altro personaggio, Il trio protagonista, Severus Piton | Coppie: Harry/Severus, Remus/Sirius, Ron/Hermione
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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2.

Filtri e Pozioni Piton era un ambiente piuttosto stretto e dai soffitti bassi e, per accedervi, il cliente doveva scendere alcuni scalini che s’infossavano poco sotto il livello della strada. A lui si presentava, quindi, una porticina ben verniciata di un denso nero opaco sopra alla quale l’insegna recitava il nome del negozio in eleganti lettere argentee su sfondo nero. La sala che accoglieva i visitatori non godeva di una grande illuminazione e sin dalla mattina colonne di candele levitanti dovevano rischiarare l’ambiente con le loro fiammelle. La luce si riversava su scaffali carichi di ingredienti pozionistici, mazzi di erbe appesi, giare di spezie e alcuni manufatti alchemici poggiati su semplici tavolini in legno. Era una bottega piuttosto spoglia, in effetti, ma a detta del suo proprietario un negozio per Pozionisti non doveva avere i fronzoli di una boutique.

Chi fosse entrato in Filtri e Pozioni avrebbe, sicuramente, trovato alla cassa – una grossa cassa in ferro appollaiata su un lungo bancone – una donna minuta, le spalle strette e l’altezza modesta, che ogni mattina si pinzava i ciuffi biondi che le cadevano sul viso con una molletta a forma di gatto.

Si era presentata da Piton ormai una ventina di giorni prima. Lui ne era stato ben sorpreso, perché, naturalmente, non era abituato alle visite: aveva bussato attorno alle dieci del mattino per presentarsi con quelle parole che lui, purtroppo e per fortuna, non aveva potuto ignorare.

E ora eccola lì, a porgere sorrisi a clienti un po’ sorpresi, un po’ guardinghi.

Harry sapeva che quella mattina l’avrebbe trovata nel negozio. Passeggiando per Notturn Alley senza particolare enfasi, il giovane passò in rassegna i luoghi che lui stesso aveva fatto chiudere. Lì sorgeva la bottega che millantava di vendere potenti reliquie di Voldemort. Laggiù il negozio di un Mangiamorte era addormentato dal suo arresto. E qui e là, nei vicoli malfamati, l’Auror in incognito poteva anche notare altri traffici illegali che avrebbe volentieri sventato… ma sarebbe dovuto andare oltre. Quel giorno nessun Potter del Ministero stava camminando per quelle vie.

Quando fu a pochi passi dalla bottega dell’ex insegnante, Harry s’infilò in un vicolo buio sgombro, trasse dalla tasca la sua fida fiaschetta e ne bevve il contenuto. Il gusto nauseabondo della pozione Polisucco gli irruppe nella bocca.

Il ragazzo, che aveva indossato abiti e scarpe più larghe del solito, fu colto dall’ormai familiare sensazione di crescita. Il suo corpo aggiunse alcuni centimetri alla sua altezza, il suo petto si allargò e i capelli scombinati si ritrassero nel suo cuoio capelluto, diventando un fine, irto tappeto castano.

Jeremia Jill, impiegato all’Ufficio del Trasporto Magico, uscì dal vicolo e se ne filò direttamente nella bottega, aprendone la porta che scricchiolò con raffinato gusto gotico.

«Buongiorno!» trillò la voce argentina della donna dietro al bancone. Sorrideva cortese, le mani appoggiate sulla superficie perfettamente pulita.

Jeremia abbassò la testa cupamente in un saluto del tutto appropriato per la zona. Iniziò a camminare nello spazio angusto, guardandosi attorno: due grosse credenze mostravano bezoar, minerali di poco valore, giare piene di interiora di rospo e code di topo.

«Attenzione!» lo avvertì la donna quando, distrattamente, stava per inciampare in uno dei tavolini sparsi per la sala. Su di esso stava poggiato un teschio di bufalo.

Jeremia si voltò, non una parola, verso la parete su cui erano stati appesi diversi mazzi di erbe. Targhette di legno indicavano il nome dell’erba e il grado di freschezza che possedeva. Un altro tavolino, stavolta con un vaso pieno di ossicini. Jeremia si avvicinò al bancone.

«Cerco dell’oro» disse senza preamboli. «Oro in polvere. Mi serve per una pozione ringiovanente di terzo grado»

La donna dietro al bancone annuì.

«Arrivo subito allora» disse, prima di voltarsi e sparire oltre la porta che teneva alle spalle. Jeremia attese per un po’, guardandosi attorno. Poi la porta si aprì di nuovo e non fu solo la donna a uscirne ma anche un uomo dalla carnagione olivastra e i capelli corvini che, se non fosse stato per parecchi fattori, sarebbe potuto sembrare precisamente uguale a Piton.

Però non era lui, andiamo.

L’uomo aveva, innanzitutto, i capelli lunghi. Più lunghi del solito, comunque, e non solo sembravano lavati e spazzolati di fresco, ma erano anche legati in un nodo confusionario. Ed era anche vestito sì, di nero, ma non come un qualsiasi studente della vecchia Hogwarts se lo sarebbe aspettato, perché a contrastare i pantaloni neri indossava una camiciola di lino bianca che, probabilmente intento a mettere mano a quale intruglio, aveva arrotolato sugli avambracci.

«Cercava della polvere d’oro?» chiese l’uomo. Il tono della sua voce, invece, non era cambiato: strascicato, duro, quasi disinteressato. Però il dardeggiare dei suoi occhi esperti dimostrava il contrario.

«Sì» rispose semplicemente Jeremia. Piton lo squadrò, come riconoscendo qualcosa in lui, ma senza esitare trasse una bilancina da sotto il bancone e aprì la busta che aveva portato con sé.

«Quanto?» chiese.

«Due dramme» rispose Jeremia.

Piton versò una modesta quantità di polvere d’oro nella bilancina e, con occhio esperto, misurò e confezionò la merce. Poi consegnò la bustina alla donna, facendo un burbero cenno di saluto al cliente prima di sparire oltre la porta.

La donna sorrise a Jeremia.

«Sono cinquanta galeoni» disse.

Jeremia tirò fuori un sacchetto da cinquanta e li pose sul bancone. Poi sfilò dalle dita della commessa il pacchetto, salutò abbassando la testa e andò via.

Fuori, un vento gelido colse Jeremia. L’uomo iniziò a scendere lungo la via a passo lento, senza dare nell’occhio. Una volta in Diagon Alley si mischiò alla ressa che, quasi eterna, affollava la via dei negozi e lì, in un angolo di strada accanto al muro, si smaterializzò.

Riapparendo all’interno del locale di servizio dell’ascensore del suo palazzo, Harry diede una ginocchiata contro uno dei contatori che sbucavano dal muro e imprecò. Aprì la porta sbirciando, ma non vedendo nessuno si levò dallo stanzino umido e salì un paio di piani, entrando poi al numero 5 del palazzo.

Nel suo appartamento nessuno poteva materializzarsi o smaterializzarsi. Erano le protezioni più comuni accordate agli Auror per proteggere le mura domestiche. Harry si levò la giacca e l’appese ad uno dei ganci accanto alla porta d’ingresso, poi s’infilò in cucina e là lanciò sul tavolo, senza tanti complimenti, la bustina con le due dramme di oro in polvere.

«E cosa me ne faccio di cinquanta galeoni d’oro io…» mormorò, aprendo il frigo e prendendo il succo di arancia. Ne bevve un po’ direttamente dal cartone, pensieroso.

Aveva deciso da un bel pezzo di entrare nella bottega di Piton per sondare il terreno con Inga, ma non aveva messo in conto di sondarlo anche per quanto riguardava il commercio gestito dal suo ex insegnante. Però vedere che nulla di particolarmente prezioso era esposto gli aveva fatto specie e aveva inteso che, se avesse voluto spiare l’uomo a cui aveva salvato la vita più di un anno prima, avrebbe dovuto chiedere merce tenuta nel retro. E così la sua curiosità l’aveva avuta vinta.

Ed era stato strano. Non si era aspettato di vedere Piton cambiato, anzi. Non che il cambiamento fosse stato poi abnorme, ma era comunque evidente. Aveva un’aria più salubre, più curata e meditata. E poi vederlo senza le sue orribili palandrane aveva dimostrato che il fisico dell’uomo era comunque diverso da quelli dei soliti quarantenni con la pancia da birra. Era stato curioso e quasi piacevole, come spiare nella quotidianità di uno strano animale.

Harry ridacchiò tra sé e sé al pensiero. Piton era un piccolo rettile insensibile al caldo del deserto e lui era lo studioso che si imbacuccava nelle sahariane per andare a studiare.

Guardò l’orologio magico appeso sopra alla porta della cucina. Mancava ancora un bel po’ prima che la pozione finisse il suo effetto. Non che avesse fretta. Avrebbe dovuto ingannare il tempo finché non sarebbe stato pronto ad iniziare la seconda fase del suo piano.

 

Fu solo verso sera che l’Auror Potter poté tornare a Nocturn Alley. Aveva letto di nuovo il fascicolo sul suo obiettivo prima di vestirsi, poi, soddisfatto del proprio piano, era tornato per strada, a fendere il buio pesto che già era calato sulla città. Diagon Alley era una bomboniera di luci, dopo il tramonto: fu con piacere che Harry si appostò all’angolo da cui, poco prima, era partito per tornare a casa, attendendo che qualcuno si decidesse ad inciampare su di lui e sulla sua tazza di vin brulé.

Inga avrebbe dovuto smontare per le sei dalla bottega di Piton. Calcolando che probabilmente il vecchio acido l’avrebbe trattenuta, il tempo poi di salutare e di scendere lungo la via deserta, Harry sapeva che l’avrebbe incrociata entro breve.

E, infatti, non passò molto tempo prima di vederla avvicinarsi, sbucando dal buio di Nocturn Alley, i capelli biondi e il cappotto bianco bordato di pelliccia bordeaux che spiccavano nelle ombre della parte peggiore del centro. Harry attese di vederla arrivare al punto di non ritorno, poi allungò un passo e la donna e la sua tazza collisero perfettamente.

«Ehy!» esclamò lei, saltando su. Il vino caldo aveva macchiato il suo cappotto in una scia di violaceo disastro.

«Oh cielo» fece Harry. «Mi dispiace così tanto, io… permettimi»

Trasse la bacchetta e con un movimento si affrettò a riparare al danno mentre la donna lo guardava, la bocca socchiusa e l’espressione mista tra il divertito e l’arrabbiato.

Harry la guardò, desolato.

«Perdonami, camminavo rasente al muro per non essere spazzato via dalla gente ma ci siamo spazzati via a vicenda»

La donna sorrise.

«Non fa niente» disse. «Grazie di avermi pulito il cappotto»

Harry si strinse nelle spalle.

«Altrimenti avrei dovuto comprartene uno nuovo» scherzò, e lei fece una risata cristallina. Il suo viso pieno, tirato su da eleganti zigomi torniti, era di un candore eccezionale e, grandi e brillanti, sulla pelle spiccavano i suoi occhi castani.

«Mi chiamo Elena» si presentò lei, allungando una mano a Harry. Lui la prese e se la portò alle labbra.

«Sono Harry» fece lui. Elena abbassò le ciglia davanti alla galanteria dello sconosciuto e lui sorrise lievemente.

«Senti, lo so che probabilmente stavi correndo dal tuo ragazzo o a fare qualsiasi tu debba fare, ma… hai cenato?»

Elena rise ancora.

«Stavo correndo proprio a cenare» rispose. «Da sola. Nessun ragazzo»

«Allora mi permetti di offrirti qualcosa? C’è un bel posto poco lontano da qui… almeno posso rimediare alla brutta figura»

Elena lo guardò, sembrava studiarlo. Harry incassò tutti gli sguardi di lei, avvertendo quasi il suono dei suoi acuti meccanismi cerebrali. Ma finse così bene che lei sorrise e lo prese a braccetto.

«Quando uno sbadato gentile ti offre una cena non puoi rifiutare» disse.

S’incamminarono verso una taverna in cui Harry non era mai entrato se non con lo sguardo attraverso le vetrate da cui si vedevano le belle panche rivestite di cuscini rossi, i tavoli illuminati dalle candele e le coppie intente a discorrere. Il giovane aprì la porta ed entrò, tenendola poi a Elena.

«Che idillio» commentò lei. Harry non era sicuro le piacesse: sentiva, infondo, di non essere il solo a recitare. Però questo sentimento lo incuriosì ancora di più.

«Due?»

Una piccola cameriera si era avvicinata. Harry annuì e la ragazza scortò lui ed Elena ad un tavolo ben illuminato, imbandito di piatti di legno e fiori di poinsettia stregati che si aprivano e si chiudevano.

«Elena» disse Harry, gustandosi il suono di quel nome. «Non ho incontrato molte Elena nella mia vita»

La donna ridacchiò.

«Non che sia stata molto lunga, direi» commentò. Harry fece un cenno col capo.

«Touché» rispose. Lei si stava levando il cappotto, rivelando la tunica nera che le aveva visto addosso nella bottega.

«Ma comunque, io vengo dall’Ucraina» aggiunse a mo’ di risposta. «Il mio nome viene da laggiù»

La cameriera non permise a Harry di rispondere, presentando una lista poco variegata di bevande. Il giovane lasciò la scelta a Elena e, quando la cameriera si fu allontanata, poté continuare il discorso.

«Sono stato in Ucraina» disse con tono rievocativo. «Ero piccolo. In vacanza, coi miei zii»

Nulla di più falso la sua mente avrebbe potuto produrre. Però riuscì a far passare una subitanea ombra sul viso di Elena, che però la nascose bene.

«E cosa ricordi?» chiese. Nel mentre la bottiglia di sidro che aveva ordinato arrivò e Harry riempì i bicchieri. Elena afferrò subito il suo.

«Ah, Odessa» rispose Harry. «La Scalinata Potemkin. Mi sentivo minuscolo davanti a quelle scale. E la Cattedrale. Con quelle cupole fatte d’argento»

«In Russia dicono che le cupole delle nostre chiese siano dorate così che Dio possa scorgerle meglio» disse Elena. Harry le sorrise.

«Ed è certamente così, sono meravigliose. Di dove sei?»

«Turka» rispose Elena. «Molto lontana da Odessa»

Harry rise.

«Devo sembrare un turista ottuso» disse.

Elena scosse la testa.

«No, non lo sembri. Mi manca, il mio Paese» disse, una vena di nostalgia nella voce. Harry la studiò, gli occhi verdi illuminati dalla luce delle candele.

«Cosa ti ha portata qui?» chiese. Elena, che aveva iniziato a sfogliare il menu, gli lanciò uno sguardo ma rispose senza alzare la testa.

«Sono una Pozionista. Quando ho finito la scuola ho iniziato a fare la gavetta nelle botteghe pozionistiche del mio Paese ma ho sempre sognato di venire qui a lavorare con un uomo… un uomo famoso nel settore»

Harry alzò un sopracciglio, curioso, ma Elena si sporse verso di lui con un bel sorriso.

«Credo prenderò una bella zuppa di pomodoro» disse.

«Mi lasci con la curiosità di questo signore?» chiese il ragazzo, e lei rise, leggera.

«No, no. Si chiama Severus Piton. Lo hai mai sentito?»

Il viso di Harry scolorò.

«Piton?» ripeté. Lei annuì vigorosamente.

«Siete pronti per ordinare?»

La cameriera era tornata, taccuino magico alla mano. Elena non attese oltre e richiese subito la sua zuppa. Harry, un po’ stranito, ordinò lo stesso.

«Sono… sorpreso» disse poi, quando la ragazza fu andata via. «Sono stato suo allievo. Di Piton, intendo»

Elena spalancò i grandi occhi castani.

«Davvero?» esclamò, e parve sinceramente colpita. «E com’era? Insomma, è evidentemente un tipo strano e… oh, cielo, scusami, ma da quando sono qui non parlo praticamente con nessuno e la prima persona che conosco…»

«…conosce Piton» concluse per lei Harry. La donna sorrise, abbassando le lunghe ciglia. Era un gesto che faceva spesso, quando le persone di norma sarebbero arrossite. Il giovane si trovò a pensare che la bellezza di Inga era davvero senza limiti e un po’ gli dispiacque ricordarsi che sotto quella bella pelle e quei boccoli biondi si nascondeva una minaccia.

«Avanti, dimmi tutto, non essere timida» la incitò, e lei iniziò a parlare a raffica del vecchio, burbero, solitario Piton. Sentendone parlare Harry si rese conto di quanto fosse divertente affacciarsi sulle opinioni altrui circa quell’uomo. Inga ne era illuminata. La sua eccitazione circa il lavoro alla sua bottega sembrava perfettamente reale e, infondo, Harry credeva potesse esserlo. Ma perché era così interessata a Piton? Era solo per una fama che, ne era certo, l’ex professore aveva guadagnato nella comunità pozionista?

Inga si lamentava con fare delizioso del temperamento burbero di Piton. Harry rise di gusto quando lo imitò, raccontandole quanto difficile era sopportarlo a scuola. Poi vide i suoi occhi brillare quando trattò dell’enorme sapienza del Pozionista e lui si ritrovò ad annuire. La zuppa finì in un mare di parole e il sidro restò ancora finché i piatti non furono portati via.

«Scusami, credo di aver davvero parlato troppo» disse a quel punto Elena, portandosi una mano alla bocca. Harry le lanciò uno sguardo e lei, di nuovo, abbassò le ciglia.

«Non hai parlato troppo» disse lui. «È bello sentire quanto tu sia entusiasta del tuo lavoro»

«E tu?» chiese la donna. «Tu cosa fai?»

Harry sospirò.

«Io lavoro al Ministero» rispose. Scrollò le spalle. «Non il posto che desideravo, ma niente»

Gli occhi di Elena si erano induriti e Harry fece finta di non notarlo. Piuttosto chiese, innocente: «Dolce?»

Lei scosse la testa.

«Forse dovrei andare a casa, domani sarà una lunga giornata»

Harry pagò la cena senza preoccuparsi di mostrare a Elena la gran quantità di denaro che aveva con sé. Lei lo notò e gli sorrise cortesemente quando uscirono dal locale.

«Quindi, che cosa ti fanno fare al Ministero?» chiese.

«Oh, mi occupo di uso improprio dei manufatti Babbani» rispose Harry. «Sai, un water intasato qui, una chiave rimpicciolita là»

Elena annuì.

«Niente maghi oscuri da cacciare, allora» disse, strizzandogli l’occhio. Harry abbassò le spalle in un gesto teatrale e lei rise.

«Dai, anche noi possiamo essere interessanti» sorrise il ragazzo. «Non sono gli Auror a gestire tutti i disastri che fanno certi maghi»

Elena lo prese di nuovo a braccetto.

«Hai ragione. Siamo simili, io e te: tu a gestire i lati più basilari della magia, io a vendere la merce più basilare delle pozioni»

«Senza di noi nulla funzionerebbe, se ci pensi» rispose Harry, la voce più profonda. Elena lo guardò.

«Sì, è vero. Siamo modesti ma valiamo» rispose.

Camminarono per un po’ in silenzio, finché Elena non si fermò accennando, con la testa, ad un palazzo sghimbescio.

«Io ho qui il mio appartamento» disse. Si allontanò un passo da Harry, poi lo afferrò e gli pose tre baci sulle guance.

«Grazie mille. Mi sono divertita» aggiunse.

Harry cercò di stare al passo col saluto ma non riuscì e lei rise. Il giovane si sfiorò la tempia con un dito.

«Buonanotte, Elena, e grazie della compagnia. È stato splendido»

La donna abbassò la testa, poi si avvicinò alla porta. La aprì e prima di entrare guardò ancora Harry.

«Se passi da queste parti fammi un fischio» disse. «Mi piacerebbe uscire con te, qualche volta»

«Tra un water intasato e un bezoar venduto» aggiunse Harry. Elena annuì, poi alzò una mano in seguo di saluto e sparì.

Harry attese di vedere la porta chiudersi, poi attese ancora, così da sembrare un innamorato da filmetto Babbano da due soldi. Poi riprese la strada, sicuro di avere addosso un paio di occhi. Occhi malvagi.

 

  
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