L’incanto
del sangue di Re’em
1.
Non era troppo fuori dall’ordinario
che un mago appena diciannovenne diventasse Auror,
tutt’altro: erano proprio quelli i migliori, quelli che, M.A.G.O.
freschi freschi alla mano, si presentavano a
reclamare il loro posto nelle fila dei più prestigiosi, misteriosi e rispettati
agenti del Ministero. E non era neanche troppo strano che questi maghi
completassero un addestramento più breve del previsto, manlevati da bendisposti
superiori in grado di saper distinguere tra un buon Auror
e un ragazzo pieno di combustibile a rapido rilascio. Poteva essere solo
vagamente stupefacente che questi maghi ricevessero quindi, dopo il breve
addestramento, già i primi casi da seguire in solitaria o, addirittura, con il
supporto di una piccola squadra da dirigere. Era poi notabile quando questi Auror in erba, magari con i capelli neri e gli occhiali
tondi, agenti sottoposti piazzati in giro per Londra e cartelle ammucchiate
sulla scrivania, ricevevano un grosso ufficio personale nel Quartier Generale.
Questa era, naturalmente, la
situazione dell’Auror Potter che se ne stava, in
quella fredda mattina di Dicembre, seduto sulla sua poltrona, intento a leggere
il rapporto che uno dei suoi uomini gli aveva fatto trovare in ufficio.
Il Bambino che è Sopravvissuto, che
ormai di bambino non aveva più nulla, aveva iniziato a lavorare per il
Ministero non appena aveva guadagnato i propri M.A.G.O..
Gli era stato possibile farlo solo tornando a scuola per un anno, sì, ma ne era
valsa la pena: soltanto dopo i primi mesi al Ministero gli giunse voce che,
alla proposta di offrire posti di lavoro ai valorosi di guerra, la maggior
parte dei candidati presentatisi erano stati bugiardi, Confusi e spie in erba.
E poi la sua avventura finale ad Hogwarts aveva
portato tante novità nella sua vita.
L’Auror
Potter sbuffò, scorrendo le immagini che l’Auror
Richardson aveva scattato al loro uomo. Erano tutte identiche, una gran noia.
Quindi, le novità: per prima cosa,
vedere la McGranitt insediarsi come nuova Preside era
stato suggestivo e, senza sorprese, aveva aiutato l’intera comunità accademica
a risollevarsi in fretta dalla Battaglia di Hogwarts.
E poi tanti insegnanti si erano ritirati e molte cattedre erano state offerte a
giovani promettenti, come Neville che aveva da poco tenuto la sua prima lezione
di Erbologia. La scuola era rinata dalle sue ceneri
più portentosa di prima e Harry, che il suo cuore tenero se lo teneva stretto
sotto al distintivo cucito sulla divisa, era commosso di aver assistito a
quella rinascita.
Toc
toc.
L’Auror Potter
alzò gli occhi dalla cartella.
«Oh, finalmente» disse, tornando
rapidamente alla lettura. «Problemi in paradiso?»
L’Auror Weasley si lasciò cadere mollemente su una delle due sedie
che si opponevano alla scrivania di Harry.
«Il vero problema di aver sposato il
Ministro della Magia è che lei è
quella che non può permettersi di fare tardi quindi io sono quello che deve riparare i danni causati da uno gnomo che
si è ficcato nella nostra dispensa senza che nessuno se ne accorgesse» rispose
Ron.
Harry sorrise, divertito.
«Sei fortunato a lavorare per il tuo
migliore amico, allora» disse, il tono ironico ma vicino.
Ron alzò gli occhi al cielo.
«Con
quel cazzone del mio migliore amico. Novità?»
Harry gli porse la cartella che non
aveva ancora finito di leggere e Ron vi diede una scorta rapida.
«Praticamente questo non fa altro
che girare per fiorai senza comprare nulla» mormorò l’Auror
Weasley. «…e quindi?»
Harry alzò le spalle.
«Dovrebbe avere alle calcagna i medimaghi, non gli Auror»
aggiunse Ron restituendogli la cartella. Harry la prese e la gettò sulla pila
delle cartelle lette, poi si appoggiò alla scrivania coi gomiti.
«Come se la passa Hermione?» chiese.
«Oh, oggi aveva un incontro col nonsochi turco, mi sembra» rispose Ron. «Se
avessimo una pausa pranzo la vedresti più spesso, ma chi ha bisogno di una
pausa pranzo?»
Il giovane si massaggiò lo stomaco
prima di saltare in piedi.
«Dove vai?» chiese Harry,
aggrottando le sopracciglia. Ron gli sorrise.
«Aaah, sei
pessimo. Mi hai dato un turno da spendere con Morris
per evitare si metta a volare su una scopa per la Londra Babbana,
ricordi?»
Harry si schiaffò una mano sulla
fronte, lievemente, ma tanto da far risuonare un allegro ciack nell’ufficio.
«Scusa, Ron» disse. L’amico scosse
la testa color carota.
«Sarà divertente» rispose, andando
via con un occhiolino. Harry alzò la mano in risposta, per poi guardarsi
attorno, un po’ dispiaciuto di essere rimasto solo nella sua comoda, calda
gabbia dorata piena di lavoro da sbrigare. Afferrò la prossima cartella e si
rimise a leggere, poggiando i tacchi sulla scrivania.
Ora, le novità del suo ultimo anno
ad Hogwarts non sono finite. Lui e Ron erano stati
catapultati al secondo livello del Ministero, Hermione
invece al primo. Era dal 1811 che il ruolo di Ministro non veniva ricoperto da
una strega e proprio quell’anno la comunità magica aveva rimediato. Ora la
giovane donna era un uragano di disegni di legge, mozioni, trombature
di corrotti e tanti, troppo tea da sorseggiare ampliando le reti diplomatiche
della Gran Bretagna magica.
E poi, lei e Ron si erano sposati.
Era successo l’ottobre scorso, nella casa di campagna dei coniugi Granger. Harry conservava con geloso affetto la bomboniera
dello sposalizio, la teneva sul tavolino sotto alla finestra, in camera da letto:
una bolla di vetro in cui un Jack Russell e una lontra fatti di fumo
evanescenti giocavano eternamente.
Toc
toc.
Harry alzò nuovamente il viso verso
la porta aperta: sull’uscio una donna di mezza età attendeva, i grossi e spessi
occhiali in bilico su un finissimo naso pallido.
«Sì, Candice?»
fece Harry, tirando via i piedi dalla scrivania. Sapeva quanto alla sua
segretaria preferita desse fastidio trovarlo ad in-
«Inzozzare
in quel modo la scrivania!» esclamò la donna. «Signor Potter. La prego»
Harry sorrise.
«Dai, Candice,
siamo maghi, mi basta un colpo di bacchetta per pulire, no?»
Le strizzò l’occhio ma lei alzò un
sopracciglio in risposta.
«Oh, signor Potter» sospirò,
scuotendo la testa. Poi tirò su il mento scheletrico. «Il Ministro gradisce
vederla d’urgenza, temo. Prima che mi chieda cosa non vada, no, non so nulla»
Non appena aveva sentito la parola
“urgenza”, Harry era saltato in piedi, muovendosi a lunghe falcate verso la
porta.
«Grazie, Candice»
disse, allontanandosi dal proprio ufficio e dalla segretaria che lo salutava
con un cenno. Passando tra le scrivanie dei colleghi, il giovane salutò tutti
senza fermarsi, precipitandosi verso l’ascensore in cui due gemelli vestiti in
oro fissavano con sguardo vacuo il ragazzo ai comandi.
«Al primo livello, è urgente» lo
sollecitò Harry e il ragazzo annuì con foga, mentre i due gemelli iniziavano a
parlottare tra di loro.
«Noi eravamo prima» fece uno di loro
con voce flebile, alzando un dito nell’aria. L’ascensore arrivò al livello e
Harry, prima di scendere, diede loro una pacca sulla spalla ciascuno.
«Sappiate che, lasciandomi salire
per primo, avete dato una grande mano al nostro Paese» disse prima di
precipitarsi nel corridoio, lasciando i due a commentare colpiti su quel felice
servigio alla patria.
Arrivato alla porta dell’ufficio di Hermione, Harry la trovò aperta. Non c’era nessuno a
guardia: era così da quando la ragazza era diventata Ministro, non voleva che
nessuno perdesse tempo a difenderla. Quindi entrò senza esitare nella bella
stanza rotonda tutta in tinte purpuree, trovando Hermione
seduta alla sua scrivania, posta al centro della sala.
«Harry» disse la giovane, alzandosi.
Lui la raggiunse e si abbracciarono calorosamente.
«Mi dispiace non vederti mai» disse
la giovane.
«Ehy, il
Maragià turco era importante» sorrise Harry allontanandola gentilmente, le mani
sulle sue spalle. Hermione era luminosa nella sua
veste formale, il ritratto della passione.
Lei accennò un sorriso a sua volta.
«Non era un Maragià…
ma comunque, c’è una cosa importante»
Fece segno a Harry di sedere e lui
obbedì, in attesa.
«Avrei dovuto inviarti un file su
una strega oscura, in questi giorni» iniziò a raccontare la giovane. Allungò a
Harry una ciotolina piena di liquirizie e lui rifiutò
con un gesto.
«Solo che la fonte che ce l’ha
indicata tardava a dirci dove trovarla. È a Londra, vive una vita normale e
sembra possa essere un gran pericolo, così intendevo mandarti a indagare sul
posto. Solo oggi mi ha detto dove trovarla»
Harry raddrizzò la schiena, pronto,
ma al silenzio prolungato di Hermione dovette
lamentarsi.
«Dove sta?» fece allora. La giovane
lo guardò preoccupata.
«Harry, tu devi proteggere chi le
sta attorno» disse. «Ti prego di capire che non puoi fare distinzioni alcune»
«Ma cosa stai dicendo?» chiese
Harry, confuso. Hermione sospirò, allungandogli una
cartellina.
Lui la aprì. La foto di una donna
sorridente era pinzata all’interno: una donna non troppo giovane ma dal viso
liscio e tonico, incorniciato da lunghi capelli biondi. Il fascicolo indicava
il suo nome: Inga Volkov.
«Da dove viene?» chiese Harry.
«Il gufo che mi ha portato i suoi
dati veniva dal Ministero della Magia bielorusso» rispose Hermione.
Di stato libero, trentasette anni,
figlia di un pozionista e di una casalinga.
Purosangue. Nessun parente in vita.
«Non mi sembra così grave» considerò
Harry.
«I ritagli di giornale che trovi lì
sono tutti tradotti» si limitò a dire Hermione mentre
il ragazzo voltava le pagine, trovandoli.
Il primo trattava di un omicidio.
Era l’omicidio di due coniugi, un pozionista e sua
moglie. Trovati riversi a terra sul pavimento della loro cucina. La figlia, Inga, che non vedevano da mesi, si diceva sconvolta. Il
secondo ritaglio trattava dello strano, orribile caso di un bambino, trovato
privo di vita in un bosco. Il suo cuore mancava.
Poi venne il terzo ritaglio e,
stavolta, chi era stata trovata morta e senza il cuore era una ragazzina. Poi
due fratelli, l’uno di tre, l’altro di sei anni. E infine una ragazza, una
giovane uccisa nella sua casa e trovata senza cuore in petto la mattina del suo
matrimonio.
«Mozyr, Vidzy, Olevsk» lesse Harry. «E
poi Dresda. E poi Kolding. Ha girato mezza Europa»
Hermione annuì.
«Ma dov’è ora, Hermione?
Perché mi hai fatto quel discorso?» chiese il giovane.
«L’ho appuntato nel fascicolo» rispose
la ragazza, osservandolo.
Harry, sbuffando, continuò a
leggere. Era a Londra da poco, si faceva chiamare Elena Kinach.
Aveva trovato lavoro da poche settimane: un lavoro da commessa. Notturn Alley. Filtri e Pozioni…
«Piton?»
esclamò Harry, alzando gli occhi su Hermione. Lei
sospirò di nuovo.
«Devi avvicinarti a lei, Harry. Non
sappiamo cosa voglia. Ho già richiamato i più prominenti esperti ma non abbiamo
ancora nessun’idea. Devi proteggere Piton e aspettare
che faccia una mossa falsa per fermarla»
Harry soppesò la cartellina.
«Ma come faccio?» chiese piano. «Lo
sai che i rapporti con Piton sono…
beh, quelli che sono»
Hermione si appoggiò alla scrivania con un
gomito, puntando il mento sul pugno chiuso.
«Diventa suo amico. Amico di Inga» si affrettò
a spiegare vedendo la bocca di Harry aprirsi per lasciar uscire una lamentela.
«Sei il migliore»
Harry la osservò, cercando nelle sue
pupille nocciola. Ci leggeva preoccupazione, un velo di stanchezza e tanta
tenacia. Intravedeva anche il pezzo di torta che Molly aveva mandato a lei e a
Ron e che sperava di mangiare, la sera, sul divano. E vedeva anche la stima che
nutriva nei suoi confronti.
«Tenterò» disse Harry. Agitò in aria
la cartellina. «Questa la tengo io. Piton non sa
nulla, vero?»
«Non saprà nulla se non da te»
rispose Hermione. L’Auror
Potter si alzò e con lui lo fece anche il Ministro Granger,
che si affrettò a raggiungerlo dall’altra parte della scrivania e ad
abbracciarlo con slancio.
«Grazie» disse la giovane. Harry le
accarezzò la schiena a mano aperta.
«Il lavoro è il lavoro» rispose. «Ci
vediamo presto, ok?»
Hermione annuì.
«E mi raccomando, sta attento»
aggiunse. Sciolsero l’abbraccio e Harry iniziò a camminare verso la porta.
«Sono morto da poco, non voglio
ripetere presto l’esperienza, tranquilla» disse, un ghigno rassicurante sul
volto. I due si guardarono ancora per un istante, quella voglia di chiudersi in
ufficio a parlare e a mangiare dolci tutto il giorno che si faceva sempre più
ingombrante. Ma poi Harry se ne andò e in mano gli restò la cartellina e una
vaga nostalgia dei suoi migliori amici.
Riuscirono ad accordarsi per cenare
assieme, la sera dopo quel giorno d’inverno, a furia di parlarsi correndo per
il Quartier Generale o tramite aeroplani di carta violacea. Solo Harry, Ron e Hermione, così come ai vecchi tempi. Perché Harry non si
lamentava di certo dell’unione dei suoi migliori amici, anzi, da quando si
erano sposati erano forse ancora più divertenti perché l’acidità di Hermione e la goliardia di Ron sembravano essersi moltiplicate.
Così si trovarono davanti al loro ristorante Babbano
preferito, un italiano senza troppe pretese a Brixton
e, davanti ad un piatto di gnocchi al pomodoro, una porzione di lasagne ai
funghi e dei bocconcini di anatra alle cipolle, i tre amici si godettero una
lunga e ridanciana cena a lume di candela.
Erano al dolce quando Ron si pulì la
bocca col tovagliolo e si allungò verso Harry.
«E ora il momento dell’antipatico
della festa» sorrise, facendo voltare con espressioni curiose gli altri.
«Antipatico?» chiese Hermione. Ron annuì.
«Dai, lo so che Harry sta lavorando
a qualcosa di grosso per te» spiegò. Harry rivoltò il proprio tiramisù col
cucchiaino.
«Ma no, Ron, cosa dici?» fece Hermione, ma il giovane restò con un sorrisino slavato
sulle labbra. Harry guardò la ragazza con sguardo allertato e lei sospirò.
«Bene» fece. «Abbiamo un problema,
sì, ma non ne dovremmo parlare» disse.
Harry guardò Ron e vide la delusione
sul suo viso, quindi intervenne.
«Qualcuno ha accolto nella sua
bottega una mina vagante» spiegò, ignorando le occhiate di Hermione.
«E mi tocca andare a salvare il culo a Piton»
La giovane alzò un suono di protesta
ma Ron, colpito, fece scorrere lo sguardo azzurrino su entrambi prima di
scoppiare a ridere.
«Ok, ora capisco» disse. «Sono due giorni
che non ti vedo sorridere. Due! E Hermione che gira
per casa tutta nervosa senza aprire la porta a quel povero ciccione di Grattastinchi»
«Non è un ciccione» lo difese
debolmente Hermione.
Harry aggrottò la fronte in modo
teatrale.
«No, tesoro, certo» disse,
fintamente rassicurante. «È solo obeso»
La ragazza si adombrò un momento
prima di ridere assieme ai due giovani.
«Va bene, va bene» disse Ron.
«Credevo sinceramente fosse qualcosa di estremamente grave»
«Può esserlo» puntualizzò Hermione.
I tre rimasero un attimo in
silenzio.
«Ma ho già un piano» sorrise poi
Harry. Guardò il suo migliore amico, posando una mano sul suo braccio. «E nel
piano tu sei la mia più grossa speranza»
Quando la Guerra finì, i morti
furono sepolti e le case ricostruite, molti rapporti costituitisi negli anni
più bui andarono a picco. Non fu il caso di Fleur e
Charlie, anche se il loro matrimonio era stato l’emblema della disperata fretta
di unirsi, né di Remus e Sirius,
i cui sentimenti rimasti sopiti per così tanti anni continuavano a friggere
nell’aria della loro casetta nella periferica di Londra. Era stato, però il
caso di Harry e Ginny, i quali un giorno, seduti su
una panchina, si erano resi conto che loro, più di un fratello e una sorella,
non potevano essere. Così si erano lasciati in comune accordo, Ginny aveva intrapreso una burrascosa relazione con il
rampollo dei Malfoy e Harry aveva scoperto che quel
freno che, nel retro della mente, aveva sempre sentito nei confronti di Ginny in camera da letto era dato dal fatto che, tra un
seno e un paio di boxer lui preferiva di gran lunga i boxer.
La loro rottura non aveva alterato
gli equilibri tra Harry e i Weasley: Ginny era stata troppo ottimista dopo quella mattinata al
parco e Ron non poté dire nulla al suo migliore amico, perché nessuna sorellina
era stata abbandonata. E la rivelazione sui gusti di Harry era stata accolta
con poca sorpresa da Hermione, con un po’ di
stranezza passeggera da Ron e un profondo disinteressamento dal resto del
mondo. Così, quando Molly e Artur seppero, l’una pose
sul tavolo la sua torta di rabarbaro preoccupata di non sconquassarla e l’altro
afferrò il coltello per tagliarla, congratulandosi con Harry senza staccare gli
occhi dal dolce ancora fumante. E quando era stata la volta di dirlo a Sirius e a Remus la scena fu più
o meno la stessa, solo che sul tavolo furono posti un bel piatto di patate al
forno e delle fette di carne alla piastra.
Fu, per Harry, una delle belle
novità portate dall’ultimo anno nella nuova Hogwarts.
Per questo il suo rapporto con Ron
non si era incrinato, anzi, sembrava che tra loro la vicinanza fosse ancora più
profonda ora, dopo che Harry e Ginny si erano
salutati e Ron e Hermione avevano detto “sì”. Ed era
questa la causa del grande entusiasmo del giovane Weasley
davanti al nuovo compito affidatogli da Harry: essere il suo aggancio e il suo
sostituto in ufficio ora che lui doveva seguire una pista esterna. Inutile
nascondere che Hermione accolse la notizia con un
sorrisetto preoccupato.
Fu così che Harry, la settimana dopo,
poté uscire dal suo appartamento nella Londra Babbana
in jeans e cappotto, lasciando in un cassetto sigillato magicamente il
distintivo. L’aria fredda lo accolse coi suoi baci irti di spilli e un gioioso
via vai sul marciapiede lo colse, trascinandolo in una fiumana composta di
pochi salmoni danzanti verso una piccola, oscura bottega in un angolo poco
battuto di Notturn Alley.