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Autore: Niglia    23/06/2009    11 recensioni
{Vecchio titolo: The Wrong Man}
Giulia è una normale ragazza di 18 anni; va a scuola, esce con le amiche e, quando capita, con qualche ragazzo, ma non è certo alla ricerca del Principe Azzurro.
Sembra l'inizio di un'estate come le altre quando, all'improvviso, compare Enrico: l'erede di un impero criminale, bello e affascinante, che si invaghisce di lei e la obbliga, un po' con le buone e un po' con le cattive, a frequentarlo...
"I tuoi amici non sanno dove sei, però loro sono al sicuro." Mormorò, avvicinando le labbra al mio orecchio e facendomi rabbrividire con il suo caldo respiro. "Cerca di fare in modo che rimangano tali... Se mi disobbedisci in qualsiasi modo, farò loro del male, e ti assicuro che sembrerà un incidente."
Parlava come farebbe un amante nell'intimità di una camera da letto, con la stessa voce calda e rassicurante, leggermente roca: eppure le sue parole erano tutto fuorchè rassicuranti. La sua era una minaccia bella e buona...
[dal Capitolo 7]
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Et voilà, eccomi qua!
Nuovo aggiornamento :) Ragazze, vi ringrazio immensamente per i vostri complimenti, mi fate arrossire e non sto scherzando! Mi fa piacere che la storia vi piaccia, e mi fa ancora più piacere che vi piaccia la mia scrittura!! Wao :.)
Bene, ringrazio coloro che hanno messo la mia storia tra le preferite (un baciooo!!), tra le seguite (smack :*), e ovviamente ringrazio SweetCherry, Merry NIcEssus, silvietta_in love 4ever, nimi_chan, ladydramione che mi hanno recensito!! Vi abbraccio tantissimo, ragazze :)
Adesso vi lascio con il nuovo capitolo! Buona lettura!
Baciiiii :*

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 Capitolo VI










 

 

 

Erano trascorsi più o meno una decina di minuti da quando quei ragazzi mi avevano rapita. La macchina stava viaggiando a 90 all’ora, e con quella velocità eravamo già usciti dal paese e ci stavamo dirigendo verso la campagna. Entrai nel panico quando mi accorsi che la stradina sterrata che stavamo percorrendo attraversava un boschetto che non avevo mai visto prima, come se ci stessimo dirigendo in una zona impossibile da trovare persino su una mappa. Fantastico.

Le uniche luci che illuminavano il sentiero erano quelle dei fari dell’auto, che tuttavia non erano sufficienti a permettermi di capire in che posto mi stessero portando. Tuttavia loro non sembravano preoccuparsene: o conoscevano benissimo quella zona perché l’avevano percorsa un sacco di volte, oppure avevano solo intenzione di scaricarmi nel primo posto isolato che avessero trovato. La mia mente si rifiutò categoricamente di approfondire in che condizioni sarei stata a quel punto.

Deglutii, sollevando una mano ad asciugarmi le lacrime che non avevano ancora smesso di scorrere. A quel gesto notai che Stefano, il ragazzo alla mia destra, aveva armeggiato con le tasche dei suoi pantaloni, per poi avvicinarsi a me e porgermi un fazzoletto di stoffa bianca. Sbattei più volte le palpebre per accertarmi di non stare sognando: ma lui fece un pallido sorriso che mi incoraggiò, e questo bastò per convincermi a prendere il suo fazzoletto.

Mentre mi asciugavo gli occhi, sentii che Lorenzo, a sinistra, sbuffava scocciato per poi chinarsi su di me: istintivamente mi scostai, ma ciò non bastò ad allontanarlo.

“Sei spaventata?” Chiese, beffardo. La sua mano giunse a sfiorarmi il collo, ritirandomi poi i capelli e seppellendo il suo volto nell’incavo tra la spalla e la clavicola. “Eppure non mi sembravi così impaurita l’altro giorno, al bar…”

Mi divincolai e riuscii a guardarlo in cagnesco, malgrado il buio della vettura non lo permettesse granché. “Stammi lontano.” Sibilai, non riuscendo però ad impedire che le nostre gambe si sfiorassero. Ho sempre detestato sedermi nel sedile posteriore centrale, soprattutto se dovevo dividerlo con altre persone. E ora sapete perché.

A quel punto per fortuna intervenne Stefano. “Stuzzicala di nuovo e ti faccio proseguire a piedi, Lorenzo.” Lo minacciò, con voce dura. “Mi hai proprio rotto con le tue stronzate.”

L’altro ragazzo sollevò le mani in segno di resa, ma non ci cascai: la sua espressione era tutto fuorché arrendevole. “Come vuoi, capo.” Rispose ironico, mettendo tutto il sarcasmo di cui disponeva su quell’unica parola. Stefano fu abbastanza saggio da non raccogliere la sua provocazione, altrimenti quella battaglia verbale si sarebbe protratta per tutta la notte. Per un attimo fui sinceramente curiosa di sapere come si sarebbe comportato Lorenzo di fronte ad Enrico, giusto per vedere se si sarebbe sgonfiato un pochettino.

Più tempo trascorrevo in compagnia di quel ragazzo più mi si rompevano le scatole. Sperai se non altro che quel ‘piacevole viaggetto’ fosse quasi giunto al termine.

Come se avesse capito ciò che stavo pensando, il ragazzo che sedeva accanto alla guida annunciò, ad alta voce: “Siamo quasi arrivati.”

Perfetto. Stavo per incontrare il mio carceriere.

 

Quando vidi la villa rimasi letteralmente senza parole, tanto che dovetti affacciarmi tra i due sedili anteriori per poterla ammirare meglio.

L’edificio era stato costruito sopra una piccola collinetta, e sembrava sorgere dal nulla in mezzo al verde, quasi completamente nascosto dalla vegetazione e dalle alte querce se non fosse stato per le luci che ne illuminavano la facciata. Man mano che la macchina si avvicinava riuscivo a scorgere sempre più particolari. Per esempio, mi accorsi che era composta da tre piani, e che ricalcava perfettamente la struttura di una di quelle splendide ville toscane che avevo più volte visto nelle riviste o nei documentari. Era impossibile definire il colore del muro, perché una fitta edera rampicante lo ricopriva pressoché tutto, lasciando visibili solo le finestre e il portone d’ingresso, pesante e massiccio.

Ma dove ero finita? Che cosa ci potevo fare io in quel posto?

Una parte di me avrebbe tanto voluto scappare, per diversi e logici motivi: punto primo, ero stata rapita da quattro ragazzi che non conoscevo, tra cui ne spuntava uno che, da come si comportava, non sembrava aver voglia di rimanere a chiacchierare con me amabilmente; punto secondo, non avevo idea di quali fossero le loro intenzioni, ma per quello che ne sapevo io – una ragazza deve sempre tenersi informata, e io guardavo abbastanza telegiornali da esserlo – potevano anche voler abusare di me e poi gettare il mio corpo senza vita nel primo fosso disponibile… Troppo drammatica? Okay, ma il punto terzo sottolineava che mi avevano portata in una villa che avrei detto abbandonata, in un luogo dimenticato da Dio e sicuramente sconosciuto alle persone che sarebbero potute accorrere in mio aiuto: cosa che comunque non avrebbero potuto fare, visto che durante il tragitto Stefano si era premunito di portarmi via il cellulare che, ad ogni modo, in quel posto non prendeva!

Malgrado questa simpatica ed idilliaca visione, tuttavia, c’era un’altra parte di me che moriva dalla voglia di sapere chi si nascondeva all’interno di quella ricca e fastosa villa di inizio Novecento, e soprattutto che cosa poteva mai volere da me – escluso quello che affermava il già citato secondo punto.

Comunque c’era qualcosa, come una delicata vocina dentro la mia testa, che mi diceva che non avrei tardato a scoprirlo.

Finalmente infatti la macchina parcheggiò, fermandosi quasi di fronte all’enorme portone di legno istoriato. Stefano e Lorenzo aprirono lo sportello e scesero dall’auto quasi simultaneamente, ma non fu difficile per me scegliere di scendere dalla parte di Stefano. La prudenza non è mai troppa, come si dice.

“Non preoccuparti, andrà tutto bene.” Sussurrò quest’ultimo al mio orecchio, stringendomi una spalla incoraggiante. “Nessuno ti farà del male.”

Quanto avrei desiderato potergli credere!

Ci dirigemmo tutti verso l’entrata della casa, circondati dall’intimo silenzio della notte. C’era un po’ di venticello che mi scompigliava i capelli, e il profumo del bosco mi rammentò che quello in cui mi trovavo era tutto tranne che un sogno. Magari un incubo.

Il ragazzo che aveva guidato e di cui ancora non conoscevo il nome si avvicinò al portone e afferrò uno dei battenti, sbattendolo con decisione e facendo rimbombare il rumore in tutta la casa. Non dovemmo aspettare molto prima che qualcuno arrivasse ad aprirci: tuttavia non fu nessun maggiordomo in stile Dracula o famiglia Addams, e già questo fu, per me, un sospiro di sollievo non indifferente. Almeno mi trovavo ancora sulla Terra.

Chi aprì la porta fu invece un altro ragazzo, più o meno della stessa età dei miei ‘rapitori’, o forse più giovane: era vestito come loro, jeans scuri e camicia bianca a maniche corte, ma il suo abbigliamento faceva a pugni con il colore rossiccio dei suoi corti boccoli e le leggere efelidi spruzzate sulle guance. A primo acchito mi sembrò subito simpatico.

“Finalmente siete arrivati.” Disse evidentemente sollevato, facendosi da parte per permetterci di entrare. Anche la sua voce sembrava quella di un ragazzino: se aveva compiuto diciassette anni era troppo. “Il capo stava già iniziando ad innervosirsi.”

Stefano abbozzò un sorriso, invitandomi a precederlo dentro casa. “Non preoccuparti, Enrico abbaia ma non morde. Non con i suoi amici, almeno.”

Il ragazzino sgranò leggermente gli occhi, scuotendo poi la testa nel chiudere la porta dietro di noi. “Venite, è in biblioteca.”

Quella frase mi suonò stranamente estranea e al contempo familiare: avevo l’impressione di essere catapultata in una dimensione parallela alla mia! Quella villa aveva una vera biblioteca? Come quella dei libri? Wao, forse non era del tutto la mia giornata sfortunata.

Il nostro era un vero e proprio corteo: davanti c’era il ragazzino che ci aveva aperto la porta, subito dopo seguito da me e Stefano, mentre gli altri chiudevano le fila. Il disagio che avevo provato mentre ero in macchina tornò come a colpirmi con forza, facendomi rabbrividire. Mio Dio.

Adesso avrei scoperto che cosa ci facevo lì, ma la domanda era un’altra… Avrei davvero voluto scoprirlo? Perché non potevo essere insieme ad Alessandra, come sempre? Avevo una voglia incontrollata di piangere, ma non avevo nessuna intenzione di farmi vedere in lacrime anche da Enrico, se era davvero da lui che stavamo andando.

Quando raggiungemmo la fine del lungo corridorio si fermarono tutti, e il ragazzo dai capelli rossi bussò deciso alla porta della biblioteca. Da dentro provenne la voce che non avrei mai creduto di risentire in una situazione simile. “Avanti.” Disse, solo.

Stefano mi spinse gentilmente in avanti, avvicinandomi alla porta. “Devi entrare da sola, Giulia.” Mormorò piano, vicino al mio orecchio. “Enrico non ama che noi invadiamo la sua biblioteca.”

Mi voltai verso di lui, inarcando un sopracciglio. “E allora perché mai dovrei entrarci io?” Replicai, forse con più amarezza del necessario.

Il ragazzo fece uno strano sorriso e poi scrollò le spalle. “Beh, è abbastanza chiaro, in realtà.”

“Per me non lo è.”

Sospirò, e mi sembrò sinceramente preoccupato. “Non ti farà niente. Vuole solo parlare, ma noi non possiamo entrare nella sua biblioteca. Comunque staremo qui fuori, se può farti sentire più tranquilla.”

Scossi la testa e aprii la bocca per ribattere, ma lui me lo impedì. “No, senti: non è con me che devi arrabbiarti o discutere. Parla con lui, anche perché forse avrà più risposte di quante potrei dartene io. Okay? Tranquilla.”

Aprì la porta, spingendomi piano verso di essa e riuscendo a farmi entrare nella stanza. Gli lanciai un’occhiataccia, perché se non mi fossi mostrata arrabbiata avrei sicuramente finito per piangere, ma lui mi sorrise dolcemente e mi salutò con la mano.

La porta si richiuse, ed io rimasi ad osservarla, stupita e spaventata, nella sciocca attesa che si riaprisse. Visto che questo non accadeva afferrai con entrambe le mani la maniglia, abbassandola e cercando di sforzarla per aprirla, ma evidentemente era stata chiusa a chiave, oppure da fuori la stavano tenendo. Imprecai a bassa voce, prima di abbandonare il mio debole tentativo di fuga.

Mi poggiai con la schiena alla porta, chinando la testa e nascondendo il viso tra le mani. Avevo paura. Mio Dio, non credevo di essere mai stata così spaventata come in quel momento. Stefano aveva detto che nessuno mi avrebbe fatto del male, si, certo! Come si potevano aspettare che io credessi a quelle storie?

Poi, improvvisamente, mi accorsi di non essere più sola. Il mio corpo all’erta aveva  avvertito la presenza di un estraneo, e subito raddrizzai la testa, pronta a scattare, o comunque a cercare di nascondermi o fuggire…

Lui era lì. “Benvenuta.” Disse, con un sorriso.

Adesso sì che mi sentivo davvero in trappola.

 

 

 

 

 

 

 


   
 
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