Nuovo aggiornamento :) Ragazze, vi ringrazio immensamente per i vostri complimenti, mi fate arrossire e non sto scherzando! Mi fa piacere che la storia vi piaccia, e mi fa ancora più piacere che vi piaccia la mia scrittura!! Wao :.)
Bene, ringrazio coloro che hanno messo la mia storia tra le preferite (un baciooo!!), tra le seguite (smack :*), e ovviamente ringrazio SweetCherry, Merry NIcEssus, silvietta_in love 4ever, nimi_chan, ladydramione che mi hanno recensito!! Vi abbraccio tantissimo, ragazze :)
Adesso vi lascio con il nuovo capitolo! Buona lettura!
Baciiiii :*
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Erano
trascorsi più o meno una decina di minuti da quando
quei ragazzi mi avevano rapita. La macchina stava viaggiando a 90
all’ora, e
con quella velocità eravamo già usciti dal paese
e ci stavamo dirigendo verso
la campagna. Entrai nel panico quando mi accorsi che la stradina
sterrata che
stavamo percorrendo attraversava un boschetto che non avevo mai visto
prima,
come se ci stessimo dirigendo in una zona impossibile da trovare
persino su una
mappa. Fantastico.
Le
uniche luci che illuminavano il sentiero erano quelle dei
fari dell’auto, che tuttavia non erano sufficienti a
permettermi di capire in
che posto mi stessero portando. Tuttavia loro non sembravano
preoccuparsene: o
conoscevano benissimo quella zona perché l’avevano
percorsa un sacco di volte,
oppure avevano solo intenzione di scaricarmi nel primo posto isolato
che
avessero trovato. La mia mente si rifiutò categoricamente di
approfondire in
che condizioni sarei stata a quel punto.
Deglutii,
sollevando una mano ad asciugarmi le lacrime che
non avevano ancora smesso di scorrere. A quel gesto notai che Stefano,
il
ragazzo alla mia destra, aveva armeggiato con le tasche dei suoi
pantaloni, per
poi avvicinarsi a me e porgermi un fazzoletto di stoffa bianca. Sbattei
più
volte le palpebre per accertarmi di non stare sognando: ma lui fece un
pallido
sorriso che mi incoraggiò, e questo bastò per
convincermi a prendere il suo
fazzoletto.
Mentre
mi asciugavo gli occhi, sentii che Lorenzo, a
sinistra, sbuffava scocciato per poi chinarsi su di me: istintivamente
mi
scostai, ma ciò non bastò ad allontanarlo.
“Sei
spaventata?” Chiese, beffardo. La sua mano giunse a
sfiorarmi il collo, ritirandomi poi i capelli e seppellendo il suo
volto
nell’incavo tra la spalla e la clavicola. “Eppure
non mi sembravi così
impaurita l’altro giorno, al bar…”
Mi
divincolai e riuscii a guardarlo in cagnesco, malgrado il
buio della vettura non lo permettesse granché.
“Stammi lontano.” Sibilai, non
riuscendo però ad impedire che le nostre gambe si
sfiorassero. Ho sempre
detestato sedermi nel sedile posteriore centrale, soprattutto se dovevo
dividerlo con altre persone. E ora sapete perché.
A
quel punto per fortuna intervenne Stefano. “Stuzzicala di
nuovo e ti faccio proseguire a piedi, Lorenzo.” Lo
minacciò, con voce dura. “Mi
hai proprio rotto con le tue stronzate.”
L’altro
ragazzo sollevò le mani in segno di resa, ma non ci
cascai: la sua espressione era tutto fuorché arrendevole.
“Come vuoi, capo.”
Rispose ironico, mettendo tutto il sarcasmo di cui disponeva su
quell’unica
parola. Stefano fu abbastanza saggio da non raccogliere la sua
provocazione,
altrimenti quella battaglia verbale si sarebbe protratta per tutta la
notte.
Per un attimo fui sinceramente curiosa di sapere come si sarebbe
comportato
Lorenzo di fronte ad Enrico, giusto per vedere se si sarebbe sgonfiato
un
pochettino.
Più
tempo trascorrevo in compagnia di quel ragazzo più mi si
rompevano le scatole. Sperai se non altro che quel ‘piacevole
viaggetto’ fosse
quasi giunto al termine.
Come
se avesse capito ciò che stavo pensando, il ragazzo che
sedeva accanto alla guida annunciò, ad alta voce:
“Siamo quasi arrivati.”
Perfetto.
Stavo per incontrare il mio carceriere.
Quando
vidi la villa rimasi letteralmente senza parole, tanto
che dovetti affacciarmi tra i due sedili anteriori per poterla ammirare
meglio.
L’edificio
era stato costruito sopra una piccola collinetta,
e sembrava sorgere dal nulla in mezzo al verde, quasi completamente
nascosto
dalla vegetazione e dalle alte querce se non fosse stato per le luci
che ne
illuminavano la facciata. Man mano che la macchina si avvicinava
riuscivo a
scorgere sempre più particolari. Per esempio, mi accorsi che
era composta da
tre piani, e che ricalcava perfettamente la struttura di una di quelle
splendide ville toscane che avevo più volte visto nelle
riviste o nei
documentari. Era impossibile definire il colore del muro,
perché una fitta
edera rampicante lo ricopriva pressoché tutto, lasciando
visibili solo le
finestre e il portone d’ingresso, pesante e massiccio.
Ma
dove ero finita? Che cosa ci potevo fare io in quel
posto?
Una
parte di me avrebbe tanto voluto scappare, per diversi e
logici motivi: punto primo, ero stata rapita da quattro ragazzi che non
conoscevo, tra cui ne spuntava uno che, da come si comportava, non
sembrava
aver voglia di rimanere a chiacchierare con me amabilmente; punto
secondo, non
avevo idea di quali fossero le loro intenzioni, ma per quello che ne
sapevo io
– una ragazza deve sempre tenersi informata, e io guardavo
abbastanza
telegiornali da esserlo – potevano anche voler abusare di me
e poi gettare il
mio corpo senza vita nel primo fosso disponibile… Troppo
drammatica? Okay, ma
il punto terzo sottolineava che mi avevano portata in una villa che
avrei detto
abbandonata, in un luogo dimenticato da Dio e sicuramente sconosciuto
alle
persone che sarebbero potute accorrere in mio aiuto: cosa che comunque
non
avrebbero potuto fare, visto che durante il tragitto Stefano si era
premunito
di portarmi via il cellulare che, ad ogni modo, in quel posto non
prendeva!
Malgrado
questa simpatica ed idilliaca visione, tuttavia,
c’era un’altra parte di me che moriva dalla voglia
di sapere chi si nascondeva
all’interno di quella ricca e fastosa villa di inizio
Novecento, e soprattutto
che cosa poteva mai volere da me – escluso quello che
affermava il già citato
secondo punto.
Comunque
c’era qualcosa, come una delicata vocina dentro la
mia testa, che mi diceva che non avrei tardato a scoprirlo.
Finalmente
infatti la macchina parcheggiò, fermandosi quasi
di fronte all’enorme portone di legno istoriato. Stefano e
Lorenzo aprirono lo
sportello e scesero dall’auto quasi simultaneamente, ma non
fu difficile per me
scegliere di scendere dalla parte di Stefano. La prudenza non
è mai troppa,
come si dice.
“Non
preoccuparti, andrà tutto bene.”
Sussurrò quest’ultimo
al mio orecchio, stringendomi una spalla incoraggiante.
“Nessuno ti farà del
male.”
Quanto
avrei desiderato potergli credere!
Ci
dirigemmo tutti verso l’entrata della casa, circondati
dall’intimo silenzio della notte. C’era un
po’ di venticello che mi
scompigliava i capelli, e il profumo del bosco mi rammentò
che quello in cui mi
trovavo era tutto tranne che un sogno. Magari un incubo.
Il
ragazzo che aveva guidato e di cui ancora non conoscevo il
nome si avvicinò al portone e afferrò uno dei
battenti, sbattendolo con
decisione e facendo rimbombare il rumore in tutta la casa. Non dovemmo
aspettare molto prima che qualcuno arrivasse ad aprirci: tuttavia non
fu nessun
maggiordomo in stile Dracula o famiglia Addams, e già questo
fu, per me, un
sospiro di sollievo non indifferente. Almeno mi trovavo ancora sulla
Terra.
Chi
aprì la porta fu invece un altro ragazzo, più o
meno
della stessa età dei miei ‘rapitori’, o
forse più giovane: era vestito come
loro, jeans scuri e camicia bianca a maniche corte, ma il suo
abbigliamento
faceva a pugni con il colore rossiccio dei suoi corti boccoli e le
leggere
efelidi spruzzate sulle guance. A primo acchito mi sembrò
subito simpatico.
“Finalmente
siete arrivati.” Disse evidentemente sollevato,
facendosi da parte per permetterci di entrare. Anche la sua voce
sembrava
quella di un ragazzino: se aveva compiuto diciassette anni era troppo.
“Il capo
stava già iniziando ad innervosirsi.”
Stefano
abbozzò un sorriso, invitandomi a precederlo dentro
casa. “Non preoccuparti, Enrico abbaia ma non morde. Non con
i suoi amici,
almeno.”
Il
ragazzino sgranò leggermente gli occhi, scuotendo poi la
testa nel chiudere la porta dietro di noi. “Venite,
è in biblioteca.”
Quella
frase mi suonò stranamente estranea e al contempo
familiare: avevo l’impressione di essere catapultata in una
dimensione
parallela alla mia! Quella villa aveva una vera
biblioteca? Come quella
dei libri? Wao, forse non era del tutto la mia giornata sfortunata.
Il
nostro era un vero e proprio corteo: davanti c’era il
ragazzino che ci aveva aperto la porta, subito dopo seguito da me e
Stefano,
mentre gli altri chiudevano le fila. Il disagio che avevo provato
mentre ero in
macchina tornò come a colpirmi con forza, facendomi
rabbrividire. Mio Dio.
Adesso
avrei scoperto che cosa ci facevo lì, ma la domanda
era un’altra… Avrei davvero voluto scoprirlo?
Perché non potevo essere insieme
ad Alessandra, come sempre? Avevo una voglia incontrollata di piangere,
ma non
avevo nessuna intenzione di farmi vedere in lacrime anche da Enrico, se
era
davvero da lui che stavamo andando.
Quando
raggiungemmo la fine del lungo corridorio si fermarono
tutti, e il ragazzo dai capelli rossi bussò deciso alla
porta della biblioteca.
Da dentro provenne la voce che non avrei mai creduto di risentire in
una
situazione simile. “Avanti.” Disse, solo.
Stefano
mi spinse gentilmente in avanti, avvicinandomi alla
porta. “Devi entrare da sola, Giulia.”
Mormorò piano, vicino al mio orecchio.
“Enrico non ama che noi invadiamo la sua
biblioteca.”
Mi
voltai verso di lui, inarcando un sopracciglio. “E allora
perché mai dovrei entrarci io?” Replicai, forse
con più amarezza del
necessario.
Il
ragazzo fece uno strano sorriso e poi scrollò le spalle.
“Beh, è abbastanza chiaro, in
realtà.”
“Per
me non lo è.”
Sospirò,
e mi sembrò sinceramente preoccupato. “Non ti
farà
niente. Vuole solo parlare, ma noi non possiamo entrare nella sua
biblioteca.
Comunque staremo qui fuori, se può farti sentire
più tranquilla.”
Scossi
la testa e aprii la bocca per ribattere, ma lui me lo
impedì. “No, senti: non è con me che
devi arrabbiarti o discutere. Parla con
lui, anche perché forse avrà più
risposte di quante potrei dartene io. Okay?
Tranquilla.”
Aprì
la porta, spingendomi piano verso di essa e riuscendo a
farmi entrare nella stanza. Gli lanciai un’occhiataccia,
perché se non mi fossi
mostrata arrabbiata avrei sicuramente finito per piangere, ma lui mi
sorrise
dolcemente e mi salutò con la mano.
La
porta si richiuse, ed io rimasi ad osservarla, stupita e
spaventata, nella sciocca attesa che si riaprisse. Visto che questo non
accadeva afferrai con entrambe le mani la maniglia, abbassandola e
cercando di
sforzarla per aprirla, ma evidentemente era stata chiusa a chiave,
oppure da
fuori la stavano tenendo. Imprecai a bassa voce, prima di abbandonare
il mio
debole tentativo di fuga.
Mi
poggiai con la schiena alla porta, chinando la testa e
nascondendo il viso tra le mani. Avevo paura. Mio Dio, non credevo di
essere
mai stata così spaventata come in quel momento. Stefano
aveva detto che nessuno
mi avrebbe fatto del male, si, certo! Come si potevano aspettare che io
credessi a quelle storie?
Poi,
improvvisamente, mi accorsi di non essere più sola. Il
mio corpo all’erta aveva
avvertito la
presenza di un estraneo, e subito raddrizzai la testa, pronta a
scattare, o
comunque a cercare di nascondermi o fuggire…
Lui
era lì. “Benvenuta.” Disse, con un
sorriso.
Adesso
sì che mi sentivo
davvero in trappola.