Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: _Polx_    22/11/2017    5 recensioni
Il suo non era un animo credente: di rado gli capitava di pregare e mai offriva oblazioni agli Dèi. Quel giorno, tuttavia, decise di seguire un antico rito nella disperata speranza d'ottenere ascolto. Incise un lieve taglio sul palmo della propria mano e lasciò che il sangue spillasse nel piatto di rame, poi pregò in silenzio perché, sebbene gli risultasse tremendamente difficile da ammettere, cominciava a temere per la vita di quel bambino.
Genere: Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Piccole anime infelici'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
Quando Asor tornò alla dimora di periferia, la testa martellante, lo stomaco in fiamme, non s'attardò al capezzale di Astar, che dormiva agitatamente, bensì s'addentrò nel piano inferiore della casa, dove alcune candele erano perpetuamente accese ad onorare un piccolo tempio delle divinità, poche effigi attornianti un piatto simbolico per gli oboli.
Il suo non era un animo credente: di rado gli capitava di pregare e mai offriva oblazioni agli dei. Quel giorno, tuttavia, decise di seguire un antico rito nella disperata speranza d'ottenere ascolto. Incise un lieve taglio sul palmo della propria mano e lasciò che il sangue spillasse nel piatto di rame, poi pregò in silenzio perché, sebbene gli risultasse tremendamente difficile da ammettere, cominciava a temere per la vita del piccolo Astar.
“Solo una volta ti ho visto pregare in questo modo” la voce di Diamante sibilò flebilmente alle sue spalle “Astar era appena nato e si mostrava in salute: tu pregasti perché morisse. Pare che gli Dei ti stiano infine dando ascolto, seppur con grande ritardo”.
Lui non ebbe la forza di spirito per cedere all'amarezza di quell'accusa: “hanno dato ascolto a un'unica preghiera ed essa era l'unica che avrebbero dovuto ignorare” disse semplicemente.
“Mai ho visto il Comandante Asor preda d'una tale pena” fallimentarmente Diamante cercava di rigettare la propria disperazione nell'astio e della repulsione che si sforzava di provare nei suoi confronti. Ancora una volta, Asor non le diede credito: “ho implorato. Ho offerto il mio denaro, il mio titolo, il mio onore, ma non v'è stato modo di persuaderli”.
Uno schianto di vetri rotti proruppe dal piano superiore ed entrambi accorsero rapidi come lepri. Trovarono Astar accasciato a terra, accanto a un bicchiere ormai in frantumi. Sul pavimento ligneo s'espandeva una pozza di bile e sangue.
Diamante si precipitò da lui. Asor stette a guardare mentre un sospiro contrito gli stringeva il petto.
“Avevo sete” si giustificò Astar.
Infine il Comandante lo raggiunse e, presolo in braccio, lo rimise a letto.
“Ti ho sporcato di nuovo” notò il bambino.
Lui controllò la spalla destra della propria casacca: “è la mia divisa ufficiale. Vergognati”.
Astar sorrise appena, poi cadde il silenzio.
“Pa'” azzardò il piccolo e per istinto più che per dovere Diamante si fece avanti con la volontà di rimproverare la sua insolente confidenza, poiché da sempre gli era stato insegnato a rivolgersi ad Asor non quale padre, bensì quale Comandante. Questi, tuttavia, le fece cenno di tacere e lo ascoltò.
“Non ho mai avuto un'influenza come questa”.
Il respiro di Asor era incerto, le sue mani involontariamente tremanti. Gli carezzò il capo madido di sudore freddo: “fidati di me, Astar, è meglio così: una volta superata, non potrà più tornare a darti disturbo”.
Il piccolo annuì debolmente, poi precipitò nel sonno.
Asor e Diamante restarono al suo fianco. Lo osservavano e pensavano, freneticamente, ostinatamente, ma non trovavano una soluzione.
Fu ancora lui infine ad alzarsi con impeto e a gettarsi il mantello sulle spalle: “concedimi un'ora, Diamante. Tornerò con un medico”.
“Ma ti è già stato negato” cercò d'obbiettare lei, tuttavia lui non le diede ascolto e se ne andò.
Non tardò un solo istante: un'ora dopo varcò la soglia preceduto da un uomo contrito e terribilmente irritato. Erano ormai calate le tenebre: per Asor non era stato difficoltoso raggiungere il medico d'ufficio nei suoi alloggi e costringerlo a seguirlo nel pieno della notte.
“Ti pagherò” assicurò per l'ennesima volta “più di quanto lo stesso governo non faccia. Ora visita il bambino”.
Il medico si avvicinò al capezzale tra un brontolio e l'altro, ribadendo quanto ardua fosse la sua posizione a causa delle decisioni avventate del Comandante e che sarebbe stato radiato se solo i suoi superiori ne fossero venuti a conoscenza. Salutò tuttavia Diamante con grande comprensione e cortesia, poiché non vi era modo di persistere nel proprio rancore di fronte al terribile dolore di quella donna.
“Dunque?” insistette Asor dopo quella che gli parve un'attesa interminabile.
“La malattia è allo stadio terminale” rispose il medico con estrema schiettezza.
“Dimmi qualcosa che già non abbia constatato di persona. Meglio ancora, fa qualcosa per lui”.
"Non c'è molto che possa fare per aiutarlo. Se fossi intervenuto prima, avrei potuto somministrargli qualcosa per il dolore, ma ormai è subentrata l'incoscienza: non sta soffrendo".
"Ho denaro" ribadì Asor, esasperato "pagherò il siero".
Il medico scosse il capo, irremovibile: "il paziente in questione non ha diritto al siero. Non posso cedergliene una dose, per quanto annacquata o esigua essa sia. Non posso".
"Ho denaro" sibilò per l'ennesima volta.
"Qualche spicciolo non vale la mia carriera e tu hai pensato lo stesso quando hai scelto di relegare questo bambino nell'ombra, Comandante. Non posso aiutarlo".
"D'accordo, ogni favore ha un prezzo. Cosa vuoi da me? Cosa cerchi? Te lo darò".
L'altro si strinse nelle spalle, a disagio di fronte a tanta insistenza: "nulla che valga il mio nome" ribadì "ma per concedere un po' di pace alla tua anima, Comandante, sarò sincero con te, nella speranza che tu non tradisca la mia buona fede: quel siero ha ottimi risultati, sull'arco di una decina di giorni. Assopisce la malattia, ne rallenta il corso, poi essa ritorna".
Asor lo squadrò perplesso: "che significa?".
"Si tratta di un valido placebo. Concluso il suo effetto, il giovane malato muore entro due giorni".
Diamante sussultò e a stento trattenne un singhiozzo.
"La cura non funziona?" chiese Asor, stranito.
"No, ma molti hanno pagato intere fortune per riceverne. Il governo locale non ha fatto che incentivarne la produzione e la diffusione".
Asor annuì: "d'accordo. Quanti sopravvivono al semplice evolvere della malattia?".
Non ottenne risposta.
"Vi sarà pure una cifra approssimativa" insistette "a quanto ammonta?".
"A nulla" concluse il medico, scrollando le spalle "non vi sono casi di sopravvissuti. La malattia degenera entro un arco temporale che varia dalla giornata a un'intera settimana, poi ha il sopravvento. La nazione sta perdendo un'intera generazione e questo è quanto" guardò il piccolo Astar "da quanto mostra i sintomi del morbo?"
“Una decina di giorni” rispose Diamante con un alone di speranza nella voce, come se tale informazione potesse in qualche modo aiutare l'operato del guaritore.
Quello ne sembrò ammirato: “povero, piccolo diavolo, ha dimostrato grande resistenza. Considerate le sue condizioni e azzardando una previsione ottimistica, gli restano una quindicina di ore”.
Diamante non parlò. Non ne ebbe la forza.
Asor non reagì con altrettanta apatia. Si piantò davanti alla porta quando il medico vi si diresse con il cocente desiderio di lasciare la casa e puntò su di lui un dito inquisitore: “credevo che i medici ufficiali fossero sapienti, non ciarlatani. Pure affermi che l'unica terapia per lui sia giacere nella febbre e aspettare la fine. Ci stai chiedendo di restare con le mani in mano ad attendere che muoia”.
“Poiché questo è ciò che accadrà. Non siete i primi che m'implorano di curare il figlioletto morente, ma io non sono uno stregone, né un divino” sospirò contrito, amaramente consapevole della propria impotenza “mi dispiace” concluse e finalmente si ritirò.
Solo allora Diamante si abbandonò al pianto e singhiozzava silenziosamente, pur preda d'un lancinante sconforto.
Asor la rimproverò, ma la sua stessa voce incespicava nelle parole che a fatica strappava dai propri pensieri: “non crederai a quelle idiozie?”.
“A cosa dovrei credere?” inveì lei tra le lacrime “morirà entro domani, come chiunque altro prima di lui. Ha sofferto per nulla”.
Asor le si avvicinò e la prese saldamente per le spalle: “coloro che prima di lui sono morti non erano Astar. Non erano discendenti diretti della Prima Stirpe”.
“Che differenza può fare? Guardalo”.
“Concedigli tempo”.
“Gli concederei la mia vita, se servisse a qualcosa”.
Una rabbia cocente e selvaggia pervase la mente di Asor e più non cercò di persuaderla. Sedette piuttosto accanto al letto e attese in silenzio. Pensò alle parole di lei. Pensò alle antiche magie del sangue che concedevano la salvezza del debole attraverso il sacrificio del forte. Era certo d'esserlo a sufficienza, tuttavia non vi era il tempo necessario a mettere in pratica simili sortilegi, poiché la magia aveva effetto unicamente sui vivi e richiedeva giorni, se non più, per potersi adempiere. Pensò agli arcani riti delle genti del sud, che affermavano di poter contorcere la realtà e corromperne il significato, così da mutare il passato e porre rimedio ai torti compiuti e subiti: sarebbe bastata una lettera di trasferimento per allontanare Astar da quelle terre maledette e salvarlo dal morbo. Tuttavia, le frontiere erano chiuse e non vi erano sciamani del sud tra loro.
Pensò a lungo e infine s'assopì.
 
  
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: _Polx_