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Autore: Il_Signore_Oscuro    24/11/2017    7 recensioni
Il mondo si ricorda solo dei grandi personaggi, di coloro che hanno avuto un ruolo centrale negli eventi più importanti del suo tempo. Mentre il grande meccanismo della Storia divora tutto il resto, precipitandolo nell'oblio. Io però ho scavato e scavato, consegnando alla vostra memoria una storia diversa, una storia che era rimasta nell'ombra. Una guerra più profonda, e combattuta lontano dagli occhi dei molti...
Da oltre dieci generazioni i Cangramo sono i leali alfieri degli Argona, i potenti sovrani della costa orientale di Clitalia, la terra divisa fra i molti re. I Cangramo dominano su una piccola contea nell'estremo sud-est, una contea che comprende il Porto del Volga, la Valspurga alle pendici del Monsiderio e l'antica Rocca Grigia, costruita su un'altura a strapiombo sul mare. I quattro fratelli Cangramo cercheranno di ritagliarsi un posto in un mondo violento e insidioso, intessuto di amori, battaglie, inganni e segreti. Mentre lontano dagli occhi, un male a lungo dimenticato, antico e potente, getta la sua ombra sul futuro degli uomini...
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Capitolo II
Odore di menta e di mare
(Miranda)

 
 


E se per un qualche prodigio ti levassi sulle ali di un’aquila di passaggio, guardando verso giù vedresti la Rocca Grigia irta sull’altipiano, oltre la punta dei grandi alberi della Selva Scura. Un cerchio di mura, del colore dei cupi scogli sottostanti. Mura erette a circondare la cittadella, dentellate sull’apice di merli spessi e squadrati, per offrire riparo dalle frecce del nemico alle sentinelle di ronda sul camminamento. Nell’anello di pietra: le tozze case in muratura dei servi della gleba, con i tetti di paglia, acquartierate l’una appresso all’altra. Poco più in là un recinto delimitato da uno steccato, in cui i soldati tirano d’armi con spade smussate, per prepararsi a battaglie in cui mettere in gioco la propria vita. Il clangore del ferro contro il ferro. Le frecce che sferzano l’aria, scoccate da archi riflessi, andandosi a conficcare contro pagliericci immobili, segnati da cerchi rossi a mo’ di bersaglio. A ridosso dei recinti la casa delle guardie, con il suo conglomerato di baracche e mense per le camerate. Il magazzino diroccato con le armi e i viveri.
E infine Castel Cangramo, la casa ancestrale dei Conti del Valga: una poderosa costruzione di roccia marina, ai cui angoli svettano  quattro torri acuminate, una per ciascuno dei punti cardinali intermedi. La torre nord-ovest, più alta e massiccia, costituisce il maschio della struttura e vi si accede seguendo un reticolo di passaggi segreti noti solo al Conte, alla sua famiglia ed eventualmente a qualche membro particolarmente fidato della corte.
L’architettura semplice del castello, senza fronzoli, ma maestosa nella stazza e nella statura reca le insegne della casata in campo azzurro: un cane-lupo nero, con il muso allungato, le fauci in bella vista e una paio di orecchie puntute.
Dai muri, attraverso lo spiraglio di qualche sparuta finestra sulla facciata posteriore, è possibile contemplare lo sconfinato spettacolo del mare franto contro la scogliera, o delle navi che strisciano sulle acque dirette verso il porto.
Sulla facciata anteriore, ove il portale è rivolto verso ovest, sempre per l’occhio d’un paio di finestrelle, si ha  visione del corpo di guardia, dalle cui fauci si alzano e si abbassano i cancelli di pesante ferro battuto, attraverso un complesso sistema di corde e ingranaggi. E proprio intrufolandoti da una di queste ultime finestre, potresti trovarti nella camera di una giovane fanciulla, una stanza arredata di scuro mobilio in mogano e un letto a baldacchino, sovrastato di sete azzurre.
Lungo i muri le torce in attesa della notte, per bruciare ancora un poco. Sul sedile, persa nel contemplarsi, una ragazza ormai diventata donna, con una chioma di fulvi capelli rossi.

Un paio di occhi giada le restituivano lo sguardo nel quadrato lucido dello specchio, uno sguardo coronato nella curva leggera delle sue labbra sottili. Lungo le guance, due piccoli drappelli di lentiggini tempestavano la pelle diafana, mentre il rosso dei ricci era stato domato in uno chignon, avvolto in fil di perle. Quella acconciatura faceva i suoi lineamenti più magri e affusolati di quanto già non fossero.
Scendendo per il collo, una corona di pizzi azzurrini precedevano un seno pieno e sostenuto, divenuto tale solo da qualche tempo. L’abito color del mare, tutto impreziosito da ricami bianchi a tema floreale, come le scarpe di blu satin, che contenevano i piedi di piccola foggia.
Miranda si levò dal sedile, le mani giunte dinanzi al ventre, e si voltò a osservare Mowan: la ragazza appariva buffa, così com’era conciata: braccia alzate e priva dell’armatura in cuoio che soleva indossare. L’arco di corno, con le frecce dal piumaggio grigio, era adagiato sul letto insieme alla spada ricurva, nel fodero in squame di serpente.
La giovane Mogul era adesso nelle mani della sarta e delle sue collaboratrici: una squadra di donne assoldate per cucirle un vestito su misura: niente di troppo appariscente, si intende, un semplice abito verde scuro, senza pizzi né fronzoli che potessero concentrare su di lei l’attenzione.
L’anziana capo sarta, Rebecca, indossava un vestito di velluto rosso, con un corpetto di una tonalità più scura cucito sopra l’abito. I lunghi capelli grigi erano stati pettinati e legati appositamente per entrare nella cuffia bianca che le copriva il capo: non un singolo capello doveva rischiare di ricaderle sugli occhi, mettendo a repentaglio la buona riuscita del suo lavoro. La donna  era una professionista con una lunga esperienza alle spalle, ma sino ad allora si era occupata di principesse e dame di corte. Donne e ragazzine desiderose soltanto di apparire al meglio, così nel privato, così in occasioni pubbliche e ufficiali.
Tuttavia l’espressione di Mowan la diceva lunga su quanto quel compito fosse lontano dalle consuete sfide che Rebecca era solita affrontare. Gli occhi a mandorla fulminavano la sarta ogni tre per due, gli zigomi pronunciati erano tesi in una smorfia insofferente e le piccole labbra carnose erano un continuo agitarsi in sbuffi, lamenti e imprecazioni. Parole in una lingua lontana da quella comune, dura e ruvida come solo le steppe Mogul sapevano essere.
«Tieni su quelle braccia, disgraziata!» Le intimò Rebecca, con fare severo, mentre le legava una fascia di tessuto intorno alla vita.
«Le sto tenendo su…»
«Più su!»
«Maledetta baldrac-»
Uno strattone della sarta mozzò il suo respiro e Mowan le scoccò  un’occhiataccia, prima di rivolgere la sua ira verso una giovane sottoposta.
«E tu fai attenzione con quell’ago! Mi hai forse preso per un puntaspilli?!» Ruggì e la poverina abbassò lo sguardo, terrorizzata.
Le apprendiste di Rebecca erano vestite tutte più o meno allo stesso modo, abiti di stoffa discreti ed eleganti, abbastanza comodi da non interferire con il loro lavoro, ma sufficientemente dignitosi da non attirare il biasimo delle altre donne.
«Le braccia! Le hai abbassate di nuovo!» Si lamentò l’anziana ormai spazientita, redarguendo nuovamente Mowan.
«Ora mi hai rotto, non mi serve una spada  per tagliarti la gola, sai?!»
«Ne ho abbastanza!» Sbottò la donna, con gli occhi che minacciavano di saltar via dalle orbite.  «Padrona Miranda, non posso sopportare oltre di essere minacciata da questa sottospecie di faina dalle fattezze di donna. Chiedo congedo! »

La giovane dai capelli rossi si portò una mano al volto, senza ben sapere se la situazione fosse più tragica o più imbarazzante. Con fare cortese lasciò che Rebecca si congedasse insieme con le sue assistenti, ringraziandole per la loro pazienza. Una volta rimasta sola con Mowan, si occupò lei stessa di completare le ultime rifiniture necessarie per calzare l’abito.

«Ah, Mowan, Mowan. Sei la mia Dama di Compagnia, dovresti sapere quanto questo giorno sia importante per me … per la mia famiglia.»
«Perdonatemi Padrona Miranda, ma dovete sposarlo voi questo Messer Qualcosa, mica io. Non vedo perché dovrei conciarmi come una stupida bambolina di porcellana».

Miranda non poté fare a meno di sorridere. Coprì il risolino con un rapido gesto della mano.

«Immagino che nelle steppe le cose funzionino diversamente, eh?  Ma qui a Clitalia l’apparenza è tutto. Quando si riceve un ospite lo si fa’ indossando gli abiti migliori. Cosa penserebbe il signor Belgi, se al nostro primo pranzo insieme mi presentassi con una Dama di Compagnia armata dalla testa ai piedi? La prenderebbe come una velata minaccia, e questo non sta bene».
«Se è quello il problema posso mangiare per conto mio, c’è un intero castello a disposizione.» Replicò la ragazza, facendo spallucce.
«No, non se ne parla. Sei come una sorella per me, Mowan, e sei parte della famiglia.» Le carezzò una guancia. «Fallo per me, ti prometto che da domani potrai tornare a indossare ciò che più ti aggrada.»

Mowan cacciò un sospiro, abbassando lo sguardo. Con i denti si pizzicò il labbro inferiore, prima di rialzare gli occhi neri in quelli di Miranda.

«E va’ bene, Padrona Miranda, lo farò per voi…»
«Bene».  Disse, prendendole la piccola mano callosa fra le sue. «Un’ultima cosa, non chiamarmi Padrona, sei la mia amica più cara, non una serva» Concluse, mostrando la trafila di denti color latte che le riempiva la bocca.
Un lungo e cupo suono di corno tremò dalle sentinelle in su’ le mura della Rocca Grigia. Con passi rapidi e aggraziati Miranda si precipitò alla finestra, seguita da Mowan che avanzava goffa e sgraziata.

«Maledette scarpette» Imprecò la giovane Mogul.
«Mio padre! Con il mio promesso sposo!» Pigolò Miranda, sbarrando gli occhi chiari, le dita affusolate strette intorno al davanzale e la voce che tremava.
Mowan guardò Vittorio Belgi con un sopracciglio alzato, e la bocca distorta in una smorfia di disapprovazione.

«Caspita, voi sembrate un maschiaccio al confronto.» Gracchiò la Dama di Compagnia.
«Non fare la sciocca Mowan.» La rimproverò Miranda, svoltando tutto a un tratto. «Dobbiamo sbrigarci! Manda a chiamare Arturo, nostro padre vorrà trovarci nella Sala Grande quando rientrerà.»

Miranda si precipitò verso l’uscita, lasciandosi dietro una scia di profumo che sapeva di menta e di mare.  Da quando il menarca aveva tinto di rosso le lenzuola, il primo pensiero di Miranda Cangramo era stato conoscere le gioie di una vita adulta: l’amore, i figli, creare una famiglia tutta sua. A differenza di tante altre ragazze non era rimasta spaventata  quando il ‘primo sangue’ aveva bagnato il suo letto e la sua tunica da notte. Bice, la sua anziana balia, l’aveva preparata a dovere sull’argomento.  Sapeva che il ciclo voleva dire lasciarsi dietro i balocchi e l’innocenza della bambina, per confrontarsi con le sfide poste dinanzi a una donna. Sfide che non la spaventavano. I dolori non erano stati forti come si aspettava, la parte più dolorosa era stata quella che aveva preceduto il primo ciclo: il suo corpo che cambiava sotto i suoi stessi occhi, giorno dopo giorno: i seni che si facevano più grandi e pesanti, i fianchi che si allargavano, le forme che si arrotondavano. Quelle fitte anomale, senza alcuna apparente ragione.
C’erano tutte le avvisaglie del caso …  alle volte suo padre si fermava a guardarla, diceva che assomigliava tanto a sua madre. Di lei parlava poco, c’erano periodi in cui non ne parlava affatto. Miranda non sapeva cosa le fosse successo. Sapeva soltanto che un giorno, passati due anni dalla nascita di Arturo, erano partiti dalla Rocca Grigia per andare chissà dove, ma al ritorno c’era solo suo padre.
Si ricordava la sua voce di bambina che gli chiedeva
«Papà, dov’è la mamma?»
E lui che rispondeva
«La mamma adesso non è qui.»
Nonostante le numerose volte in cui quella domanda era stata posta e ripetuta nel corso degli anni, lui aveva dato sempre e solo la stessa risposta ‘Non è qui’. Miranda era arrivata a pensare che fosse morta durante quel viaggio. Ma allora perché nessuna cerimonia funebre? Perché semplicemente non glielo diceva? Quattordici anni erano un’età più che sufficiente per prendere atto della scomparsa di una persona cara. E invece no, sua madre era semplicemente svanita nel nulla senza alcuna spiegazione, e alla fine Miranda si era anche stancata di continuare a chiedere, tanto la risposta non sarebbe cambiata. Non importa quanto tempo fosse passato.
Ma non aveva voglia di pensare a ciò che aveva perso, in quel giorno, ma a ciò che stava per ricevere. Quand’era piccola nelle sue fantasie ad occhi aperti aveva sognato un principe vestito di un’armatura scintillante, con al fianco una spada. Un uomo forte e gentile, nel corpo e nel carattere. E quei sogni non erano andati perduti neanche dopo il menarca, per questo non aveva nascosto la sua delusione quando suo padre le aveva comunicato che sarebbe andata in sposa a un uomo di ‘basso lignaggio’. Un uomo senza illustri natali, senza sangue nobile nelle vene.
Lei aveva sbraitato, aveva pianto, accusandolo di non avere a cuore l’onore e il bene della sua unica figlia.
L’espressione afflitta di suo padre sarebbe rimasta impressa per sempre nella sua memoria, e sin da subito la giovane si era pentita per la crudeltà delle sue parole, per quanto la rabbia e la tristezza ardessero ancora come fuoco in lei.
Ma pian piano quei sentimenti furono mutati, grazie alla  parole di suo padre: il Conte Cangramo aveva tessuto per mesi le lodi del Belgi, affascinando la figlia con i racconti dei suoi innumerevoli viaggi in lungo e in largo per il mondo,  viaggi che l’avevano portato a vivere esperienze e a contemplare panorami ignoti alla gran parte degli uomini. Spettacoli a cui nulla, se non le parole di chi li aveva vissuti in prima persona, poteva rendere giustizia.
Severo lustrò ed elevò il nome del Belgi, narrando delle innumerevoli amicizie che aveva stretto nei ranghi più alti della società, persino con i grandi e potenti Orimberga. Proseguì nella sua opera raccontando di come, per quanto fosse un individuo di basso lignaggio, grandi famiglie avessero tentato di farlo sposare alle proprie figlie, ricevendone sempre in risposta un garbato rifiuto.
Non di meno aveva reso manifesti i suoi successi e la sua abilità da mercante:  Vittorio Belgi gestiva una compagnia commerciale che aveva l’esclusiva nei traffici con la Ghermandìa e che aveva stabilito i primi vantaggiosi scambi con le terre vergini della Britannia (che mai avevano conosciuto la conquista Rimlica). Inoltre, il suo ingresso nella famiglia avrebbe favorito una coesistenza più pacifica con la stirpe reale, con la quale i conflitti non erano mai mancati nelle passate generazioni. Insomma, dopo che per mesi e mesi suo padre le aveva raccontato di quest’uomo misterioso, di quest’uomo che s’era fatto da solo nonostante le difficoltà, che era più sofisticato rispetto alla media degli uomini, Miranda aveva finito per innamorarsene senza neanche averlo mai visto in volto. E adesso che l’aveva veduto, la bellezza del suo aspetto non aveva fatto altro che alimentare le fiamme del suo fascino, attizzando dentro di lei il sentimento e il desiderio di sposarlo quanto prima.

 
   
 
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