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Autore: _Polx_    25/11/2017    1 recensioni
La vicenda prende ispirazione dall'ottava opera, non più narrativa bensì teatrale, che ha offerto al pubblico nuovi personaggi molto promettenti, ma al contempo uno sviluppo di trama, a mio parere, mediocre. Forse raccontare quanto venne dopo renderà tutto più chiaro.
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“Cos'ha a che vedere questo con Delphi? Lei è ad Azkaban, isolata dal mondo. Non può certo essere a capo di simili azioni criminali”.
“Ho la forte sensazione che in tutto questo Delphi sia sempre stata una semplice pedina. Un mezzo, inconsapevole d'essere tale, che infine è sfuggito dal controllo di chi cercava di governarlo”.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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Lydia ammirava la giovane No-Maj che s'era guadagnata tanto rispetto all'interno della bizzarra combriccola incontrata a Grimmauld Place: era intraprendente e intrepida, acuta e sicura di sé. Tuttavia, non negava di avere dubitato di fronte alle sue parole: l'idea che una babbana avesse scovato un passaggio al covo di Ursul e avuto il fegato di addentrarvisi, seppure per poco, le sembrava davvero assurda.
Scoprì invece che era tutto vero, perché proprio grazie ad esso riuscì a scendere in profondità per gli angusti e umidi cunicoli della cripta e, infine, si ritrovò sola in un ambiente immenso, illuminato da fiaccole stregate che inviavano ovunque i propri bagliori verdi, acidi come veleno. Le altissime pareti, più nere della pece e scavate barbaramente nella roccia, ne erano inondate, così come gli ampi pavimenti, il cui lastricato andava ormai deformandosi e corrodendosi a causa dell'usura e del tempo.
Ma fu la grande cascata a mozzarle il fiato: sapeva che l'avrebbe trovata a scrosciare lungo il clivo più imponente e ripido, sapeva che ne avrebbe udito il rombo perdersi nelle profondità del baratro in cui le sue acque precipitavano, ma questo non bastò a smorzare la sorpresa. Due figure di sirena si stagliavano nella pietra e, dall'alto della loro immensa stazza, versavano fiotti d'acqua dalle anfore che stringevano tra le braccia.
Ursul era l'artefice di una simile ostentazione, ne era certa. Per decenni nessuno aveva messo piede in quel covo all'infuori dei suoi uomini, ma lei aveva un debole per tutto ciò che era mortifero e grandioso.
Lydia restò troppo a lungo a fissare le impressionanti sculture e per poco due scagnozzi di Ursul non la scovarono, passandole accanto. Fortunatamente erano distratti, completamente immersi nella propria conversazione, e lei fece in tempo ad acquattarsi nell'ombra.
Una volta lontani, pensò fosse finalmente giunta l'ora di uscire allo scoperto, ma non aveva notato tre Mangiamorte che, all'altro capo del salone, sedevano a un tavolo, così esile nell'immensità del luogo in cui si trovava e, per quel poco che Lydia riusciva a vedere dal suo punto di vista, potevano tanto discutere di futuri piani di conquista quanto giocare a dama.
Decise quindi di restare in disparte e s'inerpicò agilmente sulle taglienti increspature della roccia fino a trovare un rilievo sufficientemente spesso e ampio da potervisi accomodare. Prese un profondo respiro e protese le mani verso la terribile mole d'acqua.
Vi fu un crepitio, come di legna ardente, che presto divenne lo scoppiettio dei primi ciottoli a precedere la frana. Infine, uno schianto assordante.
Le braccia delle sirene si spezzarono, le loro anfore precipitarono, la parete si squarciò e un'ondata d'acqua dalla forza devastante invase l'intero salone.
I tre ne furono sommersi tra grida di stupore e terrore.
Lydia s'affrettò ad arrampicarsi ulteriormente ed evitò per un pelo d'essere investita dalla gelida onda che si schiantò contro la roccia.
Presto l'ampio antro della cripta si gremì di Mangiamorte, tutti preda del panico più inaspettato. A malapena riuscirono a domare la violenza dell'acqua, prima che qualcos'altro, ancor più tragico, catturasse la loro attenzione: il piano era andato a buon fine, Tom non aveva fallito e Lydia sentì, poiché non riusciva a vederle coi propri occhi, le forze di Potter invadere il covo dal varco apertosi nell'ala opposta alla sua per proclamare guerra a Ursul.
Così come s'erano raggruppati nel salone, i Mangiamorte di nuovo si dispersero.
Lei avrebbe desiderato unirsi alla battaglia, perché ne percepiva il trambusto, il caos violento imperversare per l'intera cripta, ma l'acqua stava ancora drenando sotto di lei. Vi sarebbero stati solo vortici gelidi ad accoglierla, se si fosse calata dal nascondiglio in cui era riparata, e abbattere un'intera parete di roccia col solo ausilio del suo corpo l'aveva intorpidita.
Quindi fu costretta ad attendere, senza sapere come gli eventi si stessero evolvendo, ma le grida e gli ordini concitati dei Mangiamorte le lasciarono intendere che la fazione di Ursul avesse visto giorni migliori: molti degli Auror che Letitia aveva irretito attendevano solo il momento opportuno per ribellarlesi e, all'assalto esterno, si aggiunse una ribellione interna. L'esercito di Ursul si ritrovò improvvisamente in minoranza numerica, ma questo non bastò ad assicurare la vittoria alle forze di Harry Potter. Qualcos'altro sarebbe intervenuto di lì a poco per soffocare qualsiasi tentativo di ribellione da parte del nemico: Lydia riconobbe la voce di Ted Lupin sovrastare il frastuono e impartire ordini estremamente semplici, ma autoritari. Seguirono un ruggito e una vampata di fiamme di cui lei poté scorgere solo l'alone di fumo e luce trasparire dai cunicoli sotterranei.
Baldo e Charlie Weasley: non potevano che essere loro. Avrebbe voluto vederli, l'avrebbe voluto con tutta sé stessa: un addestratore di bestie fameliche e un drago ammansito eppure letale che rispondeva ai comandi suoi e del suo folle socio.
Paradossalmente, questo fu ciò che pensò quando si calò dal proprio riparo, atterrando sul pavimento fradicio, ma finalmente percorribile: la curiosità e l'entusiasmo di una bambina molto più del desiderio di combattere la spinsero ad abbandonare la penombra e cercare di raggiungere gli ambienti interni della cripta. Tuttavia, proprio perché l'immenso atrio era ormai sgombro dall'inondazione, alcuni Mangiamorte tornarono a occuparlo e la trovarono, in bella vista, disarmata, sola.
Ogni frivolezza sparì dalla mente di Lydia e lei si mise in guardia. Non si era pavoneggiata per nulla dichiarando d'essere arrivata a un passo dalla nomina di Auror, perché in poche mosse disarmò il primo avversario che le si scaraventò contro e gli sottrasse la bacchetta, dato che si sentiva spossata, le sue dita formicolavano e aveva bisogno d'incanalare la propria magia in uno strumento idoneo, se desiderava combattere per vincere.
Non dovette affrontare molti nemici, perché gran parte dei maghi era sparsa in ogni angolo del labirinto sotterraneo, ma lei era pur sempre sola e, nonostante ciò, si fece valere.
Non combatteva per uccidere: non l'allettava l'idea di creare martiri per quei folli che, nel mondo esterno, ancora sostenevano i dettami maniaci d'un Lord da tempo sconfitto e, ancor più, non voleva sporcarsi le mani di sangue. Azkaban aveva spazio sufficiente per tutti.
Così, molti caddero privi di sensi e Lydia sorrideva euforica, esaltata dall'adrenalina della battaglia.
Nulla riuscì a smorzare il suo entusiasmo: non l'arrivo continuo di nuove forze, non i lampi verdi che talvolta la sfioravano e minacciavano di ucciderla, non la consapevolezza d'essere priva di qualsiasi supporto nella propria battaglia. Fu un'ombra a strappare il sorriso dal suo viso, una figura scura e austera che avanzò nel trambusto con passo lento e mani basse. La furia di tutti i presenti parve spegnersi al suo arrivo, compresa quella di Lydia.
“Ursul” mormorò la ragazza.
“La giovane Greengrass” replicò l'altra “la vergogna di Tom. L'onta che grava sul suo nome. La macchia che così faticosamente cerca di ripulire. O almeno questo è ciò che mi ha detto”.
Nessuno osava interrompere il suo incedere e la battaglia sembrava essersi congelata.
Solo Lydia rialzò la bacchetta che teneva in pugno, ma la sua mano era improvvisamente tremante.
“Ho sempre creduto di dovere molto a quell'uomo. L'ho creduto fino ad oggi” continuò Letitia “se davvero ritiene che tu sia un'onta, dunque ripagherò il mio debito; in caso contrario, sarà lui a ripagare il tradimento col più tremendo dei dolori” anche lei alzò la bacchetta e la scosse con vigore. Un lampo cobalto ne sprigionò e Lydia lo respinse prontamente, ma l'impatto della magia di Ursul contro la sua fu tremendo e solo allora la ragazza ebbe prova della forza che s'annidava in quella donna. Una forza che lei ancora non padroneggiava e che certo, stanca com'era, non sarebbe riuscita in quel momento a raccogliere dentro di sé.
Il loro non fu un duello, perché Lydia cercava unicamente di difendersi e indietreggiava sempre più, mentre Ursul marciava con arroganza verso di lei. Infine, fendette l'aria con un colpo di bacchetta, neanche impugnasse una sciabola, e Lydia non riuscì a schivare il colpo.
Il muto incantesimo tagliò la carne, penetrò profondamente nel suo ventre e, per quanto cercasse di combattere l'intorpidimento del corpo e l'appannarsi della vista, Lydia infine cadde in ginocchio e presto si ritrovò stesa sulla fredda pietra, gli occhi ottenebrati che a stento riuscivano a seguire i bagliori acidi delle lanterne stregate.
“Bene” sospirò Ursul, al contempo seccata e amareggiata “tornate nella mischia. Lasciate che si dissangui”.
E ancora una volta, la quiete precipitò dove fino a pochi minuti prima era il roboante scrosciare della cascata ipogea.
 
  
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