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Autore: Just_Charlie    25/11/2017    0 recensioni
Primo capitolo della saga Necromancer
La millenaria guerra tra Elementali e Necromanti sta per giungere alla fine: tra pochi mesi la Prescelta compirà diciannove anni sancendo la vittoria di uno dei due schieramenti. Ma al momento la giovane Necromante Charlie Black ha altri problemi: una serie di omicidi – tra cui una strage in cui la sua migliore amica ha quasi perso la vita – punta dritta a lei e il Consiglio minaccia di toglierle l’unica cosa rimastale: i suoi poteri. Eppure nulla è come sembra… c’è qualcosa di più oscuro che serpeggia nell’aria, un qualcosa che si credeva passato ma che sta per tornare tragicamente al presente… tra intrighi, rocambolesche avventure e una Prescelta come babysitter, riuscirà Charlie a dimostrare la sua innocenza e salvare il mondo da un pericolo sempre più imminente?
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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CAPITOLO DUE

                                       

Charlie lo capì prima ancora di scendere dalla bicicletta: Linn aveva mentito. Non faceva freddo. Si gelava.

C'era qualcosa di terribilmente sbagliato.

Abbandonò la bici accanto a un lampione senza preoccuparsi di legarla e infilò le mani nelle tasche della felpa, rabbrividendo. Faceva davvero troppo freddo. Quasi le lacrimavano gli occhi, e i suoi respiri si trasformavano in nuvolette bianche che si disperdevano nell'aria. Non era normale. Non era naturale.

Doveva trovare Aaron e andarsene di lì con Linn e gli altri il più in fretta possibile.

Accelerò il passo, seguendo la musica e le luci. Si trovava in quel genere di aree di periferia pressoché abbandonate che una città migliore avrebbe riconvertito in un quartiere alla moda. Vecchie fabbriche trasformate in costosi loft, magazzini in negozi, il canale secco e in disuso in uno skatepark o in uno spazio per la streetart. Invece la sola gente -umana- che lo abitava erano spacciatori, drogati, persone poco raccomandabili e auto di passaggio che prendevano puntualmente la svolta sbagliata. E, ovviamente, ragazzi che organizzavano feste clandestine negli edifici fatiscenti.

Era un miracolo che non fosse ancora arrivata la polizia. Questa volta avevano scelto una tra le fabbriche più isolate, con un largo spiazzo di cemento attorno e un muretto crepato che la circondava. Si sentiva la musica -pessima- a tutto volume anche senza entrare, e c'era gente ovunque. Gruppi che fumavano e sghignazzavano seduti sul muretto, un paio che si davano da fare nascosti tra le macchine parcheggiate; c'era una ragazza che vomitava in un angolo appoggiata al muro, e un debole scintillio proveniva persino dal tetto. Charlie si guardò attorno, spaesata e sconfortata. Come avrebbe fatto a trovare i suoi amici in mezzo a tutto quel casino?

Si fermò davanti al cancello d'entrata quando un tizio grosso e vestito di nero le si parò davanti, facendola quasi cadere su di lui. Charlie sbuffò. Possono permettersi un buttafuori ma non un impianto elettrico decente? L'energumeno la guardò dall'alto in basso, braccia incrociate e tipica posa da buttafuori che non si beve le tue bugie. I suoi piccoli occhi quasi scomparivano sotto le sopracciglia scure e foltissime.

«Devo entrare,» disse Charlie facendo un passo indietro. L'uomo le indicò la mano con un cenno della testa e divaricò le gambe.

«Se non hai il marchio non passi.»

Ne ho anche troppi, di Marchi. Charlie alzò gli occhi al cielo, e si girò verso gli altri ragazzi. Sul dorso della mano sinistra c'era quello che sembrava lo stampo di due cerchi blu intrecciati. Fantastico. Controllando per sicurezza che nessuno stesse guardando dalla sua parte – erano tutti troppo impegnati a pomiciare o rigurgitare l'anima – fece un sorriso accattivante in direzione del buttafuori.

«Giusto, prima hanno sbagliato e me l'hanno fatto sulla destra» Charlie tirò fuori dalla tasca anche quella mano e la mostrò al buttafuori. Un leggero formicolio le attraversò le dita, mentre l'incantesimo lavorava nella mente dell'uomo e gli faceva vedere due nette circonferenze blu stampate sul dorso della sua mano. Un vago odore di caramello bruciato si diffuse nell'aria attorno a loro. Compulsione. Non era legale farne uso, ma ehi – a mali estremi, estremi rimedi, no? E poi era troppo facile incantare gli umani. A Charlie sembrava quasi una seconda natura. Non che l'idea non la disgustasse.

Il buttafuori le guardò la mano per appena un istante, poi annuì e si fece da parte.

L'interno della fabbrica era anche peggiore di come se lo fosse prospettato: norme di sicurezza (e igiene) del tutto ignorate, musica assordante che ti rimbombava nelle ossa, fiumi di gente vestita nelle più disparate maniere (dalle minigonne inguinali alle t-shirt di Game of Thrones, e per un attimo le era parso di vedere allontanarsi un ragazzo con un paio di scintillanti ali da fata). Ovunque c'erano ragazzi e ragazze che ballavano, stretti gli uni agli altri, agitando la testa a tempo o con movimenti sinuosi e sensuali. Lungo le pareti erano stati sistemati vecchi divani e sedie un po' spagliate. Dall'altra parte della stanza, in posizione rialzata, si poteva vedere una sorta di bar improvvisato, affollatissimo. Il barista era un ragazzo con i capelli blu elettrico sparati in tutte le direzioni e la canottiera nera appiccicata al petto per il sudore. Lavorava alacremente e sorrideva a tutti, distorcendo le linee dei tatuaggi che aveva accanto a entrambi gli occhi allungati.

Charlie non avrebbe mai potuto non riconoscerlo. Cominciò a farsi strada tra la folla, puntando verso di lui. La musica la assordava e il caldo era opprimente, soffocante. Troppo diverso dal gelo che c'era fuori. Raggiunse il bancone dopo millenni, schiena sudata e fiato grosso e maniche della felpa arrotolate fino ai gomiti. Si sollevò in punta dei piedi per farsi vedere e si appoggiò al microscopico bancone di metallo, umido ma sorprendentemente pulito. A una manciata di metri lampeggiava debolmente l'insegna di un'uscita d'emergenza. Almeno quella c'è.

Il barista dava a Charlie le spalle, indaffarato a mescolare alcolici a succhi coloratissimi. La gente premeva accanto a lei, sgomitando per trovare un posto e ordinare per primi. Ma quando il ragazzo si voltò fu lei che notò per prima. Le annuì in segno di riconoscimento e servì gli ultimi ordini pronti; poi fece un cenno a un altro ragazzo che stava seduto ad un angolo con una mezza sigaretta spenta stretta tra le labbra. Quello si alzò con un grugnito e lo sostituì rapidamente al bancone.

Charlie indicò con la testa l'uscita d'emergenza e il ragazzo dai capelli blu aprì la strada. Ci vollero diverse spinte perché il maniglione si sbloccasse,ma alla fine la porta si spalancò e uscirono. Due ragazze all'interno sibilarono per il freddo improvviso. Charlie respirò a pieni polmoni, rabbrividendo, mentre lui si stiracchiò un poco e fece per accendersi una sigaretta.

«Non farlo.»

Il ragazzo scoppiò a ridere, e fece scattare l'accendino. Si infilò la sigaretta in bocca e la accese, voltandosi verso Charlie con un sorriso a labbra strette. Inspirò socchiudendo le palpebre, assaporò per qualche secondo, poi le soffiò il fumo in faccia. Charlie strizzò gli occhi e agitò le mani per dissipare la nuvola chiara.

«Che vuoi, Black?»

«Dobbiamo trovare i miei amici e far scappare tutte queste persone il più presto possibile,» rispose Charlie tutto d'un fiato. Lui sollevò le sopracciglia.

«E da quando in qua tu hai amici?» Charlie alzò gli occhi al cielo, ma preferì non commentare.

«I ragazzi della Monroe,» disse invece.

Lui annuì con un sorriso sarcastico e fece un altro tiro.

«Altro?»

«Stanno per squarciare il Velo.»

Questo catturò la sua attenzione. Si levò la sigaretta di bocca e la gettò a terra come se si fosse bruciato. «Fottute sigarette. Non ho sentito niente.»

«Fa freddo,» osservò Charlie a bassa voce, ma i suoi occhi erano già stati catturati da qualcos'altro. Una figura minuta, seminascosta tra le macchine, seduta sul cofano di una vecchia Honda ammaccata; i capelli lunghissimi sfioravano il cofano grigio metallizzato; una mano sprofondava in una palla nera che agitava pigramente la coda.

Maya e Aaron.

«Aaron!» esclamò Charlie, il nodo allo stomaco che cominciava finalmente ad allentarsi. Gatto e ragazzina si voltarono in sincronia, e sul viso di lei si dipinse un sorriso. Saltò giù dal cofano, recuperò uno zainetto da terra e prese in braccio il gatto, poi trotterellò fino a raggiungere Charlie. A nessuno scappò il sospiro di sollievo di Charlie. Maya le passò lo zaino e la guardò con occhi grandi e velati dal sonno.

«Quando torniamo a casa?»

«Presto,» la rassicurò Charlie, sistemandosi lo zaino sulle spalle. «Dobbiamo solo sistemare un paio di cose e poi andiamo.»

«Cosa vuoi che faccia?» disse il ragazzo.

Charlie si girò verso di lui, un'espressione decisa sul volto.

«Fa' scattare l'allarme antincendio, così la gente comincerà ad uscire. Noi intanto andiamo a cerc-»

«Non c'è.»

Charlie si fermò.

«Cosa?»

«L'allarme antincendio. Non c'è.»

«Dimmi che è uno scherzo.»

Di fronte al suo silenzio, Charlie chiuse gli occhi e si passò una mano tra i capelli, scompigliandoli tutti. Maledizione. E ora cosa avrebbero dovuto fare?

«Non riesci magari a farlo scattare comunque? Tanto non penso qualcun altro si sia accorto che manchi. Sono tutti troppo andati per ricordarsi chi siano, figurarsi-»

«No, ovviamente» la bloccò lui.

Charlie aggrottò la fronte «Ma non puoi bypassare il Marchio e usare la loro parte di-»

«Tu puoi?» Il ragazzo alzò le sopracciglia e fece una smorfia «Wow. Quindi quelli del Consiglio non sono tutti degli stronzi. Sono sorpreso.»

«Posso farlo io,» disse Maya con voce esitante, occhi puntati sulle sue scarpe. «Come quando c'era la verifica di matematica e io non avevo studiato.»

Charlie si morse il labbro, arricciò la bocca e poi si arrese: sorrise e si accovacciò un poco per raggiungere l'altezza di Maya.

«L'hai fatto davvero?»

La ragazzina alzò lentamente lo sguardo, ma di fronte al sorriso di Charlie si illuminò «Sì, e non se n'è accorto nessuno! Neanche il preside o la Direttrice Monroe.»

«Allora è deciso.» Charlie si rialzò e posò la mano sulla spalla di Maya, che ancora stringeva forte Aaron. Sembrava che il gatto si fosse addormentato tra le sue braccia. «Noi facciamo questo e vediamo di far scappare la gente, mentre tu-»

«Mentre io trovo i tuoi amici e li sgrido perché sono usciti di domenica sera» concluse il ragazzo «Luogo di ritrovo?»

«Ho lasciato la bicicletta a un lampione a mezzo isolato da qui.»

Lui sbuffò divertito, ma annuì.

Quando rientrarono, quel calore opprimente li investì di nuovo, facendoli quasi rabbrividire. Maya si strinse a Charlie automaticamente. La folla sembrava aumentata ancora di più. Girandosi verso di lui, Charlie si accorse che il ragazzo si stava già allontanando.

«Kyle!» lo chiamò. Anche con tutta quella musica, lui riuscì a sentirla lo stesso.

«Che c'è?»

Grazie, pensò Charlie.

«Vedi di muoverti.»

                           

***

                                     

Esausto, Logan recuperò la giacca da terra e si appoggiò al cornicione del tetto della fabbrica. Si infilò la giacca e tirò fuori da una tasca il cellulare. Sarebbero state le due meno un quarto in una manciata di minuti; era quasi l'ora.

Ci erano voluti secoli a incidere nel cemento armato il pentacolo che adesso pulsava costante a qualche passo da lui. Sembrava quasi ardesse dello stesso colore mutevole del fuoco, traendone energia inspessendosi e fortificandosi. A pensarci bene, avrebbe potuto essere veramente così: vi era sempre stata una componente dei suoi poteri che Logan non era mai riuscito a dominare del tutto. Il più delle volte, comunque, le conseguenze non erano state così disastrose.

Il più delle volte.

Si sedette a gambe incrociate accanto al fuoco, un miscuglio di fiamme rosse e argentee che schioccava e scoppiettava, vibrando nell'aria sempre più fredda della notte. Nel giro di qualche minuto, tutto sarebbe stato ricoperto da uno spesso strato di ghiaccio. E chiunque si fosse ancora trovato alla festa di sotto... beh, sarebbe morto.

Logan si strinse nella giacca di jeans, sorprendendosi per un istante che il suo respiro non si trasformasse in bianche nuvolette di vapore. La realtà era che non faceva davvero così freddo; il gelo che Logan sentiva non era in alcun modo naturale. Proveniva da un mondo diverso dal suo, un piano di esistenza più alto e più bianco che per qualche motivo era in perpetua intersezione con la Terra. Il sottile lembo di realtà che li teneva separati era invisibile e teoricamente impenetrabile. Ma bastava sapere quali fili tirare per cominciare a disfare l'intreccio e sfumare le linee di confine.

Se eri abbastanza bravo, riuscivi persino a dare un'occhiata dall'altro lato. E portare indietro qualcosa.

Qualcuno.

Logan. Logan. Logan.

Era da lì che arrivava il freddo. O meglio, era da lì che il calore veniva risucchiato.

Due meno un quarto.

«Logan.»

Il ragazzo si alzò fulmineo, sul volto l'espressione colpevole di un bambino che è stato scoperto dai genitori a dire le parolacce.

«Maestro.»

L'uomo si avvicinò lentamente, in silenzio, il viso coperto dal profondo cappuccio di un mantello bianco. Era a piedi nudi. Logan si mise più composto, schiena dritta e braccia lungo i fianchi.

«Sono pronto.»

La sua affermazione si perse nel caos della festa che continuava a impazzare. Ma il Maestro parve averlo sentito ugualmente. Si fermò a debita distanza, le spalle rivolte verso il vuoto oltre il tetto. Passò lo sguardo dal pentacolo al fuoco che ancora ardeva, fino a focalizzarsi su Logan. Il ragazzo poteva sentire i suoi occhi addosso, lungo la giacca in denim, i pantaloni chiari, le Converse consumate, i capelli disordinati da dita nervose. C'era giudizio, in quegli occhi. C'era potere.

Le fiamme crepitanti riuscivano a stento a violare le ombre che coprivano il suo volto. Restituivano a Logan poche, frammentate istantanee dell'uomo che aveva imparato ad adorare e temere. Il guizzo del suo sguardo indagatore. Il bagliore di una catenina d'argento. Lo scintillio di canini scoperti in un... sorriso?

«Puoi procedere, Logan.»

Logan annuì.

«E vedi di non deludermi»

Il ragazzo annuì di nuovo, strizzò un attimo gli occhi, poi distolse lo sguardo. Si posizionò al centro del pentacolo, circondato dalle cinque punte della stella perfettamente simmetrica. Aveva le mani strette a pugno, le nocche tanto tirate da essere bianche. In fondo non avrebbe dovuto essere troppo difficile, no? Di solito la Necromanzia non gli dava grandi problemi. Nel peggiore dei casi, il fuoco sarebbe stato di grande aiuto.

Il più delle volte.

Il più delle volte.

Logan guardò un'ultima volta il suo Maestro; stava osservando qualcosa al piano di sotto, sopracciglia corrucciate ma con una strana espressione divertita. Logan sospirò. Le linee che aveva tracciato con mano ormai esperta sul polso sinistro sembravano quasi bruciare.

Ce la poteva fare.

Chiuse gli occhi.

Lasciò la mente espandersi nel buio, finché la sua coscienza non intravide uno spiraglio di quel tunnel a senso unico che era il Velo.

Logan. Logan. Logan.

Poteva quasi percepirlo.

In quello stesso istante, gli esplose nelle orecchie il frastuono di un allarme antincendio.

                                       

***

                                             

Qualcuno la stava guardando dal tetto della fabbrica. Charlie non riusciva a vederlo bene, ma sapeva che nel marasma di persone davanti all'entrata stava guardando proprio lei. Non poteva essere altro; il cappuccio bianco lo impediva.

Necromante.

Strinse più forte Maya; anche lei stata guardando in su, gli occhi grandi e spaventati. Aaron era finito dentro lo zaino, la testolina nera che sbucava dalla zip chiusa per metà.

«Ma- ma quello è...»

«Shh» Charlie abbassò lo sguardo e sorrise a Maya. «Va tutto bene, non può farci del male. Noi siamo qua sotto e lui è lì sopra, no?»

Maya parve pensarci un po' su, poi annuì anche se poco convinta. Stavano cercando di individuare Linn, Kyle e gli altri nel fiume di gente che stava uscendo dalla fabbrica. L'allarme di Maya squillava forte e incessante, quasi stordendole. La quantità di persone che era alla festa era allucinante. La tragedia non era ancora stata del tutto evitata, ma almeno ridimensionata.

Charlie era comunque un fascio di nervi. Sentiva l'energia pulsare tutto attorno a lei, il Velo che si assottigliava fino a bucarsi. Il richiamo. Logan, Logan, Logan. Non aveva idea che le fosse mancato così tanto. Quel guizzo elettrico che avrebbe potuto incendiare l'aria, la mente che si apriva e dilatava, la vita, tenuta in punta di dita. Era quasi come essere un dio.

Charlie chiuse gli occhi, godendosi la sua dose come un drogato in astinenza da giorni. Un po' la spaventava, il potere che aveva ancora su di lei. Un po' la eccitava.

Qualcuno le andò a sbattere addosso facendola tornare alla realtà. Stava per urlare qualcosa di brutto alla ragazza che l'aveva spinta, quando si accorse di chi fosse.

Mary Reed.

Correva nella direzione sbagliata.

Senza pensarci due volte, Charlie lasciò Maya e si lanciò all'inseguimento. Bloccò Mary con uno strattone al braccio. La ragazza urlò e si girò spaventata.

La Compulsione la investì come un'onda anomala. Charlie la vide bloccarsi e rilassarsi di colpo mentre l'energia la avvolgeva e un sottile filo invisibile legava la sua mente alla volontà di Charlie. Il Marchio tra le scapole di Charlie cominciò a bruciare, consumando la sua energia. Ma lei strinse i denti e andò avanti.

Mary le sorrise.

Dio, quanto si sentiva in colpa.

«Reed,» disse Charlie, voce ferma e sguardo puntato negli occhi dell'altra «Ti sei dimenticata il cellulare a casa. Corri a prenderlo.»

Mary stava per annuire ed andare quando il ciondolo che Charlie portava al collo cominciò a brillare. Charlie sentì qualcosa sbloccarsi e propagarsi come un terremoto. Un brivido le percorse la schiena.

Sapeva esattamente di che cosa si trattasse.

Fu in quel momento che i corpi cominciarono a cadere.

                                             

***

                                     

Logan stava perdendo il controllo.

Logan. Logan. Logan.

La voce che lo chiamava non era più una semplice voce. Stava prendendo forma nella sua testa, e diventava ogni secondo più forte, più grande.

Era un mostro.

Stava ridendo.

E Logan... beh, Logan stava morendo.

Il ragazzo aprì di scatto gli occhi e saltò fuori dal pentagramma, ma ormai era troppo tardi. Le fiamme argentee si dimenavano come in una tempesta, e il freddo diventava ogni secondo più penetrante. Il respiro gli si ghiacciò in gola. Adesso poteva davvero vedere il fiato che si congelava in tante nuvolette di vapore davanti alla sua bocca; la giacca di jeans era completamente inutile.

Il fuoco si spense in uno sbuffo.

Logan. Logan. Logan.

Violet.

L'ultima cosa che poté fare fu aggrottare le sopracciglia in confusione, e vedere il suo Maestro sorridere.

Poi la vita lo lasciò.

E la bestia ne prese il posto.

                                   

***

                                   

«CHARLIE!»

Charlie si girò per vedere Maya che correva verso di lei, terrorizzata.

«Resta con me,» disse Charlie a Mary. Poi le prese la mano senza badare alle farfalle nello stomaco e cominciò a correre. Si scontrò con Maya in un abbraccio che le fece cadere a terra mentre l'ondata di morte le raggiungeva. Il freddo le bruciò i polmoni, saettandole fin dentro le ossa. Era quello che accadeva quando un Necromante non era abbastanza forte: la creatura evocata si liberava e recuperava l'energia necessaria ad attraversare il Velo da sola risucchiandola da qualsiasi essere vivente incontrasse nel suo cammino.

«Va tutto bene,» bisbigliò Charlie nell'orecchio di Maya, tenendola stretta a sé, l'altra mano intrecciata a quella di Mary «Il ciondolo della mia famiglia ci proteggerà. Lo vedi quanto luccica?» dopo qualche secondo, Maya annuì. Anche se aveva la testa girata dall'altra parte, Charlie riusciva a vederlo. Era quasi accecante.

Non era mai stata così contenta di essere una Black.

Logan. Logan. Logan.

Violet.

Charlie alzò lo sguardo.

E vide Linn cadere.

                              

                                

                             

   
 
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