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Autore: Just_Charlie    20/11/2017    1 recensioni
Primo capitolo della saga Necromancer
La millenaria guerra tra Elementali e Necromanti sta per giungere alla fine: tra pochi mesi la Prescelta compirà diciannove anni sancendo la vittoria di uno dei due schieramenti. Ma al momento la giovane Necromante Charlie Black ha altri problemi: una serie di omicidi – tra cui una strage in cui la sua migliore amica ha quasi perso la vita – punta dritta a lei e il Consiglio minaccia di toglierle l’unica cosa rimastale: i suoi poteri. Eppure nulla è come sembra… c’è qualcosa di più oscuro che serpeggia nell’aria, un qualcosa che si credeva passato ma che sta per tornare tragicamente al presente… tra intrighi, rocambolesche avventure e una Prescelta come babysitter, riuscirà Charlie a dimostrare la sua innocenza e salvare il mondo da un pericolo sempre più imminente?
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Ripubblico questa storia che non so come mai si fosse cancellata.

I commenti sono molto apprezzati :)

Buona lettura!                              

                 

                                                              

                             

CAPITOLO UNO

                           

Qualcuno bussò alla porta.

Merda.

Charlie mise in pausa la sua serie tv preferita e si fermò in ascolto di qualsiasi rumore che potesse provenire dal corridoio. Nulla. Neanche un respiro. Si preannunciavano guai. Fosse stato uno degli altri ragazzi, l'avrebbe sentito anche attraverso le cuffie con la musica a tutto volume. E la sua musica sapeva come essere rumorosa.

Charlie cominciò a mordicchiarsi l'interno della guancia e guardò il letto vuoto della sua compagna di stanza. Ovvero: non era esattamente vuoto; prima di sgattaiolare fuori dalla finestra per andare a una festa con gli altri, Linn aveva incantato i suoi cuscini in modo che replicassero alla perfezione la sua figura addormentata. Sarebbe stato necessario uno sguardo più che attento perché qualcuno si accorgesse che era solo una Proiezione. Peccato avessero usato quel trucco almeno un migliaio di volte – e fossero state beccate per minimo la metà di esse.

Bussarono di nuovo.

«Young, Black, aprite la porta.»

La voce gracchiante e autoritaria di Mrs Crane mandò Charlie nel panico. Senza sapere cosa fare, si alzò in piedi e cominciò a mordicchiare le pellicine del pollice, percorrendo a grandi passi lo spazio ristretto tra la finestra e la porta. David Tennant la fissava con la bocca aperta e gli occhi spiritati attraverso lo schermo del pc. Don't blink. Charlie si fermò. Cosa avrebbe fatto il Dottore al suo posto?

Improvvisando, si tirò su il cappuccio della felpa – perché i più duri avevano sempre il cappuccio calato sulla testa – e aprì la porta di uno spiraglio. Mise la testa fuori e strizzò appena gli occhi, abbagliata dal corridoio illuminato a giorno. Mrs Crane stava davanti a lei, mani sui fianchi ed espressione di chi è pronto a dar battaglia. Charlie non si vergognava neanche un po' ad ammettere a se stessa che le faceva paura. Era una donna alta e ben piazzata; nonostante fosse più vicina ai settanta che ai sessanta – così le voci dicevano – aveva folti capelli castani raccolti in una stretta treccia che le arrivava fino a metà schiena. Era una delle combattenti più dotate che Charlie avesse mai conosciuto, e sorvegliava la casa in cui vivevano come un falco pronto a piombare sulla preda. Altro che Mrs Purr. C'era un motivo se Linn e i suoi amici erano usciti prima che cominciassero le sue ronde notturne.

«Sì?» chiese Charlie, cercando di sembrare innocente. Incrociò con coraggio lo sguardo di Mrs Crane e lo tenne fermo nel suo il più a lungo possibile. Sentiva il cuore batterle forte e una parte di lei temeva che la donna se ne accorgesse. Non poteva far beccare a tutti l'ennesima punizione. C'erano già abbastanza persone che la detestavano cordialmente.

«Dov'è Eveline?»

«Dorme.»

Mrs Crane la guardò per qualche secondo di troppo, assottigliando lo sguardo, come per decidere se crederle o meno.

Don't blink.

«Tu perché non sei ancora a letto?» Per un attimo, Charlie rischiò di scoppiare a ridere e mandare all'aria tutta la copertura.

«Sto guardando una cosa al computer.»

Mrs Crane arricciò le labbra e controllò l'ora sul suo vecchio orologio da polso. Charlie si alzò in punta di piedi per dare una sbirciatina; era quasi l'una.

«Tra cinque minuti voglio tutto spento, niente discussioni,»

«Sissignora.»

Poi le pose la domanda peggiore che avesse mai potuto chiederle.

«Hai visto Aaron?»

«Come?»

«Aaron. Non riesco a trovarlo. A letto non c'è e nemmeno nelle aree comuni o in uno dei suoi soliti nascondigli.»

Un orribile presentimento affondò nella pancia di Charlie.

«Ha provato a guardare in frigo?» chiese, sorridendo con un angolo della bocca «Quel gatto ama la cioccolata. Sperando che non abbia mangiato quella di Jacob... lei sa come diventa Jacob quando gli mangiano la cioccolata. Fossi in lei correrei di sotto.»

Un'ombra passò sul volto della donna. Annuì, non parlò e si allontanò di fretta. Non appena ebbe svoltato l'angolo, Charlie si girò e chiuse la porta con un piede. Si fiondò a cercare il cellulare sepolto nelle coperte; quando lo trovò, scorse la lista dei contatti alla velocità della luce.

Uno squillo, due squilli, tre squilli.

Quattro.

Dannazione, Linn, rispondi.

Stava per riattaccare al settimo biiip a vuoto quando un'esplosione di musica orribile le perforò il timpano. Voci strascicate e sconosciute si accavallavano l'una sull'altra, mentre strani suoni di cui Charlie non voleva scoprire la provenienza facevano da sottofondo a... beh, al caos.

«CHARLIE!» urlò Linn «GIÀ TI MANCO?»

Abbassare il volume del telefono non sarebbe servito a niente, Charlie ne era certa.

«Non gridare, idiota» le bisbigliò stizzita.

«COOOOSAAAA? NON TI SENTO, CHARLIZE, PARLA A VOCE PIÙ ALTA.» Il rumore della mano di Charlie che sbatteva contro la sua faccia sovrastò per un istante la cacofonia che proveniva da quell'aggeggio infernale. «ASPETTA, PROVO A USCIRE.»

Dopodiché non si sentì altro se non eco di musica a palla e gli sporadici insulti di Linn contro le persone che non si levavano dalla sua strada. Lentamente, tutto si affievolì fino a diventare un debole ronzio di coda.

«Dio, Charlie, perché fa così freddo? Siamo a Settembre, dovrebbe essere ancora praticamente estate.»

Charlie non fu mai così felice di poter riaccostare il cellulare all'orecchio senza dover temere la perdita dell'udito.

«Forse perché sei uscita mezza nuda? Ma non è questo il punto.»

«Sono in ascolto, mamma.»

Non perse neanche il tempo di alzare gli occhi al cielo. Tanto l'altra non l'avrebbe vista. Si sedette sul letto di Linn, pronta a sentire la risposta che avrebbe posto fine alla loro vita sociale. Guardò la Proiezione della sua amica sovrappensiero. Era davvero identica a Linn: i ricci scuri scuri e così soffici da sembrare una nuvola, le lunghe ciglia tremanti, le labbra carnose, leggermente dischiuse, che sembravano fatte soltanto per essere disegnate o baciate. Le coperte si alzavano e si abbassavano in sincronia con il suo respiro; incorniciavano il vitino da vespa che Charlie aveva invidiato da morire fin dal giorno in cui si erano conosciute ormai quasi quattro anni prima. Durante le loro prime scappatelle notturne era stato stranissimo: vedere la sua amica dormire placidamente e al tempo stesso sapere che la vera Linn sarebbe andata con lei da qualche altra parte. Fuggire nel cuore della notte con la protezione di un'Altra-Charlie-ma-non-la-Vera-Charlie a giacere nel letto al posto suo. Quando ancora viveva con la sua famiglia non si sarebbe neanche sognata di rischiare – non che avesse avuto posti in cui scappare.

Adesso non ci faceva quasi più caso.

Charlie sospirò, poi si decise.

«Aaron è lì?»

Nononononononononotipregodimmidinodimmidinodimmidi-

Linn scoppiò a ridere. «Oh, sì. Non sappiamo di preciso come abbia fatto, ma è saltato dentro la borsa di Melanie e ce ne siamo accorti quando ormai era troppo tardi per tornare indietro. Quel gatto è fantastico.»

«Quel gatto ci farà finire in punizione per il resto delle nostre miserabili esisten-»

«GUARDA DOVE CAMMINI, GENIO!»

E di' addio al tuo apparato uditivo. Charlie si portò una mano all'orecchio, maledicendo per la trilionesima volta la sua compagna di stanza.

«Ma ti pare possibile che ci siano ancora persone che tra tutti i chilometri di larghezza del marciapiede scelgano sempre di correre nel centimetro già occupato?!»

«Dovete riportare Aaron indietro, adesso.»

«Cosa? No!»

«Ascolta, Linn-»

«No, Charlie! Aaron sta bene, l'ultima volta che l'ho visto gironzolava con Maya mangiando un leccalecca. Capisco che tu sia asociale e odi il mondo e quant'altro, ma non per questo devi rovinare a noi – a me – la prima festa decente da-»

«Mrs Crane lo sta cercando.»

Il silenzio raggiunse Charlie come un vecchio amico che non si vede da anni. E di cui si è scordato il nome.

Durò esattamente nove secondi.

«Merda.»

Già. Merda.

                     

***

                   

«GUARDA DOVE CAMMINI, GENIO!»

La scarica che attraversò Logan quando si scontrò con la ragazza di colore lo lasciò per un attimo senza fiato. Si voltò verso di lei, occhi spalancati e cuore palpitante. Le dita già gli sfrigolavano, in attesa del colpo che avrebbero dovuto parare.

Quel colpo, però, non arrivò mai.

Non è possibile. Non poteva non averlo riconosciuto, non poteva. Gente come lei era fatta per cacciare e uccidere quelli come lui, così come lui lei. Era questione di DNA.

E invece no.

La ragazza gli dava persino le spalle -completamente indifesa. Stava farfugliando qualcosa al telefono riguardo marciapiedi troppo grandi e persone maleducate. Come se non se ne fosse accorta. Come se non l'avesse neanche sentito.

Logan accarezzò l'idea di ucciderla. Sarebbe stato così facile. Nessuno se ne sarebbe accorto, umano e non: avrebbe soltanto dovuto rilasciare un briciolo dell'energia che gli saltellava sul palmo della mano perché l'aria smettesse di raggiungerle i polmoni. O forse le avrebbe fermato il cuore? Arresti cardiaci da giovani erano rari, certo, ma non impossibili. E Logan aveva perfezionato un tocco troppo gentile perché qualcuno potesse percepire tracce della sua magia. Sarebbe bastato un semplice schiocco di dita.

(Il più delle volte).

Stava per sfiorare i capelli della ragazza quando si fermò. Sorrise. No. Abbassò il braccio con cautela e proseguì di nuovo in direzione della festa.

La strega sarebbe stata più utile da viva.

Per il momento.

                   

***

                       

Con uno sbuffo, Charlie chiuse la chiamata. Maledetta Linn. Non era così che sarebbe dovuta andare la sua serata. Mise il cellulare nella tasca dei pantaloni e si infilò di corsa il primo paio di scarpe che riuscì a recuperare da sotto il letto, lasciandole slacciate. Si girò verso la porta, pervasa dal dubbio. Chiuderla o non chiuderla? Se Mrs Crane fosse ripassata di lì e l'avesse trovata chiusa a chiave, si sarebbe di certo insospettita. Dall'altro lato, se fosse entrata e non l'avesse trovata a letto – o peggio, se avesse smascherato la Proiezione di Linn – sarebbero stati guai seri. Charlie non aveva il tempo materiale per produrre una Proiezione anche per sé. E poi era Linn quella veramente brava; il massimo che lei fosse mai riuscita a ottenere era stata una figurina minuta e con i capelli corti come i suoi, ma con la faccia completamente diversa.

Dandole un'ultima occhiata veloce, Charlie sbuffò di nuovo e girò la chiave nella serratura. Una porta chiusa le avrebbe fatto guadagnare un paio di minuti in ogni caso.

Già si sentiva il fiato sul collo.

Io Linn la ammazzo.

Si preparò mentalmente all'impresa e spalancò la finestra. La scavalcò con una gamba, sedendosi sull'infisso, e guardò in basso. Avrebbe potuto scendere a terra anche a occhi chiusi; lei e Linn avevano passato un pomeriggio intero sedute sull'erba davanti a quella parete per studiare tutti gli appigli più sicuri. Il percorso era perfetto ed era stato collaudato infinite volte. Non c'era pericolo di cadere.

Se solo quell'orribile presentimento avesse smesso di tormentarla. Le faceva prudere il naso.

Charlie scacciò dalla testa ogni pensiero che non riguardasse il recupero di Aaron. Non si guardò più indietro, scavalcò la finestra anche con l'altra gamba e cominciò la discesa, aggrappandosi ad ogni sporgenza e ai rampicanti più resistenti. Quando mancavano un paio di metri si lasciò cadere nel vuoto. Atterrò piegando le gambe e rotolando per attutire il colpo, silenziosa come un ninja.

«Black»

Le sembrò che la terra le venisse sfilata da sotto i piedi.

«Yuh-uhuh? C'è nessuno? Avanti, Black, esci fuori da quei cespugli. Tanto lo sai che ti ho vista»

Charlie, reclutante, si alzò. Ma l'orizzonte era sgombro fin dove poteva vedere; non c'era traccia del proprietario della voce.

«Sono qui sotto!» cantilenò. Charlie si girò un po' verso destra, strizzando gli occhi. A qualche metro da lei, nascosto dall'ombra di un albero, stava steso un ragazzo con una zazzera di capelli tinti di un rosso fuoco quantomai ridicolo. «Che ci fai fuori da sola nel cuore della notte, Charlie Brown?»

Charlie, per l'ennesima volta, sbuffò.

«Non ho tempo per i tuoi giochetti, Bartholomew» Lui scoppiò a ridere. Charlie si guardò intorno, sperando che non li vedesse nessuno «Bene, è stato bellissimo chiacchierare con te, ma io adesso dovrei andare.» Cominciò ad avviarsi nella direzione opposta, quando la voce del rosso la bloccò di nuovo.

«A meno che non vada ad avvisare la nostra cara Mrs Crane?»

Chiuse gli occhi e respirò piano.

«Che cosa vuoi?»

«Oh, finalmente ci siamo» Bartholomew si alzò lentamente, stiracchiandosi pigro come un gatto «Dove stai andando?»

«A salvare il culo a quelli che sono andati alla festa perché si sono portati Aaron e la Crane lo sta cercando.»

Il ragazzo arricciò le labbra e si avvicinò di qualche passo «Sembra noioso»

«È una fortuna che non sia tu a doverlo fare, allora» disse Charlie stizzita. Stava perdendo tempo. Troppo tempo «Posso andare, ora?»

«Certo che no! Dobbiamo ancora stabilire che cosa mi devi in cambio del mio silenzio»

«Ma che idiozia è q-»

«Oh, guarda. Si è accesa una luce in soggiorno» Charlie si girò ad occhi sgranati, lo sguardo incollato alle finestre illuminate. Doveva andarsene. Adesso. «Potrei anche lanciare un sassolino contro il vetro e vedere se qualcuno risponde»

«Oppure potrei lanciare io qualche sassolino e vedere se qualcuno risponde»

A quelle parole, le sopracciglia di Bartholomew scattarono verso l'alto.

«Io non credo, piccola Nec. A meno che tu non voglia far visita ai tuoi genitori» Ma Charlie leggeva qualcosa di diverso dalla spavalderia nelle sue spalle d'improvviso più rigide e le mani che fremevano. Incertezza. Paura. Ce n'era sempre un po', quando il vento soffiava dal lato sbagliato e lei era nei paraggi.

Bartholomew rise, una risata leggera che non raggiungeva gli occhi. Indietreggiò di un passo, lasciandola andare. «Sappi però che mi devi un favore, Black.»

Charlie non lo degnò di un altro sguardo e si avviò verso i confini del parco. La luna nuova dava un minimo di protezione da occhi indiscreti, ma Charlie si tenne comunque lontana dalla strada sterrata che conduceva al cancello d'entrata. Nascosta in mezzo ai cespugli, c'era una parte della solida recinzione in ferro battuto sotto la quale era stato scavato un passaggio largo abbastanza per il più grande di loro. Piccolina com'era, Charlie non dovette nemmeno sforzarsi per sgusciare via.

Qualche metro più avanti si stagliava invisibile la barriera che avvolgeva la casa come una cupola. Teneva lontani i nemici – ma soprattutto gli umani. Dall'esterno era pressoché impenetrabile. Dall'interno... beh, quelle erano di certo un altro paio di maniche. Già da prima che Charlie arrivasse, i ragazzi erano riusciti a indebolirla in prossimità del passaggio, così che la vibrazione di energia durante le loro uscite-non-esattamente-autorizzate fosse a stento percettibile. Charlie individuò in fretta il punto, quel debole tremolio captabile solo da occhio non-umano che a tratti rifletteva il luccichio delle stelle. Quando lo attraversò incontrò soltanto una leggera resistenza.

Dall'altro lato, le sembrò di respirare per la prima volta. I campi di forza non erano la sua passione.

Raggiunse la strada e recuperò una bicicletta malridotta mimetizzata tra i rovi e le radici degli alberi.

Non le restava che pedalare e pedalare, sperando che non fosse già troppo tardi.

                           

***

                           

Linn si strinse nella giacca di pelle e, nonostante i brividi di freddo, decise di restare fuori qualche altro minuto. Rovistò nella tasca sinistra e prese l'ultima sigaretta dal pacchetto. Era il terzo di quella settimana; se Mrs Crane o la Direttrice Monroe l'avessero scoperta, l'avrebbero di certo rinchiusa a vita. Non che adesso fosse autorizzata a fare alcunché – ma almeno la sorveglianza era ridicola.

Tranne quando scoprivano che Aaron ne aveva combinata una delle sue.

Linn sospirò, fissando quel piccolo cilindro bianco con la fronte aggrottata. Se non si contava il filtro, era lungo quanto il suo indice, fragile e liscio; sotto la superficie poteva sentire tutti i suoi componenti tritati e pressati assieme per creare quel piccolo assaggio di peccato. Avrebbe dovuto premere solo un po' più forte per spezzarlo in due. Se lo lasciò rotolare sulla pelle, stretto tra due dita. Poi, senza rimuginarci ancora, si appoggiò al muricciolo dietro di lei e accese la sua ultima sigaretta.

Si godette la sua piccola bolla di silenzio, estraniandosi dal caos della festa a qualche decina di metri da lei.

La lasciò insoddisfatta, come sempre.

Spense il mozzicone con la punta delle décolleté e tornò dentro.

Il calore che la investì fu quasi un sollievo, la musica a tutto volume, le risate, le luci, i colori. Appese la giacca sull'unico appendiabiti che non straripasse e si rituffò nel mare di corpi che si dimenavano al ritmo dell'house. Non esattamente il suo genere preferito, ma si accontentava.

Dove diavolo erano finiti i suoi amici? Quando era uscita per parlare con Charlie li aveva lasciati praticamente all'entrata, ma di loro non c'era più traccia.

Charlie.

Linn si morse il labbro, e cominciò a cercare in giro. Doveva ammetterlo: si sentiva un po' in colpa. C'era un motivo se Charlie non aveva voluto venire alla festa, e davvero, Linn lo capiva. Non doveva essere bello vedere la ragazza per cui hai una cotta da quando hai memoria infilare la lingua nella bocca di qualcun'altra. E dire che Mary Reed non si facesse riserve era più o meno l'eufemismo del secolo.

«Jacob!» esclamò Linn, afferrando il braccio del ragazzo. Lui e gli altri si erano rintanati in un angolino mal illuminato, accatastati su un divano che aveva visto giorni migliori. Era impossibile respirare aria che non fosse contaminata da fumo non-esattamente-di-sigaretta. Seduto nel mezzo tra i cuscini strappati c'era un tizio – un umano – con un sorriso ebete incollato sulla faccia.

Era completamente fatto.

«Linn!» Jacob la avvolse in un mezzo abbraccio, facendola cadere sopra di lui «Dove ti eri andata a cacciare? Ma adesso non importa,» la zittì ancora prima che cominciasse a spiegare. Un sorriso sghembo gli uscì sulle labbra, mentre cercava (invano) di sembrare serio. «In questa bellissima e gloriosa serata, mia cara Eveline, ho l'onore di presentarti...» Scoppiò in una risata sguaiata, e diede una pacca sulla spalla al ragazzo accanto a lui per richiamare la sua attenzione «Ehi, com'è che ti chiamavi?»

Quello si girò verso di loro, aprì ancora di più il sorriso e si accasciò contro lo schienale del divano emettendo versi incomprensibili.

«Non credo abbia mai detto il suo nome,» commentò Cam dall'altro lato del divano.

«Porca vacca. Ma che diavolo gli avete dato?»

«Una delle nostre.» Cam prese un sorso del suo drink azzurro puffo e sprofondò l'indice nella guancia del ragazzo. Non ottenne alcuna reazione. «Guardalo, è così carino. Quando si sveglierà domani... sera – sì, dai, per domani sera riuscirà a svegliarsi, no? - gli sembrerà di essere tornato dal paese delle meraviglie.»

Linn alzò gli occhi al cielo, ma si lasciò scappare un mezzo sorriso. Si sistemò meglio sulle gambe di Jacob e gli rubò di mano il suo bicchiere. Annusò il liquido arancione che conteneva, girando con la cannuccia i cubetti di ghiaccio che stavano sciogliendo. Prese un piccolo sorso di prova, e sospirò contenta. Sì, c'era abbastanza alcol.

«Sapete dov'è Aaron?»

«Chi?»

Linn sbuffò e tirò un calcio a Cam, facendo ondeggiare pericolosamente l'umano tra di loro. Jacob lo raddrizzò con una mano «Aaron, idiota.»

Di fronte all'espressione persa del biondo, la ragazza si girò verso Jacob. Il suo sguardo colpevole parlava da sé.

«Uhm,» Jacob finse un colpo di tosse. Linn alzò un sopracciglio. «Anche Cameron potrebbe essersi fumato un paio delle nostre sigarette artigianali

Gran bel nome per della marijuana incantata. Almeno lei fumava solo tabacco.

«Definisci un paio.»

«Cinque o sei?»

Linn nascose la testa tra le mani. Erano proprio nei pasticci.

«È la volta buona che ci uccidono.»

                       

***

                             

Non appena arrivato sul tetto della fabbrica, Logan fece apparire un fuoco scoppiettante in uno schiocco di dita e scintille argentate. Si tolse la giacca di jeans cercando di non badare al freddo e si stiracchiò, tendendo le braccia per sciogliere i muscoli.

Tagliò fuori qualsiasi rumore che non fosse il battito del suo cuore o la voce ancora senza volto che continuava a chiamare il suo nome.

Logan. Logan. Logan.

Il brivido che gli percorse la schiena non aveva nulla a che vedere con la temperatura.

Il ragazzo si scrocchiò le dita.

C'era del lavoro da fare.

                                   

   
 
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