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Autore: Frulli_    26/11/2017    3 recensioni
Inghilterra, 1805. Cathleen ed Emma non potrebbero essere più diverse: la prima è razionale e posata, la seconda entusiasta e romantica. Ma quando le due sorelle avranno a che fare con l'amore e i sentimenti, le reazioni saranno totalmente diverse.
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
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15. Twice
 
30 ottobre 1806
«Buonanotte Charlotte»
«Buonanotte Cathy»
Richiuse lentamente la porta della camera della sorella e, guidata dalla fioca luce della candela, entrò nella propria stanza. Ormai dormiva da sola da quando Emma si era sposata, era con lei che divideva una volta la camera da letto. Ora, tutto quello spazio era per lei. Si sedette alla scrivania, sistemando lo scialle sulle spalle e lasciando la candela accesa, la fiamma vivace che danzava nell'oscurità.
Doveva ancora scrivere il suo diario, non ne aveva avuto tempo per tutto il giorno. Non che avesse molto da scrivere, d'altronde: l'unica grande notizia della giornata, sorvolando le lamentele sul freddo infernale che faceva in questi giorni autunnali, era che Edward aveva chiesto la mano di Elizabeth e si erano fidanzati ufficialmente il giorno stesso. Avevano festeggiato a lungo, a casa dei Barrington, ed erano tornati da solo qualche ora, il tempo di cambiarsi e andare a letto.
C'era silenzio tra quelle calde e accoglienti mura. Casa sua. Solamente casa sua.
La notizia della morte di Adam non aveva colto tutti di sorpresa: girarono per giorni i pettegolezzi su di lui, e scoprì che non era affatto uno stinco di santo. Qualche domestica precisò che, secondo lei, non era morto nemmeno per l'oppio o l'alcol, ma per la sifilide. Vennero svolti i funerali, fu sepolto nella cappella di famiglia, vicino alla madre, e lentamente Sir Barrington riprese coscienza ed energie fisiche. La morte di Charles aveva per sempre intaccato il suo animo, non sorrideva più, non sarebbe mai tornato più lo stesso...ma almeno era vivo. Come lei, no? Non sarebbe mai tornata quella di prima, né tanto meno a sorridere, ma aveva qualcosa per cui vivere. Un nipote in arrivo, un altro già di tre anni, ed una cognata oltre che migliore amica. Una delle poche che poteva un po' allietare il suo umore.
Fissò la pagina bianca del diario dove aveva scritto solo la data odierna. Sbuffò, riponendo la piuma d'oca e l'inchiostro. Aveva troppo sonno per scrivere il diario, lo avrebbe fatto il giorno seguente: certo non poteva accadere nulla da quel momento fino a dopo la colazione. Portò la candela vicino al letto, appese lo scialle e s'infilò sotto le calde coperte, soffiando subito dopo sulla fiamma, cadendo nell'oscurità della notte.
Aveva lasciato la tenda della finestra aperta, come sempre da quando era morto Charles: non sopportava l'idea di essere completamente ovattata nel buio più totale, almeno la luna ogni tanto le faceva compagnia prima di addormentarsi, rischiando appena l'interno della camera. Chiuse gli occhi, aguzzando l'udito: suo padre tossì appena, nella stanza vicina, prima di sentirlo rigirare nel letto che cigolò lentamente. Nella camera adiacente, Charlotte prese subito a russare. Sorrise tra sé, divertita di come una ragazzina così piccola potesse russare così tanto.
Si girò di lato, rannicchiandosi. Chiuse gli occhi di nuovo, cominciando a pregare: dire le preghiere le fece venire sonno. E così, velocemente, scivolò in un sonno profondo e in sogni confusi e tormentati.


Il campanello dell'ingresso suonò così forte che la svegliò. Lo aveva percepito già nel suo incubo e le aveva quantomeno permesso di allontanarsi da quelle immagini così cupe. Si sedette lentamente sul letto, assonnata, confusa. Guardò fuori dalla finestra: non era lontanamente l'aurora, ma piena notte. Chi mai poteva essere a quell'ora? Sentì passi veloci e discorsi concitati, porte aperte e chiuse velocemente, la luce delle candele che filtrava da sotto la porta.
Il primo pensiero fu per Emma, ed allarmata dal letto, raccolse al volo pantofole e scialle ed uscì verso il corridoio.
«Padre, che succede?» chiese incrociando Mr Colborne in cima alle scale, quelle che si affacciavano sull'ingresso.
«Non lo so, Cathy, qualcuno ha bussato» mormorò l'uomo, la voce roca dal sonno. Proprio in quel momento una domestica, in veste da notte, cuffia e una candela in mano, andò ad aprire la porta d'ingresso. Ne entrò una figura che, sotto la luce delle candele, Cathleen riconobbe subito.
«Elizabeth! Santo cielo che succede?» chiese scendendo veloce le scale insieme al resto della famiglia.
La giovane amica aveva i capelli scompigliati, raccolti velocemente in una treccia; stivali ai piedi e, sopra di essi, una veste da notte ed un cappotto. Aveva il viso pallido, la pelle tirata, come se avesse visto la morte in persona.
«Elizabeth!» esclamò in sussurro Edward, arrivato solo in quel momento.
La giovane sorrise appena, osservandoli. «Mi spiace di avervi disturbato, non volevo, e scusate anche il mio pessimo abbigliamento...ma è importante, molto»
«Diteci tutto, miss, senza timori» annunciò Mr Colborne.
«Ebbene...è arrivata una carrozza a Barrington House, appena sceso il sole: dentro c'erano due giovani ragazzi che hanno fatto scendere un giovane, privo di sensi, irriconoscibile per via della barba e dei capelli così lunghi da sembrare un vecchio. I due giovani lo hanno trovato a Londra, vicino al porto, e gli è stato indicato il nostro indirizzo. Abbiamo chiamato subito il medico: il giovane è in situazione critica ma è vivo, ha perso molto peso e...»
«Elizabeth» la interruppe Cathleen, fissandola «chi è quel giovane...?»
L'amica deglutì, osservando tutti loro. «Non ne abbiamo la certezza, è così magro, è irriconoscibile, ma...»
«Ma...?»
«Ma prima di svenire, a questi due ragazzi ha detto di chiamarsi...Barrington, Charles Barrington»
Cathleen si portò una mano alla bocca, sedendosi lentamente su una sedia all'ingresso. Dalla bocca la mano si portò sulla fronte, come temendo di avere febbre e allucinazioni. Charles? Vivo?
«Portatemi subito stivali e cappotto» ordinò. Non c'era un minuto da perdere.


La domestica illuminava con un porta candele il corridoio buio che le avrebbe condotte alla stanza del loro visitatore.
«Il medico è andato via?»
«No Miss, è rimasto a dormire nella stanza adiacente, per ogni evenienza...per richiesta del padrone»
«Certo...» si limitò a dire Elizabeth, guardando poi Cathleen al suo fianco.
Da parte sua, Cathleen poteva solo che essere d'accordo con Sir Barrington: Charles o meno, quell'uomo aveva comunque bisogno di assistenza. Si fermarono davanti una porta chiusa, che venne aperta lentamente dalla domestica. Era illuminata da più candele, ma in modo da renderla sempre adatta ad un sereno riposo. Sir Barrington dormiva su una poltrona vicino ad un letto a baldacchino dove giaceva un uomo, supino, avvolto dalle coperte. Cathleen poteva sentire da lì l'odore di salsedine che lo avvolgeva, rendendo l'aria pesante. Era irriconoscibile: era talmente magro da potergli contare tutte le falangi della mani, ed il viso era ricoperto da una folta barba bionda che ricadeva sul petto, e lo stesso dicasi dei capelli incrostati di sale marino.
«Zio...» mormorò Elizabeth, svegliando dolcemente Sir Barrington.
«Mh..!» brontolò quello, svegliandosi di colpo, allarmato.
«Zio, sono io state tranquillo...sono tornata con Miss Cathleen, vuole vegliare anche lei un pò»
«Oh, Miss Cathleen...noi non siamo sicuri. Eppure dovrei riconoscerlo, è pur sempre mio figlio»
«Non ti crucciare zio. Ricordi? Domattina chiameremo il barbiere e gli daremo una sistemata, per ora il dottore ha detto di non toccarlo né tanto meno svegliarlo. Potrebbe aver contratto qualche malattia infettiva. Deve solo riposare» precisò Elizabeth rivolgendosi anche all'amica.
«Va bene...voglio solo avvicinarmi un pò» mormorò Cathleen, tenendosi stretto alle spalle il mantello.
Elizabeth annuì, senza dire nulla. L'amica avanzò lentamente verso il capezzale, timorosa. Il cuore a mille, le domande che affollavano la sua testa. La paura di un errore che le attorcigliava lo stomaco. Deglutì a vuoto, fermandosi davanti l'uomo.
Era in uno stato disumano: ovunque fosse stato, era chiaro che non mangiava da giorni, forse settimane. Il suo corpo scheletrico si sommava al suo stato selvaggio, come se i Barrington avessero ospitato un leone dentro casa loro. Eppure...c'era qualcosa, in quel viso nascosto, che...ma forse si sbagliava, forse voleva solo convincersi che fosse lui. Si girò verso gli altri due presenti e Sir Barrington si alzò, cedendole il posto e posandole sulle gambe la propria coperta.
«So quello che state pensando, Miss Cathleen...ma nel giro di tre mesi ho perso due figli. Se c'è anche solo una possibilità di riavere uno dei due, spererò affinché quell'unica possibilità sia quella giusta»
Cathleen sorrise, annuendo appena.
Si sistemarono dunque per la notte. Sir Barrington obbligò Elizabeth a tornare nelle sue stanze, aveva viaggiato in piena notte rischiando la vita per avvisare i Colborne, come minimo doveva riposarsi serenamente. Rimasero così Cathleen e Sir Barrington, ognuno sulla propria poltrona. Le domestiche a turno scortavano il medico nella stanza con una certa regolarità, all'incirca ogni ora. Ne controllava il polso, il respiro, la reattività oculare, e poi usciva...non c'era molto da fare, se non aspettare.
Cathleen fissò a lungo quella criniera scheletrica, ed alla fine non arrivò a nessuna soluzione: d'altronde se un padre non era riuscito a riconoscere un figlio, come poteva lei pretendere di riuscirci? Socchiuse lentamente gli occhi: si ricordò che lei stessa non aveva dormito la notte, ma aveva insistito nel rimanere nella stanza.
Sbadigliò più volte e quando cominciò a sentire Sir Barrington russare, si fece prendere anche lei la mano e inclinò indietro il capo, riposandosi. Chiuse gli occhi e in men che non si dica scivolò in un sonno profondo.
Quando si svegliò le sembrò che fosse passato solo qualche istante, ed invece l'aurora stava sorgendo. Si guardò intorno, confusa, facendo piano: Sir Barrington russava ancora. Non se ne accorse subito, ma solo dopo qualche istante percepì uno sguardo, addosso a lei. Lentamente si girò verso il capezzale e sobbalzò quasi nel vedere il volto dello sconosciuto rivolto verso di lei, gli occhi aperti nel guardarla. Incerta, non si mosse e continuò a guardarlo. Quegli occhi...poteva essere davvero lui?
«Charles...» sussurrò Cathleen, timorosa, come se stesse pronunciando un antico incantesimo. Quello, in tutta risposta, girò il viso dall'altra parte e chiuse gli occhi, come per riaddormentarsi.
«Oh buongiorno Miss Cathleen» annunciò con garbo il dottore, entrando nella stanza. Aveva due profonde occhiaie sotto gli occhi, ma un sorriso gentile.
«Buongiorno, dottore...» mormorò Sir Barrington, svegliato da quel lieve trambusto.
«Vediamo come sta il nostro ospite oggi, dunque...mh sì, la febbre è scesa. Ha energia da vendere questo giovanotto! Anche uno o due giorni e credo si sarà ristabilito del tutto, mi ha sentito signorino?» precisò il medico, osservando l'uomo che sembrava dormire «bene, ora controlliamo questa ferita»
«E' ferito?» chiese Cathleen, avvicinandosi.
«Sì, ha una profonda ferita che ha reciso, temo, un muscolo della coscia. Non ho dovuto amputare l'arto perchè la ferita non si è infettata, non chiedetemi perchè no. Ma temo che l'uso di questo braccio sia un po'...compromesso. Nulla di grave, se pensiamo a cosa abbia potuto passare. Serviranno almeno due mesi per ritrovare un peso ed una forma umana» precisò l'eloquente medico, controllando la ferita con accuratezza. Troppa, forse, dato che all'ennesimo tocco il ferito sobbalzò sul letto, cercando di divincolarsi.
«Fermo vi dico!» brontolò il medico.
«Sta fermo Charles, sii paziente» mormorò Sir Barrington.
«Aspettate, vi aiuto...» mormorò allarmata Cathleen. Aggirò il letto e cercò di bloccare lo sconosciuto, ritrovandosi così a guardarlo dritto negli occhi. Quegli occhi...
«Potete lasciarlo, Miss, grazie» annunciò il medico. Cathleen obbedì, rimanendo in piedi lì al suo fianco. Lo sconosciuto taceva e fissava Cathleen mentre il medico armeggiava, rifasciando la spalla. «Molto bene! Ora se volete scusarmi, io andrei a riposarmi come si deve. Ho chiesto alle domestiche di provare a dargli da mangiare, e più tardi a pulirlo e rasarlo come si deve. Se ci sono problemi, io sono nella stanza di fianco»
«Lasciate, faccio io» annunciò Cathleen alla domestica che portò la colazione su un vassoio. Sir Barrington annuì verso la domestica che, ubbidiente, lasciò il vassoio sul tavolo ed uscì.
«Miss Cathleen...non siete stanca?» chiese Sir Barrington osservandola.
«No Sir Barrington, davvero. Posso chiedervi solo la gentilezza di avvisare la mia famiglia?»
«Ma certo, sarà fatto. Vi faccio preparare anche una stanza, nel caso vogliate riposarvi più tardi. Tu fai il bravo e mangia tutto, chiaro?» aggiunse Sir Barrington rivolgendosi all'uomo, il quale si limitò a guardarlo e a spostare gli occhi verso il thè fumante.
Una volta rimasi soli, Cathleen e l'uomo si guardarono a lungo, studiandosi. Come a capire chi fosse la persona davanti a sé.
«Forza, dovete mangiare e bere un po'. Volete i biscotti o della frutta?» chiese alla fine Cathleen, interrompendo quel silenzio. L'uomo non rispose, ma la mano scheletrica e nodosa indicò appena il grappolo d'uva.
«E frutta sia. Ecco, vi preparo i chicchi» mormorò Cathleen, porgendogliene uno. L'uomo porse la mano ma la coordinazione non ebbe la meglio e, poco prima di metterselo in bocca, gli scivolò sulle lenzuola. S'incupì, socchiudendo gli occhi. Non serviva un medico per capire che era contrariato.
«Non vi preoccupate, guardate...vi aiuto» annunciò gentile Cathleen, imboccandolo lentamente. Impiegarono svariati minuti per mangiare solo qualche grappolo, la sua masticazione era lenta dopo tutti quei giorni di diguno. «Non dovete adirarvi con voi stesso...siete debole, magro e ferito, è normale che non abbiate le forze. Ma un po' alla volta riuscirete a riabituarvi...e tornerete in forze per mangiare da solo» gli spiegò, incoraggiandolo.
L'uomo non rispose ancora, si limitò a masticare l'uva lentamente. Dopo un altro paio di chicchi, indicò il thè e Cathleen prontamente lo aiutò. Trascorsero almeno un'ora a mangiare la colazione, in silenzio, ed il medico si complimentò con entrambi a mezzogiorno, quando vide che il ferito aveva mangiato metà colazione e metà del pranzo.
«Cathleen» la richiamò Elizabeth, sulla soglia della porta. La ragazza si asciugò le mani e le si avvicinò «perchè non vai a riposarti? Ti ho portato degli abiti più comodi, le domestiche hanno acceso il fuoco nella camera che ti hanno preparato. Vai a riposarti, adesso devono lavare e rasare Charles, non c'è b-...»
«Allora anche tu hai visto i suoi occhi, vero?» intervenne subito Cathleen, a bassa voce, lanciando un'occhiata al malato che riposava «è lui, vero?»
Elizabeth si lasciò sfuggire un sorriso, accarezzandole una guancia. «Credo proprio di sì...»
Cathleen sorrise, sentì gli occhi pizzicare per l'emozione. «E' lui, Elizabeth...è proprio lui...»
«Si si, è lui, è Charles! Ma ora va a riposarti, forza!» sussurrò decisa l'amica.


Quando Cathleen riaprì gli occhi era pomeriggio inoltrato. Si maledì per aver dormito oltre il previsto, ma poi rallentò la mente ed il corpo: Charles non dipendeva dalle sue cure, un'intera villa era a sua disposizione e se fosse successo qualcosa sicuramente Elizabeth l'avrebbe chiamata. Si vestì con calma, si sistemò i capelli, cercò di curarsi come meglio poteva. Mentre camminava lungo i corridoi si ritrovò a percepire il suo cuore accelerare, flebile, scostante...come se fosse la prima volta che vedeva Charles.
«Permesso...» mormorò, affacciandosi appena nella camera. Non c'era nessuno in quel momento, tranne chi occupava il letto, dormendo. Non c'era più odore di mare e salsedine, né di medicine e sangue, ma più di sapone e...lavande.
Gli occhi si riempirono di lacrime quando vide un mazzo di lavande sistemato sulla scrivania dell'ampia stanza. Le stesse lavande che lui aveva paragonato a loro due. Commossa si avvicinò al letto e dovette coprirsi la bocca col dorso della mano quando vide il viso sbarbato dell'uomo.
Era più magro di quel che aveva immaginato: aveva gli occhi infossati, le labbra disidratate, la pelle scarna, tirata sul cranio. Ma la barba era stata completamente rasata, i capelli lavati e tagliati in un taglio militare, come lui era solito portarli.
Era Charles.
Arretrò di qualche passo, correndo alla finestra e portando le mani a poggiarsi sul davanzale, per sostenersi. Pianse in silenzio, cercando di non fare troppo rumore, non riuscendo ad impedire alle spalle di scuotersi violentemente per i singhiozzi soffocati dalla bocca e dalle mani.
«Oh Cathleen...» mormorò la voce di Elizabeth, entrando in quel momento. L'abbracciò, piansero insieme, rimasero strette a lungo.
«L'ho sempre sperato, ma non ho mai osato immaginarlo davvero...darmi false speranze...è un miracolo...» mormorò Cathleen, tra le lacrime che non riusciva a placare.
Lentamente il pianto fece spazio alla gioia ed entrambe si girarono verso di lui, avvicinandosi. Lo osservavano, in piedi, studiandolo.
«E' dimagrito molto...» ammise Cathleen.
«Chissà cosa gli è capitato...»
«Dici che potrà usare la gamba di nuovo?»
«Almeno non è diventato demente, la testa funziona dice il medico»
«Meno male, almeno si ricorda di me...»
«Non che sia sempre stato una mente brillante, insomma» precisò Elizabeth ironica, facendo sorridere Cathleen.
«Guardate che vi sento...» brontolò Charles tra i denti, tenendo ancora gli occhi chiusi.
Cathleen e Elizabeth trattennero il fiato, prima di ridere: era una voce roca e impastata, ma era una voce. La sua voce.
Charles si girò lentamente ed aprì gli occhi, sorridendo debolmente. Cathleen sentì le lacrime salire di nuovo quando vide quel sorriso, quel sorriso che le era mancato per mesi, che non credeva avrebbe potuto rivedere. Si sedette al suo fianco, guardandolo a lungo. Cathleen scoppiò a ridere di colpo, seppur gli occhi si velassero ancora di lacrime.
«Ti credevo morto...»
«Anche io mi credevo morto...» mormorò Charles, stringendo debolmente la mano della giovane.
«L'importante è che tu sia reale, e non un sogno»
«Spero di non esserlo...» ammise ironico Charles, prima di tossire appena. Cathleen gli sistemò le coperte prima di posargli un bacio sulla fronte, delicato.
«Riposati ora, avremo tempo per parlare...» mormorò lei, osservandolo.


 
24 Dicembre 1806
I giorni passarono, e così anche le settimane ed i mesi. Entrò ufficialmente l'inverno, e fu uno dei più rigidi che Mr Colborne e Sir Barrington potessero ricordare con la loro affilata memoria. La neve si fece vedere più e più volte durante tutto il mese di Dicembre, sciolta poi dalle abbondanti piogge che invasero la campagna inglese. Le temperature fuori impedivano qualunque lavoro o attività, ma quando nevicava nessuno poteva resistere a schiacciare il naso contro le finestre, ad ammirare quel piccolo miracolo invernale. Per il Natale di quell'anno, data la ancora cagionevole salute di Charles e la solitudine che incombeva su Sir Barrington, i Colborne decisero di trascorrere qualche giorno a Barrington House, allargando l'invito anche a Fanny e agli Herbert.
Sir Barrington aveva organizzato tutto in grande: era così felice del ritorno del figlio che fece abbellire la tenuta con ghirlande, vischi e biancospini, ed ancora ceppi ad ogni camino principale delle stanze, cene e musiche danzanti. Non mancarono nemmeno dei momenti di profonda preghiera e di carità, visitando l'orfanotrofio di Bath a cui venne donata una somma considerevole.
In quanto a Charlotte, non poté badare a niente di tutto ciò: lei era troppo presa dalla neve che vedeva per la prima nella sua giovane vita. Fino a quella fredda Vigilia Mrs Colborne non le aveva dato il permesso di poter uscire ma, si sa, Natale fa avverare i piccoli miracoli.
«Madre, vi prego...almeno oggi posso uscire? Mi coprirò bene e starò fuori solo qualche minuto!» supplicò Charlotte, lamentevole.
«Assolutamente no, Charlotte. Non abbiamo bisogno che ti ammali il giorno della Vigilia: vorremmo passare un sereno Natale, e Sir Barrington non ha bisogno di distrazioni negative, né tanto meno il Capitano»
«Ma non mi ammalerò, sapete che sono di salute forte! E poi Charles verrebbe a giocare con me se potesse! Si alza e cammina assai bene, parla e ragiona come un cristiano e...»
«Charlotte...non esagerare» mormorò pacato Mr Colborne, facendole poi un occhiolino.
«Oh madre, vi prego!» esclamò in pena Charlotte, inginocchiandosi ai suoi piedi.
«Madre...» intervenne Emma, sorridendo «posso accompagnare io Charlotte fuori»
«Oh questa è buona! Una giovane incinta, che dovrebbe star attenta anche a camminare, che accompagna una ragazzina in mezzo al freddo e alla neve. Non se ne parla»
«E se andassimo tutti insieme fuori?» propose Edward, sorridente.
«Certo, potremmo sorvegliare meglio Charlie se siamo tutti fuori» precisò Cathleen.
Arthur sorrise all'idea, alzandosi: «Vado a prendere i soprabiti» annunciò entusiasta.
«La gravidanza sta facendo impazzire Sir Egerton?» chiese ironica Mrs Herbert «suvvia Mrs Colborne, che cosa vuole che accada con un po' di aria fredda? Fa bene ai polmoni! E poi oggi è la Vigilia di Natale...siamo tutti più buoni»
Mrs Colborne sospirò, prima di fissare Cathleen ed Edward. «Voi sarete responsabili della sicurezza e della salute delle vostre sorelle. Se uno di voi si ammala, vi chiudo dentro le vostre stanze e ci rimarrete fino alla prossima Stagione»
«Non siamo più bambini!» esclamò Edward divertito, infilandosi il cappotto e arrotolando una sciarpa di lana intorno al collo.
«No, ma sono sempre vostra madre» precisò secca Mrs Colborne, tornando alla sua partita di carte.
I ragazzi uscirono ridacchiando verso il giardino innevato. Charlotte ed Edward non persero tempo e cominciarono a mangiare e toccare la neve, ridendo come due bimbetti. Trascorsero la successiva mezz'ora a giocare a palle di neve, vedendo la squadra di Cathleen Emma ed Arthur miseramente sconfitta, tra le grida di vittoria di Charlotte Edward ed Elizabeth. Fu un momento assolutamente magico e felice, e nessuno per un attimo pensò ad Adam, ad un figlio perso, ai litigi, ai pianti, alle lacrime...era Natale, e niente poteva renderli tristi.
«Presa!» esclamò ridendo Edward colpendo in pieno viso Cathleen.
«Eddie!» gridò ridendo la sorella.
«Sei lenta, Cathy, troppo lenta!»
«Ora ti faccio vedere se sono io lenta...» brontolò Cathy, incamminandosi verso di lui. Era facile per gli uomini, senza quelle pesanti gonne! Alzò la testa, chiudendo gli occhi e aprendo la bocca, lasciando che i fiocchi di neve si posassero sulla lingua, sciogliendosi. Ridacchiò tra sé prima di riportare gli occhi davanti a sé. Nel farlo, incrociò una finestra della dimora dove erano ospiti. Aguzzò appena la vista, tra la fitta neve, e sorrise quando vide una figura affacciata.
Era Charles.
Sollevò appena la mano, salutandolo. Prontamente l'altro rispose, sorridendo. Indossava una camicia bianca sotto alla vestaglia, ed entrambi gli indumenti erano tornati a fasciare il corpo degnamente. Anche il viso si era ingrassato, senza più mostrare quegli occhi infossati e mesti, ma uno sguardo più brillante e allegro.
«Vieni Cathy!» gridò Charlotte. Cathy sorrise un'ultima volta a Charles, prima di raggiungere il resto del gruppo.
«Ti guarda con certi occhi innamorati...» le sussurrò sorridente Emma, che camminava dondolando, pesante per il suo ventre ricurvo.
«Credo che l'effetto sia dato dalla febbre...» precisò Cathleen ironica.
«Non dire sciocchezze Cathy, Charles sta benissimo. Deve solo trovare il coraggio di uscire dal suo guscio. Lo capisco benissimo...ci ho parlato sai? Proprio oggi. Spero di non aver fatto male...»
Cathleen si fermò di colpo, sotto la neve. «Che cosa ti ha detto?»
«Molto poco, in verità. Ho parlato io per lo più. Gli ho detto che so cosa prova, gli ho spiegato come mi sentivo quando ho perso il bambino, di come Arthur mi abbia aiutata a superare il momento. Gli ho consigliato di lasciare che sia tu ad aiutarlo a superare questo momento...spero mi ascolti»
«Grazie...» mormorò Cathleen, senza dire altro. Erano due mesi che Charles era chiuso nella sua camera: non era debole fisicamente. Il medico aveva assicurato che il corpo aveva ripreso peso ed energia, ed anche la ferita era guarita seppur avesse lasciato una gamba poco abile. Era nella testa il suo problema: non aveva ancora raccontato a pieno ciò che gli era accaduto e forse non lo avrebbero mai scoperto. L'idea di essere “menomato” e per colpa di suo fratello non lo faceva dormire sonni tranquilli. Non si perdonava di avergli creduto, di non averlo amato abbastanza. E così si era chiuso nella sua stanza, da cui non era mai uscito.


«Ho mangiato troppo» ammise colpevole Emma, camminando insieme agli altri invitati lungo i corridoi che dal salone conducevano alla stanza della musica. Avevano terminato da poco la cena e tutti accettarono volentieri la proposta di Charlotte di ascoltare della buona musica. E, con la scusa, avrebbero camminato e cercato di digerire la lauta cena.
«Non dire sciocchezze cara, ora devi mangiare per due, lo sai» precisò sorridente Mrs Colborne.
«Sarà così, ma riesco a malapena a camminare»
«Questo perchè sei grossa, Emma!» esclamò ridacchiando Charlotte, che correva agile per il corridoio e senza guardare bene dove andava. Gli invitati si persero in chiacchiere, fermandosi più volte lungo il corridoio, ed era Charlotte che li anticipava di svariati passi, spazientita dalla loro lentezza. Com'è tipico di quella età, Charlotte non aveva la calma di perdersi in chiacchiere. Voleva correre, esplorare, vedere, conoscere...
«Aia!» esclamò quando, persa nei suoi pensieri, andò a sbattere contro qualcosa.
«Attenta a dove andate, Miss Charlotte...» mormorò una voce maschile e gentile. Charlotte alzò lentamente gli occhi e sorrise verso il Capitano Barrington, abbracciandolo.
«Vi siete alzato finalmente! Ho così tante cose da farvi vedere e da chiedervi!»
«Ma davvero? Sono proprio curioso» rispose lui, con la solita dolcezza che lo contraddistingueva.
«Charlie, dove sei?» Cathleen alzò la voce per richiamare la sorellina. Charles sollevò istintivamente gli occhi oltre l'angolo, sentì un tonfo al cuore. Voleva tornarsene improvvisamente da dove era venuto: non poteva farsi vedere così dalla donna che amava. Fece per muovere il bastone indietro, per andarsene via, ma sentì la mano di Charlotte afferrare la sua. Guardò la bambina, che gli sorrise, e ricambiò deglutendo appena a vuoto.
«Charlie dove ti sei...»la domanda di Cathleen si perse nell'aria fredda quando girò l'angolo, ritrovandosi davanti Charles.
«Buonasera Cathleen...» annunciò incerto il giovane capitano, tenendo ancora la mano di Charlotte.
«Il Capitano è sceso a salutarci, hai visto Cathy?»
«Ho visto, si...Charlie torna subito da mamma, lo sai che non vuole che tu corra» precisò Cathleen, mandando via la sorellina. Fissò a lungo Charles, prima di sorridergli.
«Sei bellissima stasera...» commentò il giovane, sorridendo con garbo.
«Oh...grazie» rispose lei sovrappensiero, portando gli occhi sull'abito di velluto rosso e sui guanti di seta bianca. «Stiamo andando nella Music Room, per suonare qualcosa...ti va di unirti a noi?» chiese.
Charles sembrò soppesare la sua domanda, incerto, ma alla fine annuì appena e proseguì il passo verso la Music Room.
«Come ti senti...?» chiese timidamente Cathleen, camminandogli al fianco.
«Meglio...Non eri obbligata ad assistermi notte e giorno...»
«Lo so che non ero obbligata, ma volevo...ho impiegato giorni a capire se stavo o meno sognando, ogni mattina mi svegliava col terrore che fosse stato tutto un bellissimo sogno. Tutt'ora non...riesco a credere che tu sia vivo»
«Stento a crederci anche io. Mio padre mi ha raccontato di...Adam, dei ricatti. Di come stavi cercando di smascherarlo. Hai salvato praticamente la mia famiglia, Cathleen. Ti siamo debitori»
Cathleen si limitò a sorridere, fermandosi davanti alla porta della Music Room. «Affatto, io non ho fatto nulla. Ho solo trovato qualche prova, e mi ha aiutato molto Elizabeth. Tutto il resto...lo ha fatto Adam. Dovevo fare qualcosa per salvare la mia famiglia, per...salvare il tuo ricordo»
Charles la fissò, deglutendo a vuoto. Si limitò ad annuire, pacato, prima di entrare lentamente nella Music Moom. Non c'era nessuno, era evidente che volevano lasciarli buoni. Ma cosa poteva dire a Cathleen? “Sposami, sperando che tu non debba piangermi di nuovo”? “Sposami anche se sono zoppo”? Il bastone ticchettava lentamente mentre entrava nella stanza, e alla fine si accomodò su una poltrona. Cathleen lo superò accomodandosi al pianoforte con grazia, sistemando l'abito e posando poi le dita sui tasti, con eleganza. Charles si limitò a guardarla, in silenzio. Dio com'era bella...
Le note risuonarono nell'ampia sala della musica, e un ticchettio continuo, come un leit motiv, rimbombava tra le pareti. Ricordava molto il suono di un pendolo, del tempo che ineluttabile avanzava. Gli arpeggi si svilupparono attorno a quella nota singola e costante, creando voluttà musicali che si intrecciavano tra di loro. Charles chiuse lentamente gli occhi, assaporando ogni nota, ogni profumo. Quella melodia era in perenne bilico tra malinconia, tristezza e gioia incontenibile. Posò una mano sul morbido velluto della poltrona ed il suo cuore sobbalzò, accompagnato dalla musica.
Era a casa. Era al sicuro, era guarito, era forte. Aveva ritrovato suo padre, la sua famiglia, gli amici...e la donna che amava. E che cosa poteva ostacolarlo dal chiederle di sposarlo? Una gamba zoppa?
La musica si alzò in un crescendo di coraggio, gioia, una pura malinconia di tempi passati.
“Sposami, devi dirlo” pensò. “Sposami...sposami...forza, apri quella dannata bocca...”
«Sposami!» si rese conto di aver quasi gridato ed incassò le spalle quando sentì le note spegnersi nell'aria con una brutta stonatura. Aprì lentamente gli occhi e si ritrovò a guardare Cathleen, le mani ancora sui tasti, che lo fissava attonita. Si guardarono a lungo, prima di alzarsi contemporaneamente.
«Non ho capito...» mormorò Cathleen, il mento che tremò appena, incerto. Charles le si avvicinò, con calma, il bastone ad accompagnarlo. Si fermò davanti a lei, lasciò cadere il bastone e le strinse entrambe le mani, come per sostenersi a lei.
«Ho detto...di sposarmi. Tuttavia devo chiederti di non farmi inginocchiare, la gamba è piuttosto rigida e non credo che...»
«Si»
«che insomma...Si? Hai detto si?» s'interruppe Charles, sorridendo. Cathleen rise, emozionata, ed annuì. «Si nel senso che mi sposi o sì nel senso che-»
«Sì nel senso che ti sposo, Charles Barrington, certe volte sei davvero tonto» precisò Cathleen ridacchiando. Charles insieme a lei, gli occhi velati di lacrime. L'abbracciò con trasporto, ricambiato. Le accarezzò i capelli e ne respirò a lungo il profumo.
«Come la lavanda...» mormorò affondando il naso nella sua chioma.
«Come la lavanda...» ripetè Cathleen, accarezzandogli le braccia. Charles sollevò il capo e così fece anche Cathleen, guardandolo negli occhi. Quegli occhi che l'avevano fatta innamorare di lui, che aveva riconosciuto quando era ad un passo dalla morte, e che ora aveva ritrovato.
«Ti amo, Cathleen...» mormorò Charles, accarezzandole una guancia.
«Anche io...» sibilò Cathleen, sorridente. Charles si chinò verso di lei, suggellando quel patto d'amore con un bacio sulla bocca della sua amata. Rimasero così a lungo, intrecciati come due alberi che mai più si sarebbero separati.




Per finire: eccoci arrivati all'ultimo capitolo! Non so voi, ma io sono un po' triste ahaha! Come quando termino ogni storia, mi sembra di lasciare una sorta di figlio :P ed anche questa storia è finita, sperando che il finale sia stato di vostro gradimento! Credo che aggiungerò un piccolo epilogo dopo questo capitolo, giusto per fare un riassunto della situazione :) per chi fosse curioso, il pezzo suonato da Cathleen a Charles è il main theme del film “Interstellar” (la versione col piano): la adoro e ho trovato che fosse ideale per Cathleen!
Bene, direi che è tutto! Grazie ancora a tutti voi per avermi seguito, letto e recensito, e ci vediamo nella prossima storia, besos!

 
  
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