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Autore: Simply Yeats    30/11/2017    0 recensioni
Jules, una ragazza delusa e insoddisfatta della propria vita, partecipa per una scommessa ad un concorso per vincere un meet and greet con gli One Direction. A lei non sono mai piaciuti e di fatto non si aspetta di vincere, eppure ciò accade, e inaspettatamente avrà l'opportunità di cambiare se stessa e la sua vita.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Erano trascorse poche ore dall’incontro con il receptionist dell’albergo, quando ricevetti una chiamata da costui che mi informava dell’avvenuta telefonata con il manager della band e del fatto che, il giorno successivo, sarebbe venuto qualcuno, da lui stesso incaricato, per riprendere le scarpe di Harry.
Sarebbe finita lì con gli One Direction, e a dirla tutta, non aspettavo altro purchè smettessero di tormentare il mio orgoglio. Quella sera mi recai al Rafferty’s e ascoltai i Dark Rogers sorseggiando una birra da una lattina da 33 cl con Liz, come due vere quattordicenni ribelli. Fu come balzare di colpo nel mio mondo reale, che per quei pochi giorni mi ero letteralmente lasciata alle spalle, e se da un lato fu quasi rigenerate, dall’altro fu strano ed anche un po’ triste, perché per tutta la serata ebbi come la sensazione che qualcosa non stesse andando per il verso giusto.

18 Luglio 2013

Erano le 10 del mattino. Avevo appena finito di fare colazione quando improvvisamente suonò il campanello: doveva essere quel tipo mandato per riprendere le scarpe di Harry, magari alla fine era quel gran figo di James. Presi un respiro, preoccupandomi per un attimo di come fossi vestita, ma ormai era tardi per rubare una maglietta decente dall’armadio della mamma e senza pensarci due volte aprii la porta:
- Sera! - Esordì una voce giovane, che non identificai immediatamente. 
Era Harry. Harry Styles in persona. Rimasi allibita, fissandolo per qualche istante con le labbra dischiuse ed un’espressione evidentemente da ebete. 
- C- cosa ci fai qui?! -  Esclamai, ancora sotto shock.
- Sbaglio o hai un paio di scarpe che mi appartengono?
- Certo, si, ovvio che le ho. Intendevo dire: perché sei venuto di persona?
- Ah, allora non mi sei così indifferente!
- Ero solo curiosa, tutto qui.
- Diciamo che davo per scontato che la mia presenza non ti facesse né caldo né freddo, così mi sono permesso di venire a riprendere le mie scarpe autonomamente.
- Continuo a non capire ma, okay, entra pure. - Lo invitai, con un gesto della mano.
- Grazie. - Rispose lui, dando una veloce strofinata alle suole sul tappetino dell’ingresso.
- Ehm, seguimi, le scarpe sono in camera.
Il ragazzo annuì, guardandosi intorno ed osservando la casa con sguardo piuttosto acuto.
- Ecco, ignora il disordine, non avevo previsto l’arrivo di gente nella mia stanza. - Lo pregai poi, aprendo la porta.
- Vorresti dirmi che se ti avessi avvisata l’avresti sistemata? Ti facevo una ragazza trasgressiva. - Rispose in tono provocatorio, non smettendo di scrutare l’ambiente circostante.
- Ehm... Io infatti...
- Carino il poster dei Motley Crue. - Mi interruppe, facendosi spazio tra vestiti e libri scolastici gettati sul pavimento.
- Oh si, quello, me lo ha regalato un amico virtuale che li ha visti dal vivo un paio di mesi fa.
- Tu li hai mai visti?
- No, purtroppo.
- Attenta che Neil è in pessime condizioni, potrebbero sciogliersi molto presto.
- Allora li conosci veramente. - Chiesi sorpresa, muovendomi ancora in mezzo alla confusione.
- Certo che li conosco, credi ti prenda in giro?
- A dire il vero si... Non è da tutti conoscerli e tu sei l’ultima persona da cui me lo sarei aspettato.
- Faccio musica Jules, non posso essere ignorante in materia.
- Ma le canzoni te le scrivono gli altri, che artista sei?
- Sono colui che colora il disegno, molto semplicemente.
- Che diavolo vuol dire?
- Intendo che una persona brava a disegnare non sempre è altrettanto brava a colorare, e al posto di lasciare il disegno in bianco e nero, può decidere di affidarlo a chi sa colorare bene. Il mio produttore, anzi, il nostro in quanto siamo una band, è un ottimo scrittore, ma non sa cantare, è stonato come una campana, ma noi no. Le nostre voci sono i colori e solo noi possiamo usarli. E’ una sana collaborazione, Jules, e adesso dammi le mie scarpe per favore, non ho voglia di continuare ad ascoltare stronzate, specie da parte di persone che pretendono di giudicare il mio lavoro senza conoscerlo.
Avrei volentieri continuato a discutere rispondendo con una qualsiasi affermazione che potesse, in qualche modo, sostenere la mia opinione, data la mia spiccata polemicità, ma preferii insolitamente tacere: non so come mai, non avevo voglia di litigare con lui, quindi mi affrettai a prendere lo scatolo con le scarpe e infine, senza soffermarmi a guardarlo, glielo porsi.
- Ciao Jules. - Terminò lui, facendo subito per andarsene.
- Harry...
- Cosa c’è?
- Scusami, dai. Non credevo ti saresti offeso.
Egli si limitò a sospirare, per poi annuire e riprendere la sua strada.
- Harry. - Lo fermai nuovamente, venendogli dietro.
- Sbaglio o non te ne fregava nulla di me?
- Si, però...
- Bene, allora fai finta che non sia successo nulla, okay?
- Non capisco perché te la sia presa così tanto! - Esclamai, ignorando del tutto la sua proposta.
- Sono suscettibile, e non tollero che i miei sforzi vengano infangati.
- Ti ho chiesto scusa, riconosco il mio errore. Non ti basta?
Fece un altro sospiro, accettando implicitamente le mie scuse:- Sei troppo tenera per il rock n’ roll. Te lo hanno mai detto?
- Troppo... tenera? No, non me lo ha mai detto nessuno.
- Beh, ora lo sai. Non offenderti Jules, tu non sei fatta per il rock ‘n’ roll… ah, e per la cronaca, era una citazione di “Almost famous”.
Detto ciò, giunse all’uscio e lo aprì, per poi dirigersi a passo svelto verso il marciapiede, attendendo James.
Io non so descrivere con certezza ciò che mi stesse succedendo, ma qualcosa in me stava effettivamente cambiando e, incapace di accettarlo, mi lasciai prendere dalla rabbia scaturita dalla sua ultima affermazione e non mi curai neppure di chiedergli come si intitolasse quel brano che mi aveva cantato la band la sera precedente, prima che svenissi.
Improvvisamente comparì mia madre dalle scale che portavano in soffitta, piazzate nel bel mezzo del salotto: - Jules! Ti ho sentito alzare la voce, mi sono persa qualcosa?
- Ehm, no, tranquilla... Tutto a posto. E’ venuto il tipo per riprendersi le scarpe.
- Sicura?
- Sicurissima, non preoccuparti.
Si fidò, o almeno così mi fece credere e raggrinzendo le labbra in un’espressione incerta, tornò a svolgere i suoi lavori.
***
Potrei dire che fossero circa le sette quando mi svegliai da un sonnellino, che, come tutte le “sieste pomeridiane” sembrava essere durato un’eternità.
- Ho sognato Harry - Dissi tra me e me, restando a fissare il tetto - O almeno credo.
Ho sognato che veniva qui a riprendersi le scarpe. Veniva lui, proprio lui in persona ed io lo facevo entrare nella mia camera. Inverosimilmente conosceva i Motley Crue... Certo, ieri sera ha dimostrato di conoscere più di quanto credessi, ma addirittura i Motley Crue? Sarebbe impossibile. Poi abbiamo litigato: lui si è arrabbiato perché ho criticato il suo modo di fare musica... mi è dispiaciuto, molto più di quanto sarebbe stato possibile nella vita reale. Il seguito è stato strano: stava per andarsene ma io l’ho fermato, gli ho chiesto scusa, gliel’ho chiesto più di una volta. Io non volevo che se ne andasse... Una follia, una vera follia. Deve essere per forza un sogno, non può essere altrimenti.

Dopo aver tirato un sospiro, cercando di non lasciarmi prendere troppo da quegli assurdi pensieri, indossai le ciabatte e pensai di andare a mettere qualcosa sotto i denti; poi mi venne un dubbio: se in tutto quel tempo avevo dormito, che fine poteva aver fatto colui che doveva venire a prendere le scarpe di Harry? Sperai semplicemente che non fosse ancora arrivato o che mia madre non lo avesse cacciato via prima di uscire di casa.
Ero ancora un po’ stordita, quindi mi alzai sostenendomi ad un’anta dell’armadio e, sfregati bene gli occhi, mi diressi verso la cucina. La prima cosa che feci fu aprire la credenza, prendere del burro di arachidi e del pane ed un bicchiere per versarvi del latte. Certo, era un po’ tardi per la merenda, ma dei sandwiches al tonno non soddisfano fino all’ora di cena, quindi, senza troppe paranoie, mi sedetti ed iniziai a spalmare il burro sul pane.
Improvvisamente sentii bussare, bussare con violenza. Mi spaventai: non c’era nessuno con me, ero completamente sola ed  i colpi erano imperterriti. Nonostante ciò, con passo felpato, mi avvicinai alla porta, come quando vengono i tipi per la lettura del gas e tua madre non è in casa:
- C-chi è?! - Chiesi, avvicinandomi in punta di piedi all’uscio della porta.
- Apri, svelta! - Rispose quella che sembrava essere una voce conosciuta.
Chiunque egli fosse, sembrava tutt’altro che aggressivo, bensì preoccupato: aprii, senza pensarci due volte:
- Harry?! - Esclamai incredula.
- Ma quanto ci hai messo? E’ da venti minuti che busso!
- Aspetta... tu sei venuto qui a riprenderti le scarpe, oggi?
- Sveglia Jules! Certo che sono venuto! Ora ascolta...
- Perché sei ancora qui? - Lo interruppi in un tono che sembrava precedere una romantica dichiarazione d’amore da commedia americana.
- Ti ho detto di ascoltarmi: non siamo su Notting Hill! James ha avuto un incidente e tu devi aiutarmi.
- Porca tro*a, come è successo?
-  Non lo so... Non  lo so! E vacci piano con le parole, santo Dio!
- Parlo come mi pare.
- Okay, sputa pure tutta la merda che vuoi, basta che mi dai un carica batterie, il mio cellulare si è spento e devo contattare immediatamente i ragazzi.
- Puoi usare il mio, se vuoi.
- Te lo scordi che digito il numero di Louis sul tuo cellulare.
- Guarda che non me ne frega proprio niente, e poi puoi anche eliminarli dopo aver chiamato.
- E va bene, dammelo, basta che ci sbrighiamo!

Harry era più che preoccupato, non sapeva a chi telefonare per primo e sembrava visibilmente confuso e disorientato.
-Pronto... Pronto Louis? - Iniziò - James ha avuto un incidente, mi è giunta una chiamata dal suo cellulare e delle persone sembrerebbero averlo soccorso, ma poi il mio si è spento e non ho avuto la possibilità di capire dove si trovasse... No, sto chiamando con il telefono di Jules... Si, sono ancora qui, ho bisogno che fai una chiamata sul cellulare di James... No, io non posso perché il mio cellulare è spento e non ricordo il suo numero a memoria... Va bene, grazie, fammi sapere.
- Harry - Irruppi subito, appena terminò la chiamata.
- Cosa c’è?! - Rispose, in tono aggressivo.
- No... Niente, lascia stare.
- Non sono arrabbiato con te, dimmi!
- Volevo solo sapere cosa fosse successo, esattamente.
- E’ questo il problema, non lo so! Una donna mi ha chiamato con il suo cellulare dicendo di averlo soccorso non lontano da Straffordshire.
- Mi dispiace. Spero non sia nulla di grave.
Sospirò: - Non so come ringraziarti, Jules.
- Per così poco? Figurati.
- Non avrei saputo a chi altro rivolgermi, qui. Peraltro ero da solo in mezzo alla strada: se qualche fan mi avesse visto sarebbe stata la fine.
- Avrei dovuto aprirti molto prima, devi scus-
Venni bruscamente interrotta dalla suoneria del mio cellulare, era di nuovo Louis, e Harry non esitò a rispondere immediatamente:
- Hey Louis, dammi buone notizie, ti prego.
- James si trova attualmente al pronto soccorso di Straffordshire: mi ha risposto un medico, dice che le condizioni sono stabili poiché è stato soccorso in tempo, altrimenti avrebbe potuto morire soffocato.
- Mio dio, soffocato da cosa?
- Ti spiego meglio: James era quasi giunto a Straffordshire, quando un autista ubriaco lo ha travolto, facendo finire la sua auto capovolta oltre la strada. Si suppone che lui, nel tentativo di salvarsi durante la caduta abbia aperto lo sportello, ma il suo torace vi è rimasto letteralmente incastrato. Fortunatamente alcuni automobilisti che passavano di lì hanno potuto assistere all’incidente e lo hanno soccorso in maniera tempestiva. E’ vivo per miracolo, Harry.
- Meno male... La donna che mi ha chiamato era disperata ed io temevo che non ce l’avrebbe fatta.
- Secondo te per quale motivo avrà digitato proprio il tuo numero?
- Perchè risultava come l’ultimo numero contattato, probabilmente.
- Ah, ma certo. Senti, non è che potresti raggiungerlo in ospedale? Io intanto avviso il manager di prenotarti un volo per Londra il prima possibile. - Lo rassicurò Louis.
- Fallo prenotare per domani mattina, per favore. Se James dovesse svegliarsi durante la notte, almeno troverà qualcuno a fargli compagnia.
- Come vuoi, ci sentiamo allora.
- A più tardi, Louis.
Interrotta la chiamata si passò una mano sul viso, per poi farla scivolare sulla testa, portando indietro i suoi bei capelli mossi; era pallido in viso: doveva essersi preso un bello spavento, ma pian piano sembrava stare riprendendo colore.
-Tutto bene, Jules. - Disse poi, a bassa voce.
- Ne sono felice.
- Avrei bisogno di recarmi al pronto soccorso, tu sai dove si trova?
- Si, si trova a pochi chilometri dal centro, non dista troppo da qui.
- Ottimo. Potresti chiamare un taxi, per favore?
- Vai da solo?
- Dipende... Tu vuoi farmi compagnia? - Chiese, facendomi l’ennesimo sorriso malizioso.
Sospirai: - Non lo dirai in giro, vero?
- Non saprei neppure a chi dirlo, non preoccuparti.
- Mi do una sciacquata veloce al viso e arrivo.
Nel frattempo, Harry tornò a guardarsi intorno: d’altronde non aveva nient’altro di meglio da fare. La mia casa non era particolarmente grande, né tantomeno lussuosa, come invece molto probabilmente era ed è la sua: le mura erano di un classico intonaco bianco, con pochi quadri acquistati all’IKEA sparsi tra l’ingresso ed il salotto. La sala da pranzo era piuttosto piccola: vi era una vecchia cucina ed un minuscolo tavolo di forma quadrata, appositamente per ospitare me e mia madre; il bagno non era da meno, anche se a mia madre piaceva agghindarlo di fiori e candele profumate, ricreando una piacevolissima atmosfera fatta di colori e profumi.
Ad un certo punto, a tal proposito, mi sentii chiamare:
- Jules!
- Si? - Risposi dalla stanza da bagno.
- Cos’è questo profumo?
- Ah... Il profumo di rose, intendi?
- Si, è molto buono.
- Mia madre ha comprato una candelina profumata alla rosa e l’ha piazzata accanto al lavandino. Sai, è appassionata di essenze, oli e... tutto quel che ne deriva. - Precisai, fermandomi sull’uscio, mentre mi facevo una coda.
- Complimenti a lei! - Sorrise.
Si, sorrise, e non posso fare a meno di specificarlo. 
Uscii dal bagno, sempre un po’ disordinata, perché come ben saprete mi era profondamente difficile ottenere un’aria da ragazza curata e ben sistemata. Ad Harry, dopotutto, non sembrava importare più di tanto ed anche se così non fosse stato, la persona più menefreghista, sotto questo aspetto, per questione di principio (e di pura coerenza) avrei dovuto essere io, per due semplicissimi motivi:
1. Ero una rocker. I rockers sono disordinati per natura e non gli frega assolutissimamente nulla del parere del prossimo...
2. ...a maggior ragione se questo prossimo è un componente degli One Direction.
Ripeto: era questione di principio, e nonostante ciò mi sentivo a disagio!
Si, avete capito bene, mi sentivo a disagio e non posso fare a meno di dare voce alle mille paranoie che si generarono nella mia testa. Paranoie che non si soffermavano ad un normalissimo “come sono disordinata, proprio di fronte ad un cantante così famoso!” ma che raggiungevano livelli di ridicolaggine a loro volta spaventosamente ridicoli; cose come: “mi sento a disagio... Mi sento a disagio? No, non mi sento a disagio. Va bè, magari un po’, ma mica per Harry, è che... uhm...  la coda! Ma certo, la coda. Io mi sento sempre a disagio quando la coda mi viene male e ci sono tutti-- tutti quei ciuffi che sbucano dalla testa! Come ho fatto a non capirlo prima?!  Certo, Harry è carino... Axl Rose ha i capelli più lunghi ed è mille volte meglio, mica apprezzare fisicamente un componente degli One Direction ti fa automaticamente disprezzare Axl e... e Tommy Lee e... e Joe Perry e... e tutti gli altri. E poi hai detto solo che è carino... e guardandolo bene non lo è neppure così tanto. Insomma, smettila di farti tante paranoie, qua c’è uno strafigo da paura (James) che ha rischiato la vita e probabilmente, quando giungerai in ospedale, sarà talmente stordito che non si renderà neanche conto del fatto che lo starai fissando... è un’occasione unica. Oh, James!”
-Beh, sei pronta? Irruppe Harry, frantumando ad un tratto tutti i pensieri che si erano accumulati nella mia mente, con la stessa violenza di un sasso scagliato contro una vetrinetta di cristallo.
- Si, eccomi.
- Passano taxi da queste parti?
- Certo. Dovremo aspettare una buona mezz’ora, ma ne passerà uno.
- Mezz’ora? Così tanto?
- Siamo a Straffordshire Harry, mica a Londra. E per giunta in periferia.
Prima di sorvolare la porta di ingresso, indossò il suo cappello con visiera, chiuse accuratamente la felpa nera fino al collo e sollevò il cappuccio a coprire parzialmente il volto, nascondendo i ciuffi di capelli dietro le orecchie e dentro il cappello perché nessuno potesse riconoscerlo.


Note dell'autrice: mi scuso per essere stata assente tutto questo tempo. Preferisco essere sincera: l'ispirazione mi aveva abbandonata e per un po' avevo anche pensato di fermarmi e non continuare più la fanfiction.Ora però, sto desiderando molto di poterla concludere. Spero vivamente di riuscirci e di non assentarmi più per periodi così lunghi. Grazie per aver speso un po' del vostro tempo a leggere la mia storia!
  
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