CAPITOLO 26.
- Tu passi in mutande più tempo di quanto sia lecito, James.
Alle mie
parole Peter tenta vanamente di trattenere una risatina, ottenendo come
unico effetto quello di sputare pezzetti di pollo dalla bocca. Frank,
seduto proprio di fronte a lui, fissa accigliato il cibo masticato che
galleggia nel suo bicchiere di succo di zucca e credo che la sua
giornata sia appena peggiorata sensibilmente.
- Oh,
andiamo, Moony, questo non è vero, - sbuffa James, spostando
impercettibilmente il suo piatto verso di me, lontano da Peter. - Non è
colpa mia se le circostanze lo hanno richiesto.
- Forse
hai ragione, - annuisco, servendomi dal piatto al centro del tavolo
un’altra coscia di pollo. C’è così tantopollo.
È strano, è qualcosa a cui non sono abituato e che ha senz’altro a che
fare con l’assenza di Sirius, scomparso misteriosamente dopo l’ultima
lezione della mattinata. - Ma resta il fatto che nessun altro si è
volontariamente tolto i pantaloni durante la prova di Difesa. Penso che
questo voglia dire qualcosa.
- Beh,
Frank in realtà...
- Una
pianta carnivora me li ha strappati di dosso, non è stato volontario, -
Frank si agita appena sulla sedia, una smorfia addolorata in viso. –
Quella cosa ha cercato di inghiottire la mia chiappa sinistra. Mason
non ci ha insegnato nessun incantesimo per quello.
- Certo
che no, Mason non desidera altro che sangue e mutilazioni per i suoi
studenti. Fottuto bastardo.
- James,
piantala, - sospiro. - Sei solo risentito perché non ti ha fatto
tornare dentro a cercare il Golden Snidget.
- È chiaro che
sono risentito, - James impugna la forchetta come un’arma letale e la
infilza con forza nella bistecca che nella sua mente è senz’altro
appena stata sostituita dalla faccia del nostro professore di Difesa. -
Non avrebbe tolto tempo alla sua lezione, ho aspettato che finissero le
due ore per chiederglielo. Avrebbe dovuto lasciarmelo fare, ora quel
dannato pennuto penserà di avermi battuto, quando in uno scontro leale
lo avrei preso in dieci secondi al massimo.
- Sai,
l’anno scorso abbiamo soppesato seriamente l’idea di regalartene uno
per il tuo compleanno, - lo informo. - Poi ci siamo messi una mano
sulla coscienza e abbiamo concluso che dare un Golden Snidget a
te sarebbe stato il peggior maltrattamento
d’animali immaginabile.
- Quando
sarò un Cercatore famoso scordatevi i biglietti gratis per le mie
partite.
James pare
convinto di averci appena detto qualcosa di molto cattivo, così io e
Peter ci sforziamo di assumere un’aria afflitta, anche se Mary
MacDonald ci ha appena passato la torta alle mele ed è davvero
difficile continuare a sembrare abbattuti ora. Frank riprende a
raccontarci degli svariati modi in cui Avery ha tentato di ucciderlo
durante la loro prova, svelando un’astuzia ed un’inventiva del
Serpeverde che sinceramente ignoravo, ma verso la fine del pranzo James
alza di scatto la testa, lo sguardo fisso ad un punto imprecisato di
fronte a sé e l’aria pensosa.
- Ho come l’impressione di aver dimenticato
Sirius chiuso da qualche parte.
Potrebbe essere una scusa come un’altra per
defilarsi prima dell’inizio delle lezioni pomeridiane e saltare
Pozioni, ma la presenza di tutto questo cibo al tavolo dei Grifondoro è
così chiaramente un segno che Sirius è impossibilitato a venire qui. Mi
lancio un’occhiata guardinga attorno, poi sfilo la mappa da una tasca
interna del mantello e ci punto contro la bacchetta, ben attento a
tenerla nascosta sotto il tavolo.
- Sgabuzzino delle scope del secondo piano.
- Giusto, – dice James, prima di alzarsi e
uscire baldanzoso dalla Sala Grande. Non gli chiedo perché ha chiuso
Sirius nello sgabuzzino delle scope: so che quando sembra impossibile
chiudere la sua bocca è molto più fattibile rinchiudere direttamente
lui da qualche parte; e dopo che il Molliccio di James si è trasformato
in un ragno, chiudere la bocca di Sirius dev’essere parso pura utopia.
- E sono abbastanza sicuro che quando ha
cercato di Schiantarmi per la quarta volta, lo Schiopodo alle mie
spalle fosse già a terra, - Frank continua la sua invettiva contro
Avery, che, c’è da dire, riesco a vederlo anche da qui, esibisce un
occhio nero niente male. Con la mischia che c’è stata, non è ben chiaro
se glielo abbia procurato la coda dello Schiopodo, quella pianta,
oppure Frank, ma qualcosa, probabilmente la vena d’odio nella voce del
mio compagno di Casa, mi spinge a propendere per l’ultima opzione.
Mentre Peter si lancia nel resoconto di come invece Mulciber lo abbia
salvato da un enorme serpente a tre teste senza neppure sembrare troppo
seccato, il mio sguardo viene attirato da tre ragazze che si
allontanano dal tavolo di Grifondoro chiacchierando tra loro, dirette
all’uscita della Sala.
- Ehy, Lizzie.
Emmeline Vance ed Allison Ross proseguono
incerte verso l’uscita, mentre Lizzie si ferma ad aspettarmi,
voltandosi verso di me con un sorriso.
- Ciao, Remus. Tutto ok?
Non mi aspettavo di trovarla con gli occhi
rossi e i capelli arruffati, completamente abbandonata a se stessa ed
intenta a struggersi nel dolore per James, ma la sua aria allegra mi
lascia per un attimo lievemente interdetto.
- Sì, certo, - annuisco pacato. - Volevo solo
chiederti se dopo le lezioni hai da fare, mi piacerebbe mostrarti una
cosa.
- Non ho ancora nemmeno iniziato il tema di
Storia della Magia per domani, ma no, non ho nulla da fare, - Si
stringe nelle spalle. - Nulla che farei realmente, almeno.
- Ottimo, ci vediamo più tardi in Sala
Comune, - Faccio per tornare al tavolo, poi ci ripenso e mi volto di
nuovo verso di lei. - Beh, non proprio ottimo, dovresti trovare il
tempo di scrivere quel tema. So che molti prendono sottogamba il sesto
anno perché si trova esattamente tra i G.U.F.O. e i M.A.G.O. ma non c’è
errore più fatale, credimi, - Il Prefetto che c’è in me continua a
parlare a ruota libera per un tempo imprecisato, poi il suo sguardo
perplesso e vagamente preoccupato si fa largo nei miei occhi ed io mi
scuso sentitamente con lei, prima di tornare al tavolo dove Frank sta
ancora parlando delle cose che farebbe ad Avery se solo non fossero
illegali. Probabilmente non metterebbe mai in atto nessuna delle sue
dettagliata fantasie, ma è in questo momento che io, Peter e Mary
MacDonald prendiamo consapevolezza che Frank Paciock sarebbe un ottimo
serial killer, se solo non fosse di indole così generalmente pacifica.
- Tempo scaduto, ragazzi, - Lumacorno
passeggia pacifico tra i banchi e i suoi occhietti liquidi vagano
attenti da un calderone all’altro. – Lasciate la provetta sul banco e
svuotate i paioli.
Facendo attenzione a non scottarmi, riempio
con cura la mia provetta e faccio Evanescere il liquido violaceo
all’interno del mio calderone con un colpo di bacchetta, prima di
notare con la coda dell’occhio che James se ne sta immobile a fissare
il suo, l’aria di chi non sa quale sia il proprio posto nel mondo.
- James?
- Mh?
- Tutto bene?
- Benissimo.
- Cos’è quella roba?
- La mia pozione.
Un sospiro triste mi sfugge dalle labbra,
perché certo che è la sua pozione: quando qualcosa in questo castello
ha un’aria strana, indefinita, pericolosa e lievemente patetica, di
solito si rivela sempre essere la pozione di James. Non è tanto il
fatto che è la cosa meno viola che io abbia mai visto, e dovrebbe essere
viola, è più che altro il fatto che, essendo una pozione, tutti gli
indizi lasciano pensare che dovrebbe quantomeno essere liquida. Decido
di comune accordo con le mie labbra di non fare presente nulla di tutto
questo a James, perché non sono una persona che infierisce sugli amici
o in generale su qualunque caso perso, ma i miei occhi paiono sfuggire
a questo accordo e comunicano lo stesso tutti i miei pensieri a James,
che irrigidisce lievemente la mascella e alza appena il mento, offeso.
- Non è solida come sembra.
- James, il mestolo è incastrato.
- Toglilo tu, se sei così bravo.
Ed io ci provo davvero a sfilare il mestolo
di ferro dal blocco giallognolo e compatto incrostato nel paiolo del
mio amico, ci proviamo insieme fino a quando il mestolo non comincia a
piegarsi e la pozione di James continua a non incrinarsi, oggetto
inamovibile che non ha ancora incontrato la sua forza inarrestabile.
Nello sguardo di Lumacorno, quando lo punta dentro il calderone del mio
amico, si susseguono varie emozioni, dalla confusione ad un lieve
disgusto ed anche un vago interesse.
- È la
prima volta che vedo una cosa del genere, signor Potter, - commenta
infine accigliato, prima di afferrare la mia provetta e allontanarsi
con un sospiro che mi ricorda in qualche modo il male di vivere.
- Poteva benissimo essere un complimento, -
si difende James, perché i miei occhi tendono a rimproverare i miei
amici indipendentemente dalla mia volontà. Non è una cosa di cui vado
fiero, credo che gli occhi delle persone dovrebbero starsene fermi e
buoni e non avere così tanta iniziativa, ma non è nulla a cui posso
rimediare in un modo diverso dal togliermeli con un cucchiaino.
- D’accordo ragazzi, solo un’ultima cosa e
poi vi lascio liberi, - Lumacorno raggiunge la cattedra e subito
nell’aula si alza un lieve brusio e sfregare di sedie contro il
pavimento, mentre io mantengo diligentemente gli occhi sul mio
professore. - Mi rendo conto che avete sostenuto i G.U.F.O. l’anno
scorso e il prossimo avrete i M.A.G.O e vedete in questo sesto anno
l’occasione per rilassarvi e prendere una boccata d’aria, ma mi vedo
costretto a rovinarvi i piani: mi è indispensabile un piccolo esame di
fine corso anche quest’anno, in modo da avere qualcosa di ufficiale su
cui basarmi per ammettere o meno alle lezioni dell’ultimo anno chi tra
voi deciderà di voler conseguire un M.A.G.O nella mia materia. Sapete
che non è mia abitudine basarmi su una singola prova per valutare il
percorso totale di uno studente, ma temo di dover porre anch’io, come i
miei colleghi, una votazione minima da raggiungere per poter accedere
alla classe dei M.A.G.O.
Grifondoro e Serpeverde si uniscono senza
distinzione in un mormorio contrariato di sbuffi e mestoli sbattuti nei
calderoni con troppa forza ed anche se è a due banchi di distanzia dal
mio, il sospiro infastidito di Sirius mi giunge forte e chiaro alle
orecchie.
- Accettabile mi sembra onesto e ragionevole
per tutti. Pertanto, quelli di voi che si ritengono già in grado di
raggiungere un simile voto per tutte le pozioni in programma non hanno
che da continuare così, chi invece ha più difficoltà e crede comunque
che un M.A.G.O. in Pozioni potrebbe fargli comodo una volta fuori da
Hogwarts, è bene che si dia da fare sin da ora, perché non farò
eccezioni: Accettabile è il requisito minimo, chi non lo avrà raggiunto
alla fine di quest’anno non sarà in alcun modo ammesso al corso
successivo. Per oggi è tutto, potete andare.
James, al mio fianco, punta la bacchetta
contro il suo calderone con aria pensosa, facendo Evanescere la
sostanza bizzarra al suo interno, poi raccoglie la sua borsa a tracolla
da terra con la stessa espressione. Conosco James abbastanza bene da
sapere che quell’aria accigliata è l’equivalente di una abbattuta, solo
che il suo viso non sa davvero come assumere un’espressione scoraggiata
e finisce così per tradurla in una infastidita, per comodità od
orgoglio, non mi è chiaro. Mentre usciamo dall’aula lancio un’occhiata
a Sirius, che sta ora discutendo animatamente con Lumacorno, l’aria
convincente che lo circonda quando si impegna a proclamare la propria
innocenza e lo scintillio divertito negli occhi di quando è
assolutamente colpevole; Severus Piton è accanto a lui, rosso dalla
rabbia e due provette tra le dita. Non so cosa Sirius stia dicendo o
come risulti questa situazione agli occhi di Lumacorno, ma se ci
aggiungiamo Peter che li fissa ridacchiando dal fondo dell’aula, è
praticamente scontato che Sirius ha cercato di scambiare la sua
provetta con quella di Piton o semplicemente di sabotargli la pozione.
- Accettabile non è un traguardo impossibile,
James, - mi decido a commentare mentre imbocchiamo le scale per il
primo piano, cercando di togliermi dalla mente l’immagine di quel
blocco solido che doveva essere la sua pozione. – L’anno scorso ti è
bastato esercitarti qualche settimana con me e Sirius per raggiungere
Scadente al G.U.F.O. di Pozioni. Per un Accettabile dovremo iniziare da
ora, ma puoi farcela, ne sono sicuro.
- Non dire Scadente con
quel tono orgoglioso, Moony, - James si dà una veloce occhiata in giro,
poi solleva l’arazzo dorato di fronte a sé e si infila nella
scorciatoia per il quarto piano, subito seguito dal sottoscritto. - Non
è come se avessi vinto la coppa del mondo, lo dice il nome stesso:
Scadente.
- Lo so, ma non è Troll, - Seguo James lungo
il tunnel stretto, affrettando sensibilmente il passo. Non mi piace
particolarmente prendere questo passaggio, mi dà una fastidiosa
sensazione di claustrofobia ed è terribilmente buio ed umido, ma ormai
mi sono abituato a mettere a tacere certe sensazioni: ho l’impressione
che i miei amici sarebbero disposti ad arrampicarsi su una parete
rocciosa a mani nude se questo servisse ad accorciare il tragitto verso
la Sala Comune anche solo di qualche secondo; ma suppongo che sia più
il gusto di usare passaggi che nessun altro conosce che il risparmiare
tempo. – È a un solo voto di distanza da Accettabile. E la tua pozione
non è esplosa durante l’esame, è rimasta dentro il
calderone. Questo è qualcosa.
È più di quanto si possa dire del novanta
percento delle pozioni preparate da James, ma lui non ha l’aria di
considerarlo un gran risultato. E lo capisco, perché non è come se
conoscesse mezze misure o voti diversi da Eccezionale e Oltre Ogni
Previsione per quanto riguarda le altre materie: la verità è che James
tende davvero, in barba al suo ego, ad essere il migliore in quasi ogni
cosa che fa, senza bisogno di un particolare impegno da parte sua,
mentre quando si parla di Pozioni si trasforma in un impedito totale.
Il fatto che la materia in cui lui è negato coincida con quella in cui
Severus Piton eccelle d’altro canto non lo aiuta a prenderla per il
verso giusto.
- Non so come dirtelo, Moony, - James sospira
mentre risbuchiamo nel corridoio al quarto piano, sotto lo sguardo
perplesso di due Tassorosso. - Ma l’unico motivo per cui la mia pozione
non è esplosa ai G.U.F.O. è che Frank era proprio accanto a me durante
l’esame e quando la mia pozione ha iniziato a sgorgare dal calderone ci
ha lanciato dentro qualcosa. E poi ci ha messo dentro cose per quasi
tutto il tempo, ogni volta che l’esaminatore non guardava verso di noi.
- Oh, - commento stupidamente e potrei
risultare più convincente nel persuadere James che non è un caso perso,
se solo ne fossi convinto io per primo. È che davvero, una materia in
cui è richiesta calma, precisione, misura e pazienza non può fare per
lui, che sembra sempre aver appena subito una scarica di adrenalina
liquida nelle vene. - Non me l’avevi detto.
- È chiaro che non te l’ho detto, Moony,
continuavi ad indossare la tua faccia da sono così
orgoglioso di te e avevi passato ore a leggermi
libri su come non far esplodere le pozioni.
- Non indossavo nessuna faccia, io non
indosso facce, - preciso, solo per poi realizzare che probabilmente
l’ho fatto invece. – Beh, forse, ma non ero l’unico: anche Sirius aveva
quella faccia.
- La faccia di Sirius diceva più so cosa
hai fatto durante il G.U.F.O. di Pozioni, per
come l’ho interpretata io, - dice James ed io non mi stupisco, perché
Sirius sicuramente sa tutto riguardo al barare durante gli esami. Ho
anche la sensazione che io ed i miei amici dovremmo iniziare ad
affidare le nostre conversazioni alle parole e non alle nostre facce,
perché le nostre facce non sanno quello che dicono per la maggior parte
del tempo. - E poi imitava anche un po’ la tua per sfotterti, credo.
- Crine d’unicorno, - Il ritratto della
Signora Grassa scorre placido davanti a noi ed io lascio immediatamente
cadere la borsa carica di libri sul divanetto più vicino, prima di
seguirla a mia volta. – Comunque sia, James, sono sicuro che Frank non
avrebbe problemi a preparare qualche pozione insieme a te, ogni tanto.
Lui se la cava molto meglio di me e Sirius, probabilmente saprà come
aiutarti meglio di noi.
- Non dire assurdità, Moony, Frank non può.
- Sono sicuro che se glielo chiedessi, non
avrebbe problemi.
- Certo che lo farebbe, è Frank,
- La borsa di James atterra sul tappeto con un tonfo secco, mentre lui
affonda nel cuscino al mio fianco. - Ma non posso permettere che si
distragga dal Quidditch per dare ripetizioni a me, non ora che
Serpeverde ci ha battuti: per arrivare alla coppa dobbiamo non solo
vincere, ma stravincere tutte le prossime partite o sarà la fine per il
mondo come lo conosciamo noi. E poi le mie pozioni esplodono, lo sai,
Frank non può perdere un braccio proprio ora. È un Battitore, mi serve il
suo braccio.
James ha un’aria molto seria, la stessa che
ha sempre quando si tratta di Quidditch, e mentre lo guardo, senza
nessuna ragione in particolare, si accende all’improvviso qualcosa da
qualche parte nella mia testa, un qualcosa di indefinito, ma molto
temerario ed ispirato.
- Beh, allora Lily, - dice quel qualcosa
servendosi della mia voce.
- Cosa?
- Lily, puoi chiedere aiuto a lei.
James socchiude appena le labbra, mentre le
palpebre dietro le lenti rettangolari calano lievemente a rendere il
suo sguardo più affilato e vagamente perplesso. C’è un che di
scandalizzato nella piega che assume l’angolo della sua bocca quando si
decide a parlare.
- Sei impazzito, Moony?
- È la migliore del corso e ti piace, -
replico con il mio tono più pacato e ragionevole, per nascondere il
fatto che sono effettivamente impazzito. Gli occhi di James si
spalancano come se l’avessi morso e subito si lancia occhiate
guardinghe attorno per assicurarsi che nessuno dei presenti ci stia
prestando attenzione. - È perfetto. Se accetta, riuscirai a farti
ammettere ai M.A.G.O. e in più potrai passare un po’ di tempo con lei
che non sia a lezione o quando la incroci per i corridoi.
Non appena finisco di parlare, prendo
vagamente in considerazione l’idea che James possa darmi un pugno ora.
- E tutto questo, Moony, come esattamente
dovrebbe aiutarmi nel mio proposito di smettere di essere, - La faccia
di James si contorce in un’espressione impacciata e disgustata al tempo
stesso, come se stesse cercando di masticare qualcosa scaduto da mesi. - Quella
cosa di lei?
Tra le altre cose, il mio cervello ha la
capacità di individuare i momenti in cui sarebbe più opportuno tacere
ed indicarmeli con striscioni lampeggianti; il mio cervello mi sta
mostrando un’ottima occasione per tacere proprio ora e i Prefetti
dovrebbero sempre seguire i consigli del proprio cervello. Ma ci sono
momenti in cui Remus Lupin deve essere un Grifondoro ed un Malandrino
prima ancora che essere un Prefetto, momenti come questo, che
definiranno con tutta probabilità la parvenza o meno di una qualche
normalità nel dormitorio maschile del sesto anno di Grifondoro per i
mesi a venire.
- Hai mai preso in considerazione, - inizio
lentamente, conscio che da qui non si tornerà più indietro. - L’idea di noncercare
di smettere di avere una cotta per lei, ma tentare piuttosto di far
smettere lei di odiare te?
James resta immobile per qualche secondo, poi
sbatte le palpebre. E quindi questa è la sua faccia nel momento in cui
viene messo a conoscenza dell’alternativa; assomiglia
incredibilmente alla sua espressione durante l’unica lezione di
Aritmanzia che l’ho convinto a seguire, l’anno scorso, quando ha
passato tutta l’ora a fissare la lavagna senza muoversi, sbattendo solo
saltuariamente le palpebre. Ha continuato a rivolgermi quello sguardo
vuoto per tutto il giorno poi, ogni volta che provavo a rivolgergli la
parola, e così non gli ho più nominato Aritmanzia in vita mia. Ma ora
gli ho suggerito di non cercare di combattere la sua cotta per Lily
Evans ed eccolo di nuovo lì, quello sguardo, proprio come se gli avessi
gridato ‘Aritmanzia’ in faccia o gli avessi
direttamente scaraventato addosso la lavagna coperta di calcoli e
scritte.
- Magari, - riprendo lentamente, in allerta,
lo sguardo teso su James per cogliere l’effetto della voce umana sulla
sua espressione; non sembra che il sentirmi parlare renda la sua aria
ancora più persa, così continuo. - Se vi trovaste a passare più tempo
insieme, non so, tra i miliardi di cose stupide che dici abitualmente
in sua presenza, esiste la vaga possibilità che ti uscirebbe per
sbaglio dalla bocca anche qualcosa di non totalmente stupido. E così
lei saprebbe che non sei proprio sempre così tanto
James Potter.
Un barlume di vita pare riaccendersi nel mio
amico, una piccola scintilla di confusione negli occhi nocciola, un
lieve aggrottarsi della fronte e infine la voce.
- Così cosa?
- Così James Potter.
- Ma certo che sono sempre così James Potter,
Moony, - E a riprova delle sue parole, la mano scatta veloce ai
capelli. - Sono James Potter.
- Sì, lo so questo, - annuisco sbrigativo. -
È che quando parli con lei, le rare e brevi volte in cui questo accade,
seipiù James Potter di quanto in realtà tu non
sia.
- Non ti seguo.
- Certo, perché tu non lo sai. Ma io lo
so.
- Lo sai.
James mi fissa perplesso e non ha
evidentemente la minima idea di cosa io stia parlando. C’è una parte di
me che sta immaginando di prendere la sua testa tra le mani e
sbattergliela contro lo schienale rigido del divanetto fino a farlo
diventare più reattivo, ma c’è un’altra parte di me, più incline al
dialogo e meno alla violenza, che costringe le mie mani a restarsene
ferme sul grembo.
- Sì, io lo so, - Ripeto. - Lo vedo. Da fuori
si vede. Io lo vedo, Sirius
lo vede, Peter lo vede. Tu no, perché sei miope in tutti i modi in cui
una persona può esserlo, ma è una cosa che fai quando c’è lei, lo hai
sempre fatto, senza rendertene conto: non mi è chiaro il perché, ma
Lily Evans ti rende più te stesso di quanto sia normale, una versione
eccessiva ed esasperata di James Potter. Non che tu non sia già di tuo
una persona eccessiva, ma attorno a lei diventi praticamente James
Potter elevato alla seconda.
James, che continua ad avere l’espressione di
chi sta ascoltando qualcuno parlare in una lingua sconosciuta e morta
da secoli, chiude gli occhi per un secondo, prima di riaprirli con un
sospiro sconfortato.
- Le potenze, Moony? Ti ho detto che non ti
sto seguendo e tu decidi di tirare in ballo le potenze?
- E parliamoci chiaro, - aggiungo,
ignorandolo. - Un James Potter alla seconda sarebbe un po’ troppo da
reggere per chiunque.
- Moony.
- Sì, sì, James,
ho tirato in ballo le potenze, ma ti sto analizzando in silenzio da sei
anni senza dire una parola ed ora devi concedermi le potenze, ne ho
diritto. Anche le moltiplicazioni e le sottrazioni, se mi garba, - La
mia voce non ha più il tono maturo e pacato di qualche istante fa ed io
lo noto distrattamente, mentre le mie labbra continuano a muoversi
senza un vero contributo da parte del mio cervello. - Non ho mai
fiatato anche se vedevo in cosa ti stavi cacciando perché era giusto
così e tu non lo sapevi, ma ora che lo sai non puoi farmi stare zitto,
non potrai farmi stare zitto mai più.
- Mi stai facendo paura, Moony, - mi informa
James, raddrizzandosi e guardandomi con una vaga allerta negli occhi;
non credo che lo farà, ma se ora prendesse la sua borsa carica di libri
e la sbattesse sulla mia fronte, non ne sarei del tutto sorpreso. - C’è
già Sirius che non sta mai zitto, non puoi cominciare anche tu, ci sono
degli equilibri da rispettare e tu li stai sovvertendo. Sono molto
scosso.
Questo non è come questa conversazione doveva
andare, ma non è come se l’avessi davvero pianificata e soprattutto non
è che io abbia mai creduto che James avrebbe reagito alle mie
osservazioni in modo diverso dall’ignorarle abilmente.
- Fallo e basta, d’accordo? – sospiro. -
Chiedile se ti può aiutare in Pozioni e se dice di sì, allora passerete
del tempo insieme e forse lei ti odierà un po’ di meno oppure ancora di
più, non ne sono sicuro. Ma fallo, perché questo è il mio consiglio ed
i miei consigli non ti hanno mai portato a finire appeso nudo fuori
dalla torre di astronomia, a differenza di quelli di Sirius.
- Vado a prenderti della cioccolata, Moony, -
stabilisce James, alzandosi deciso dal divanetto al mio fianco.
- D’accordo, - annuisco, mentre lui è già
arrivato alle scale del dormitorio, senza naturalmente aspettare la mia
risposta, perché ora crede che io sia pazzo e perché dopo che ho
cercato di analizzarlo mi eviterà per il resto della giornata o forse
della vita.
- Beh, quello è stato un tentativo
coraggioso, Moony, - La voce e la faccia di Sirius spuntano
improvvisamente da dietro il divanetto ed io faccio un salto sul posto,
portandomi spaventato una mano al petto; eppure sono sei anni che
condivido la stanza con lui, dovrei esserci abituato ormai, al fatto
che se ne salta sempre fuori di colpo e con nonchalance dai posti più
impensabili. - Alquanto patetico, ma coraggioso.
- Dove diavolo eri?
- Proprio qui, - Sirius mi guarda serafico,
battendo una mano sullo schienale del divano. - C’è un motivo se mi
chiamate Padfoot.
- E perché ti nascondevi?
- James mi ha dimenticato chiuso in uno
sgabuzzino per venti minuti questa mattina: quando torna giù fai finta
che non ci sia nulla di diverso nei suoi capelli, d’accordo?
Sirius ghigna, prima di scavalcare il
divanetto e prendere posto accanto a me, schiacciando senza ritegno la
mia borsa a tracolla. Il mio cervello decide di farglielo notare e di
chiedergli anche che fine abbia fatto Peter e se Lumacorno abbia tolto
o meno punti a Grifondoro, ma le mie labbra lo ignorano e procedono
nuovamente per conto loro.
- Credi che si sia arrabbiato con me?
- Beh, suppongo che lo scopriremo molto
presto, - replica lui con un sorrisetto ed in effetti ha ragione: James è
più facile di Sirius. Se si arrabbia con te, non sei costretto ad
impiegare giorni per rendertene conto e per scoprirne il motivo e il
modo in cui potresti rimediare: semplicemente un giorno ti svegli con
del ghiaccio nelle mutande e sai che James è arrabbiato con te e che
potrebbero o non potrebbero esserci delle foto di te che dormi con i
pantaloni bagnati appese per tutta la Sala Grande, a seconda del grado
esatto di arrabbiatura. E finisce tutto lì, senza bisogno di scuse o
scenate varie, e presto o tardi le persone si stancheranno anche di
chiamarti piscialletto.
Sirius,
d’altro canto, sarebbe capace di ignorarti per giorni, continuando
tranquillamente a sostenere che non c’è assolutamente nulla che non va.
Certo, le tue mutande resteranno asciutte, il che è indubbiamente
piacevole, ma un’occhiataccia di Sirius vale più del gelo nelle parti
basse. Quindi, tutto sommato, aver forse fatto irritare James non è la
cosa peggiore che mi potesse capitare.
- Comunque
no, Moony, certo che non è arrabbiato con te, non essere
melodrammatico, - aggiunge Sirius e detto da quello che si nasconde
dietro i divani per fare cose illecite ai capelli del proprio migliore
amico è piuttosto paradossale. – È arrabbiato con Evans.
È
ridicolo naturalmente, perché non c’è motivo di arrabbiarsi con
qualcuno solo perché ti ha fatto inavvertitamente innamorare di sé, ma
guardando dritto negli occhi grigi di Sirius realizzo che questo è in
effetti il genere di pensiero che avrebbe senso nella testa di James.
- Giusto,
- concordo, mentre il ritratto della Signora Grassa si scosta di nuovo,
lasciando entrare altri gruppetti di Grifondoro; i miei occhi si
soffermano in particolare su una di loro. - Ora scusami, ma ho promesso
a Lizzie che le avrei mostrato una cosa dopo le lezioni.
- Prego,
Moony, vai e mostrale tutte le cose che devi.
Il
modo in cui l’angolo della bocca di Sirius si piega appena verso
l’alto, in concomitanza con il lieve abbassarsi delle palpebre, è
persino più rumoroso e inappropriato della sua voce melliflua.
- Non lo
fare, Padfoot, non cercare di rendere le mie frasi ambigue ripetendole
con quel tuo tono insinuante e quello sguardo disdicevole.
- Le tue
frasi sono ambigue di per sé, Moony.
- Il tuo
cervello è ambiguo.
Sirius
incrocia le braccia al petto ed io me ne vado, prima che la sua
leggendaria espressione offesa riesca a farmi scusare per cose di cui
nessun essere umano dovrebbe scusarsi mai, come la volta al primo anno
in cui gli ho chiesto scusa per
non aver fatto un rumore abbastanza divertente rotolando a terra dopo
il suo sgambetto.
- Ehy,
Lizzie, - dico e poi il cuscino lanciatomi da Sirius si schianta con un
tonfo contro la mia nuca, rendendo il tutto meno dignitoso.
- Quella
porta è appena comparsa dal nulla o è una mia impressione?
Quando
smetto di camminare avanti e indietro e riapro gli occhi, trovo Lizzie
che scruta piuttosto perplessa un punto del corridoio alle mie spalle,
una riga sottile a corrugarle la fronte. Non ho bisogno di voltarmi per
sapere cosa sta fissando.
- È
apparsa dal nulla, - confermo, prima di portarmi esitante una mano ai
capelli. – Si chiama, beh, noi la chiamiamo Stanza delle Necessità;
compare solo se evocata. L’ha trovata per caso Sirius al terzo anno,
mentre cercava un posto in cui nascondersi da Gazza la volta in cui ha
allagato il suo ufficio.
- Oh, era
stato lui?
- Come
regola generale, quando un posto viene allagato qui ad Hogwarts, di
norma è Sirius.
- Eppure
mi sembrava di ricordare che fosse stato punito Avery per quello.
Lizzie mi
guarda pensosa ed automaticamente abbasso lo sguardo, pentendomi
intimamente delle mie parole.
- Ah sì?
Non ricordo, onestamente, - mormoro vago, cercando di cancellare dalla
mente il ricordo di come ho aiutato i miei amici ad incastrare il
Serpeverde: è stato molto subdolo e immaturo da parte nostra, ma dopo
che Avery si è vendicato rinchiudendoci in uno sgabuzzino con Mrs Purr,
abbiamo stabilito che neppure io sono autorizzato a sentirmi in colpa.
– Non lo
dirai in giro, vero? – aggiungo indugiando di fronte alla porta di
quercia alle mie spalle. - In
teoria non dovrei mostrartela, è un segreto di noi Malandrini, ma credo
che gli altri non avrebbero nulla in contrario: insomma, dopo come si è
comportato James, te lo dobbiamo.
- Perché parli al plurale, Remus? – Lizzie
ride e forse sta ridendo di me o forse no. - Tu, Black e Minus non mi
avete fatto niente. È un po’ inquietante, come se vi consideraste
un’unica entità.
- Beh, lo siamo, - Sbatto le palpebre,
perplesso. – Voglio dire, anche il resto della scuola ci considera
così: quando James e Sirius fanno perdere troppi punti alla Casa la
gente guarda male anche me, e quando James prende il boccino, la gente
mi sorride e mi dà pacche sulle spalle come se l’avessi preso anch’io,
quando di fatto non saprei acchiappare nemmeno una mosca con un’ala
sola.
- Stai dicendo, - Lizzie parla lentamente. -
Che ti va bene considerarti responsabile delle azioni dei tuoi amici?
- Sì, - dico, in procinto di aggiungere una
spiegazione più sensata, salvo poi rendermi conto di non averla. - Beh,
sì.
- Ok, - annuisce, con un’alzata di spalle. -
Non considerarti responsabile di quello che è successo tra me e James,
però. E sto bene, se lo vuoi sapere. Non è come se ci conoscessimo da
anni, no?
Le mie labbra si socchiudono, forse perché
una parte di me vorrebbe sottolineare come in questo castello stiano
tutti incredibilmente bene, come se avere una cotta non corrisposta
fosse la cosa più divertente al mondo, ma prima che i miei pensieri si
trasformino in parole, Lizzie ha ripreso a fissare la porta alle mie
spalle con curiosità.
- Hai detto che si chiama Stanza delle
necessità, - dice. - Noi di cosa abbiamo bisogno ora?
La fisso in silenzio per qualche altro
secondo, poi porto una mano sulla maniglia e spingo a fondo la porta,
rivelando la stanza di fronte a noi.
- Oh.
*
- Oh, - mi sento dire di nuovo, mentre faccio
un passo in avanti. – Oh.
Il fatto è, per quanto Remus Lupin sia
generalmente una persona intelligente e acuta, dotata di un cervello
ben al di sopra della media di Hogwarts che gli permette spesso di fare
o dire la cosa giusta al momento giusto, resta comunque un ragazzo.
E semplicemente, in quanto tale, ha questa
ridicola convinzione impercettibilmente radicata in lui di come
qualcuno dovrebbe reagire ad una tremenda cotta tremendamente non
corrisposta: lo vedo dal modo in cui continua a guardarmi dalla festa
di Lumacorno, ed è passato quasi un mese, le continue occhiate
circospette e vagamente allarmate, come se avesse a che fare con un
malato terminale o con una persona che si sta lentamente dissanguando a
morte.
Il punto è, non mi sto dissanguando.
James Potter mi ha sorriso, invitata ad
uscire, baciata e degnata giusto il tempo di far schizzare alle stelle
la mia cotta per lui, che era già a livelli piuttosto stellari a dire
il vero, solo per poi rivelarmi con ogni suo gesto che in effetti lui è
troppo occupato con la sua cotta
non corrisposta per poter ricambiare la mia. È quello che è successo, è
un dato di fatto e potrei effettivamente aver pensato per qualche
giorno, due o tre, o forse quattro o cinque o magari di più, di essere
sul punto di dissanguarmi lentamente fino ad accasciarmi al suolo e
morire, ma ad un certo punto mi sono semplicemente resa conto che non
lo stavo facendo, che la mia faccia continuava ad essere lontana dal
suolo, le mie lenzuola insistevano ad essere linde e non affatto
sporche di sangue – a parte per quell’incidente della settimana scorsa
che non ha nulla a che fare con James Potter e di cui le mie compagne
di stanza mi hanno promesso non faranno mai parola con nessuno – e che,
in fondo, non ero prossima alla morte.
La mia cotta epocale mi ha rifiutato, ma non
sono morta.
Allison ed Emmeline avrebbero potuto aprire
la porta della nostra camera e trovare il mio cadavere a terra e invece
non è successo e alla fine abbiamo concordato all’unanimità che se non
era accaduto la prima settimana, allora probabilmente non sarebbe
accaduto mai più. Ed avevamo ragione, non come quella volta che ci
siamo convinte di poter gestire un allevamento di puffole pigmee nel
dormitorio senza essere scoperte, no, questa volta abbiamo avuto
ragione davvero, perché in effetti sono ancora qui. Scoprire che James
Potter non mi ricambia non mi ha, dopotutto, ucciso.
È stato quasi un sollievo, in realtà, passati
i primi giorni, perché se c’è una cosa peggiore di sapere che il
ragazzo per cui hai una cotta non ti ricambia, è, beh, non saperlo.
Passare le giornate a chiederti cosa vogliano dire i suoi gesti e i
suoi baci e i suoi occhi su di lei, senza sapere mai se puoi
effettivamente sperarci o no, quello è stato frustrante.
Non è come se vederlo per i corridoi che si
arruffa i capelli e ride con i suoi amici non mi facesse ancora
stringere e arrotolare qualche organo vitale su se stesso, dalle parti
della pancia, ma ora lo so e
beh, come ho già detto, non sono morta, la cioccolata ha ancora lo
stesso buon sapore di sempre, Allison continua ad essere la mia
migliore amica, Emmeline continua a rubare le mie pantofole ogni
mattina e le scale di questo castello continuano a spostarsi proprio
quando io ci sto per salire sopra, rischiando di farmi precipitare per
sette piani.
Ora, questa è una
cosa che uccide, cadere dal settimo piano e atterrare sul pavimento di
pietra della Sala D’ingresso, col cervello che ti schizza dal naso e le
ossa che vanno in frantumi, non James Potter che ha una cotta per
Evans. Quello non uccide, ma Remus Lupin chiaramente non lo sa, perché
è un ragazzo e i ragazzi d’altro canto hanno una tendenza più spiccata
a morire quando non sono corrisposti. Loro forse
sporcano le lenzuola di rosso, mentre si dissanguano lentamente fino
alla morte, quindi è normale per loro pensare che sia una reazione
comune a tutti.
È per questo che Remus non riesce a
capacitarsi del mio essere ancora viva e vegeta e continua a lanciarmi
quelle occhiate ansiose e cerca di distrarmi in tutti i modi, senza
contare i suoi tentativi di farsi perdonare,
come se tutto questo potesse essere anche solo vagamente colpa sua.
Il fatto è, sono felice che Remus Lupin sia
un ragazzo e che sia convinto che io stia morendo dissanguata e abbia
bisogno di aiuto, anche se non è vero, perché il modo in cui ha scelto
di fermare la mia inesistente emorragia interna è stato portarmi in una
stanza dove spicca su tutto un’enorme piscina con al centro una fontana
di cioccolato.
E di tutti i modi che esistono al mondo per
morire, cadere nel tranello delle scale e sfracellarsi al suolo,
dissanguarsi per una cotta non corrisposta, deturpare un libro di
fronte a Madama Pince, beh, tuffarsi nel cioccolato e lasciarsi
annegare li batte tutti.
Certo, riemergere, respirare e continuare a
vivere sarebbe ancora più carino e apprezzabile, ma non è come se io
avessi ancora una qualche forma di controllo sul mio corpo in questo
momento, no? Se ce l’avessi mi ricorderei del momento preciso in cui ho
preso la rincorsa e mi sono tuffata e invece tutto quello che so è che
ora sono immersa in un mare di cioccolata e non esiste nessuno in tutto
il mondo che sia felice a parte me.
Poi però realizzo che se in effetti ci fosse
un qualcuno di più felice, sarebbe sicuramente qualcuno che dopo
essersi tuffato è riemerso e ha nuotato fino al centro della piscina
per poi mettersi a bocca spalancata sotto la fontana e insieme a questa
realizzazione arriva anche la consapevolezza che quel qualcuno devo
assolutamente essere io.
Non sono mai stata una nuotatrice
particolarmente brillante, ma dopo appena poche bracciate mi ritrovo
con un braccio saldamente ancorato alla base della fontana e l’altro
che mi tiene quell’ammasso fangoso che sono diventati i miei capelli
lontano dalle labbra, mentre con la testa inclinata verso l’alto lascio
che il nettare degli Dei si riversi senza limiti nella mia bocca
spalancata. È più o meno a questo punto che mi ricordo della presenza
di altri esseri umani sul pianeta terra ed in particolare in questa
stanza, così apro un occhio e scruto la figura ancora all’ingresso che
mi osserva in silenzio.
- Dimmi che non ti stai ancora sentendo in
colpa al posto di James e che c’è un altro motivo per cui non ti sei
già tuffato, ti prego.
La mia voce suona un po’ nasale a vagamente
attutita, probabilmente per tutto il cioccolato che mi tappa le
orecchie e la narice sinistra. E potrei essere più interessata di così
alle conseguenze di una quantità eccessiva di cioccolata che entra
all’improvviso nel mio corpo da più punti, ma non lo sono.
- No, no, non mi sto sentendo in colpa, -
dice Remus, prima di aggiungere automaticamente: - Non più del solito,
almeno, - E dovrei essere più stupita di così, ma in realtà è una delle
cose di Remus Lupin che tutta la scuola sa, la sua tendenza ad
assumersi la responsabilità di qualunque disgrazia al mondo, grande o
piccola che sia, come quando i
Formicaleoni che abbiamo piantato al terzo anno durante Erbologia sono
tutti morti per una malattia misteriosa diffusasi improvvisamente nella
notte e lui ha cercato per ore di convincere la professoressa Sprite
che il tutto era partito senza dubbio dal suo Formicaleone, quando due
giorni dopo è saltato fuori che era tutta colpa di Black e di uno
strano incantesimo che voleva testare. – È che, vedi, non è la prima
volta che evoco questa piscina: è stato il primo desiderio che ho
chiesto alla stanza non appena Sirius ce l’ha mostrata al terzo anno ed
è stato divertente, siamo rimasti qui dentro tutto il giorno e l’hanno
trovata tutti un’idea geniale, solo che per i miei amici è finita lì,
mentre per me è stato qualcosa di più.
Remus ha un’aria molto seria e vagamente
affranta ed io cerco di comunicargli silenziosamente il mio pieno
appoggio e la mia completa serietà a riguardo, solo che ora ho di nuovo
la bocca spalancata sotto il getto di cioccolata e probabilmente questo
non aiuta.
- I miei vestiti hanno iniziato ad odorare di
cioccolata sempre più spesso ed i miei amici se ne sono accorti: è
difficile tenere dei segreti con loro. All’inizio ci hanno riso su, ma
ben presto si sono resi conto che la situazione mi era sfuggita di
mano, - Remus ha ancora quell’aria contrita, come se stesse raccontando
qualcosa di molto drammatico ed impressionante, ed io ho ancora la
bocca piena di cioccolata e sono ancora la persona più felice del
pianeta, cosa che mi rende difficile essere solidale come vorrei. -
Sgattaiolavo qui sempre più spesso, non appena avevo un’ora buca o un
attimo libero, non potevo farne a meno. È stato nello stesso periodo in
cui Sirius ha iniziato a dare nomi ai brufoli che mi spuntavano in
faccia, mi pare, che nella nostra camera è stata indetta una riunione
d’emergenza. Con tre voti favorevoli ed uno sfavorevole, il mio, si è
deciso che mai più avrei dovuto evocare piscine di cioccolata per via
della mia mancanza di autocontrollo o qualcosa del genere.
Autocontrollo? Dev’essere quella cosa che ti
permette di fermarti e toglierti almeno le scarpe prima di gettarti a
bomba nella cioccolata, suppongo.
- Beh, Remus, immagino che sia tutto molto
sensato, il non volersi tuffare e rischiare di ripiombare nella
dipendenza eccetera, - commento vaga, nuotando lentamente verso il
bordo più vicino a lui. – È solo che non riesco a sentirti bene, perché
c’è della cioccolata nel mio orecchio. Cioccolata. Nel mio. Orecchio. E
questo è in qualche modo più importante del senso e delle parole e
delle votazioni e del non cadere in tentazione, io credo.
E poi le mie braccia lo fanno e basta,
nonostante sia subdolo e irrispettoso, si muovono di scatto e nel
momento stesso in cui gli schizzi raggiungono il volto di Remus, tra
cui una goccia particolarmente densa proprio sulle sue labbra, qualcosa
nei suoi occhi cambia, un lieve barlume di ribellione nell’iride
ambrata e l’attimo dopo uno scroscio al mio fianco mi informa che Remus
Lupin è infine stato corrotto e al diavolo le votazioni.
**********
Sono a pochi passi di distanza dalla mia
camera quando mi sento sbattere improvvisamente contro qualcosa di duro
e caldo. Il mio primo istinto è naturalmente quello di eliminare
fisicamente l’ostacolo, perché non si sta ponendo solo tra me e la
cioccolata necessaria a distrarre Remus, ma anche tra me e la mia
scopa, ergo tra me e i miei allenamenti e non è una cosa saggia da fare
quando la cruciale partita contro Tassorosso è sempre più vicina. I
miei istinti più violenti non si traducono in niente di diverso da uno
sguardo perplesso però, perché quello che vedo di fronte a me è solo il
corridoio vuoto del dormitorio maschile, che continua fino all’ampia
finestra in fondo e sembra essere vuoto. Per una frazione di secondo
soppeso seriamente l’idea che non sia Remus quello fuori di testa,
perché ho appena avuto un’allucinazione sensoriale, ma quando alzo di
nuovo le mani di fronte a me trovo che c’è effettivamente qualcosa a
bloccarmi la strada, anche se invisibile agli occhi.
- Ma che diavolo...
- James, scusami.
- Frank?
- Sì, sono io, mpf, era la mia bocca quella,
questo è il mio naso, James, smetti per favore, non è igienico.
- Scusa, - Lascio ricadere le braccia lungo i
fianchi. - Sei invisibile. Sai di essere invisibile?
- Sì, è l’effetto del mio seme, il nostro
premio di Pozioni, sai, - mi informa la voce di Frank da un punto
imprecisato di fronte a me. - Il mio fa questo, rendere invisibili per
dieci minuti.
- E tu lo usi per passeggiare nel corridoio
del dormitorio maschile?
- Non l’ho fatto apposta, - L’aria di fronte
a me emette un sospiro sconfortato. - Volevo tenermelo in serbo per
qualcosa di davvero utile e speciale, ero quasi riuscito a convincere
Alice ad usarlo mentre noi, sai, hai capito. Così, per provare qualcosa
di diverso.
- Io davvero non lo volevo sapere.
- Beh, ora non potremo più però: l’avevo
messo dentro il mio pacchetto di calderotti per evitare che il gatto di
Mike se lo mangiasse, ma alla fine me ne sono dimenticato e l’ho
mangiato io per sbaglio. Il seme, non il gatto.
Mi concedo qualche secondo per riflettere su
cosa abbia fatto sentire Frank in dovere di specificare, come se io
fossi una qualche sorta di divoratore di gatti che avrebbe pensato
subito a quello, poi alzo le spalle.
- È abbastanza credibile come storia, - Mi
sporgo verso di lui per dargli una pacca amichevole sulla spalla, ma il
risultato assomiglia di più a uno schiaffo a quello che dovrebbe essere
il suo orecchio sinistro. - Bravo.
- È la verità.
- Beh, io non lo so se
lo è, - replico. - Se avessi deciso di usare il seme per venire qui a
spiare gli altri ragazzi mentre si fanno la doccia non me lo diresti,
no?
- Ma...
- Non sto dicendo che è una scusa, solo che
se lo fosse, sarebbe credibile, - specifico pacato. - È una buona cosa,
è importante essere bravi a inventare storie plausibili.
- Sono d’accordo, ma io sul serio non stavo...
- Era un complimento, Frank, accettalo.
- Okay. Grazie, James.
- Prego.
Cala il silenzio per qualche secondo, ma
quando inizio a sospettare che Frank se ne sia andato, la sua voce
risuona di nuovo di fronte a me.
- Tu hai già usato il tuo seme? Cosa faceva?
- Danni. Solo danni, - replico all’istante,
sforzandomi di ignorare il ricordo delle labbra di Evans sulle mie che
subito mi si riaffaccia alla mente, solo che non erano le labbra di
Evans, erano quelle di Lizzie e questo mi ricorda che devo trovare il
tempo di rinchiudere Lumacorno da qualche parte e dare fuoco ai suoi
baffi. - Questi semi non servono a nulla, avrei preferito in premio una
E in Pozioni piuttosto. Gli altri li hanno già usati?
- Mary ha intenzione di usarlo durante la
prossima interrogazione di Aritmanzia: le permette di leggere nella
mente delle altre persone, così Alice guarderà tutte le risposte sul
libro e lei prenderà Eccezionale. È un buon piano.
- Molto astuto, sì.
Anche se ancora più astuto sarebbe mollare
Aritmanzia: sono abbastanza sicuro che neppure il professor White che
la insegna abbia una minima idea di quello che tratta quella materia
incomprensibile.
- Mike lo ha usato durante le vacanze di
Natale per fare uno scherzo a sua madre invece, - continua Frank. - Il
seme lo ha fatto tornare per una decina di minuti a quando aveva tre
anni, ma sua madre non l’ha riconosciuto ed ora lui è convinto di
essere stato adottato.
La verità è che non c’è motivo di appiccare
il fuoco ai baffi di Lumacorno quando posso legarlo e dare fuoco alla
sua intera persona, ora che riesco a vedere tutto il disegno generale
del suo subdolo piano: regalare semi incredibilmente dannosi a ben tre
membri della squadra di Quidditch di Grifondoro spacciandoli per premi,
in modo da distrarci e sbatterci del tutto fuori dalla competizione per
la coppa. Maledetto tricheco Serpeverde: quando salirò al potere sarà
il primo ad essere licenziato.
- Non so a cosa serva il seme di Lily invece:
non l’ha voluto dire ad Alice perché sostiene che lei glielo ruberebbe,
se sapesse, - riprende Frank. - Naturalmente questo ha costretto Alice
a cercare davvero di rubarlo, ma ancora non è riuscita a capire dove
l’ha nascosto.
Non mi piace che ci sia ancora uno di quei
dannati semi in circolazione e mi piace ancor meno il fatto che ce
l’abbia Evans, cosa che in qualche modo rende il tutto potenzialmente
ancora più pericoloso, ma ci sono due occhi che mi fissano dal vuoto
ora e questo è bizzarro.
- Stai ricomparendo, Frank. Vedo
i tuoi occhi.
- Oh no, di già? - Il naso di Frank ricompare
lentamente sotto gli occhi, seguito a breve distanza dall’orecchio
sinistro. - Stava iniziando a piacermi questa cosa dell’essere
invisibile.
- Ma non stavi facendo nulla a parte
chiacchierare con me.
- Sì, ma nel frattempo facevo smorfie e
fingevo di metterti le dita nel naso e tu non potevi saperlo, -
confessa allegro. - Ho anche finto di darti un pugno per vedere se
grazie ai tuoi sensi da Cercatore avresti avvertito lo spostamento
dell’aria o qualcosa del genere, ma non ti sei accorto di nulla. È
stato divertente.
Non so perché Frank trovi divertente il
crollo di ogni mia certezza sui miei sensi ultra sviluppati, ma ora ho
la sua intera faccia di fronte a cui mostrare il mio disappunto.
- Vatti a preparare, Frank, - sospiro. - Tra
dieci minuti dobbiamo essere al campo.
Frank aggrotta la fronte.
- Non era mezz’ora?
- Dieci minuti, - replico. - Nove, ora.
- Avevi detto alle quattro e mezza.
- Questo era prima che
tu mi mostrassi che non avvertirei la presenza di un boccino nemmeno se
questo cercasse di prendermi a pugni, - preciso. - Vai a prendere la
scopa, forza. E avvisa gli altri.
Frank mi fissa immobile per qualche altro
secondo, ma pare infine decidere che non è saggio opporsi agli
allenamenti anticipati a così poca distanza dalla partita contro
Tassorosso, così annuisce e si allontana di qualche passo, salvo poi
voltarsi di nuovo verso di me con aria perplessa.
- Avete
litigato?
- Chi?
-Tu e
Sirius, - dice e i suoi occhi continuano ad essere puntati un po’
troppo in alto, ai miei capelli per la precisione; ma la gente fissa
spesso i miei capelli, perché sono grandiosi e ipnotizzanti, così mi
limito ad alzare le spalle.
- Non che
io sappia.
Lo sguardo
di Frank si abbassa finalmente dai miei capelli ai miei occhi.
- E allora
perché Sirius non è qui? O tu là?
- Là dove?
- Ovunque
sia Sirius.
Ottima
domanda. Perché non sono là?
- Ora
vado, - dico. – Tu muoviti: cinque minuti.
Frank si
affretta verso la sua stanza, lanciando un’occhiata al suo orologio.
- Sono
sette, Capitano. Continui a mentire.
Sirius è
nella Sala Comune, appollaiato sul divanetto più vicino al fuoco
esattamente dove ho lasciato Remus, che ora si è invece volatilizzato.
- Padfoot, - Lascio cadere il mio borsone del
Quidditch accanto a lui e gli sbatto piano la tavoletta di cioccolata
sulla nuca a mo’ di saluto, appoggiandomi allo schienale del divanetto.
– Che fine ha fatto Moony? Hai notato che è diventato pazzo? Era
prevedibile che sarebbe successo prima o poi, ma pensavo avrebbe
resistito fino al settimo anno.
Sirius piega il collo all’indietro,
fissandomi dal basso con un sorrisetto compiaciuto.
- È andato a raccogliere la scia di feriti
che ti lasci dietro.
- Cosa?
- Lizzie.
- Oh, - dico, mentre una familiare,
spiacevole sensazione mi attanaglia lo stomaco. Giusto, Lizzie, la
ragazza che ho inavvertitamente illuso alla grande; colpa di Evans
anche questa: non era previsto che io fossi innamorato da lei, non
sarebbe stato illudere se lei non si fosse messa in testa di infestare
la mia mente peggio di un poltergeist. D’accordo, è colpa
mia, ma è anche colpa degli stupidi capelli rossi di Evans. - Oh.
Chiaro. È con Lizzie, certo.
- Già.
- È spesso con Lizzie, ultimamente, - noto
pensoso. - Cosa credi che si dicano per tutto il tempo? Le elenca i
miei difetti per farla stare meglio o qualcosa del genere? Le mostra
foto dei miei capelli di notte?
Sirius sorride.
- James, - inizia e il suo tono lo eleva
automaticamente al di sopra di me, spingendomi in fondo nella scala
sociale e dandomi silenziosamente dell’idiota; non mi piace quando il
mio migliore amico mi dà dell’idiota semplicemente pronunciando il mio
nome e non credo che dovrebbe farlo così spesso,
davvero. - Le persone non parlano dei tuoi capelli tutto il tempo.
Non è esatto, ne sono certo, tant’è che anche
ora Sirius lancia una lunga occhiata compiaciuta ai miei capelli, prima
di tornare a guardarmi negli occhi.
- E Moony ha cose più importanti a cui
pensare, cose come la cioccolata, - aggiunge un attimo prima di lasciar
cadere lo sguardo sulla tavoletta ancora stretta tra le mie mani. La
fisso anch’io in silenzio per qualche secondo, perché Remus nei fatti non ha
aspettato la cioccolata che gli avevo promesso e questo è bizzarro, poi
alzo le spalle e la porgo a Sirius.
- Beh, ho gli allenamenti ora. Tieni, fanne
buon uso. Vieni?
- Faccio un salto più tardi forse, - Sirius
fa sparire la tavoletta nella tasca interna del suo mantello e se sono
fortunato ad un certo punto si dimenticherà di averla, la lascerà
sciogliere e se ne andrà in giro con una macchia marrone sui vestiti. -
Ora devo controllare Wormtail, è sparito di nuovo con quella Tassorosso
del quinto: dovrà presentarcela ad un certo punto.
Peter pare convinto che lo metteremmo in
imbarazzo e questo è ridicolo, perché noi non siamo assolutamente quel
genere di persone; naturalmente quando finalmente capiremo chi è
esattamente la ragazza in questione saremo costretti a traumatizzarla
al punto che non rivolgerà mai più la parola a Peter, perché è questo
che succede a diffidare dei tuoi più cari amici.
- Okay, tanto ci alleneremo per sempre, -
Annuisco, afferrando la mia borsa del Quidditch e mettendomela in
spalla. - Puoi passare tra otto miliardi di anni e noi saremo ancora
lì, freschi come il primo minuto, perché non accadrà che perderemo di
nuovo.
- Vero, Frank? – aggiungo alzando la voce,
mentre Frank arranca dalle scale con la scopa in spalla.
- Sì, Capitano! Otto miliardi di...aspetta,
cosa?
- Mike, dannazione, – La pluffa sfreccia
fulminea accanto alle mani del mio Portiere, sfiorandogli la punta
delle dita e finendo dritta nell’anello di sinistra per la terza volta
consecutiva, facendomi emettere uno sbuffo esasperato. – Venti giorni
di vacanza e tu ti dimentichi come si para, davvero? È questo che stai
cercando di dirci mancando ogni singolo lancio?
Dannate vacanze di Natale, andrebbero
abolite. Chi ne ha bisogno poi? Non la squadra di Quidditch di
Grifondoro, questo è certo.
- Ok, di nuovo, forza.
Al mio cenno Sam, dall’altra parte del campo,
inizia a sfrecciare verso la porta con la pluffa sotto braccio, facendo
qualche veloce passaggio con Anne. Schiva senza la minima difficoltà il
bolide lanciatogli da Frank, cosa che mi suscita un istintivo moto
d’orgoglio e contemporaneamente un immenso sconforto, perché posso
vedere un successo nel fatto che il mio Cacciatore sappia schivare i
bolidi oppure posso notare che il mio Battitore non riesce a mandare a
segno i suoi colpi. Mentre riservo un’occhiata ammonitrice a Frank,
Alexis non perde tempo e in un attimo ha già rispedito il bolide contro
Sam, costringendolo a una violenta sterzata poco prima del lancio.
Mike si getta in avanti con uno scatto
repentino e la corsa della pluffa questa volta si ferma proprio tra i
suoi guantoni scarlatti, il che è fantastico, perché finalmente il mio
Portiere fa quello che ci si aspetta da un Portiere, ma è anche
drammatico, perché non vinceremo mai la coppa se i miei Cacciatori non
sono in grado di fare centro.
- Sam, che diavolo era quello? Persino mia
nonna sarebbe riuscita a pararlo e lei è chiusa in una cassa sotto tre
metri di terra.
Non che fosse così male in realtà. Infatti,
era un buon tiro.
Ma in quanto Capitano della squadra, l’unica
cosa da evitare sempre e comunque è mostrarmi soddisfatto.
- Scusa, Capitano, ma questa pluffa è
bagnata, mi è praticamente scivolata dalle dita, - commenta Sam con
tutta l’aria di chi si sta giustificando, totalmente dimentico della
regola fondamentale secondo cui ogni frase che assomigli anche solo
vagamente ad una giustificazione è abolita durante gli allenamenti. -
Dev’essere il sudore della balena che ci è colato sopra.
- Io e Frank giochiamo con palle vere, pel di
carota, - sbuffa Alexis, indirizzando un bolide verso Sam a riprova
delle sue parole. Nella sua frase c’è qualcosa di molto ambiguo e
fraintendibile che tutta la squadra si impegna ad ignorare, perché
Alexis ha un innato talento per le uscite dubbie. – La tua pluffa non
l’ho nemmeno toccata.
- Confermo, quello è il mio sangue, Sam, -
interviene Daniel, il cui naso sta effettivamente continuando a colare,
perché evidentemente quello è un naso che non ha chiare le priorità e
non distingue i momenti in cui si può permettere di sanguinare da
quelli in cui invece deve solo starsene zitto e buono nel mezzo della
faccia del mio Cacciatore e lasciarlo allenare in pace. - Alexis mi ha
quasi rotto il naso con il bolide di prima.
- Oh sì, quello è stato grandioso, - Non
riesco a trattenere un fremito d’orgoglio nella voce, ripensando a quel
perfetto colpo da manuale. Poi lo sguardo di Daniel è su di me e pare
vagamente interdetto, probabilmente per la parte in cui io definisco
grandioso il suo naso che viene distrutto da un bolide. – Voglio dire,
hai capito.
- Sono i Corvonero quelli? – Mike si porta
una mano a schermargli gli occhi, lo sguardo puntato al castello in
lontananza. Subito lo imito, scorgendo effettivamente una macchia
bluastra che avanza lentamente in direzione del campo. – Non ci credo,
sono di nuovo in anticipo.
- Aspetteranno, abbiamo ancora dieci minuti,
- stabilisco, tenendo a freno la parte di me che mi incita a strappare
di mano la mazza a Frank e tendere un agguato alla squadra avversaria:
scommetto che vogliono spiare i nostri schemi di gioco in vista della
futura partita, ma grazie alla mia lungimiranza li abbiamo già provati
tutti a inizio allenamento. – Lanci liberi, forza!
C’è ancora della schiuma sul mio braccio
sinistro, ma quando Frank, stanco di aspettare, è entrato completamente
nudo nella mia doccia, ho deciso che era il momento propizio per
uscire. Non è qualcosa che dovrebbe accadere a me questa, credo invece
che un Capitano avrebbe diritto a stare sotto la doccia intere ore
senza che i membri della sua squadra dicano una sola parola o lo
spingano via di peso o facciano irruzione con le palle al vento e credo
anche che dovrebbero esserci più docce in questi spogliatoi. Le ragazze
ne hanno molte di più e sono solo in due, non capisco perché non
vogliano fare a cambio con noi: probabilmente trovano piacevole
immaginarci accatastati in cinque, nudi e ricoperti di schiuma, in due
misere docce, dannate pervertite.
Trattenendo uno sbuffo, mi chino in avanti e
sfrego con forza l’asciugamano contro i capelli, frizionandoli a fondo.
Quando mi ritiro su, Sam è sulla panca di fronte a me che fissa i miei
capelli e ridacchia ed io non ho bisogno di uno specchio per sapere che
ora sono semplicemente gloriosi.
- Sam, - dico invece, tamponandomi via le
ultime tracce di schiuma di dosso e afferrando la mia camicia. – So
cosa hai fatto.
Sam interrompe perplesso l’allacciatura delle
sue scarpe, aggrottando la fronte.
- La doccia?
Il mio Cacciatore continua a guardarmi
dubbioso ed io assottiglio gli occhi, imprimendo nel mio sguardo tutta
l’autorità di cui sono capace. Poi Mike passa sgocciolante proprio in
mezzo a noi e rovina l’atmosfera.
- Intendo durante le vacanze di Natale, -
preciso e Sam spalanca gli occhi con improvvisa consapevolezza. – Quale
parte di niente relazioni all’interno della squadra non
ti era chiara?
Sam boccheggia per qualche secondo di fronte
alla mia miglior occhiataccia – Godric, sono così autoritario,
vorrei che Remus fosse qui per vedere quanto mi batto per il rispetto
delle regole, - poi punta di scatto il dito verso Daniel, appena uscito
dalla stanza delle docce.
- Beh, Daniel è cotto di Anne!
- Ehy!
- Ma Anne è cotta di Sirius, grazie a Godric,
- replico e questa volta l’ehy indignato di Daniel pare diretto
a me. - Scusa Daniel, - aggiungo, prima di rivolgermi di nuovo a Sam. -
Ed Anne non lo ricambierà mai, quindi non c’è pericolo che infranga la
regola. Scusa, Daniel. Tu ed Alexis invece vi siete messi insieme e
questo è...
- Frank, vieni a vedere! James lo ha scoperto!
Dopo un’occhiata
di profonda disapprovazione a Mike, che continua imperterrito a
rovinare ogni atmosfera di terrore che provo ad instaurare, mi rigiro
verso Sam, salvo poi richiudere spaesato la bocca, perché ormai ho
perso il filo del discorso.
- Come lo hai scoperto? – sospira lui.
- Sirius.
Non ho nemmeno chiesto al mio migliore amico
quale losco affare l’abbia condotto nella stessa aula abbandonata in
cui Sam ed Alexis si erano dati appuntamento dopo il coprifuoco: la sua
capacità di spuntare sempre nell’esatto posto in cui stanno avvenendo
cose che la gente vorrebbe tenere segrete è ormai nota a tutta la
scuola.
- Dannato figlio di... – Qualcosa nel modo in
cui i miei occhi si assottigliano suggerisce a Sam di non completare la
frase e lui sbuffa incredulo. - Gli
ho dato un sacco di
Cioccorane perché non te lo dicesse. Mi aveva dato la sua parola!
- Se crederai a tutto quello che un
Malandrino ti dirà, ad un certo punto finirai nudo e legato da qualche
parte, Sam, - lo informo e Frank, appena apparso alle sue spalle,
annuisce con aria consapevole e vagamente pentita. – Ed ora veniamo al
punto: tu ed Alexis non potete comportarvi come se la vostra vita
amorosa non fosse un affare di tutta la squadra, perché lo è infatti.
- Ma...
- Perciò, considerata la vostra assoluta
scorrettezza nel non chiedere a tutti noi il permesso prima di mettervi
insieme, vi restano solo due possibilità: vi lasciate ora, in questo
esatto momento, senza che la cosa abbia la minima ripercussione sugli
equilibri interni della squadra, - Faccio una pausa di qualche secondo,
giusto nel caso Sam volesse scegliere questa prima e mia preferita
opzione, ma lui continua a fissarmi in attesa. – Oppure non potrete
rompere prima della fine del mio settimo anno, quando lascerò la spilla
da Capitano al più meritevole tra voi. Nessuna depressione post-rottura
che intacchi le vostre capacità, nessuna pausa di riflessione che vi
distragga, niente di niente: resterete insieme per il bene della
squadra.
- La seconda, la seconda è la scelta migliore.
- Non l’ha chiesto a te, Mike, devo decidere io.
- Oh no, è una bella idea, - intervengo
compiaciuto. – Faremo a votazione. Quanti a favore della prima opzione?
- Daniel, abbassa quella mano o te la taglio.
Non puoi avercela con me solo perché Anne non ti considera!
- Quanti a favore della seconda? – Frank,
Mike e un riluttante Sam alzano la mano. – Ottimo, e seconda sia:
complimenti Sam, puoi informare Alexis che ora siete ufficialmente
fidanzati per i prossimi due anni.
- Che cosa romantica.
Per qualche bizzarro motivo che ha a che fare
con un Sirius molto annoiato e un me stesso molto distratto, la mia
grande, morbida e calda sciarpa è in questo momento appesa al
lampadario del nostro dormitorio e affondare il mento dentro il
colletto della mia felpa non basta a pararmi dal vento tagliente,
gelido contro i miei capelli ancora umidi. Stavo chiacchierando con
Frank quando siamo usciti dagli spogliatoi dirigendoci verso il
castello, ma quando lui si è egoisticamente rifiutato di condividere la
sua sciarpa con me ho aumentato il passo fino a seminarlo ed ora posso
finalmente trarre un sospiro di sollievo, mentre attraverso l’alto
portone di quercia dell’ingresso e vengo investito da una piacevole
ondata di tepore. Pochi secondi dopo Evans finisce di scendere le scale
che portano al primo piano e mi supera senza degnarmi di uno sguardo,
puntando dritta al portone alle mie spalle, e nella mia testa risuonano
improvvise tre voci distinte: una, che suona vagamente come quella di
Sirius, sussurra maligna che Evans sta senza alcun dubbio andando ad
assistere agli allenamenti della squadra di Corvonero, di cui Philips è
inspiegabilmente il Capitano; un’altra, parecchio simile a quella di
Peter, insiste ad attirare la mia attenzione sull’odorino invitante che
proviene dalla Sala Grande, dove evidentemente sta già venendo servita
la cena: pollo e patate arrosto, a giudicare dal profumo; la terza
voce, più pacata ma anche più forte delle altre, assomiglia molto a
quella di Remus e continua a blaterare cose sulle pozioni, le potenze e
il non finire appesi nudi fuori dalla torre di astronomia. Preferirei
che il mio cervello non comunicasse con me tramite le voci e le parole
dei miei amici, che sono tipi rumorosi e poco adatti a vivere nella
testa delle persone, ma tant’è.
I passi di Evans risuonano alle mie spalle
mentre lei inizia a scendere i pochi gradini che danno sul parco ed è
solo allora che realizzo di essermi fermato. Spiazzato, lancio
un’occhiata interrogativa ai miei piedi, perché forse loro sanno cosa
sta succedendo, ma la risposta è no, i miei piedi non sanno nulla; poi
il mio sguardo si sposta circospetto dalle scale di fronte a me alla
porta della Sala Grande alla mia sinistra, da cui continua a provenire
quell’odore invitante e un leggero chiacchiericcio e infine mi ritrovo
a fissare Evans, che ha appena posato il primo stivaletto sull’erba
umida del parco e si sta allontanando, salvo poi fermarsi quando
qualcuno chiama il suo nome.
Passano diversi secondi ed è solo quando il
suo sopracciglio si inarca interrogativo che ricordo di essere io quel
qualcuno.
- Che c’è, Potter?
Il vento le smuove i ciuffi rossi sfuggiti
alla stretta avvolgente della sciarpa di Grifondoro – lei non ha amiche
che la legano ai lampadari, evidentemente – e lei ci affonda ancora di
più il mento, stringendosi nel mantello e non accennando a tornare
dentro, perché nel suo mondo da ragazza totalmente fuori di testa il
freddo è preferibile alla mia vicinanza. Una parte di me freme per
farle un gavettone e scappare, ma la solita vocina simile a quella di
Remus inizia quasi a strillarmi contro cose sull’essere un James Potter
alla seconda, così decido di lasciar perdere l’acqua e le piume.
- Senti, Evans, - E la mia mano è
improvvisamente tra i miei capelli. - Io non ti piaccio molto, giusto?
Però questo non mi porterà a finire nudo fuori dalla torre di
astronomia, come mi ha detto qualcuno di molto saggio, quindi tanto
vale farlo.
Non appena finisco di parlare, aggrotto la
fronte, perché non sono sicuro di cosa le mie labbra abbiano appena
fatto. Anche Evans sembra perplessa.
- Cosa ti sei fumato, Potter?
Oh, al diavolo.
*
- Pensavo, - Il tono di Potter è più
infervorato del solito ed è perché individui come lui si mettono a
pensare che accadono tante disgrazie al mondo. - Dato che tu hai una
palese cotta nei miei confronti e segretamente agogni a passare del
tempo in mia compagnia, se vuoi posso offrirti su un piatto d’argento
il pretesto per farlo.
Gli occhi di Potter si allargano lievemente
dietro le lenti rettangolari degli occhiali,
come ad incitarmi a saltare di gioia, ed io mi sistemo meglio la
sciarpa in modo che mi copra anche il naso, continuando a fissare
impassibile la persona pazza che mi importuna dal portone d’ingresso.
- Una scusa ufficiale, sai, così che Philips
non si ingelosisca, - aggiunge ed io incrocio le braccia al petto, gli
occhi ancora su di lui per captare il momento propizio per la fuga: è
meglio evitare movimenti bruschi o scatti improvvisi, perché
esattamente come un cane, il riflesso istintivo di Potter sarebbe
quello di corrermi dietro e forse azzannarmi. D’altro canto la sua
soglia d’attenzione non è famosa per essere particolarmente alta o
duratura e non appena qualcuno starnutirà alle sue spalle o una mosca
gli volerà affianco, lui smetterà di fissarmi in attesa ed io potrò
allontanarmi indisturbata.
- Evans, riesci a vedermi? – Potter inizia a
muovere lentamente le mani davanti a sé. - Sono invisibile e nessuno me
l’ha detto?
- Ti vedo, Potter, - dico e non posso fare a
meno di pensare che se però facessi scorrere la sciarpa ancora un po’
più in su, fino a coprirmi gli occhi e le orecchie, allora smetterei di
vederlo e sentirlo e la mia vita sarebbe nettamente migliore, almeno
fino a quando non centrerei in pieno un tronco o qualcosa del genere.
- Meglio per te, Evans, - È vedendo il
sorrisetto sornione allargarsi sulle labbra di Potter che capisco che
ignorarlo non servirà a nulla.
- D’accordo, - sospiro, risalendo velocemente
gli scalini fino al portone: non posso affrontare sia lui che il vento
gelido allo stesso tempo. – Che cosa vuoi adesso?
- E perché ora pensi che io voglia qualcosa?
- Potter sbuffa, poi incrocia i miei occhi e abbassa lo sguardo,
portandosi la mano ai capelli per la terza volta in pochi secondi. E
non credo che lo sappia, quello che è successo ai suoi capelli. - Beh,
non ho mai preso Accettabile in Pozioni, a parte una volta al secondo
anno, ma poi si è scoperto che Lumacorno aveva confuso le provette e
quella era la pozione di un altro. E mi sono detto, probabilmente Evanssa come
far prendere Accettabile a qualcuno che non lo ha mai preso. Per via
della tua strana fissa per le Pozioni e le zampe di rana, sai.
- Non ho alcuna fissa per le zampe di rana, -
nego immediatamente. - Sono solo molto utili. E molto verdi.
- Un bel verde, - mi sento in dovere di
precisare, mentre Potter continua a fissarmi senza particolare
convinzione. - Acceso.
La gente è così influenzabile, dannazione:
solo perché alla fine del mio secondo anno la zip della mia borsa si è
strappata nel bel mezzo della stazione e ne sono uscite tutte le uova e
le zampe di rana che stavo cercando di portare a casa per far impazzire
Petunia non significa che io abbia una fissa per le zampe di rana.
Poi le parole di Potter non riguardanti le
zampe di rana mi tornano in mente ed io aggrotto la fronte.
- Che vuoi fare, Potter?
- Ora? – Sorride e alza le spalle. - Conosco
un passaggio segreto che ci farà essere ad Hogsmeade in dieci minuti.
- Dopo Hogwarts, -
preciso. - Cosa vuoi fare?
Potter mi guarda interdetto per qualche
secondo, poi pare capire.
- Quidditch, - risponde sicuro. - Diventerò
il miglior Cercatore al mondo o qualcosa del genere.
- Capisco, - dico. - E serve un M.A.G.O. in
Pozioni per diventare il miglior Cercatore al mondo?
- No, Evans, sono abbastanza sicuro che basti
prendere il boccino prima di tutti gli altri.
- Quindi perché vuoi continuare Pozioni? –
Cinque lunghi anni di pozioni che esplodono da sole e numerosi compagni
di classe, tra cui io, finiti in infermeria e Potter decide di averne
bisogno l’unico anno in cui potrebbe semplicemente mollare la materia.
Tipico.
Passano diversi secondi e qualcosa nello
sguardo di Potter mi suggerisce che non ha particolarmente voglia di
rispondere alla mia domanda, ma poi pare realizzare che mi sta
chiedendo aiuto e non può davvero rifiutarsi di dirmi almeno il perché.
- Nel caso non giocassi a Quidditch, -
commenta infine lentamente.
Il mio sopracciglio si inarca.
Oh oh, cosa
abbiamo qui? Dopo una lunghissima vacanza a venti metri dal suolo James
Potter ha deciso infine di riscendere tra i comuni mortali?
- Stai per caso prendendo in considerazione
l’idea di fallire?
- No, certo che no, - Come non detto. Da
quaggiù riesco quasi a intravedere la suola delle sue scarpe, mentre
lui volteggia sicuro tra le nuvole sospeso dalla forza del suo ego. -
Se decidessi di giocare a Quidditch, riuscirei ad entrare in qualunque
squadra volessi. Mi hai visto giocare,
Evans?
Aspetto educatamente che Potter finisca di
tessere le proprie lodi, poi lo incalzo di nuovo: a quest’ora di fronte
a me dovrebbe esserci Dean che si allena, non Potter che divaga e che
ha dei capelli persino più ridicoli del solito.
- Se decidessi? E
quale sarebbe l’alternativa? Perché ho sempre avuto l’impressione che
non ci fosse niente che ti piaccia quanto
giocare a Quidditch, a parte appendere la gente a testa in giù, ma
nessuno ti pagherà mai per quello, sai.
Potter accenna una smorfia sarcastica e
infastidita, come se fosse scontato che lo sappia, quando io non ci
metterei per niente la mano sul fuoco; non mi stupirei anzi se lui
ritenesse di dover essere pagato e ringraziato per il semplice fatto di
respirare.
- Probabilmente giocherò a Quidditch, Evans,
ma ho ancora due anni, non devo decidere ora. E il M.A.G.O. in Pozioni
è richiesto in quasi tutti gli ambiti, quindi, - Potter si stringe
nelle spalle. - Lumacorno non mi ammetterà ai MAGO se non arrivo ad
Accettabile, perciò o questo o imparare come sedurlo. E in quel caso
l’esperta saresti comunque tu.
Le labbra di Potter si piegano lentamente in
un sorriso sornione ed io mi chiedo in quale manuale del ‘Come chiedere
favori a qualcuno che ti odia’ ci sia scritto che il modo migliore per
farlo è insinuare al tempo stesso che tale qualcuno abbia una relazione
col proprio professore di Pozioni ultracinquantenne. Le mie labbra sono
già schiuse per comunicare a Potter che è stato fregato con quel
manuale e che dovrebbe farsi restituire i soldi, ma improvvisamente due
dei suoi neuroni vaganti si incontrano casualmente e gli ispirano un
breve momento di lucidità, giusto il tempo di realizzare di essere un
idiota.
- Sto scherzando, - dice ed io chiudo la
bocca, scrutandolo sospettosa. - Dissimulo il mio non voler essere qui
a chiederti aiuto scherzando, è quello che faccio.
C’è qualcosa in questa situazione che mi
sfugge: Potter non vuole essere qui, certamente io non
voglio essere qui, e dunque perché diavolo siamo ancora qui?
Una persona intelligente non sarebbe ancora
qui.
E tuttavia Potter è proprio di fronte a me, a
portata di mano ed in precario equilibrio sul suo piedistallo dorato ed
io sono a tanto così dal fare un passetto in avanti, dargli una
spintarella e farlo rotolare a terra. Non è una possibilità a cui posso
semplicemente voltare le spalle per andare ad assistere agli
allenamenti di Quidditch di Corvonero: Dean è carino nella sua divisa
blu, ma spingere Potter giù dal trono ha semplicemente più attrattiva.
Farlo finire con le ginocchia per terra e poi abbandonarmi a una
metaforica risata trionfale mentre lo guardo dall’alto è un’immagine
troppo allettante perché Dean su una scopa, per quanto apprezzabile,
possa competere.
- Dillo.
- Cosa? – Potter inarca le sopraciglia
interrogativo, senza accorgersi del piedistallo che trema sotto i suoi
piedi.
- Che sei un disastro in Pozioni, dillo.
- Non sono un...
- Potter.
L’eloquenza nel mio tono spegne
immediatamente l’indignazione nel suo e lui abbandona ogni tentativo di
protesta.
- D’accordo, - sospira e lascia vagare lo
sguardo attorno a sé, senza incontrare il mio neppure per sbaglio. -
Non sono bravo in Pozioni.
Eccolo che scivola e si aggrappa
ostinatamente al trono; riesco a sentire il rumore disarmonico delle
sue unghie che strisciano contro il metallo freddo e dorato nel
disperato tentativo di non precipitare: musica per le mie orecchie. Ed
ora apri le mani e lascialo andare, Potter, da bravo.
- No, di’ che sei un disastro, - continuo
imperterrita. - Voglio vederti scendere da quel piedistallo tra noi
comuni mortali e allora forse ti aiuterò.
Gli altri invisibili interlocutori di Potter
paiono congedarsi tutti improvvisamente, perché lui torna infine a
guardarmi negli occhi, dove non può che scontrarsi con la mia
straordinaria fermezza, essendo io la più ferma delle persone. Essendo
invece Potter la più testarda delle persone, continua a fissarmi per
qualche secondo, probabilmente soppesando se può distrarmi in qualche
modo o trovare un’altra scappatoia, ma alla fine pare arrivare
all’unica conclusione possibile: deve mettere una scarpa giù dal
piedistallo.
- Ok, - Il suo tono è ostentatamente leggero,
come se questo non gli costasse alcuno sforzo; anche le sue spalle
cercano di esprimere disinvoltura, facendo un piccolo scatto verso
l’altro, mentre tutto in lui mi comunica l’esatto contrario. - Sono, -
È a questo punto che il corpo di Potter decide di boicottare Potter e
lui inizia a scuotere lievemente il capo, come a negare le sue stesse
parole, prima di mordersi un labbro e sospirare frustrato. Poi la sua
mano scatta ai capelli e lui lo dice e basta. - Sono un disastro in
Pozioni.
Il suo tono rispecchia perfettamente lo
sguardo, con lo strato superficiale di sfida e orgoglio che lascia
intravedere appena quello retrostante e ben più profondo di totale
sconfitta e tutto questo è coperto dall’assordante, paradisiaco rumore
della sua caduta dall’olimpo personale in cui si è posto.
Bam. Culo
per terra, Potter, culo per terra.
E deve aver fatto male da lassù.
- Bene.
Soddisfatta, prendo la mia vittoria e il
ricordo di essa che mi accompagnerà fino alla tomba e mi volto senza
aggiungere altro, attraversando nuovamente il portone d’ingresso,
questa volta con una miglior predisposizione nei confronti della vita,
perché vivo in un mondo in cui a volte anche quelli come James Potter
precipitano al suolo e il loro ego non basta per attutire del tutto la
caduta.
- Evans?
Potter, per l’appunto, è ancora fermo oltre
il portone con un’aria parecchio perplessa e quando mi volto a
guardarlo interrogativa inarca le sopracciglia.
- Quindi, - inizia lentamente, vagamente
guardingo. - Hai intenzione di aiutarmi?
- No, a dire il vero no.
Per la terza volta in pochi minuti, mi
ritrovo a dargli le spalle e imboccare la via per il campo da Quidditch
e finalmente riesco a fare diversi passi senza essere richiamata. Ottimo,
davvero ottimo, penso esultante, salvo poi fermarmi lo stesso con
un sospiro.
E quando mi volto trovo che Potter non si è
mosso di una virgola e se ne sta lì, zitto e immobile a fissarmi con
un’espressione che mi impedisce di riprendere a camminare. Voglio dire, non
può avere quella faccia, come se io lo avessi
appena pugnalato al petto e lui non riuscisse a crederci. È totalmente
inammissibile e ridicolo che lui si
permetta di assumerla; che razza di senso ha? Perché sono tutti matti
tranne me in questa scuola?
- Beh, e ora perché mi guardi così? – Chiedo
ragionevole, salvo che la mia voce per qualche bizzarro motivo esce
fuori più agitata e tendente all’isterico del previsto. - Cosa ti
aspettavi da me? Sì, certo, tizio che mi dà il
tormento da sei anni, fremo dalla voglia di aiutarti? - Quella
ridicola espressione da angioletto tradito continua a restare incollata
alla faccia di Potter e le mie labbra continuano a muoversi. -
Non sei così preso da te
stesso da non esserti davvero accorto che non ti posso vedere, no?
Dimmi che il tuo ego non è a quel punto, Potter.
Nulla cambia per qualche altro secondo ed io
inizio a pensare che d’ora in poi Potter se ne andrà semplicemente in
giro con quella faccia, paralizzato per sempre in quell’espressione
quasi più fastidiosa dei suoi sorrisetti sornioni, poi lui aggrotta la
fronte.
- Ti do il tormento, - mi fa eco accigliato,
come se fosse l’unica parte che ha sentito.
- Sì, Potter.
- Io, il tormento. A te.
È incredulità quella? È questo che sta
succedendo? James Potter non sa di
darmi il tormento? Ha battuto la testa così forte
cadendo dal suo piedistallo?
- Beh, di certo non sono io a darlo a te, -
sbuffo con tono ovvio, come se poi avessi bisogno di specificare certe
cose. In che razza di universo alternativo sono finita?
- Oh, ma davvero?
E quella era una mezza risata, una mezza
risata in cui Potter ha impresso tutto lo scetticismo di cui è capace;
sembra anzi che l’incredulità gli riempia tutta la scatola cranica,
spingendo forte contro gli occhi e filtrando da ogni centimetro della
sua pelle. Nessuno è così bravo a recitare da coinvolgere anche le
molecole della propria pelle, luidavvero crede
che sia io a dare il tormento a lui e non il contrario, non c’è altra
spiegazione: Potter, come ogni indizio mi ha sempre portata a pensare,
è davvero, indiscutibilmente e clinicamente fuori di testa. Matto come
un cavallo.
- Stai sul serio sostenendo che sia io a
tormentare te e non il contrario? Questo non sta succedendo, non è
possibile, - Naturalmente il modo migliore di trattare con persone che
arrivano a vette di follia come quelle appena raggiunte da Potter è
quello di non trattarci affatto, ma sono troppo indignata per
dimostrarmi saggia e limitarmi ad andarmene in silenzio, perché è sì
vero che certi silenzi sono più rumorosi di tante parole, ma è anche
vero che altre parole sono più rumorose di certi silenzi. O qualcosa
del genere. - Elencami una sola volta
in cui io ti sono venuta a infastidire.
Userò la razionalità per dimostrargli che è
pazzo, alla fine dovrà ammetterlo lui stesso.
Potter ha tutta l’aria di chi vuole
replicare, riesco in realtà quasi a scorgere la risposta sulla punta
della sua lingua, poi si blocca, preme infastidito le labbra l’una
contro l’altra e sposta lo sguardo alla sua sinistra con un sospiro.
Seguo automaticamente la direzione dei suoi occhi, giusto per
controllare se ci sia effettivamente qualcosa oltre al cielo scuro e
l’erba umida del parco nel punto che sta guardando con tanta intensità,
seccato, ma naturalmente lì non c’è proprio nulla, perché non c’è mai
una spiegazione a quello che Potter fa, dice o guarda.
- E comunque non è come se non mi avessi già
aiutato in passato, - se ne esce dopo pochi secondi, più pacato.
Lo fisso perplessa per diverso tempo e
proprio quando mi sono quasi convinta che ha semplicemente deciso di
dire cose a caso, capisco.
- Quello era diverso.
Dovrebbe saperlo da sé il motivo, ma le sue
sopracciglia che si inarcano mi comunicano che naturalmente non lo sa,
perché quando mai Potter sa qualcosa che non sia quante Caccabombe
servirebbero per ricoprire l’intero pavimento della Sala Grande?
- Quello che hanno scritto in camera vostra
era sbagliato, - dico. - Lo avrei fatto per
chiunque e tecnicamente stavo aiutando Lupin, non te.
Potter sostiene il mio sguardo e non sembra
avere intenzione di aggiungere nulla, così decido di provare, l’ultima
e definitiva volta, ad andarmene; gli do le spalle e mi allontano
nell’erba scura e umida del parco per nemmeno due metri prima che la
sua voce spezzi il silenzio.
- L’accademia
Auror.
- Cosa? – Mormoro mentre do di nuovo le
spalle al parco.
- L’alternativa al Quidditch, - specifica. -
Entrare nell’accademia Auror. Perché anche quello che sta succedendo là
fuori è sbagliato. E se davvero è solo all’inizio, come dicono, potrei
voler usare le mie infinite doti per aiutare a fermarlo.
Dall’interno del castello alle sue spalle
proviene un chiacchiericcio indistinto che si confonde con i colpi e le
grida che arrivano in lontananza dal campo di Quidditch, ma più forte e
chiaro di tutto risuona nelle mie orecchie il sottile rumore di
qualcosa che si incrina improvvisamente sotto i miei piedi.
Passano diversi secondi, poi la mia voce
rompe il silenzio.
- Domani pomeriggio alle sei nell’aula di
Pozioni. E sii puntuale.
Potter sorride ed io gli do le spalle,
lasciando che i miei piedi mi portino lontano da qui una volta per
tutte; non è un buon posto dove stare questo: le ombre della notte si
infrangono contro l’arancio caldo delle fiaccole oltre il portone e
creano degli strani giochi di luce, tanto che per una frazione di
secondo James Potter mi è quasi sembrato un essere umano decente.
Fenomeno bizzarro queste illusioni ottiche, non c’è che dire.
Anche questa volta tuttavia non vado lontano,
perché c’è solo un limite massimo di tempo in cui una persona può fare
finta di nulla.
- Potter.
- Sì?
- I tuoi capelli sono blu.
- Cosa?
- I tuoi capelli sono blu, - ripeto,
studiando attentamente la sua espressione perplessa. - Davvero non lo
sapevi?
Non lo sapeva, è evidente. Proprio come
dicevo: clinicamente fuori di testa.
- Ma certo che lo sapevo, Evans. Non è come
se avessi appena passato due ore ad allenarmi insieme alla mia squadra
e nessuno me l’avesse detto, - Sostiene il mio sguardo scettico per
pochi secondi, poi lascia perdere. - D’accordo, nessuno mi ha avvisato.
Osservo Potter afferrare il cappuccio rosso
scuro della sua felpa e tirarselo su con un gesto stizzito, nel
tentativo infruttuoso di coprire ogni ciuffo bluastro che si ritrova in
testa, poi riprendo per la mia strada e questa volta non mi volto più
indietro.
Completamente fuori di testa, come volevasi
dimostrare.
**********
- Io il
tormento a lei, ma ti pare? Sono io che l’ho
baciata senza in realtà essere io? Ti risulta, Sirius? Ti risulta che
mentre lei si faceva gli affari suoi, le mie labbra sono spuntate dal
nulla e l’hanno baciata? Perché a me sembrava
che fosse successo il contrario, ma forse mi sbaglio. Mi sbaglio,
Sirius?
- Tecnicamente non erano le sue labbra, James.
- Tecnicamente erano le
sue labbra, Remus. Aspetta, Remus?
- Sirius si è addormentato cinque minuti fa.
E solo perché avevano l’aspetto delle sue labbra, non vuol dire che
fossero le sue labbra. Erano, infatti, le labbra di Lizzie.
- Lo so che
erano le labbra di Lizzie, perché ne stiamo parlando? Avevamo stabilito
di non parlarne, Moony, e allora non parliamone, no? Smetti di ritirare
fuori questa storia, voglio dormire.
- Tu.
- Cosa?
- È dal primo anno che cerco di stabilire chi
sia il più idiota tra te e Sirius: tu.
- Grazie.
- Non era un complimento.
- Beh, ho vinto, lo
prendo come un complimento, Moony.
- D’accordo, ma ora dormi.
- Perché Peter non era in gara?
- James, è l’una di notte.
- Ha dato un nome ai suoi calzini, io credo
che dovrebbe essere in gara.
- Prongs.
- Ok, ora
dormo. Ma non dire Prongs con quel tono intimidatorio: non
funziona e basta, non sei una persona intimidatoria, Moony. Moony. Scusa, era solo una prova. Come lo hai
trovato? Sembrava minaccioso, sì? D’altro canto io sono una persona intimidatoria. Ma sono
l’unico a sentire odore di cioccolata? Non hai ricominciato coi bagni,
eh, Moony? Lo sai che poi ti vengono i brufoli e diventi iperattivo.
Ehy? Oh, certo, la tecnica dell’ignorarmi, davvero maturo da parte tua,
Moony, proprio maturo, sì. Prefetto, come no. Scommetto che l’hai
rubata quella spilla.