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Autore: Nana_13    01/12/2017    2 recensioni
"...È successo tutto così in fretta che non so spiegarmi come diamine abbiamo fatto a ritrovarci in questa situazione. Vorrei solo aver dato retta alle mie amiche e rinunciato a questa stupidaggine. Potevamo passare una normalissima serata in tutta tranquillità e invece mi sono dovuta impuntare. Per cosa poi? Non lo so nemmeno io.
E adesso che forse sto per morire ho un solo pensiero che mi rimbalza in testa: non saremmo mai dovuti venire qui."
Questi furono i pensieri di Juliet la sera del ballo dell'ultimo anno. Lei e le sue amiche avevano creduto di passare una serata alternativa andando a quella festa, senza avere ancora idea del guaio in cui si stavano cacciando.
Genere: Angst, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 6


Il rito

 

“Lo sapevo. Ci siamo persi.” commentò Claire, seguendo Mark e Rachel per i cunicoli di quello che aveva tutto l'aspetto di un sotterraneo freddo e umido.

Dopo aver lasciato Juliet e Cedric di sopra, erano scesi di nuovo in salone, nella speranza di trovare qualcuno che li aiutasse con Dean. Sembrava però che durante la loro assenza il castello fosse stato evacuato, perché non c'era anima viva in giro. Alla fine, senza sapere come, si erano ritrovati lì sotto a girovagare a vuoto e Claire aveva sempre più l'impressione di essere finita in un labirinto.

“Sempre ottimista, eh?” ironizzò Rachel. “Non ci siamo persi. Dobbiamo solo capire da che parte andare...”

Claire sbuffò alle sue spalle. “Secondo me stiamo scendendo troppo. Ve l'ho fatto notare già tre corridoi fa.”

“Non potevi sapere quale fosse la strada giusta.”

“E tu non potevi sapere che questa lo fosse. E infatti non lo è.”

“Potreste smetterla?” le rimbeccò Mark infastidito. “C'è qualcuno laggiù.” Indicò un tizio che camminava da solo in fondo al corridoio, vestito elegante e con il volto coperto per metà da una maschera. Sembrava avere molta fretta.

“Era ora.” disse Claire sollevata. 

Aumentarono il passo per raggiungerlo e soprattutto per non lasciarselo scappare. 

“Ehi!” lo chiamò Mark, sicuro che si sarebbe voltato. Invece, il tizio continuò per la sua strada, senza degnarli di attenzione.

Più loro guadagnavano terreno più lui si allontanava, così dovettero mettersi a correre, continuando a scendere e passando per corridoi angusti che puzzavano di muffa.

Rachel sollevò l'orlo del vestito per non inciampare. “Perché non si ferma?” ansimò allarmata, i capelli ormai completamente sciolti.

Erano a pochi metri da lui e proprio quando pensavano di aver a che fare con un sordo o con un matto, il tizio si bloccò di colpo e per poco non gli finirono addosso. Lui comunque non fece una piega, né si voltò per capire chi avesse dietro, continuando a guardare fisso davanti a sé. Ben presto si accorsero che non era l’unico ad avere quell’espressione vuota, ma anche tutta la folla degli invitati che si ritrovarono davanti. Gran parte non portava la maschera, quindi fu facile incrociare qualche volto familiare. Nessuno di loro, però, diede segno di riconoscerli. Sembravano tutti immersi in una sorta di trance.

Mark picchiettò sulla spalla dell’uomo, provando nuovamente a richiamarne l'attenzione. Non ricevendo risposta, si voltò verso le ragazze, che ricambiarono l’occhiata perplesse.

In testa alla processione c'erano alcuni addetti alla sicurezza vestiti di nero, così Claire fece per chiamarli, ma Rachel glielo impedì, tappandole la bocca con una mano. Lei mugugnò qualcosa in segno di protesta, ma poi si lasciò convincere a rimanere in silenzio. In effetti, la situazione era a dir poco strana e forse non era il caso di attirare l’attenzione.

Di lì a poco, un ragazzo della sicurezza richiamò la folla che iniziò a muoversi, seguendo gli uomini in nero lungo il corridoio e senza pensarci due volte Claire si mosse per andargli dietro. 

 “Che stai facendo?” le chiese Mark, per niente convinto che fosse una buona idea.

“Mi pare ovvio. Voglio vedere dove vanno.”

Rachel sgranò gli occhi. “Sei matta? Sembrano drogati, anzi probabilmente lo sono.” Scosse la testa decisa. “No, io dico di tornare da Juliet.” 

“A cosa sarebbe servito venire fin qui, allora?” ribatté lei. “Dai, che vuoi che succeda?” la spronò, per poi riprendere a seguire la processione e costringendoli così ad andarle dietro. 

Si accodarono a tre tipi dall'aria tutt'altro che sveglia, imitando il loro modo di fare per non destare sospetti. Man mano che procedevano, il percorso diventava sempre più buio e stretto, tanto da costringerli a camminare in fila indiana per passarci tutti. Alla fine, in lontananza comparve un arco a sesto acuto, che tutti attraversarono per poi ritrovarsi in una sala circolare molto ampia. Il soffitto, insolitamente alto per un sotterraneo, era sostenuto da una serie di imponenti colonne che seguivano la forma della pianta.

Dentro c’erano già delle persone, anch'esse vestite di nero, che però non li degnarono di uno sguardo. La loro attenzione era rivolta verso il centro della sala, dove si elevava un altare di marmo posto su un rialzo, illuminato ai lati da quattro fiaccole. 

Mentre gli invitati venivano spinti tutti intorno all’altare, Mark sgattaiolò dietro una colonna, trascinando le ragazze con sé. “Meglio rimanere vicino all’uscita.” sussurrò, acquattandosi nel buio.

Claire si guardò attorno. La visibilità era scarsa, ma riuscì lo stesso a intravedere la schiera di figure animalesche che popolava l'ambiente circostante. Dalle colonne e dai muri spuntavano teste con sembianze di mostri e gargoyle, che nelle fauci stringevano lampade di ferro. Nel complesso, c’erano tutti gli elementi per supporre che si trattasse della riunione di una qualche setta satanica. Allarmata dall’idea, fece per suggerirla a Rachel, che però era già troppo presa da quello che stava succedendo e non le prestò attenzione.

Una volta radunatisi intorno all’altare, tra i presenti calò un silenzio carico di agitazione, come se fossero in trepidante attesa, finché una figura incappucciata non uscì dalla penombra e salì i gradini per avere la visuale completa della sala. 

Non appena lo videro arrivare, gli uomini in nero si prostrarono davanti a lui.

Mark e le ragazze erano troppo lontani per distinguerne il volto, celato dal cappuccio e dalla semi oscurità, ma lo sentirono bene quando la sua voce risuonò forte e chiara, rimbalzando sulle pareti. 

“Fratelli!” esordì tonante. “Il momento tanto atteso è giunto. Anche stanotte rinnoviamo il giuramento che i nostri avi fecero alla luna.” Detto questo, fece una pausa a effetto in cui nessuno fiatò, seguita subito dopo da un lieve cenno della mano.

Prontamente, due dei suoi uomini arrivarono da un lato della sala, portando con loro una ragazza. Lei non oppose resistenza mentre la trascinavano su per i gradini e, quando al cospetto dell'uomo incappucciato le tolsero la maschera, Rachel sgranò gli occhi per la sorpresa. 

“Jasmine...” 

Con un altro cenno della mano, l'uomo invitò ad avvicinarsi una figura col cappuccio che, a giudicare dalla corporatura minuta, doveva essere una donna. Avanzando solennemente, gli consegnò un pugnale e una coppa, che lui depose sull’altare. Dopodiché afferrò Jasmine per un braccio, costringendola a porgergli la mano, su cui subito dopo praticò un’incisione netta con il coltello e, mentre il sangue colava all’interno della coppa, il volto della ragazza rimase inespressivo. Non sembrava minimamente consapevole di quello che stava succedendo.

“Ma che...” Mark fissava la scena allibito. “Okay, penso che sia meglio andare.” 

“Sono d'accordo.” approvò Rachel, facendo per tornare verso l’uscita.

Claire, però, insistette per restare. “Aspettate, voglio vedere che succede.” 

L'uomo stava sollevando la coppa in alto, in quello che somigliava a un macabro rito eucaristico, e la mostrò a tutti. “Un modesto sacrificio per un grande obiettivo.” disse, prima di portarsela alle labbra per bere un sorso del sangue di Jasmine. Quando abbassò di nuovo le braccia per posare la coppa sul marmo bianco dell'altare, restò immobile un istante, prima di gridare a gran voce una frase in una lingua sconosciuta, che gli altri ripeterono subito dopo con lo stesso entusiasmo.

“Andiamocene subito!” si impose Mark e stavolta Claire non si sognò di contraddirlo.

Uscirono di soppiatto dalla sala, stando attenti a non dare nell'occhio e, mentre percorrevano di corsa la strada all'inverso, l'urlo agghiacciante di Jasmine li seguì lungo il corridoio, gelandogli il sangue nelle vene.

 

-o-

 

Juliet aveva chiesto a Cedric di andare a prendere dell’acqua in bagno, così avrebbe potuto pulire per bene la ferita da polvere e terra, prima che iniziasse a infettarsi. Oltretutto, non era neanche sicura che gli altri avrebbero trovato un medico, perciò conveniva fare qualcosa già da subito. 

Dean era ancora privo di sensi, ma almeno il respiro era tornato regolare e questo la tranquillizzò. Quando si sporse verso di lui e gli toccò la fronte per sentire se scottava ancora, scoprì con sollievo che era fresco, cosa alquanto insolita visto che fino a poco prima aveva la febbre alta. Forse si era agitata troppo e la situazione era meno grave di quanto aveva pensato.

Tirato un sospiro di sollievo, si prese un momento per guardarlo più da vicino, rendendosi conto per la prima volta di quanto fosse bello. Aveva dei lineamenti molto marcati, ma fra i più regolari che avesse mai visto, e i capelli erano di un nero corvino, che risaltava rispetto alla pelle chiara. Con gli occhi chiusi, non c’era niente che lo legasse al ragazzo del suo incubo. Se poi ripensava a come aveva rischiato la vita per salvarla, invece di abbandonarla al suo destino, le probabilità che si trattasse della stessa persona erano ancora più scarse. In ogni caso, non riusciva a togliersi dalla testa che esistesse un legame tra quanto accaduto nel bosco e il suo incubo. Magari si trattava di una sorta di messaggio subliminale che alludeva a qualcos’altro… O forse stava solo fantasticando.

“Ecco qua.” 

Il ritorno di Cedric con una bacinella piena d’acqua la distolse da quei pensieri. “Questa l'ho trovata in un armadietto.” spiegò, appoggiandola sul comodino accanto a lei, che lo ringraziò. 

“Come va il bello addormentato?” Sbuffando, Cedric si tolse la giacca e la appese con malagrazia sulla spalliera della sedia della scrivania, su cui si sedette cavalcioni, mentre con aria stanca si allentava il nodo della cravatta fin quasi a slacciarla del tutto. 

Juliet immerse l'asciugamano nell'acqua e poi lo passò sulla ferita, tamponandola piano. “Sembra che si stia riprendendo.” rispose, senza distrarsi. “Alla fine ti sei convinto ad aiutarlo. Cosa ti ha fatto cambiare idea?”

La bocca di Cedric si piegò in un sorriso. “Che vuoi che ti dica? Non so resistere agli occhi dolci di una bella ragazza.” 

Se c’era una cosa che apprezzava di lui era la capacità di stemperare la tensione e anche in quel caso riuscì a farla ridere, prima che la loro attenzione venisse attirata dai movimenti di Dean. 

Entrambi si ammutolirono, mentre lo guardavano aprire gli occhi e realizzare dove si trovasse. Aiutandosi con il braccio sano, cercò a fatica di mettersi a sedere e, quando finalmente si accorse di loro, assunse un’aria spaesata. Sembrava non aspettarsi affatto di trovarli ancora lì.

Juliet si sforzò di apparire padrona di sé, ma non riuscì comunque a evitare che la voce le tremasse. “Come ti senti?”

Prima di rispondere, Dean li guardò e parve riflettere un istante. “Meglio.” disse infine in tono asciutto. 

“Eri davvero messo male.” Cedric incrociò le braccia e allungò le gambe, osservandolo dalla sedia. “Ringrazia Juliet se sei ancora tra noi.” 

“Di certo non devo ringraziare te.” ribatté lui, senza battere ciglio. “Ero ancora lucido quando ti ho sentito proporre di lasciarmi nella foresta.” 

Cedric fece per rispondere a tono, ma lui non gliene diede il tempo. “C'erano altri con voi. Che fine hanno fatto?”

“Sono scesi di sotto a cercare un medico. Il tuo braccio va curato come si deve.” Anche a Juliet quel tono iniziava a dare sui nervi. Dopo tutto quello che avevano passato per aiutarlo, sembrava quasi che la loro presenza non fosse gradita.

“Il mio braccio sta benissimo.” 

“Il re della gratitudine...” commentò Cedric infastidito.

“Come fa a stare benissimo? Fino a poco fa eri agonizzante per il dolore!” protestò Juliet in un impeto improvviso; poi si calmò. “È evidente che qualcosa non va. Se mi lasciassi finire di pulirla…” 

Da come la guardò, l’idea non sembrava entusiasmarlo, ma alla fine accettò le sue condizioni e rimase a osservarla lavorare. 

Juliet avvertiva il suo sguardo su di sé, ma finse di non accorgersene nonostante la cosa la mettesse a disagio. La timidezza non rientrava certo nel suo carattere, eppure in quel momento era l’unica cosa che provava.

 “Perché lo stai facendo?” le chiese dopo un po’. 

“Il taglio va pulito, altrimenti si infetterà.” spiegò concentrata. 

Lui allora si affrettò a chiarire. “Intendevo perché ci tieni tanto ad aiutarmi. Anche nella foresta...” 

“Cosa avrei dovuto fare? Lasciarti lì a morire?”

Dean girò lo sguardo da un’altra parte. “Beh, non era un tuo problema...” 

“Ehi!” si intromise Cedric, guardandolo in cagnesco. “Si è preoccupata per te senza neanche conoscerti ed è così che la ringrazi?” Scosse la testa incredulo. “Roba da matti…”

Juliet gli era grata per averla difesa, ma non poté negare di esserci rimasta male. Comunque, continuò a pulire la ferita in silenzio, prima di chiedere a Dean se in camera ci fossero delle bende. 

“Per fare cosa?” chiese lui, lasciandola interdetta.

“Per fasciarti il braccio, mi pare ovvio.” Cominciava a pensare che si divertisse a prenderla in giro. 

“Ah. No, non ho bende. Ma in quel cassetto ci sono delle lenzuola.” disse, indicando l’armadio dietro di lei. “Se per te è lo stesso…”

Juliet ignorò quel commento e si diresse al cassetto, ma non fece in tempo a chinarsi per aprirlo che sentirono un bussare insistente alla porta. Cedric le fece cenno di restare dov’era e uscì dalla stanza. Sentì qualcuno esortarlo ad aprire e subito dopo Mark entrò in camera come un fulmine, fiondandosi su Dean. 

Senza neanche spiegarsi, lo afferrò per la camicia e lo scosse con forza. “Che cosa fanno i tuoi amichetti nei sotterranei? Cosa siete, una specie di setta satanica? PARLA!” 

“Lascialo!” gli intimò Juliet allarmata, proprio mentre comparivano anche Rachel e Claire.

Dean, però, dimostrò di sapersela cavare anche da solo e, dopo aver  spinto via Mark senza troppa fatica, gli lanciò uno sguardo sprezzante, mentre Cedric tratteneva l’amico. 

“Calmati!” esclamò, allontanandolo dal letto. “Si può sapere che è successo?”

“Questi stronzi ammazzano le persone!” gli urlò lui per tutta risposta.

Cedric e Juliet lo fissarono, per niente sicuri di aver sentito bene. Un istante dopo, tutti gli occhi erano puntati su Dean, in attesa di una spiegazione esauriente.

“Noi non ammazziamo nessuno.” chiarì infine in tutta calma.

A fatica, Mark si trattenne dal saltargli di nuovo addosso. “Ah sì? Allora quello che abbiamo visto là sotto è stato frutto di un'allucinazione collettiva, altrimenti non riesco a spiegarmelo.”

“Potresti essere un po’ più chiaro, per favore? Non ci sto capendo niente.” sbuffò Cedric impaziente.

A quel punto Rachel parve riaversi dallo stato di shock in cui versava fino a pochi minuti prima e provvide a spiegare la situazione. “Non l’abbiamo proprio visto ma… So solo che hanno fatto qualcosa a Jasmine.”

“L'abbiamo sentita urlare dal corridoio.” mormorò Claire, ancora tremante. 

Rachel annuì. “Prima abbiamo assistito a una sorta di rito. Non so che senso avesse...” Un brivido le percorse la schiena al solo pensiero. “È stato terribile.”

Cedric rimase in silenzio a fissarle, meditando su quanto aveva sentito, poi si rivolse a Dean. “Ti conviene darci una spiegazione.” Il suo tono minaccioso, però, non sortì alcun effetto e la cosa lo indispose ancora di più. “Allora?” insistette, vedendolo esitare.

“Sì, è vero. Quello che avete visto era un rituale, ma posso assicurarvi che nessuno ha perso la vita.” confermò lui calmo.

“E che mi dici degli invitati?” lo incalzò Mark, tutt'altro che sollevato. “Perché sembravano una massa di zombie?”

Dean sospirò. “Erano consenzienti.”

“Sì, come no...”

“Pensa quello che vuoi. Ne avrai la conferma quando li vedrai vivi.”

Gli occhi di Claire saettarono su di lui. “È comunque disgustoso! Quel tizio ha bevuto il sangue di Jasmine!” esclamò scioccata. “Come riuscite a convivere con una cosa simile senza farvi schifo?”

Per tutta risposta ottenne solo un rapido sguardo di sufficienza.

“Va bene, adesso basta.” intervenne Rachel. “Voglio andarmene. Ne ho abbastanza di questo posto.” Guardò prima Mark e poi Claire, che annuirono con convinzione. Dopo aver assistito a una scena simile, ora più che mai volevano tornarsene a casa e mettere una pietra sopra a tutta quella storia.

Non fecero in tempo a dire altro, però, che qualcuno bussò di nuovo alla porta. Tutti trasalirono, rivolgendo contemporaneamente lo sguardo in quella direzione. Il pensiero che qualcuno di sotto li avesse visti si palesò subito nella mente di Rachel.

A quel punto, Dean scostò il lenzuolo e a fatica scese dal letto. “Rimanete qui.” mormorò perentorio, facendo per uscire dalla stanza. “E non fiatate.” 

Appena si richiuse la porta alle spalle, a stento riconobbe la sua immagine quando la vide riflessa nello specchio sopra alla scrivania. I capelli erano arruffati e sporchi di terra, così come i suoi pantaloni. Per non parlare della camicia imbrattata di sangue. Lo disturbava l’idea che qualcuno lo vedesse in quello stato, ma non c’era tempo di ripulirsi e pensò che l’unica cosa da fare era togliersi al volo la camicia, che lanciò in un angolo prima di aprire la porta. 

Dall’altra parte un ragazzo dalla pelle scura e una ragazza lo studiarono per un istante, non aspettandosi di trovarlo mezzo nudo.

“Abbiamo interrotto qualcosa?” chiese la ragazza in tono allusivo, squadrandolo dall’alto in basso con evidente interesse.

Dean la ignorò, passando subito al sodo. “Che cosa volete?” Diventava ogni minuto più nervoso. Poco prima era riuscito a fatica a mantenere il controllo con quel ragazzo.

“Non volevamo disturbarti, ma Milady ha chiesto di te. La cerimonia è quasi finita e non vedendoti…”

-Fosse la prima volta- pensò infastidito. “Dite a Milady che sto bene. Ho solo avuto un imprevisto, sarò da lei più tardi.” li rassicurò in tono più calmo. 

Fece per chiudere, ma Blaze lo bloccò. “Ci ha chiesto espressamente di accompagnarti di sotto.” 

La pazienza di Dean, però, era agli sgoccioli. “Non ho bisogno della scorta. E adesso andatevene.” li liquidò secca; poi, senza dar loro il tempo di aggiungere altro, rientrò sbattendogli la porta in faccia.

Una volta solo, chiuse gli occhi e si impose di darsi una calmata. Non poteva tornare nell’altra stanza in quelle condizioni. Aveva perso troppo sangue ed era consapevole che non sarebbe riuscito a resistere a lungo, perciò prima si sarebbe liberato dei suoi ospiti e meglio era. Li avrebbe fatti uscire dal portone principale, approfittando del fatto che tutti erano ancora alla cerimonia. In realtà, per lui sarebbe stato molto più conveniente portarli nei sotterranei e lasciare che gli altri facessero il resto, ma stranamente non se la sentiva. Dopotutto, se non fosse stato per loro non sarebbe mai riuscito a tornare al castello e bere la pozione che gli aveva permesso di ristabilirsi. Sarebbe morto di sicuro e molto lentamente. La sola idea gli provocò un crampo allo stomaco. O forse era la fame...

Senza farsi troppi problemi, tornò in camera da letto così come si trovava e rapido tirò fuori dall’armadio una camicia pulita. “Svelti, non perdiamo tempo.” li esortò sbrigativo mentre se la infilava, senza far caso ai loro sguardi confusi puntati addosso. Non c'era tempo per le spiegazioni, doveva portarli subito all'uscita fin tanto che la via era libera. “Andiamo.” insistette, vedendoli titubanti.

“Andare dove?” chiese Mark.

“Non volevate tornarvene a casa?”

Troppo contenti che quella serata da incubo stesse per finire, non fecero altre domande e lo seguirono lungo il corridoio del piano, e poi giù per le scale, finché non si ritrovarono in salone. Il portone principale era chiuso, ma Dean lo aprì con poco sforzo, nonostante il braccio ferito, e subito l’aria fresca della notte li investì. 

Una volta messo piede fuori, Mark e Cedric si allontanarono subito verso la macchina, seguiti a ruota da Rachel e Claire. 

Juliet invece esitò, incerta sul da farsi. Da un lato non vedeva l’ora di fuggire da quel posto, dall’altro le sembrava scortese andarsene così, senza neanche salutare. Quasi d’istinto si voltò indietro, convinta che lui non ci fosse già più, scoprendo invece che era ancora là che la guardava incuriosito. 

“Attento a non fare gesti bruschi. La ferita potrebbe riaprirsi.” si raccomandò timidamente. Lui la metteva a disagio e non era abituata a sentirsi così con qualcuno.

Dean sollevò un sopracciglio, perplesso. “D’accordo.”  

Si scrutarono per qualche istante, mentre lei sceglieva il modo migliore per dimostrargli la sua gratitudine senza sembrare un’imbranata totale. “Comunque, grazie… Per tutto.” mormorò infine, abbassando lo sguardo e mordendosi il labbro per l'imbarazzo. In realtà, si riferiva soprattutto al fatto che l'aveva salvata nella foresta. Non la conosceva, eppure non aveva esitato a frapporsi tra lei e quel lupo. Gli doveva molto più di un semplice grazie.

“L'ho fatto solo per saldare il mio debito. Ora siamo pari.” ribatté pacato.

Juliet annuì in silenzio, un po’ delusa che non avesse capito a cosa si stesse riferendo. 

“Juls, vieni!” le gridò Cedric da lontano.

Il tempo di rispondergli con un cenno e poi guardare di nuovo la porta che Dean era già sparito. Mentre raggiungeva gli amici, si voltò indietro e lanciò un'ultima occhiata al castello, avvilita dalla piega che aveva preso la serata. 

-o-

Un fumo denso pervadeva il laboratorio e dal caminetto nell'angolo proveniva il lento ribollio di un calderone.

Sul tavolo al centro alcuni libri impilati in disordine, insieme ad alambicchi e provette, occupavano gran parte dello spazio e l’arredamento della stanza era tutto lì. Non avrebbe certo potuto trasferire il suo intero laboratorio per quelle poche settimane, ma l’unico oggetto che non avrebbe mai rinunciato a portare con sé era il quadro appeso accanto alla porta. Raffigurava un uomo alto dall’aria distinta, in piedi dietro una grande poltrona di vimini occupata da una donna bionda molto attraente. Accanto a lei due bambini, un maschio e una femmina. La bambina, la più piccola dei due, poggiava una mano sul braccio della madre, alla quale somigliava moltissimo.

Dai vetri della grande finestra stavano filtrando le prime luci dell'alba, che rischiararono l'ambiente offuscato dal fumo, quando il borbottio agitato del calderone attirò l’attenzione di Rosemary, distraendola dal libro che stava consultando. Si avvicinò al camino per controllare l'andamento dell'infuso e dargli un'ultima girata, prima di spegnere il fuoco e tornare ai suoi studi. Per niente convinta di come stava procedendo, scelse un altro libro dal mucchio e lo aprì davanti a sé. I suoi occhi scorrettero veloci sulla pagina, bloccandosi poi di colpo su una riga in particolare. La sua intuizione era giusta. Aveva dimenticato di aggiungere un ingrediente e adesso avrebbe dovuto ricominciare da capo. Imprecò e, afferrato un coltello lì accanto, lo scagliò con rabbia contro il dipinto. La punta andò a conficcarsi proprio al centro della fronte della donna bionda, che continuò a fissarla con quel suo sorrisetto ipocrita.

“Che hai da ridere?” le chiese scocciata, riprendendo poi a lavorare. 

Sembrava che deriderla fosse il passatempo preferito di sua madre anche dall'aldilà. In vita lo era stato senz'altro, visto come le piacesse screditarla e ripeterle che non valeva niente. Più avanti, Rosemary aveva avuto modo di dimostrare il contrario, ma naturalmente lei non c'era più per constatarlo. Da anni pensava di bruciare quel dipinto, eppure le era sempre mancato il coraggio. Sentiva che se lo avesse fatto prima o poi se ne sarebbe pentita. Senza contare che lanciargli coltelli contro era una valvola di sfogo piuttosto efficace.

Dopo aver preparato l’occorrente per un nuovo infuso e svuotato il calderone, spalancò le finestre per far uscire il fumo. Poi tornò ai suoi volumi, ma non passò molto tempo prima che qualcuno bussasse alla porta, facendole perdere di nuovo la concentrazione. “Avanti.” disse spazientita.

Quando Dean entrò il coltello era conficcato esattamente all’altezza del suo naso, ma non diede segno di esserne sorpreso. “Questo giochetto ti diverte ancora, vedo.” commentò con un ghigno. 

Lei lo ignorò, continuando a leggere. “Perché ci hai messo tanto?” 

“Ho avuto qualche problema nel bosco e dovevo rendermi presentabile.”

Stavolta Rosemary alzò gli occhi e si accorse che in effetti era vestito diversamente rispetto al ballo, ma questo non le impedì di provare il solito piacere nel guardarlo. Non se ne sarebbe mai stancata. “Sei stato fortunato, sai. Hanno impiegato ore per ritrovare i resti di Luke.” Cercando di tenere a bada i propri ormoni in subbuglio, assunse un'aria di finto rammarico. “Sbranato dai lupi… Che peccato.”

Per un attimo Dean rimase interdetto. Non aveva più pensato a Luke da quando si erano separati e con tutto quello che era successo se n’era dimenticato. Comunque gli era sempre stato indifferente, così non si sforzò più di tanto di mostrarsi dispiaciuto per la sua morte. Incrociò le braccia e si appoggiò contro il muro, osservandola lavorare. 

“Questa storia dei lupi preoccupa perfino Nickolaij. Credo che presto ce ne andremo.” disse lei. “A proposito, ho saputo che sei stato ferito. Come ti senti adesso?” si informò, assumendo un’aria apprensiva.

-Figurati se non veniva a saperlo- pensò dentro di sé, seccato. Avrebbe preferito tenerlo nascosto, ma era alquanto difficile mantenere un segreto nella Congrega. Meno che mai con lei. “Sto bene, è tutto apposto.” tagliò corto.

Lei lo squadrò per un istante dall’alto in basso e, constatando che fosse la verità, non insistette oltre. “E che ci facevate tu e Luke nella foresta?” 

“Stavamo inseguendo dei ragazzi che Nickolaij aveva chiesto di tenere d’occhio.” spiegò, mentre gironzolava per la stanza. Presa un’ampolla, iniziò a giocherellarci. “Li avevo quasi presi, ma poi un lupo è spuntato fuori dal nulla e ho dovuto lasciar perdere.” 

Rosemary mise da parte ciò che stava facendo e rivolse la sua attenzione su di lui. Avvicinatasi lentamente, gli sorrise, togliendogli l’ampolla dalle mani per rimetterla al suo posto. “Meno male. Mi sono così preoccupata nel saperti lì fuori con quelle bestiacce in giro.” mormorò in tono stucchevole, mentre gli sistemava premurosa il colletto della giacca.

Dean non si mostrò infastidito dal suo tocco, ma lo sguardo raggelante che le rivolse bastò a farle capire che quel fare da civetta non aveva più alcuna presa su di lui. Una volta quegli occhioni e quelle lunghe ciglia avrebbero ottenuto qualsiasi cosa, ma quelli erano altri tempi. 

Piacevolmente infastidita dalla sua riluttanza, Rosemary si voltò di scatto, facendo svolazzare di proposito i fluenti capelli biondi sulla sua faccia, per poi porgergli con gesto sicuro una boccetta chiusa da un tappo di sughero presa dal tavolo. “Te ne ho conservato un po'. Ho pensato che ne avresti avuto bisogno.”

Le labbra di Dean si piegarono leggermente. “Sono cresciuto Mary, non mi serve la balia.” Puntualizzò, mentre apriva la boccetta.

Sentirlo pronunciare il suo diminutivo la fece sorridere di piacere. Lui era l'unico a cui consentisse di chiamarla così, poiché soltanto Nickolaij usava il suo nome completo, mentre per tutti gli altri era Milady. Doveva ammettere poi che il soprannome che da tempo le avevano attribuito non le dispiaceva affatto. Bloodymary le dava un senso di potere ed era indice del rispetto e della paura che incuteva. “Certo, sarebbe stato meglio più fresco, ma in un modo o nell’altro trovi sempre una scusa per svignartela…”

Dean ignorò l’allusione. Non aveva voglia di spiegare ancora i motivi che lo spingevano a evitare la cerimonia, così sviò la conversazione concentrandosi sul contenuto della boccetta. Mandò giù il liquido caldo e denso e finalmente sentì lo stomaco riempirsi. Al solito fu come bere acqua fresca dopo giorni di deserto. 

Dopo averla svuotata in pochi sorsi, la poggiò sul tavolo senza far caso a lei, che lo osservava compiaciuta. 

“Ah, quasi dimenticavo. Nickolaij ti vuole parlare.” esordì, mentre il viso le si illuminava.

“Un particolare da nulla.” commentò sarcastico. “C'è altro?”

“Beh, veramente...” Mary esitò, facendosi più vicina. “È da tanto che non stiamo un po' da soli io e te...” 

Lui sospirò, alzando gli occhi al cielo. Poi fece per andarsene, ma Mary lo tirò per un braccio e tentò di baciarlo, credendo di prenderlo alla sprovvista. 

Dean, però, aveva i riflessi pronti e riuscì a scansarsi in tempo. “Smettila.” le intimò.

Il suo tono minaccioso non ottenne altro effetto se non quello di farla divertire e a quel punto, stanco dei suoi giochetti, uscì dal laboratorio, sbattendosi la porta alle spalle. 

Rimasta sola, Mary se lo immaginò mentre percorreva il corridoio con aria scocciata e un sorrisetto sornione le si dipinse sul viso.

 
   
 
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