Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: Signorina Granger    07/12/2017    3 recensioni
Jude Verrater e Isabelle Van Acker, entrambi testardi, orgogliosi, riluttanti ad esprimere quello che provano.
Insieme ne hanno passate tante e si sono sostenuti a vicenda in modi diversi... alla fine, finalmente, hanno trovato la propria serenità.
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Maghi fanfiction interattive
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Night School '
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Avevo detto che c’era un conto lasciato in sospeso… quindi, eccomi qui. 
Buona lettura





Un Verräter non perdona 


“Isabelle?” 

Quando si chiuse la porta alle spalle Jude si guardò intorno per cercare tracce della moglie, ma venne accolto soltanto da un scodinzolante Border Collie bianco e nero, che gli si fermò accanto per ricevere la sua solita razione di coccole. 

Jude allungò istintivamente una mano per accarezzargli il muso, ma continuò a chiedersi perché Isabelle non gli fosse andata incontro come al solito, anche solo per rimproverarlo per l’ora tarda in cui era tornato. 

“Ragazze?” 
Che fossero uscite? Non ricordava di aver sentito niente a riguardo, ma forse Isabelle aveva deciso all’ultimo minuto o glie l’aveva detto e lui, semplicemente, l’aveva rimosso. 

“Papà, ciao!”

Quando vide Beatrix corrergli incontro con un sorriso stampato sul volto sorrise, rilassandosi leggermente mentre la bambina gli si fermava davanti per abbracciarlo e Jolly trotterellava via, probabilmente per tornare in salotto. 

“Ciao Trixie… sei ancora in piedi? Dove sono Audrey e la mamma?” 
“Audrey è di lá, ma la mamma non c’è...” 

“Dov’è andata?” 




“Trixie?”

Sentendosi chiamare dalla madre, la bambina di sei anni si alzò in piedi, lasciando colori e fogli sul tavolino per avvicinarsi ad Isabelle, che le sorrise dolcemente mentre si inginocchiava davanti a lei: 

“Ti va di fare un gioco?”
“Certo! A cosa vuoi giocare?”
“Perché non giochiamo a nascondino? Voi vi nascondete e io vi cerco.”

Isabelle allungò una mano, sistemando una ciocca di capelli castani dietro l’orecchio della bambina, che sfoggiò un sorriso allegro e annuì: 

“Ok… conta fino a cento, poi ci vieni a cercare.”
“D’accordo. Mi raccomando… rendimi la ricerca difficile.”

Beatrix annuì alle parole della madre prima di girare sui tacchi e tornare verso il salotto per dire alla sorella minore di nascondersi, ripromettendosi di scegliere con cura il suo nascondiglio mentre anche la madre si allontanava, tornando verso l’ingresso. 


   

Jude guardò la figlia stringersi nelle spalle e sostenere di non saperlo con un’espressione confusa dipinta sul volto, quasi incredulo di sapere che la moglie era uscita di casa lasciando le figlie da sole. E poi non gli aveva detto niente a riguardo. 

“È andata via da molto?” 
“Un pochino… Ha detto di voler giocare a nascondino, così siamo andate a nasconderci, ma non ci trovava, così siamo uscite.”
“E non hai più visto la mamma?”
“No.”

“Ciao papà!”

Anche Audrey fece capolino nell’ingresso, sorridendo prima di raggiungere il padre e cingergli le gambe con le braccia, guadagnandosi così un sorriso da parte di Jude, che si chinò per prenderla in braccio mente la bambina gli chiedeva quando sarebbe tornata a casa la madre. 

 “Presto, tesoro.” 

O almeno, così sperava mentre rivolgeva alle figlie un sorriso tirato… e ringraziando che fossero troppo piccole per riconoscere quando mentiva.


*


Probabilmente quando venne svegliato da un elfo domestico in piena notte e seppe di avere una visita Morgan Shafiq ebbe la tentazione di infilarsi la vestaglia e uccidere con le sue mani il suo ospite. 

In effetti l’uomo si mise la vestaglia e prese anche la bacchetta, scendendo le scale di corsa e consigliando vivamente alla sua visita che ci fosse un motivo davvero urgente per averlo svegliato, ma quando vide di chi si trattava quei pensieri svanirono, cedendo solo il posto ad una sottile preoccupazione:

“Jude… è successo qualcosa?”
“Ciao nonno…”

Beatrix, che teneva il padre per mano e aveva solo la giacca sopra al pigiama con il suo peluche preferito sottobraccio, rivolse un saluto cupo al “nonno” mentre Audrey era stretta in braccio a Jude, addormentata. 

“Scusa per l’ora Morgan, ma ho bisogno che tu tenga le bambine per un po’.”
“Certo… ma dov’è Isabelle?”

“La mamma è andata via.”
“Ma adesso papà va a prenderla, ok? Voi dovete solo aspettare qui con il nonno.”

Jude sorrise alla figlia maggiore e la bambina annuì con aria cupa mentre il padre, dopo aver dato un bacio sulla fronte di Audrey, la lasciava tra le braccia di Morgan, che venne raggiunto anche da Beatrix. 

“A loro penso io, non preoccuparti. Di qualunque cosa si tratti, vuoi che ti affidi qualcuno dei miei uomini?”
“No, grazie. So esattamente dove andare e cosa fare. Tu pensa solo a loro.”


*


Erano anni che non metteva piede in quella casa, anni da quando aveva finalmente abbandonato quell’inferno in cui era cresciuto. 
Quando se n’era andato si era ripromesso di non metterci più piede, si era detto che mai sarebbe tornato in quella casa. 

Eppure ora era lì, salendo quelle scale familiari di corsa e ignorando i richiami disperati degli elfi, che di certo sarebbero stati severamente puniti dalla “signora” per non averlo fermato.
Ebbe quasi pietà per quelle povere creature, in effetti, sapendo che cosa li aspettasse. Ma non aveva nessuna voglia di aspettare neanche per un attimo.

Ricordava perfettamente ogni stanza e ogni corridoio, la piantina di quella grande dimora era ancora perfettamente fissata nella sua mente… forse perché aveva desiderato di trovare una via di fuga così tante volte?

Raggiunse la sua destinazione in pochi minuti, fermandosi davanti alla porta e aprendola senza neanche bussare, trattenendosi dall’impugnare la bacchetta e porre finalmente fine ai suoi problemi con una semplicissima formula. 
Ma prima doveva trovare Isabelle.


“Dov’è?”
“Ciao Jude… ne è passato di tempo.”

“Già, speravo morissi di vecchiaia nel frattempo, ma pare che l’erba velenosa non muoia mai… ti ho chiesto, dov’è?”

Jude lasciò che la pesante porta si chiudesse alle sue spalle mentre si avvicinava alla scrivania quasi a passo di marcia, fermandosi davanti al mobile per poi metterci sopra entrambi i palmi, gli occhi carichi di un odio che aveva sempre riservato solo a sua nonna.
Magda, che fino a quel momento aveva continuato a scrivere senza scomporsi, alzò finalmente lo sguardo sul nipote, sollevando un sopracciglio:

“Ti riferisci a tua moglie? Ragazza deliziosa, Jude, mi chiedo perché tu non me l’abbia mai fatta conoscere…”
“Lascia Isabelle fuori da questa storia, riguarda noi, la nostra famiglia… lei non c’entra.”

“Tecnicamente è una Verrater anche lei adesso, no? E le tue bambine, Jude… davvero adorabili. Le hai fatte portare da Shafiq? Ho sentito che tua moglie ha un legame molto stretto con quella famiglia… Non sei mai stato stupido, purtroppo. Sai che non mi posso avvicinare a quella casa.”

“Non solo non sono stupido, ma ho anche scarsa pazienza. Ti ho chiesto, Magda, di dirmi dov’è.”

“Volevo fare la sua conoscenza da parecchio, sai? E poi mi è giunta voce che è in dolce attesa e mi sono detta “Perché non ora?”… Congratulazioni.”

Magda sorrise e Jude sollevò istintivamente una mano, stringendola sul volto segnato dall’età della donna e serrando la presa, quasi tremando dalla rabbia:

“Sto cercando di convincermi a non ucciderti, ma così non mi aiuti. Dov’è?!”

“L’età gioca brutti scherzi alla memoria, Jude… ma immagino sia qui, da qualche parte. Trovala. Ma non preoccuparti per lei, sono stata un’ottima ospite... l’ho lasciata in buona compagnia.”

Un sorriso mellifluo, quella stessa smorfia che Jude aveva imparato ben presto ad odiare profondamente da bambino, increspò le labbra della donna, i cui occhi luccicarono quasi con divertimento. E probabilmente, se non si fosse sentito quasi mancare il pavimento sotto i piedi prima di affrettarsi ad uscire dalla stanza, Jude avrebbe provveduto a farglielo sparire dal volto una volta per tutte.


*


Teneva Beatrix in braccio mentre era seduto su una sedia, in una delle corsie dell’ospedale. 
La bambina, così come Audrey, si era addormentata ma lui era piuttosto sicuro che non avrebbe chiuso occhio quella notte, così come i suoi suoceri, seduti accanto a lui e in silenzio, e Morgan, seduto alla sua sinistra con la secondogenita in braccio.

Non sapeva quanto tempo fosse passato di preciso ma gli sembrava di essere lì da ore quando la porta finalmente si aprì e dalla stanza uscì un’infermiera, che si rivolse proprio a lui con probabilmente il tono più gentile che le riuscì: 

“Vuole vederla, Signor Verrater.”

“Dalla pure a me, Jude.”

Si alzò quasi senza sentirsi le gambe, udendo solo distrattamente la flebile voce di Amelie, che gli fece cenno di lasciargli la nipote. Jude depositò Beatrix tra le braccia della suocera senza dire nulla, avvicinandosi alla porta socchiusa della stanza sentendosi quasi in trance, come se si stesse muovendo in un sogno. 
Fu solo quando l’infermiera gli chiuse la porta alle spalle e i suoi occhi si posarono su Isabelle che si rese conto appieno che era tutto vero, che non si sarebbe svegliato da quell’incubo.


Isabelle era seduta sul letto con la schiena appoggiata ad un cuscino e non si voltò sentendolo entrare, tenendo gli occhi verdi fissi sulle proprie mani, giunte, arrossate e abbandonate sul copriletto.

“Belle…”
Per un attimo Jude tentennò, poco abituato a non sapere cosa dire o cosa fare. Avrebbe voluto sedersi accanto a lei e abbracciarla, dirle che si odiava e che probabilmente non se lo sarebbe mai perdonato, ma non riuscì a muoversi, dicendosi che forse lei preferiva che non lo facesse. 

“Che ne è stato? Li hai uccisi?”

Aveva un ricordo vago e confuso di quei pochi istanti, quando aveva sentito la pesante porta della cantina aprirsi e la voce di Jude, portandola a provare, finalmente, un po’ di sollievo in mezzo agli occhi lucidi, il dolore, la paura, il freddo e il tremore incontrollato.

Non aveva assistito direttamente alla scena, era rimasta stesa sulla pietra dura e umida, gli occhi pieni di lacrime fissi sul soffitto e incapace di muoversi, cogliendo solo le voci e i bagliori di luce scaturiti dagli incantesimi che erano volati attraverso la cantina.  

“… sì.”

Jude annuì e Isabelle, dopo un attimo di esitazione, fece lo stesso, continuando ad evitare di guardarlo in faccia prima di parlare con lo stesso tono apatico di poco prima: 

“Bene.”
“Isabelle, mi…”

“Preferirei che restassi lì.”

Aveva mosso appena un passo verso il letto ma si bloccò immediatamente alle parole della moglie, sentendo quasi un peso sprofondargli nelle viscere prima di annuire debolmente, mormorando un lieve assenso. 

“Le bambine stanno bene?”
“Sì, sono qui fuori… dormono, ma prima volevano vederti.”

“Preferirei che mi vedessero fuori da qui. Cosa gli hai detto?”
“… niente.”
“Allora continua così, per favore.”

Jude annuì al mormorio di Isabelle, continuando a fissarla come in trance prima che la voce della strega risuonasse nuovamente nella stanza: 

“Ti dispiace uscire? Vorrei stare sola.”
“… certo. Buonanotte.”

Jude annuì e fece per voltarsi, con un peso che sembrava schiacciarlo sempre di più verso il pavimento, non sapeva se per le parole della moglie, il modo in cui era costretto a vederla o la consapevolezza di non essere riuscito a fare nulla, ad arrivare abbastanza in fretta. 

“Puoi andare a casa con le bambine, non devi stare qui.”
“Certo che resto.”


Quando la porta si fu chiusa nuovamente alle spalle di Jude Isabelle tirò un sospiro di sollievo, stendendo la tensione che, non sapeva per quale motivo, aveva accumulato nel momento stesso in cui era entrato. 
Sapeva che non era colpa sua, certo. Ma la sua presenza la infastidiva comunque. 

Si lasciò sprofondare contro i cuscini, sfiorandosi il collo dolorante e cosparso di lividi prima di ritrarre la mano di scatto, incrociando le braccia al petto. 
Puntò gli occhi chiari, perfettamente vigili, sul soffitto della stanza ormai buia, assolutamente certa che non avrebbe dormito affatto, anche se ormai era quasi l’alba. 
E forse nemmeno per le notti a venire. 


*


Il vetro s’infranse sulla parete e il liquido ambrato si riversò sul muro mentre cercava di mantenere la calma, di contare fino a dieci e di non perdere il controllo.
No, non poteva, non in quel momento… lei era sempre stata la sua roccia, ma ora era lui a dover essere forte per entrambi. 

Non poteva permettersi di perdere la calma, anche se moriva dalla voglia di fare a pezzi qualcosa, o qualcuno.
A volte desiderava di non averli uccisi sul momento, preso dalla rabbia, avrebbe voluto vederli soffrire a lungo, restare in agonia per giorni interi, ma aveva pensato solo ad Isabelle, a portarla il più rapidamente possibile fuori da lì. Anzi, portarli al sicuro entrambi.

Jude si lasciò cadere sulla sedia suo studio, passandosi stancamente una mano tra i capelli. 
Era stanco, non faceva che tormentarsi da settimane… non era certo la prima volta in cui si trovava in una situazione difficile, ma non gli era mai successo di non avere il supporto della moglie, prima d’ora.

Questa volta era lui a doverla tirare fuori dal tunnel, ma non era sicuro di riuscirci. Faticava a vederla in quello stato e il suo tenerlo perennemente a distanza non lo aiutava. 

Jude serrò la mascella, chiedendosi se le cose sarebbero mai tornate come prima. Ci aveva messo così tanto a trovare la felicità e non sopportava l’idea che gli fosse stata tolta in un attimo, senza che fosse riuscito a fare nulla.

Con un brusco movimento del braccio urtò tutto quello che c’era sulla scrivania, gettandolo sul pavimento prima di prendersi la testa tra le mani.

Era arrabbiato, forse come non lo era mai stato prima d’ora… non sapeva, tuttavia, se con sua nonna o con se stesso.


*


“Il bambino come sta?” 
“Per fortuna bene, pare che sia arrivato in quella dannata cantina giusto in tempo.” 

Jude si rabbuiò leggermente, fissando il fuoco con insistenza mentre il suo stomaco si contorceva nel ripensare a quella sera, e a quanto le cose fossero cambiate nel corso di quel mese e mezzo. 

Morgan non disse niente per qualche istante, osservando le fiamme a sua volta prima di parlare nuovamente, con tono incerto:

“Non dovresti essere a casa con lei adesso?”
“Non penso le faccia molta differenza, dal momento che ha smesso di guardarmi in faccia.” 

Strinse tanto la presa sul bicchiere che per un attimo Morgan pensò che gli si sarebbe rotto in mano, guardando il ragazzo fissare il fuoco con insistenza mentre ripensava a sua nonna, ad Isabelle e ai tre uomini che aveva brutalmente ucciso prima di avvicinarlesi, sollevarla e Smaterializzarsi fuori da quella casa, lontano dalla stessa cantina dove anche lui, più di vent’anni prima, aveva sofferto indescrivibilmente per mano di sua nonna.
Gli sembrava ancora di vederla, in lacrime ma incapace di muoversi, su quel pavimento umido e freddo.

“Jude… passerà. Credo sia normale che stia reagendo così, ma non è arrabbiata con te. Fidati, la conosco.” 
“Non vuole neanche che mi avvicini per meno di due metri da quando è tornata dall’ospedale... credo sopporti a malapena la mia voce. Le sto dando spazio e tempo, ma mi sembra di non fare nulla per aiutarla, vorrei quantomeno abbracciarla per farle capire che non è sola, che ci sono, ma se provo ad avvicinarmi si scosta, o va in panico.”

Era sempre stata così brava, a scappare, nessuno lo sapeva meglio di lui… ma sperava di non dover ripetere l’esperienza dell’ultimo anno di scuola, quando ci aveva messo interi mesi a convincerla ad aprirsi con lui.


“Passerà. Dalle un po’ di tempo… l’importante è che le bambine stiano bene e anche il piccolo in arrivo.” 
“Lo vogliamo chiamare Alastair.” 

Morgan si irrigidì per un attimo sentendo quelle parole, quasi buttate giù dal genero con un tono neutro, prima di sorridere appena, versandosi altro liquido ambrato nel bicchiere. 

“Lo sospettavo.” 
“Ho la sensazione che il suo fantasma tornerà a perseguitarmi per aver permesso che le facessero… quello che le hanno fatto.” 

“Probabilmente se fosse qui ti avrebbe ucciso, sì… ma non è colpa tua. E lo pensa anche Belle, Jude.” 

“Cambiamo argomento.” 
“Di cosa vuoi parlare?” 
“Parliamo di mia nonna. Ha superato il limite questa volta, la voglio vedere dentro una fossa. Puoi aiutarmi?” 

“Vedrò che posso fare.” 


*


“Papà, ciao! Dov’eri?” 

Jude si sforzò di sorridere ad Audrey, che quando era entrato nella stanza si era alzata dal tappeto dove stava giocando con la sorella per raggiungerlo e abbracciarlo:

“Ero dal nonno Morgan, vi saluta.” 

Jude sfiorò i capelli della figlia con la mano, sorridendole con affetto prima di vederla girare sui tacchi e trotterellare di nuovo verso Beatrix, annunciando che aveva fatto dei disegni per lui e voleva farglieli vedere. 

Lo sguardo del mago si posò sulla moglie, seduta sul divano e in silenzio. Lo stava guardando, ma quando Jude ricambiò lo sguardo Isabelle si affrettò a distoglierlo, continuando a non dire niente. 

“Ciao.”
Le labbra sottili di Jude si inclinarono leggermente in un sorriso mentre sedeva accanto a lei, guardandola e implorandola silenziosamente di fare altrettanto. 
Isabelle non lo fece, ma ricambiò il suo saluto a mezza voce, continuando a tenere gli occhi fissi sulle figlie. 

“Vado in cucina.” 
Dopo qualche istante Isabelle si alzò sotto lo sguardo del marito, che non osò replicare o allungare una mano per prendere la sua, ricordando quando si era più volte scostata, chiedendogli di non toccarla. 

La guardò allontanarsi per poi tornare a concentrarsi sulle foglie, sforzandosi di sorridere e di non sembrare di cattivo umore. Sperava ardentemente che Morgan avesse ragione, ma intanto lei continuava a stargli perennemente a qualche metro di distanza. 


*


Stava sistemando il letto per coricarsi quando un cigolio lo avvertì che la porta si era aperta, portandolo a voltarsi verso la soglia della stanza, quasi sperando che fosse Isabelle e che volesse dirgli qualcosa. Avrebbe persino accettato un discorso sul tempo meteorologico, pur di vederla parlargli guardandolo di nuovo in faccia per più di cinque secondi.

Ebbe, invece, un tuffo al cuore quando si trovò davanti la figlia minore, già con la camicia da notte addosso e i capelli castani sciolti sulla schiena, che gli rivolse un’occhiata carica di curiosità: 

“Perché tu e la mamma non dormite più insieme? State stretti?”
“Diciamo di sì… la mamma vuole avere più spazio.”

Jude annuì, sforzandosi di sorridere alla figlia mentre la bambina gli si avvicinava, sorridendogli: 

“Io non ne occupo tanto, se vuoi posso dormire io con te!”
“Certo. Vieni qui.”

Audrey fu ben lieta di arrampicarsi sul letto della stanza degli ospiti per coricarsi accanto al padre, appoggiando il capo sul suo petto e chiudendo gli occhi con aria rilassata, lasciandosi abbracciare. 
Jude invece continuò a tenerli aperti, accarezzandole distrattamente i capelli mentre i suoi occhi eterocromatici erano perfettamente vigili, fissi sul soffitto della stanza. Non dormiva molto da settimane, in effetti, non facendo altro che pensare a come sua nonna si fosse volatilizzata dopo quella notte. 

Ancora non era riuscita a trovarla, ma per quanto brava Magda non poteva nascondersi per sempre da suo nipote. Prima o poi l’avrebbe trovata. 


*


“Come stai?”
“Bene.”

Morgan inarcò un sopracciglio, guardando la figlioccia con evidente scetticismo e facendola così sbuffare debolmente, mentre continuava ad evitare di guardarlo negli occhi chiari:

“Non guardarmi così, zio.”
“Scusa, fatico a nascondere quello che penso… Belle, per una volta, puoi parlare liberamente? Ti conosco da quando sei nata, con me puoi parlare di tutto.”

“Lo so.”
“È normale che tu reagisca in un certo modo… ma sta male anche lui, tesoro. Sai quanto tenga a te, credo che in questo momento si odi per quello che ti è successo, e il fatto che tu non gli rivolga la parola non lo aiuta. Prendi i farmaci per il panico?”

Isabelle annuì con un lieve cenno del capo, continuando ad evitare di guardare il padrino e desiderando ardentemente che le persone smettessero di trattarla come una pazza che avrebbe potuto dare di matto da un momento all’altro. 


“Sì. E comunque non ce l’ho con lui, so che non è colpa sua... non va al lavoro da più di un mese per stare a casa con noi, immagino come debba sentirsi adesso, lo conosco, ma non riesco… non ce la faccio. Ci ho messo settimane a sopportare persino la TUA presenza, e sei come un padre per me.”

“Non ti vedevo così da molti anni… da quando è morto Al. Ricordi come stavi? Forse sentivi che non saresti mai riuscita a riprenderti, ma l’hai fatto, probabilmente anche grazie a Jude. Permettigli di starti vicino anche questa volta, Isabelle… oltretutto, sei incinta, si preoccupa per te.”

“Lo so. Ci sto provando, zio. Davvero, lo faccio. Vorrei tanto che tornasse tutto come prima, ma non so se andrà così.”


*


Era in piedi davanti alla cucina, strofinando energicamente il piatto che teneva tra le mani. 
Tecnicamente non avrebbe dovuto farlo, certo, gli elfi l’avevano praticamente implorata di tornare di sopra e di riposarsi… ma non riusciva più a sopportare di non fare nulla. 
Doveva fare qualcosa, anche solo per smettere di pensare. 

Aveva iniziato a lavare i piatti circa un’ora prima e ancora non aveva smesso, probabilmente avrebbe finito col lucidare piatti che non erano nemmeno stati usati… non si accorse che qualcuno era entrato nella stanza e le si era avvicinato, vuoi per il suo modo silenzioso di muoversi o perché Isabelle aveva semplicemente la mente altrove, molto distante da quella cucina, per quanto provasse a distrarsi.

“Ciao... che cosa fai?”

Quando sentì una mano poggiarsi sulla sua spalla e una voce familiare Isabelle si voltò di scatto, sobbalzando e muovendosi d’istinto, allontanandosi leggermente dal marito. Nel movimento brusco il piatto finì col scivolare dalla sua presa, cadendo sul pavimento piastrellato e rompendosi. 

“Merda…”
“Lascia. Scusa, forse non dovevo…”

Jude fece per allungare una mano e bloccare la moglie, impedendole di chinarsi e raccogliere i cocci…Ma Isabelle si ritrasse leggermente, tenendo lo sguardo fisso sul piatto rotto ai suoi piedi ed evitando, ancora una volta, di guardarlo. 

“Isabelle, guardami, per favore.”

Jude sospirò, passandosi nervosamente una mano tra i capelli color pece mentre guardava la strega raccogliere i frammenti più grandi del piatto per ripararlo con la magia, continuando a quasi ignorarlo.

“Belle. Guardami, per una volta. Non puoi continuare a scappare come fai sempre quando c’è qualcosa che non va… Permettimi di aiutarti, invece di allontanarmi. So che stai soffrendo, ma vederti così senza poter fare nulla per aiutarti mi annienta.”

Jude allungò una mano, stringendola sul braccio della moglie per costringerla ad alzarsi e a guardarlo, udendo solo il mormorio con cui lei gli chiese di non toccarla. La sua mano si ritrasse quasi come se si fosse scottato, limitandosi ad annuire prima di parlare nuovamente, a bassa voce e con un tono piuttosto tetro:

“Ok… come vuoi. Quando vorrai parlare con me e permetterci di affrontare questa cosa insieme, ci sarò. Ci sarò sempre per te, sei la mia vita.”

Probabilmente avrebbe voluto chiedergli di non dire così, perché la faceva sentire solo peggio, solamente più in colpa per il modo freddo e distaccato con cui l’aveva trattato da quando era tornata a casa dall’ospedale, incapace di fare altrimenti.
Ma ancora una volta non riuscì a parlare con lui o a cercare di fargli capire come si sentiva, limitandosi a restare in silenzio mentre Jude, sospirando debolmente, si voltava per poi uscire dalla cucina a grandi passi, sostenendo che sarebbe andato a salutare le figlie.


Una volta sola Isabelle lasciò i cocci di porcellana sul ripiano della cucina, deglutendo a fatica prima che un singhiozzo la scuotesse, premendosi una mano sulle labbra per evitare, ancora una volta, che il marito o le figlie la sentissero piangere. 


*


Mentre la madre le rimboccava le coperte, Beatrix teneva gli occhi scuri fissi su di lei, osservandola con aria pensierosa. 
Isabelle probabilmente stava per darle un bacio, augurarle la buonanotte e poi uscire dalla camera come sempre, ma la voce della bambina catturò la sua attenzione con una domanda che, lo sapeva, prima o poi sarebbe dovuta arrivare:

“Tu e papà avete litigato?”
“No. Perché lo pensi?”
“Non parlate mai… e lui dorme in un’altra stanza. Come mai?”

“Ho solo… bisogno di stare un po’ da sola, Trixie.”
“Però non sembri felice. Non sorridi mai… non lo fa nemmeno papà. Sembra triste quando ti guarda.”

“A volte capita di non essere felici per un po’ di tempo, sai? Ma poi si sistema tutto, basta essere pazienti… ti prometto che io e papà sorrideremo di più.”
Isabelle abbozzò un sorriso, sfiorando i capelli castani della figlia con le dita, che annuì:
“E vi parlerete?”

“Certo. Devi solo essere paziente, Trixie, anche se essendo figlia mia e di papà temo che ti potrebbe risultare un po’ difficile.”


*


Aprì gli occhi, impiegando qualche secondo a rendersi conto di tremare, sì, ma di essere a casa sua, nella sua camera e nel suo letto e non in un’umida cantina, stringendo convulsamente il lembo del lenzuolo. 
Chiuse le palpebre e si disse di respirare e di rilassarsi come aveva imparato a fare in quelle lunghe settimane, ma il suo battito cardiaco rimase accelerato rispetto alla norma e il suo corpo scosso dai tremori. 

Deglutì a fatica, cercando di ignorare il dolore che sentiva e la fastidiosa sensazione delle mani sul suo corpo, che la toccavano, che la violavano malgrado le sue preghiere, le lacrime e i tentativi di divincolarsi da quella stretta. 

Non era reale, lo sapeva.
Era sola, a casa sua, nella sua camera… erano morti, lo sapeva. Ma quelle voci, che la schernivano, continuavano comunque a tormentarla.

Isabelle aprì gli occhi, consapevole di non riuscire a stare tranquilla, incapace di sentirsi al sicuro dentro la sua stessa casa… non era successo lì, certo, ma lei sapeva dove vivevano… sarebbe potuta tornare, mandare qualcun altro, magari per occuparsi delle figlie invece che di lei. 
La sola idea le provocò quasi un brivido e si ritrovò a parlare senza volerlo, chiamando con voce rotta il marito. 

Jude
Perché Jude non c’era? 
Esattamente come quella sera, quando se li era trovati sotto casa. E anche se la famiglia di Jude era piena di nemici, aveva capito subito chi li avesse mandati… premurandosi solo che non si avvicinassero alle figlie, ostinandosi a negare la loro presenza in casa e lasciando che la portassero via con la forza. 
Non c’era. 
Ma questa volta era stata lei ad allontanarlo.

Deglutì a fatica, tastando il materasso accanto a sè e trovandolo freddo, vuoto. E all’improvviso, per la prima volta dopo mesi, sentì il bisogno di averlo accanto, del calore e della sicurezza che le trasmetteva.

Era notte fonda, probabilmente dormiva, si disse… sciocca, era stata lei a chiedergli di dormire in un’altra stanza, non riuscendo a sopportare anche semplicemente il suono del suo respiro mentre dormiva. 

Lo chiamò di nuovo, gli occhi ormai lucidi, desiderando solo che quelle immagini sparissero.

Ma la porta si aprì e gli occhi di Isabelle saettarono sull’uscio della stanza, trovando Jude sulla soglia, che fece correre lo sguardo sulla stanza quasi con espressione allarmata, rilassandosi quando non vide nessuno, se non la moglie che tremava tra le coperte: 

“Jude…”
“Va tutto bene?”
“Io… stavo sognando. Non volevo svegliarti.”

“Non fa niente. Se non ti serve nulla, torno…”
“No, resta. Ti prego.”

Bisogno di lui. Bisogno che le sue braccia la stringessero, che a toccarla fossero le sue mani, così da cancellare, forse, il tocco per nulla delicato o amorevole di quegli uomini.
Lesse la sorpresa sul volto del marito, che però annuì e, reprimendo a fatica un sorriso, si chiuse la porta alle spalle, avvicinandosi al letto. Si sistemò accanto a lei, osservandola irrigidirsi leggermente con aria dubbiosa: 

“Posso?”
Isabelle annuì senza dire nulla, lasciandosi abbracciare dal marito, che le rivolse un lieve sorriso: 

“Non preoccuparti… ci sono io, non ti succederà niente. Dovessi restare sveglio per tutte le notti fino alla fine dei miei giorni, non ti toccheranno mai più.”

“Mi sei mancato.”
“Anche tu. Ti prometto che presto la troverò Isabelle… non la passerà liscia, questa volta.”

“Non voglio che tu la uccida, Jude.”
“Isabelle, dopo quello che ti ha fatto fare…”

“Lo voglio fare io.”


*


Dopo essersi sfilata il mantello e averlo lasciato sullo schienale della sedia si tolse lentamente orecchini e collana, lasciandoli con cura nelle rispettive custodie.
Prese il bicchiere sistemato, come sempre, sul ripiano tirato a lucido della toeletta e buttò giù il contenuto tutto d’un fiato, lasciando poi il bicchiere di cristallo di nuovo sul mobile per prendere, al suo posto, la spazzola e ravvivarsi i capelli. 

Era sola, era tardi e la stanza era poco illuminata, era appena tornata da una cena e di certo non aspettava alcun ospite… sobbalzò, infatti, quando sentì una voce alle sue spalle, che non aveva mai sentito prima d’allora, se non sotto forma di urla. 

“Mi stavo chiedendo se ti avrei mai incontrata. Ho sentito così tanto parlare di te che quasi mi sembra di conoscerti, sai?”

“Che cosa… come sei entrata?!”

Si voltò verso il capo opposto della stanza, strabuzzando gli occhi nel trovarsi di fronte una ragazza di circa trent’anni, che la stava scrutando con un paio di occhi verdi che quasi brillavano nel buio della camera: 

“È stato difficile, ma non impossibile… oh, io non lo farei.”

Isabelle sollevò leggermente un sopracciglio, guardandola quasi con aria divertita e facendola bloccare di conseguenza quando fece per prendere la bacchetta:

“Sei una donna molto intelligente, Magda, alla tua età… vuoi davvero testare chi di noi se la caverebbe meglio in un duello? Ho ricevuto un’educazione molto… speciale, non mettermi alla prova.”

Le labbra di Isabelle si inclinarono appena percettibilmente, sfoggiando un lievissimo sorriso che irritò considerevolmente la donna, che piegò le labbra sottili in una smorfia tirata:

“Perché sei qui? Mio nipote non ha, ancora una volta, trovato il coraggio di affrontarmi e ha mandato avanti la sua dolce metà?”
“Oh, no. No, ho dovuto pregarlo… voleva farlo lui, ma ho insistito tanto, e alla fine ha ceduto, cede sempre con me. Sai Magda, ci ho pensato a lungo, a come farlo… volevo davvero che tu soffrissi, come ho sofferto io.”

“Non ti ho uccisa, Isabelle. Avrei potuto, ma non ho dato l’ordine.”
“È come se l’avessi fatto. Sei mai stata violentata? Ti assicuro che una parte di te muore. E comunque… sappiamo tutte e due che non l’hai fatto per pietà, ma perché sapevi che vedermi soffrire, guardarmi ogni giorno pensando a quello che mi avevano fatto senza essere riuscito ad impedirlo, avrebbe fatto soffrire Jude ancor più rispetto a perdermi davvero. Sbaglio?”

Isabelle inarcò un sopracciglio, inclinando leggermente il capo mentre gli occhi di Magda saettavano più in basso, sfoggiando un’espressione visibilmente contrariata e parlando con un tono piatto: 

“Vedo che non lo hai perso.”
“No… dovrebbe nascere tra un mese. È un maschio, lo chiameremo come mio fratello…
 Peccato che tu non ci sarai per vederlo. Posso chiederti, solo, il perché di questo profondo accanimento nei confronti di Jude? È il tuo unico nipote… la famiglia non conta niente per te?”

“La famiglia conta MOLTO per me, ragazzina. Hai una vaga idea di quanti piani avessi per mio figlio? Talmente tanti progetti… e poi è arrivata quella troietta, una Magonò per di più, che non è riuscita a tenere le gambe chiuse, così mi sono ritrovata con un nipote bastardo che non mi serviva a niente.”

Isabelle contorse la mascella ma si impose di non muoversi e di restare seduta. Ripetendosi che voleva godersi il momento fino in fondo. 


“Sai, ho pensato tanto a come farlo… come potevo farti soffrire per compensare quello che mi hai fatto? O quello che hai fatto a Jude quando era piccolo? Non credo ci sia un modo per compensare tutte le sofferenze che hai provocato, Magda, ma mi sono voluta assicurare che soffrissi… E quale modo migliore, se non sottoporti a qualcosa che ho testato a mia volta? Dovrebbe iniziare a fare effetto a breve, sentirai un leggero dolore allo stomaco.”

Isabelle abbozzò un sorriso e Magda, capendo, strabuzzò gli occhi, voltandosi verso il bicchiere ormai vuoto.

“Nel bene o nel male, Jude è vissuto con te per anni. Mi ha raccontato molte delle tue… abitudini. Come, ad esempio, bere ogni sera un bicchiere di Gin. Non hai trovato che avesse un sapore aspro? In effetti nemmeno io ci avevo fatto caso, sul momento….”

“Che cosa mi hai dato?!”
“Mai sentito parlare dell’Arsenico, Magda? Non credo che un’altolocata donna Purosangue come te possa averne sentito parlare, ma una celeberrima famiglia Babbana di qualche secolo fa prediligeva particolarmente questo veleno… a somministrarlo a me fu proprio un mio parete, sai? Come Jude, anche io ho avuto una famiglia discutibile. Infondo non siamo poi così diversi da loro, se ci pensi. Si, lo so… la testa comincia a girare. Dovresti iniziare a tossire tra poco, e poi… Beh, mi perdonerai, ma non conosco tutti i sintomi…”

Isabelle sollevò un sopracciglio, sorridendo dolcemente alla donna e guardandola mettere una mano sullo schienale della sedia per, probabilmente, evitare di cadere sul pavimento. 

“… dopotutto, io sono ancora qui. Grazie a tuo nipote, in effetti… credo di doverti ringraziare, Magda. Forse se non avessi cresciuto Jude come lo hai cresciuto, se non avessi ucciso sua madre, non sarebbe com’è… chissà, forse non lo amerei. Anzi, nemmeno lo avrei incontrato, se non fosse stato per te.”

La strega si alzò dalla sedia dove si era accomodata poco prima, per aspettare pazientemente che la donna tornasse, per avvicinarsi a Magda e inginocchiarsi davanti alla sua sedia per poterla guardare negli occhi, sollevandole il capo con una mano: 

“Quindi… grazie, Magda. Non guardarmi così, pensavi che te l’avremmo fatta passare liscia? Jude ha sempre pensato che fosse lui il cattivo, io quella che lo conteneva e manteneva sulla buona strada… e forse è così. Ma ho ucciso mio zio guardandolo negli occhi, non hai idea di che cosa io sia capace.”

La mano di Isabelle si strinse sul viso della donna, osservandola con astio per un istante prima di stendere nuovamente il volto in un lieve sorriso, alzandosi in piedi: 

“Era ora che facessimo una chiacchierata, non pensi? Tra poco faticherai a prestare attenzione a ciò che ti sta intorno, quindi ti lascio… Jude? Vuoi salutarla?”

Sentendo il nome del nipote Magda strabuzzò gli occhi, sollevando lo sguardo per posarlo sulla ragazza, certa di non aver visto anche il nipote nella stanza. Ma evidentemente era sempre stato lì, accanto a lei, invisibile alla vista grazie ad un Incantesimo di Disillusione. 

Magda contorse la mascella, sforzandosi di reprimere il dolore e rifiutandosi di manifestarlo di fronte al nipote per dargli quella soddisfazione mentre Jude si avvicinò fino a fermarsi accanto alla moglie, cingendole delicatamente la vita con un braccio prima di sorridere alla nonna senza staccare gli occhi eterocromatici, che lei aveva sempre aspramente criticato, dai suoi: 

“Beh, volevi conoscerla, no? Non trovi che sia fantastica? Una vera Vërrater… e come mi hai insegnato tu, Magda… noi non perdoniamo.”


*



“Signora Verrater… dove si trovava la sera del nove Dicembre?”
“Ero a casa del mio padrino insieme a mio marito… Morgan Shafiq. Credo che lei lo conosca.”

Isabelle stese le labbra in un sorriso, gli occhi fissi sul volto dell’Auror che aveva davanti, guardandolo annuire distrattamente: certo che lo conosceva. Erano ben poche le persone al Ministero a non conoscerlo, almeno di fama.

“Naturalmente… lei aveva qualche tipo di legame con la Signora?”
“No, lei e mio marito non si vedevano da anni, credo che Magda avesse chiuso i rapporti anche con suo figlio Alphard… ma Jude non ne parla volentieri. Ad ogni modo, io non ho mai avuto il piacere di incontrarla… posso sapere come se n’è andata?”

“È stata avvelenata, pare.”
“Beh, quella famiglia ha molti nemici, no? Da quel che mi diceva mio marito, sua nonna se n’era creati non pochi, nel corso degli anni.”

“Lei è stata ricoverata in ospedale, sei mesi fa, è rimasta al San Mungo per più di qualche giorno… ma non abbiamo trovato referti su analisi di nessun tipo.”
“Prognosi riservata. Solo qualche… squilibrio. Nel mio stato, non è poi così insolito, specie nelle prime settimane. Posso andare? Le mie figlie sono a casa che mi aspettano.”


“… certo. Può andare.”

La strega sorrise appena prima di alzarsi, salutando cordialmente l’Auror prima di uscire dall’ufficio e trovando, nel corridoio, Jude ad aspettare, seduto su una sedia. Vedendola si alzò, avvicinandolesi per prenderla sottobraccio:

“Allora?”
“Sono un’adorabile donna incinta, Jude, con due figlie piccole, che non ha mai avuto contatti con la vittima e che la sera del suo decesso era in compagnia di uno degli uomini più stimati del Paese che sarebbe più che pronto ad assicurare per la sua adorata figlioccia… oserei dire che ho un alibi di ferro, tua nonna ha smesso di darci problemi.”

“Questi sono i momenti in cui sfiderei chiunque a dire che non siamo una coppia perfetta, Van Acker.”


Jude sorrise quasi con aria divertita mentre camminava accanto alla moglie lungo il corridoio per lasciare il Ministero e tornare a casa, visto che era stato interrogato prima di lei… non potendo fare a meno di pensare che fosse una vera fortuna che fossero entrambi dannatamente bravi a mentire. 

“Jude?”
Si fermò quando sentì la voce di Isabelle chiamarlo e la sua mano stringere leggermente la presa sul suo braccio, portandolo a voltarsi verso di lei con sguardo interrogativo: la strega esitò per un paio di istanti, limitandosi a guardarlo prima di dire qualcosa a mezza voce:

“Ti amo.”
“Anche io.”

Le labbra sottili di Jude si inclinarono in un sorriso prima di chinarsi, prenderle il viso tra le mani e baciarla, sentendosi improvvisamente più sereno di quanto non lo fosse mai stato negli ultimi mesi, nonostante fosse stato appena interrogato per un caso di omicidio. Mesi durante i quali non aveva mai sentito quelle parole uscire dalle labbra della moglie.

Ma finalmente ne erano usciti, o forse stavano iniziando a farlo, suo figlio stava per nascere... e cosa più importante, sua nonna non avrebbe più mirato alla sua felicità. Questa volta in modo definitivo.




   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Signorina Granger