10.
Era stato strano rivedersi, qualche
ora dopo, entrambi avvolti in eleganti mantelli, entrambi appesantiti da
diverse emozioni, entrambi taciturni. Però non era stato strano nel modo che
Harry si era aspettato: si era immaginato un grande imbarazzo, dopo l’amore
della mattina appena trascorsa, e invece Severus
sembrava solo molto infastidito anche se gli aveva accarezzato il viso con
delicatezza e baciato le labbra con forza. E sentirlo così lo aveva sì, un po’
impensierito, ma gli aveva anche scosso via tutto il disagio che aveva provato
all’idea di rivedere l’uomo su cui, per tutto il giorno, la sua mente aveva
spaziato senza pudore. Quindi si erano smaterializzati.
La casa che Sirius
e Remus avevano acquistato dopo che tutto si era
risolto era una bella villetta adagiata tra eleganti prati in un quartiere
periferico di Londra. Quando si furono materializzati sul morbido tappeto di
neve che copriva il giardino della casa bianca e nera, Harry e Severus si ritrovarono ammantati dall’oscurità. In quel
punto, nessuno poteva vedere i visitatori magici arrivare e la luce che
filtrava dalla tendina della cucina indicava loro che i preparativi per la cena
erano già cominciati.
«Sei pronto?» chiese piano Harry. Severus lo squadrò.
«Con tutto il rispetto, Harry, ma
non ho intenzione di temere le ire del tuo padrino come una verginella
sprovveduta»
Harry, nonostante la tensione,
sbuffò una risata e, allungandosi a baciare l’uomo che gli stava affianco, si
ritrovò a pensare che, infondo, quel Severus
tagliente e velenoso che veniva a galla per fronteggiare le avversità non era
poi tanto male.
Aveva inviato il proprio Patronus per avvertire che sarebbe venuto accompagnato,
quella sera, e si era armato di un’enorme Linzer
torte per cercare di placare gli animi sin dal principio. I due si mossero
verso il lato strada della casa e, saliti i gradini che portavano alla veranda,
Harry bussò alla porta.
Quando la luce della casa irradiò la
veranda, Remus sorrise loro, un maglione beige a
collo alto addosso e il nervosismo ben nascosto sotto la solita espressione
buona.
«Benvenuti» disse, facendoli
passare. Harry gli si stinse contro brevemente prima di spingersi nel
bell’ambiente dell’ingresso. Severus, guardingo,
abbassò la testa.
«Buonasera, Remus»
disse piano. Il padrone di casa sembrò stupito e anche deliziato di sentirsi
chiamare per nome, e i suoi occhi luccicarono di una scintilla dal sapore
antico.
«Entra pure, Severus»
gli rispose, il tono particolarmente malandrino. Allungò una mano a prendere il
mantello di Severus e, dopo un’occhiata, Harry decise
di potersi fidare a lasciarli soli, così appese con un rapido gesto esperto il
mantello prima di dirigersi direttamente in cucina.
«Permesso?» si ritrovò a chiedere. Sirius, che dava le spalle alla porta, si voltò a
guardarlo.
«Da quando chiedi permesso?» gli
sorrise, facendogli cenno di avvicinarsi. Harry gli porse la torta, un po’ come
maneggiando un calumet della pace, e l’uomo sbirciò all’interno dell’involucro.
«Mmm, sai
come comprare il mio perdono» disse. Harry abbassò la testa, ma Sirius gli scompigliò i capelli. Sapeva che ce la stava
mettendo tutta, così lo seguì quando prese la torta e la posò sulla credenza.
«Ho anche mezzo chilo di cioccolato
con me, ma penso di usarlo solo se avrò bisogno che Remus
ti impedisca di aggredire Severus» tentò di
scherzare. Il suo padrino, che come Remus cercava di
mascherare la propria tensione ma ci riusciva meno bene, rise brevemente.
I passi che si avvicinavano alla
porta li richiamarono: Severus si appoggiò sull’uscio
della cucina. Sotto al mantello aveva indossato un paio di pantaloni gessati,
una camicia bianca e un gilet, e spiando dalle finestre nessuno avrebbe mai
inteso di avere davanti dei maghi se non fosse stato per le diverse bacchette
che se ne stavano, per ora, tranquille nei foderi.
«Harry, mi aiuti con la tavola?»
chiamò a gran voce Remus dalla sala. Il giovane
lanciò un’occhiata seria a Severus, che lo rassicurò
annuendo una sola volta. Poi fece per dire qualcosa, ma Sirius
gli stava già porgendo una pila di piatti sormontati da bicchieri e un’elegante
tovaglia bordeaux.
«Non farmi pentire di non aver usato
la magia, con il servizio buono» ghignò l’uomo. Quando Harry se ne fu andato
dalla cucina, attento a non fare danni, Severus entrò
nella stanza.
Sirius lo guardava di sottecchi, molto
simile ad un cane pronto a difendere la propria cuccia. Il suo bel viso era
fosco e, lento, un boccolo sinuoso decise di scappare al nastro con cui si era
assicurato i capelli, andando ad adombrare ancora di più la sua espressione.
«Non credo sia da esplicitare che né
a te né a me piace la situazione che si sta creando tra noi» disse Severus, pacato.
«No, non è da esplicitare» annuì Sirius. «E la situazione
che si sta creando tra te e Harry?»
«Quella non può che piacermi»
rispose con un sorriso arrogante Severus. Vide che Sirius si tratteneva dall’affatturarlo, cogliendo tutti i
sottintesi della sua risposta, o dal tirargli un piatto, o dal balzargli
addosso.
«Sei cosciente del fatto che se tu
gli facessi del male in qualsiasi modo non sopravvivresti per raccontarlo?»
disse, il tono casuale, Sirius, poggiando una mano
sulla superficie lignea del tavolo.
«Non voglio fargliene» mormorò Severus. I due uomini si guardarono con intensità.
«Remus
vuole che lasci a Harry spazio. E io voglio che sia felice. Se sceglie te, va
bene. Ma non riporre le tue speranze nel mio compagno, ti assicuro che è anche
più protettivo di me verso Harry» aggiunse Sirius. Il
suo tono si stava inasprendo sempre di più.
«Ho capito, Black»
ringhiò Severus. Sospirò, passandosi poi una mano sul
viso. «Vedere Harry che finalmente ha una vera famiglia è…
bello. Non avrei mai pensato di dirlo ma sono quasi contento tu mi stia
minacciando»
Sirius lo guardò stupito, poi scosse la
testa.
«Mi suona strano sentire che tu,
davvero, tieni a lui» mormorò. Severus accennò un
sorriso.
«Suona ancora strano anche a me»
rispose, tacendo poi quando le voci di Harry e Remus
si avvicinarono. I due uomini in cucina guardarono verso il corridoio, ma
nessuno li raggiunse: poco dopo, dei passi sulle scale li informarono che
stavano salendo.
«Lo ami?» chiese poi, a bruciapelo, Sirius. Severus sgranò gli occhi,
guardandolo.
«Non pensi che sarei davvero troppo
avventato a risponderti?» ribatté debolmente. Sirius
alzò un sopracciglio.
«Mmm.
Ottima risposta, Mocciosus» disse, andando a dare
un’occhiata ai fornelli. Severus fece una smorfia, ma
si rese conto che ormai neanche quel nomignolo gli pesava più. Avvertiva che la
strenua lotta tra lui e Black stava quasi mutando,
forse contaminata da una nuova tensione. Era forse…?
«Non posso dire che tu sia il
compagno che ho sempre sperato Harry trovasse, ma se lui ti vuole in famiglia
così sia. Non dobbiamo per forza andare d’accordo. Ma vogliamo tutti il suo
bene, no?»
Concordia. Una debole, pallida
concordia.
Gli occhi grigi di Sirius gli bruciavano l’anima, un po’ minacciosi. Severus annuì.
«Certo» rispose seriamente. Sirius sospirò.
«È buffo, però» aggiunse. «Prima
Lily, ora Harry… sarebbe imbarazzante se ti facessi
notare l’antifona?»
«Sarebbe imbarazzante» confermò, la
voce roca, Severus. I sentimenti contrastati che si
stavano alzando tra le mura chiare della cucina sembravano quasi palpabili,
così come lo sguardo che Sirius gli rivolse, ancora
più acuminato di prima.
«Non c’è niente da dire» aggiunse Severus.
«Credo tu non sia nella posizione di
evitare le mie domande» lo rimbeccò Sirius. Severus lo squadrò: non si stava godendo quella farsa da
padre geloso, anzi, sembrava non voler sentire la risposta di Severus, temendo la verità, forse. Ma si sentiva in dovere
di chiedere, di accertarsi, di ficcare il suo grosso tartufo canino nei loro
affari. Severus fece una smorfia. Quella concordia
non sembrava poi troppo facile da sostenere.
«La Guerra è finita, le miei
maschere sono cadute. Sono stanco di vivere relegato nel passato. Non lo sei
tu? Non sei stanco di essere il prigioniero di Azkaban?»
«Non ti sto chiedendo perché ora
sembri uno della mia famiglia» ribatté Sirius, senza
guardarlo.
Severus sospirò.
«Non voglio più essere l’uomo
distrutto che ero, va bene? Non so se merito la felicità. Non so se merito
Harry. So solo che sentirmi in dovere di piangere Lily fino alla fine dei miei
giorni è stupido. Non la dimenticherò mai. Ma sono stanco di essere l’ombra di
me stesso»
Sirius ascoltò attentamente le parole
tremanti che uscirono dalla bocca di Severus. Il Pozionista, appoggiato al tavolo, aveva la testa bassa,
come in preda ad un dolore acuto nel sentirsi dire quelle parole. Le aveva
pensate e ripensate, certo, e ci credeva. Le aveva dette anche a Harry, sì, ma
ora, dirle a quell’uomo che Lily se la ricordava, che l’aveva abbracciata, che
l’aveva sentita ridere, faceva tutto un altro effetto. La stava lasciando
andare davvero.
«Le mancavi, sai?» sussurrò Sirius. Severus lo guardò e lui,
avvicinandosi, si ficcò le mani nelle tasche dei pantaloni di velluto blu.
«Avrebbe tanto desiderato che tu ti
prendessi cura di Harry. Perché tu per lei eri come io ero per James.
Insostituibile. Non voglio farti la predica, stavolta, dico solo che
probabilmente Lily ti affatturerebbe» disse Sirius.
Severus rise, roco.
«Mi manderebbe al San Mungo, Black, non essere così delicato» mormorò. Sirius sorrise.
«Oh, sì. E poi ti manderebbe un
giglio. E probabilmente leverebbe il saluto a Harry ma gli lascerebbe dei
pasticcini di zucca sulla scrivania. E poi, in silenzio, lo accetterebbe. Era
sempre così delicata, ti ricordi?»
«Delicata…
sì. Pericolosa ma delicata»
I due uomini si guardarono, i
ricordi vividi nelle loro menti. Sirius si passò una
mano sul viso.
«Lascio a Molly Weasley
la frase “lui non è Lily”?» disse piano. Il suo tono stava riprendendo la vena
canzonatoria che Severus aveva sempre detestato, ma
dopo quel vibrante momento la accolse quasi sollevato.
«Sì. Se ti fidi almeno un po’, sì»
rispose.
Sirius accennò una risata.
«Mi fido di Harry. Te l’ho detto,
dovete accontentarvi di questo» ribatté, tornando ai fornelli. Severus sospirò. Mettere da parte l’astio nei confronti di Black e Lupin era la cosa meno felice che intravedeva nel
suo futuro.
Durante la cena e per quasi tutta la
serata, infatti, le occhiate di Sirius non smisero di
dare il tormento a Severus, ma lui le incassò senza
lamentarsi, cercando di non far trasparire il proprio fastidio. Non avrebbe mai
pensato di volerlo fare, ma sentiva il bisogno di dimostrare a Black e a Lupin che lui, a Harry, ci teneva davvero. Voleva
dimostrare loro di essere degno della loro fiducia e si impose così di essere
amabile al punto giusto – quindi appena accettabile per una qualsiasi persona
che non lo conoscesse. Ma si trattenne dall’allungare neppure un dito verso
Harry, gli sorrise con dolcezza e evitò di rispondere male a Lupin che lo
interpellava educatamente, anche se
tanti anni trascorsi a scuola assieme gli davano le armi per notare
quanto, infondo, lui e il suo compagno si stessero godendo il momento. Si sentiva
un po’ in gabbia, a dire il vero.
Aveva visto Harry, però, che
sembrava sollevato per la piega che aveva preso la serata. Chissà cosa si era
immaginato accadesse. Era stato un turbinio di sorrisi e risate, al tavolo, e,
seduto al suo fianco, gli aveva trasmesso il suo calore travolgente che, dopo
anni di gelo, rappresentava per lui una strana e bella novità. Era una gabbia
foderata di cuscini.