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Autore: Feathers    11/12/2017    2 recensioni
A quale grande fan di Crowley non è mai venuta voglia di dare uno sguardo al passato del demone, alla sua vita umana travagliata, alle vicende che hanno formato la sua personalità? Questa storia narra le sue debolezze, i suoi sentimenti e incomprensioni, dalla più tenera età fino alla fine di tutto.
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Crowley, Nuovo personaggio, Rowena, Un po' tutti
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Prima dell'inizio, Più stagioni
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      III                                                                                                        




16 Maggio 1679


Il suono delle cornamuse si diffondeva per la campagna scozzese illuminata dal sole calante. L'odore del fango era ancora nell'aria, forte e dolce al contempo. A Fergus piaceva quel profumo, nonostante gli facesse venire in mente certi ricordi confusi e traumatici che avevano segnato la sua più tenera età. Gli bastava chiudere gli occhi e vedeva ogni cosa di nuovo.

Riviveva per intero quella sera di Autunno del 1671. Quell'avvenimento troppo veloce. Violento e metallico come il suono delle catene che si spezzano. Le sue si erano davvero rotte a pezzi, e lui non aveva idea di chi fosse stato a ridurle in quel modo. Era tutto buio. Sapeva solo che sarebbe potuto fuggire lontano dalla gabbia in cui era stato punito per nulla.

Me lo ricordo ancora quel bambino di dieci anni che annaspava, che si nascondeva, si copriva come poteva.

E ricordo che avrei voluto fare di più per lui. Avrei voluto - e vorrei - fare di più per aiutare tutti, ma non posso, credetemi. Non è detto che io sia completamente onnipotente come vi immaginate. Ci sono così tanti pregiudizi errati sul mio conto, non avete idea. Non ho una bacchetta magica capace di risolvere tutto ciò che accade in un nanosecondo in milioni di milioni di parti dell'universo. Anche io, come voi, ho bisogno​ di tempo, anche se pochissimo. E proprio come capita a voi umani, non è detto che io sappia gestire alla perfezione qualcosa che ho creato io stesso. Talvolta, ciò che creiamo diventa più grande di noi. Ed io non sono troppo diverso da voi, ve l'ho anche specificato più e più volte. Avete presente la frase "A mia immagine e somiglianza"? Ecco. Ed è per questo motivo che mi faccio aiutare.

Ma torniamo al nostro Fergus.

Mentre sfrecciava fra l'erba alta e fradicia di pioggia, la mia voce - l'unica cosa che potevo concedergli al momento - gli sussurrò all'orecchio, coprendo il suono della tempesta che infuriava quella notte: 'Scappa, Fergus. Corri più in fretta che puoi. Non farti raggiungere da loro. Vola via, come ha fatto il tuo amico corvo, e liberati.'

E lui mi aveva obbedito ciecamente, i capelli bagnati attaccati alle tempie, le lacrime che si confondevano con le gocce d'acqua. Non aveva paura di me, perché dentro di sé aveva capito di non averne bisogno.

A volte le cose ce le sentiamo dentro, no?

Erano passati altri otto lunghissimi anni da allora, e Fergus era cresciuto. Era diventato un attraente adolescente dai capelli color rame e la barbetta sottile, e stava lì in quel luogo asciutto e tranquillo, lontano dalla gabbia. Lontano dalle mani che picchiavano, dagli occhi freddi che lo squadravano, dagli attrezzi da lavoro.

Beh, dagli ultimi solo in parte. Si trovava un lavoretto saltuario ogni tanto - vendeva piccoli oggetti fatti da lui o quadretti, riparava mura, badava a dei bambini piccoli - ed aveva accumulato da parte un bel gruzzolo.

Ed ora si trovava in campagna, ad ascoltare lui che suonava in una colorata festa di paese.

A Fergus non piacevano quegli incontri in realtà. Cioè, voglio dire... che non ci andava pazzo. Per questo i suoi amici erano rimasti stupiti dal fatto che finalmente stesse decidendo di prenderne parte.

Chiaro come il sole: il motivo principale per cui era sceso in piazza non era la festa di San Mungo di Glasgow.

Era quella meravigliosa e folta chiazza di capelli rossi in mezzo alla banda di suonatori di cornamusa. Erano quei cristalli verdi che aveva per occhi, quelle efelidi, quel sorriso che abbagliava e gli faceva male dentro. Era lui, Angus McDevill, un musicista ventottenne che ormai aveva riscosso un enorme successo tra la folla. Tutti lo conoscevano al paese. Tutti lo stimavano. Decine di ragazze cadevano ai suoi piedi, è inutile dirlo. Non era solo bello d'aspetto, ovviamente; non era questo ciò che aveva affascinato il nostro ragazzo così tanto. Era perspicace, educato, ed aveva infiniti talenti - che Fergus aveva scoperto man mano - tra cui la musica.

Fergus si leccò le labbra, e prese un altro sorso di whisky. Gli girava già un po' la testa. Si augurò di non fare cose ridicole in sua presenza, dopo, ed allontanò con due dita il bicchiere come per impedirsi di berne ancora. Diede un'altra timida occhiata alla banda. Stavano suonando uno dei suoi pezzi preferiti.

Dal suo canto, gli parve di vedere quel viso tanto amato rivolto verso di lui. Ammiccò, e Angus ricambiò lo sguardo prima di concentrarsi un'altra volta sul suo strumento.

Ormai il paesaggio attorno a loro stava diventando più scuro. C'erano solo le luci delle candele nei tavoli del locale, che rendevano il tutto ancor più suggestivo.

Fergus si sentì pizzicare alle spalle e si girò.

"Tutto apposto?"

Si era quasi dimenticato della presenza di John. I capelli neri brizzolati - il suo amico aveva solo ventidue anni - erano sparati in tutte le direzioni, e l'adorabile sorriso sbilenco nascosto dalla barba lo faceva sembrare un arabo.

"Sto benissimo. Grazie." rispose Fergus, tranquillo.

Una delle cose che aveva imparato nel corso della vita era fingere. Era capace di nascondere di tutto ormai, e di tenere per sé i segreti più indicibili senza che nessuno sospettasse molto. La sua forte sbandata per Angus, tuttavia, era l'unica cosa che ancora faticava a reprimere. Non si era mai sentito in quel modo. Aveva guardato con bramosia molti uomini e molte donne durante la sua prima adolescenza, ed aveva imparato alcune cose sul sesso grazie a degli amichetti più informati. Ci aveva fantasticato su, si era dato piacere per la prima volta in una stanzetta in cui aveva avuto la fortuna di dormire una notte, ed aveva avuto una miriade di cotte passeggere. Ma non si era mai affezionato a qualcuno fino al punto di volerci stare per sempre.

Lui e Angus si erano conosciuti nel modo più improbabile.

Fergus era stato un vagabondo per un bel po' di tempo: ogni tanto riusciva a rimediare un soggiorno poco duraturo da qualche parte grazie ai soldi che risparmiava. Il suo corpo era sempre stato forte; poteva sopportare la fame, il freddo e la stanchezza di dover riposare su superfici dure.

La famiglia McDevill era stata la sua salvezza. A quattordici anni lo avevano prelevato dalla strada, una gelida notte di Aprile. Stava piovendo, e lui era sdraiato su una panchina con un telo sul torace che avrebbe dovuto fungere da riparo; era sporco, pieno di fango e tremante. Ricordo che mormorava nel sonno, rigirandosi più volte. Poi aveva sentito due - no, quattro - mani che lo sollevavano, e che lo portavano all'interno di un ambiente straordinariamente tiepido. Fergus non aveva ancora visto, i suoi occhi erano chiusi, impastati dal sonno. Loro l'avevano svegliato delicatamente, e Fergus si era ritrovato davanti un esercito di capelli rosso fuoco, lentiggini e pelli chiare come il latte. Era una famiglia numerosa. Una paffuta madre che amava i fiori, un austero padre che secondo me somigliava a Van Gogh, due fratelli - Angus e Dave - e tre diafane sorelle gemelle. E da lì, tutto era cambiato. Fergus aveva conosciuto ognuno di loro, aveva imparato a memoria le loro voci, i loro giochi preferiti, le loro passioni ed i loro desideri. E si era innamorato perdutamente​ di Angus, il primo che gli aveva riservato attenzioni di ogni genere, che gli aveva insegnato migliaia di cose, e che lo aveva portato in giro per la Scozia in esplorazione.

La banda smise di suonare, e Fergus scattò in piedi quasi senza accorgersene, mimando un leggero applauso. Angus non avrebbe più dovuto esibirsi per quella sera. Poteva decidere di rilassarsi bevendo qualcosa, o di ballare con qualche signorina elegante. Fortunatamente per la gelosia di Fergus, il giovane scelse la prima opzione. Raggiunse in fretta uno dei tavoli vicini a quello di Fergus, e lo salutò con un rapido cenno della mano. L'altro ebbe appena il tempo di realizzare e di ricambiare, che il rosso si era già voltato dall'altra parte. Il viso del più giovane si oscurò. Angus lo stava evitando un'altra volta. Accadeva solo quando erano in posti pieni di gente, e lo faceva soltanto con lui; non aveva problemi a stare in compagnia degli altri. Che diamine gli stava succedendo?

Angus era lì, calmo e sorridente, in mezzo ad un paio di uomini sulla trentina che sembravano fratelli e che non smettevano di versargli dello scotch. Fergus avvertì quella maledetta sensazione​ di impotenza che gli invadeva il cuore in situazioni come quella. Prese a mordicchiarsi l'interno della guancia, grattandosi la parte superiore del sopracciglio con un'unghia.

"Amico. Sul serio, ti vedo frustrato." mormorò John accanto a lui.

"No." Fergus abbassò il capo, cercando distrazioni.

John circondò la bottiglia di vetro sul tavolo con le dita. "Pff, dai! A me non menti. Sai che ti dico? Smettila di fare l'astemio per stasera e prendine ancora. Dimenticherai tutto ciò che ti turba." Gli passò l'alcol, al quale Fergus lanciò uno sguardo incredulo.

"Tracannare tre bicchieri di seguito sarebbe 'fare l'astemio' per te?" esclamò, contrariato. "Tu sei scemo!"

John rise di gusto. "Io vado un po' dall'altra parte della festa, stanno servendo della roba da mangiare che sembra ottima. Vieni?"

Fergus ridacchiò, cercando di ritrovare Angus nella piazza affollata senza farsi notare dal moro. "Uhm..."

John posò le mani sui fianchi. "Ti sei già stancato?! Non posso credere che proprio tu stia rifiutando del cibo poi... "

"De-devo sbrigare una cosa. Tu vai pure." Fergus gli fece l'occhiolino. "Buon divertimento."

John fece un sorriso sornione. "Oh beh, buon divertimento anche a te... se ho indovinato quello che devi fare." disse, indicandogli con un cenno del mento una brunetta, che non smetteva di lanciare timidi sguardi a Fergus.

Il ragazzo sorrise, ma poi ruotò gli occhi in direzione dell'amico. "Buonanotte."

---

"Hai suonato molto bene." mormorò Fergus, facendo centro col suo cappellino dentro una cesta e dando le spalle ad Angus. L'altro non rispose. Continuò a mescolare nervosamente il proprio té di mezzanotte. Il più giovane si voltò, la bocca semiaperta. Osservò con attenzione la figura seduta al tavolo, e notò la tensione su quel viso pallido. "Emh, non so se hai sentito, t-ti ho detto che..."

"Sì, me lo dici sempre." lo interruppe Angus, secco. "Grazie."

Fergus rimase in silenzio per qualche secondo, poi fece qualche passo scricchiolante nella sua direzione. "Che c'è?"

"Eh?" L'uomo sembrava distratto, confuso. Preoccupato a morte.

"Che ti è successo? Se è stato un'altra volta quell'idiota..."

"Non c'è nessun idiota. Ti ricordo che l'ultima volta che Douglas ha cercato di pestarmi è stata un sacco di anni fa. Lo schiaccerei come una mosca adesso, se riprovasse a torcermi un capello." Detto ciò, assunse un atteggiamento di chiusura, le mani che sorreggevano il mento ma coprivano in parte le guance. Prese la tazza lentamente, e sorseggiò. La nausea gli impedì di finire la bevanda.

Fergus abbassò la testa. "È che... io mi preoccupo sempre per te..."

"Non ce n'è bisogno, davvero. Ora a letto." disse Angus, con lo stesso tono neutro di prima. Per la fretta quasi urtò la sedia alzandosi.

Fergus lo seguì fino alla camera da letto, senza arrendersi, parlando mentre salivano le scale. "Angus... io ti vedo strano in questo periodo... magari, non vuoi che io stia in pensiero... ma è inutile, s-sai che tengo a te tantissimo, cioè... io voglio che tu stia... s-si può sapere che cos'hai?"

Ad un certo punto, Angus si fermò di fronte alla porta aperta della sua stanza, i pugni stretti. L'altro ebbe un piccolo sussulto.

"Che cos'hai tu, piuttosto?"

Calò il silenzio; solo l'orologio ticchettava. Fergus tacque, confuso. Una parte di lui aveva già compreso, con orrore, ciò a cui alludeva Angus, tanto che ebbe il timore di chiedere "In... in che senso?"

Il rosso si voltò. Lo fissò, gli occhi pericolosamente arrossati. "Entrambi sappiamo in che senso."

Fergus sentì il sangue andargli alla testa. No. Avrebbe voluto correre via, ma era come se i suoi piedi fossero rimasti incollati sul pavimento.

"Smettila. Immediatamente." scandì Angus.

"Io-"

"Smettila di seguirmi. Smettila di fissarmi in quel modo ridicolo. Di starmi addosso. Di parlare di me a tutti come se ogni cosa che faccio fosse un'impresa. Di ossessionarti ogni volta che mi vedi giù di morale. Piantala!" urlò, la voce malferma.

Fergus era sbiancato come un lenzuolo. Non realizzava l'accaduto, né le parole del suo amico, che continuavano a fargli eco nella testa. "Mi dispiace." disse, sull'orlo delle lacrime. "Mi dispiace davvero, io non ho mai voluto metterti nei... qualcuno ti ha... detto qualcosa?" mormorò sommessamente.

Angus si portò una mano sulla fronte, coprendosi gli occhi per qualche istante. "No. Ma se osi continuare, ti caccio via da qui, lo giuro."

"Mi dispiace... non lo farò mai più... io voglio solo che tutto torni come prima... ti ricordi quando mi portavi in giro, mi insegnavi delle cose... non ti vergognavi a parlare con me di fronte agli altri? Per favore torniamo indietro..."

"Non si torna indietro, non dopo scoperte del genere. Cioè, lo so da alcuni anni, ma credevo ti sarebbe passata. Sei malato."

Gli occhi del più giovane erano ormai inondati, gocciolavano. Piangevano silenziosamente. "Non è vero."

L'altro scosse il capo. "Sì che è vero. Sei malato, e mi dispiace. Ma non puoi far ammazzare pure me. Quindi o ti curi, o io..."

"Non dire queste cose!" gridò Fergus, le unghie ormai conficcate nei palmi per la rabbia e per l'emozione di stargli dicendo finalmente ciò che provava. "Io non sono malato... io ti voglio bene... te ne ho sempre voluto e-"

"Credimi, non è così..."

"Sì che te ne voglio, idiota!" urlò Fergus, ancora più forte. "Darei la mia vita per te... e sì, mi piaci... ma-"

Angus serrò le palpebre, come se si stesse riparando da un vento tossico, da qualcosa di maligno che gli stesse piombando addosso. "Smettila di dire stronzate... esci da qui, muoviti. Non ho intenzione di toccarti per costringerti."

"Non vado da nessuna parte." Fergus lo fissò con rabbia crescente negli occhi umidi. Ingoiò a vuoto.

Il più grande aveva uno sguardo minaccioso. "Vuoi che lo dica agli altri? Che ti accusi di essere un frocio?"

"Non lo faresti." rispose l'altro, il tono di sfida.

"Sì che lo farei, se non ti decidi ad andartene. Fallo ora o mai più, sono tutti fuori città per miracolo. Sbrigati e inventerò una scusa. La mamma non ti lascerebbe mai andare." disse il rosso senza guardare il ragazzo che aveva salvato, tormentandosi il labbro. "Accidenti a me e a quando ti ho visto dalla finestra anni fa."

Fergus rimase ferito dopo quella frase, ma anche vagamente sorpreso. Quindi era stato proprio Angus ad accorgersi di lui? In quel momento, il ragazzo entrò nel suo spazio di riflessione nel quale si rifugiava ogni volta che gli stava accadendo qualcosa di orribile. Serviva ad allontanarlo da tutto, ad ammortizzare le botte. Si figurò un Angus che lo vedeva su quella maledetta panchina, che andava a chiamare i genitori, a dir loro di sbrigarsi e di salvarlo dal gelo a causa del quale aveva rischiato di morire.

"Allora?" chiese Angus, tirandolo bruscamente fuori dai suoi pensieri. "Esci... o no?"

Fergus assottigliò lo sguardo, ancora mezzo incantato dalla sua visione; non vedeva bene a causa delle lacrime. Gli era balenata in mente una mezza idea. Esitò per poco, poi fece un rapido passo in avanti. Premette il proprio corpo su quello di Angus, tanto da riuscire a vedere nel dettaglio le efelidi di quest'ultimo, e portò le labbra morbide sulle sue, iniziando a baciarlo con foga. La sua mano scivolò sul fianco dell'uomo che stranamente non si opponeva. Non ancora. Fergus si strofinò su di lui, strappandogli un gemito soffocato. Un istante dopo, Angus lo spinse via in un modo talmente brusco da rischiare di fargli seriamente male. La schiena del più piccolo sbatté sulla parete opposta.

"Figlio di puttana! Che diavolo fai!?" urlò Angus, le guance chiazzate di un rosso vivo. "Sparisci o giuro che ti-" Si interruppe.

Il biondo sorrideva ancora sardonico, gli occhi scintillanti e la bocca umida. Lo fissò sfacciatamente in basso, proprio fra le gambe, e notò ciò che si era aspettato di vedere. Tornò al viso paonazzo di Angus, la cui sicurezza stava vacillando. Per pochi secondi calò un silenzio tombale, scandito solo dal respiro pesante di Fergus, il quale mosse due o tre coraggiosi passi, arrivando di nuovo accanto a lui. Avvicinò le labbra sotto il suo orecchio, e sospirò con calma. "Non aver paura." Gli stampò due baci delicati sotto il lobo, sulla guancia, poi scese sul collo. "Non aver paura." La sua mano scese ad accarezzargli il ventre, poi la coscia sinistra sotto il kilt.

Angus era paralizzato. Non si muoveva più. L'unica cosa che pareva infondere un po' di vita alle sue membra era il cuore, che gli martellava sotto i vestiti. "Ferg..." mormorò, il tono infinitamente ammorbidito, gli occhi gonfi di lacrime.

Il ragazzo lo ignorò.

"Sai che non possiamo... smettila. Non-"

"Sssh." mormorò il ragazzino, aprendosi qualche bottone di fronte allo sguardo scioccato del suo amico. Si tolse la camicia in un secondo, restando a petto nudo. "So che lo vuoi..."

"Io non sono così... come te." soffiò Angus, fissando il corpo mingherlino dell'altro. "Sai che non posso esserlo... non potrei..."

"Stronzate." Mormorò Fergus, avvicinandosi di più, la voce ancora malferma. "Dimmi solo la verità, e poi me ne andrò. Ammetti che in realtà ti piaccio."

Angus oppose resistenza, mordendosi le labbra. Il suo flusso di pensieri si interruppe, sostituito dalla confusione, dall'odio per sé stesso che stava provando in quei momenti e che gli impediva di formulare una frase di senso compiuto.

Ad un certo punto, Fergus smise di fissarlo in attesa di una risposta, ed appoggiò il capo sul petto del più grande. Gli accarezzò la schiena nel modo più tenero al mondo. "Almeno dimmi la verità. Giuro che non mi farò più vedere, ma... ti prego. Sii sincero con me."

Angus chiuse gli occhi e sospirò, odiandosi più di quanto aveva mai fatto in tutta la sua vita. Piano piano, con un movimento meccanico, sfiorò i capelli soffici del ragazzino. Passò molto tempo prima che l'uomo potesse sussurrare: "Perché dovevo... nascere così?" così piano che neanche Fergus capì ciò che stava dicendo.

All'improvviso, Angus lo spinse dolcemente in direzione del suo letto, sorprendendolo; lo fece sdraiare sulla schiena. "Aspetta un istante." Si liberò goffamente degli ultimi vestiti rimasti.

Il più giovane si rimise a sedere sul materasso, e fissò da capo a piedi il bel corpo del suo amico con un po' di apprensione negli occhi. "Sul serio?..."

"Se vuoi, sì." Il rosso si accigliò, raggiungendo Fergus fra le lenzuola. Poggiò solo la mano sulla sua, e lo circondò con l'altro braccio, attirandolo a sé. "È la tua prima volta, giusto...?" sussurrò al suo orecchio.

Il ragazzino gli accarezzò la nuca, spostandogli le ciocche di capelli color carota. "S-sì... io non ho mai..."

"Tranquillo." Angus gli posò un bacio sulle labbra.

Fergus annuì, sentendosi felice per la prima volta dopo tanti anni. "Ti voglio."

"Lo so, lo so..."

Fecero l'amore per tutta la notte, e Angus dovette ammettere almeno a sé stesso che non si era mai sentito meglio in vita sua. E non era per via del sesso stupendo - non solo per quello, intendo. Tante volte era finito a letto con delle ragazze - come vi ho già raccontato, era molto ambito - ma nessuna di loro l'aveva mai fatto sentire così desiderato. Inoltre, sapeva perfettamente di essere bisessuale; l'aveva sempre saputo, ma non si era mai azzardato a toccare un uomo, e credeva che sarebbe riuscito a mantenere quella stupida promessa per sempre.

Dal canto di Fergus, quei baci bramati da una vita, quelle carezze nei luoghi più impensabili, il sapore della sua pelle e quei gesti inaspettati erano tutte sensazioni mai sperimentate prima che lo stavano sconvolgendo.

Si addormentarono assieme, accoccolati tra le lenzuola. E non si raccomandarono nemmeno di non raccontare nulla a nessuno. Non ce n'era bisogno. Perfino il più grande stupido non avrebbe corso il rischio anche solo di parlare di omosessualità nel diciassettesimo secolo.

Com'è triste, sciocca e violenta l'umanità, alle volte. È proprio odiando e punendo il modo in cui vi ho creato che si diventa violenti contro natura, non accettando le 'differenze' altrui. I vostri occhi sono diversi. Il colore della vostra pelle è diverso. I vostri visi sono diversi. E anche i vostri gusti sono diversi. È così che vi ho creato.

Il male è altro. È decisamente altro, e mi sorprende che ci siano ancora persone che non l'hanno compreso.


---


17 Maggio 1679


La mattina seguente, Fergus uscì dalla casetta con delle occhiaie assurdamente marcate ed i capelli al vento. Nonostante ciò, canticchiava felicemente mentre andava a fare la spesa al mercato. Aveva deciso di fare una sorpresa ad Angus, prima che l'uomo tornasse a casa dal lavoro. Gli avrebbe preparato un dolce, anche se non era ancora eccezionale in cucina. Si avvicinò alle tendine bianche e salutò Miss Mary, l'anziana fruttivendola con la quale aveva instaurato un bel rapporto da quando era giunto lì.

"Fergus! Da quanto tempo!"

Il ragazzo sorrise. In realtà erano passati solo pochi giorni dall'ultima volta che era andato a comprare la frutta, ma non volle ricordare alla cara signora i problemi di memoria che la affliggevano.

"Vi trovo molto bene..." disse Fergus, le mani nelle tasche.

Mary ammiccò, mettendo in evidenza le guance grinzose, e si sfiorò la treccia bianca. "Oh, grazie, tesoro. Cosa ti serve?"

Fu proprio in quel momento che Fergus udì una voce riconoscibile proveniente dalla fila di gente dietro di sé.

"Quello lì è pericoloso. Non so se hai visto ieri come fissava Mister Carota. Porta malattie, indovina un po' perché..."

Sembrava essere proprio Doug. No, se fosse successo qualcosa ad Angus a causa sua, Fergus non se lo sarebbe mai più perdonato.

"U-un chilo di mele, per favore..." mormorò il giovane, sentendosi le gambe molli al solo pensiero.

Mary notò il colore di quel viso ancora innocente cambiare di colpo. "Fergus... stai bene? Ti sei impallidito di molto..."

Di nuovo la voce: "Vedi... pure la signora se n'è accorta... te lo dico io che cos'ha quel pervertito... se riesco ad acciuffarlo..."

"Signora, sono in salute, t-temo solo d'aver preso un malanno... c-cioè, qualcosa di poco grave... una sciocchezza... avverto un dolore alla testa..." farfugliò Fergus, tremando un po'.

Mary abbassò il capo e sorrise ancora. "...forse hai semplicemente avuto una nottataccia. Tieni, portati un paio di mele in più, te le regalo. Vieni sempre qui da me per la frutta di stagione..."

"Grazie..." riuscì solo a cavar fuori Fergus, e prese il suo sacchetto. "Siete molto gentile. Passate una buona giornata."

"Buona giornata a te!" rispose la vecchina, allegramente, salutandolo con la mano.

Il ragazzo si allontanò in fretta, guardando dietro di sé. Navigò tra la folla soffocante del mercato e scese giù per la collina di corsa, voltandosi di tanto in tanto e avvistando solo mulini, casette, alberi, campi coltivati. Nessuna ombra di Doug.

Credette di averlo seminato.

Chiaramente, quando arrivò a casa l'ansia non gli permise di fare nulla che richiedesse un minimo di concentrazione. Rimase a letto quasi per tutto il giorno, con la mente affollata da brutti pensieri.

---


Angus aprì la porta di casa alle nove di sera, e si chiuse a chiave come se stesse fuggendo dalla peggiore delle tempeste. Ebbe appena il tempo di entrare che già Fergus lo raggiunse, il viso spaventato, afferrandolo per le braccia. "Hey... tu-tutto okay?"

L'uomo si limitò a fissarlo con gli occhi verdi ed inespressivi.

"Angus... che, che succede?"

"Non c'è tempo per spiegare. Devi andare via. Ti vogliono." sussurrò, e si girò, marciando a passo di soldato verso un fagotto vuoto per terra.

Fergus era ancora confuso, spiazzato, immobile sull'uscio serrato. Guardò Angus come se avesse avuto di fronte un fantasma. "Chi mi vuole...? Come lo hai saputo...? E dove... vado? Io non vado da nessuna parte..."

Il rosso si girò, in lacrime. "Vuoi farci ammazzare?"

"No!"

"Beh, allora scappa e sbrigati. O ci bruciano entrambi come due streghe."

Fergus schiuse le labbra, mentre le parole dell'uomo che amava facevano eco nella sua testa. Come due streghe. Già. Sua madre era una di quelle. E a lui piacevano sia gli uomini che le donne. O meglio, se ne fregava di cosa fossero le persone da cui era attratto.

Erano entrambi da condannare, allora.

"Una persona fidata verrà a prenderti di notte..." continuò Angus a testa bassa, preparando il fagotto del biondo, riempendolo dei suoi oggetti personali. "Ci ho parlato dopo il lavoro. Non devi temere. È un buon uomo. Ti porterà a casa sua... è parecchio lontana da qui..."

Fergus riuscì solo a singhiozzare, senza potersi trattenere. "Non ti vedrò mai più... "

Ci fu un momento di silenzio, durante il quale il più grande tirò un sospiro lunghissimo. Camminò fino a giungere di fronte al ragazzino e lo abbracciò forte, premendo la sua testa sul proprio petto ormai bagnato dalle lacrime silenziose. "Non so come lo hanno saputo, Doug e Ryan. Alle volte ho l'impressione che Doug abbia delle strane capacità... psichiche. Che mi prendano pure per pazzo..." Si morse un labbro. "Mi hanno minacciato al lavoro... che se non ti consegno entro domani sera verranno a prendere entrambi, e ci faranno uccidere. Fingerò che sei scappato. A me andrà tutto bene, promesso." mormorò, la voce completamente spezzata.

Il biondo si separò di poco dall'altro, abbastanza da guardarlo negli occhi. "Giurami che starai bene. Non è giusto, io non voglio andare da nessuna parte... questa è la mia famiglia... io ti..."

Angus si sforzò per non crollare. "Lo so, lo so." Lo baciò sulla tempia umida di lacrime, e poi sulla bocca, piano. "Lo so. E mancherai a tutti... ho ancora il tuo disegno di quando sei arrivato qui... lo sai?"

"Dove lo tieni...?"

"Sotto il cuscino. Non l'hai notato ieri sera?" Tornò a sorridere impercettibilmente per un istante. "Ah già, eri troppo preso..."

Fergus si asciugò il viso, e tornò ad appoggiarsi a lui, affogando nella sua stretta. "G-grazie. Di tutto. Sarei morto anni fa se non fosse stato per te. Giurami che sarai in salvo..."

"Lo sarò..." ripeté l'altro, tristemente. "Perdonami per ieri sera..."

"Avevi ragione. Adesso se ti faranno del male sarà colpa mia... avresti dovuto buttarmi fuori..."

"No... no no no." fece Angus, cullandolo piano piano. "Ti ringrazio per avermi permesso di essere me stesso. Sei tu quello che avrebbe dovuto picchiarmi per come mi sono comportato."

L'altro non rispose più.

Rimasero abbracciati a lungo, per un tempo interminabile, prima che il più grande sussurrasse: "Ora andiamo... e sbrighiamoci."

--- La carrozza era semibuia.

I suoi pensieri anche. Freddi e grigi come quella notte. Era la prima volta nella sua vita che non gliene fregava nulla di ciò che c'era fuori dal finestrino.

Aveva capito che non avrebbe mai avuto una casa.

Era nato nomade e adulto, come vi ho già raccontato. Era un vagabondo che non comprendeva il mondo in cui era stato incastrato dalla nascita, che non era mai stato davvero un bambino, e che oltre al mulino e a quelle poche felicità non aveva molto che si potesse raccontare con un sorriso sulle labbra.

Anche per quel motivo, inizialmente, non rivolse la parola all'altro ragazzino che fissava il vuoto accanto a lui nella carrozza, che - come lui - non si girava a guardare il paesaggio, e che non aveva alcuna espressione in quegli occhi blu.

Fergus sbirciò a lungo il suo profilo, prima di riprendere a guardare altrove.

Pensò che poteva avere tredici anni, o poco più. Era magro in modo preoccupante. Solo quasi alla fine del viaggio, gli occhi del biondo caddero sulle mani del ragazzino.

Erano piene di graffi.





*Angolo di Feathers*
Sì sì, Angus è una specie di "Dean", lo ammetto. (Una specie, eh) E ovviamente non mi sono risparmiata né l'angst né il finale. Non mi uccidete, alla prossima :3
   
 
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