Wao ragazze, l'ultimo capitolo ha avuto proprio successo :..) non avete idea di quanto mi faccia piacere trovare tutte queste recensioni per la mia "opera"!! Se esiste un capitolo 7 è solo merito vostro!! Mi limito a ringraziare coloro che mi hanno recensito: morbidina, Merry NIcEssus, lara27, nimi_chan, Bastard87, Charlie_me, Silvietta (:p), Vale728, SweetCherry e ChasingTheSun, poi un grazie e un abbraccio grande grande a coloro che mi hanno aggiunta tra le preferite e tra le seguite!! GRAZIE!!!
Ora vi lascio al capitolo. Buona lettura!!
Smack :*
Capitolo
VII
“Benvenuta.”
Sgranai gli occhi, guardandolo.
Stava scherzando? Benvenuta?
Se aveva intenzione di prendersi ancora gioco di me non glielo avrei
permesso!
Incrociai le braccia, rimanendo
con le spalle contro la porta
in modo da tenere d’occhio ogni suo minimo movimento e
controllare che si
tenesse ad una degna distanza da me. Lui sembrava del tutto a suo
agio… Beh
certo, non era mica lui quello che era stato appena rapito.
Odio doverlo ammettere, ma era
ancora più bello di come lo
ricordassi. Indossava una camicia bianca a maniche corte allacciata
dentro un
paio di jeans neri lunghi e stretti, e malgrado il semplice
abbigliamento aveva
uno strano qualcosa che lo faceva somigliare ad un modello…
Forse erano i
capelli neri o gli occhi verdi, che sembravano risplendere, allegri e
compiaciuti.
Che faccia da schiaffi! Pensai,
aggrottando la fronte. Enrico rimase immobile al centro della stanza,
continuando a sorridere nell’inutile tentativo di mettermi a
mio agio, presumo,
e solo allora notai che aveva un bicchiere pieno tra le mani. Forse era
un
aperitivo, a giudicare dal colore.
“Non vuoi
sederti?” Chiese, indicandomi il divano posto
accanto al camino di pietra spento.
Io sollevai un sopracciglio.
“Che cosa ci faccio qui?”
Replicai invece, dando finalmente voce ad una domanda che mi martellava
la
testa da quando ero salita in macchina, prima.
“Volevo
rivederti.” Rispose, semplicemente.
Sgranai gli occhi, scuotendo la
testa. “Cosa vuol dire che
volevi rivedermi?” Esclamai, facendo qualche passo avanti ma
stando ben attenta
a non avvicinarmi troppo a lui. “Stai scherzando? Mi hai
fatta rapire per
questo?”
Mi tremava la voce da quanto ero
arrabbiata, e l’espressione
che assunse lui di tenerezza non fece che farmi infuriare ulteriormente.
“Non
arrabbiarti.” Sussurrò. “Vieni, siediti
e parliamone con
calma.”
“Non ho nessuna
intenzione di sedermi!” Ribattei, tornando
verso la porta. “Voglio tornare subito a casa mia, hai
capito? Subito!”
Lui sospirò,
incrociando le braccia e guardandomi con
tristezza. “Credevo che Stefano te lo avesse
detto…”
Scossi la testa.
“Stefano ha detto che avrei dovuto
discuterne con te. Che cosa avrebbe dovuto dirmi?”
“Stanotte dormirai qui.
E forse anche le notti dopo.”
Sbattei più volte le
palpebre, come per assimilare meglio
quella notizia. Era… Era uno scherzo, vero? “Non
puoi credere davvero che io
rimarrò a dormire qui!” Esclamai, più
stupita che furiosa.
Enrico sorrise debolmente, come
se fosse incredibilmente
stanco. Beh, non mi importava. Avevo abbastanza problemi miei senza che
mi
mettessi a preoccuparmi anche di quelli del mio rapitore. Figuriamoci!
“Vieni a
sederti,” ripetè, gentilmente. “Poi
vediamo. Può
darsi che io cambi idea.”
Lentamente, come se temessi che
da un momento all’altro
potesse aggredirmi con un qualche coltello nascosto, mi avvicinai a
lui,
raggiungendo il divano e sedendomi su di esso. Enrico invece si sedette
sul
bracciolo della poltrona che mi stava di fronte. Accavallai le gambe e
incrociai le braccia, in modo che il messaggio corporeo non fosse
frainteso;
sembravo urlare in silenzio: Non ti avvicinare o peggio per te!
“Come sta il tuo
fidanzato?” Esordì, con tono nuovamente
malizioso.
Mi ci vollero alcuni secondi per
capire che stava parlando di
Matteo. “Beh, come vuoi che stia? Ha metà della
faccia completamente viola, e
quasi non riesce ad alzarsi dal letto!” Esclamai, forse con
troppa animosità:
non ero arrabbiata perché aveva picchiato Matteo, ma
perchè era il principio
che mi faceva infuriare. “Era necessario pestarlo a quel
modo?”
Gli occhi di Enrico si ridussero
a due fessure, e per un
attimo vidi lo stesso sguardo minaccioso che aveva rivolto al mio amico
quella
notte, in discoteca. “Lo avevo avvisato, è stato
stupido da parte sua uscire da
solo.” La sua voce tremenda mi fece rabbrividire.
“E credi che questo sia
normale?” Sbottai, senza pensarci.
“Dì un po’, picchi tutti quelli che
minacci, così, per il semplice gusto di
farlo?”
Lui però non mi
rispose. Mi stava fissando con uno strano
sorriso stampato sul volto, come se si fosse appena reso conto di
qualcosa che
lo rendeva incredibilmente felice. “Lui non è il
tuo ragazzo.” Disse: non era
una domanda. “Non sei preoccupata per lui, ti da
semplicemente fastidio che io
l’abbia picchiato. Non è
così?”
Non seppi cosa rispondere: era
assurdo, come l’aveva capito?
“E se anche fosse?” Replicai, decidendo che era
meglio reagire che farsi vedere
spaventata.
Scrollò le spalle,
disinvolto, rivolgendomi poi un sorriso
che fu senza dubbio il più sincero che avessi mai visto sul
suo viso. “Mi fa
piacere che tu non sia fidanzata.”
Quella frase sussurrata mi fece
mio malgrado arrossire.
Distolsi lo sguardo da lui, portandomi una ciocca di capelli dietro
l’orecchio
in un gesto che, ne ero sicura, mi faceva sembrare una ragazzina timida
e
imbarazzata: il che non si allontanava molto dalla verità,
ma era un gesto che
facevo in continuazione quando ero agitata o mi sentivo a disagio. Oh
mamma.
“Questo non fa nessuna
differenza.” Replicai, sforzandomi di
ignorare il tono in cui aveva pronunciato le ultime otto parole.
“O almeno, non
la fa per te. Prima o poi si accorgeranno che non sono rientrata a
casa, e
quando verranno a prendermi andrò subito dai carabinieri a
raccontare che razza
di delinquente tu sia!”
Purtroppo, la mia
‘velata’ minaccia non sortì alcun tipo
di
effetto. Anzi: Enrico si mise a ridere come se avessi raccontato la
barzelletta
più divertente del mondo, e fu costretto a posare il
bicchiere sul tavolino che
separava la sua poltrona dal divano nel quale ero seduta per non
rovesciarsene
il contenuto addosso. Sicuramente il mio sguardo fu talmente furioso e
offeso
dalla sua reazione che si costrinse a ricomporsi, tornando serio ed
impeccabile
e mantenendo solo uno sguardo allegro. Ero l’unica ad essere
arrabbiata? Molto
sicuramente, si.
“Perdonami, non avevo
intenzione di mancarti di rispetto.” A
quella frase sussurrata sgranai impercettibilmente gli occhi, stupita
da quelle
parole. Per essere un delinquente parlava in modo piuttosto forbito.
“Ma non
crederai davvero di andare a denunciarmi, vero? So che non lo
farai.”
Questa volta spettò a
me ridere, anche se lo feci con molta
più amarezza. “Ne sei davvero sicuro?”
Ribattei. “Fossi in te non ci conterei
troppo.”
A quel punto si alzò
dalla poltrona e venne a sedersi accanto
a me, incurante del fatto che mi fossi allontanata da lui il
più possibile. Mi
imprigionò con le braccia contro lo schienale del divano,
nell’angolo del
bracciolo, in modo da impedirmi di alzarmi o anche solo di spostarmi di
qualche
centimetro. Era vicino, accidenti. Troppo vicino.
Deglutii.
“I tuoi amici non sanno
dove sei, però loro sono al sicuro.”
Mormorò, avvicinando le labbra al mio orecchio e facendomi
rabbrividire con il
suo caldo respiro. “Cerca di fare in modo che rimangano
tali… Se mi disobbedisci
in qualsiasi modo, farò loro del male, e ti assicuro che
sembrerà un
incidente.”
Parlava come farebbe un amante
nell’intimità di una camera da
letto, con la stessa voce calda e rassicurante, leggermente roca:
eppure le sue
parole erano tutto fuorché rassicuranti. La sua era una
minaccia bella e buona;
non era ricorso a metafore complicate per farmi capire che, qualsiasi
cosa io
avessi fatto di sbagliato e che lo avesse innervosito o fatto
arrabbiare, lui
non avrebbe esitato a far del male ai miei amici. Prima di allora avevo
sempre
creduto che tutte le storie che si raccontavano sulla famiglia Occhi
Belli
fossero delle semplici leggende metropolitane dettate
dall’invidia che la
maggior parte delle persone del paese nutriva nei loro confronti, e
perciò, in
quanto tali non bisognava prenderle troppo sul serio.
Ma forse mi sbagliavo. In fondo,
Enrico non si era messo
troppi scrupoli a picchiare un mio amico per il semplice fatto che
aveva osato
rispondergli. Che razza di creatura senza cuore poteva mai essere?
Avevo l’impressione che
il cuore volesse uscirmi dal petto,
da quanto stava battendo furioso. Mi limitai ad annuire, senza
guardarlo, senza
osare perdermi in quei bellissimi occhi verdi come il mare in tempesta
e
altrettanto pericolosi… Eppure non riuscii ad impedire ai
miei di trattenere le
lacrime. Ero davvero troppo, troppo spaventata. Anzi, a dire il vero le
sue
ultime parole mi avevano letteralmente terrorizzata.
Cosa di cui lui si accorse.
Mi portò due dita
sotto il mento, sollevandomi il volto in
modo che lo guardassi. Non volevo che mi vedesse piangere, ma non potei
fare
nulla per oppormi. La sua minaccia bruciava ancora.
“Non piangere,
tesoro.” Quello che mi stupì fu che non
c’era
traccia di scherno nella sua voce, ma solo una sincera e dolce
preoccupazione.
“Se ti comporterai bene non ci sarà nessun bisogno
di essere cattivo. Devi solo
fare da brava, e voglio che tu mi prometta che non proverai a scappare
in
nessun modo. La campagna che c’è qui intorno
può essere molto più pericolosa di
me, te lo assicuro.”
Rinunciai ad asciugarmi le
lacrime e lo guardai con
decisione, cercando di non far tremare la mia voce. “Cosa
vuol dire che devo
fare da brava? Hai intenzione di violentarmi e pensi che io te lo
lascerò fare
senza neppure provare a difendermi? Sei davvero uno stupido se lo
credi!”
A quelle parole si
allontanò da me come se lo avessi colpito
con uno schiaffo, osservandomi con un’espressione
sinceramente ferita e
confusa. “Violentarti?” Ripeté a bassa
voce, come se non credesse a quello che
avevo appena detto e stesse cercando una conferma da me. Io
però tacqui,
limitandomi ad osservarlo disgustata.
“Non ho nessuna
intenzione di abusare di te! Come puoi
credermi capace di fare una cosa simile?” Esclamò
poi, mettendo nuovamente una
bella distanza tra me e lui.
“Io non ti conosco, non
so chi sei.” Replicai, senza staccare
gli occhi da lui. “E se non è per questo, allora
si può sapere perché accidenti
mi hai fatta rapire e portare in questo posto sperduto?”
“Te l’ho
detto,” mormorò, tornando a sedersi sul bracciolo
della poltrona. “Volevo rivederti, e volevo anche…
uscire… con te.”
Quell’ultima frase mi
fece davvero restare a bocca
aperta. “Non… Non potevi semplicemente…
chiedermelo?” Chiesi, raddrizzandomi ed
eliminando le ultime stille salate dalle mie guance. Non riuscivo a
credere che
la conversazione avesse preso quella piega.
Enrico scosse la testa.
“Non sapevo come trovarti, e inoltre…
Volevo essere certo che non mi avresti dato una risposta
negativa.”
Oh, ma certo, adesso
sì che si spiegava tutto! Come avevo
fatto a non capirlo subito? L’ultimo discendente della
famiglia più potente e
temuta di tutta la regione mi aveva fatta rapire e portare in una
vecchia villa
abbandonata da Dio perché aveva paura che, se mi avesse
chiesto di uscire in circostanze
normali, avrei potuto rispondergli di no! Mio Dio,
in che razza di
situazione ero finita!
Credo di essere rimasta per una
manciata di interminabili
secondi in silenzio, seduta, senza quasi respirare. Ma poi scossi la
testa, mi
alzai e sollevai il capo per affrontarlo.
“Okay, basta. Credo di
averne avuto abbastanza, per
stanotte.”
“Vuoi andare a
letto?” Chiese, con assoluta ingenuità.
Io sospirai, ormai completamente
esasperata. “Mio Dio, no!
Voglio che mi riporti subito a casa! Ti lascerò il mio
numero di telefono, se
proprio ci tieni, ma non ho nessuna intenzione di passare la notte qui,
né ora
né mai! Perciò, per favore,
prendi la macchina e portami a casa. O, se
tu non ne hai voglia, fammi uscire da qui e chiederò a
Stefano di
accompagnarmi.”
La sua espressione non mi piacque
per niente. Temetti che
stesse per mettersi ad urlare, furioso, o che chiamasse i suoi amici
per
legarmi e portarmi di peso in un qualche sotterraneo con celle
segrete…
Insomma, in quei pochi secondi pensai ad infinite e possibili sue
reazioni. Ma
neanche una si avvicinò a quello che fece lui.
Chiuse un secondo gli occhi,
prese un bel respiro e poi,
quando il suo sguardo si posò nuovamente su di me, mi
sorrise. Io tremai.
“Non
c’è nessun bisogno di chiedere a Stefano, ti posso
accompagnare io.” Si avvicinò ad un tavolino di
legno sul quale facevano bella
mostra di sé delle bottiglie di vino e degli aperitivi, e
con molta naturalezza
versò in due bicchieri di vetro un po’ di questi
ultimi, creando un liquido
rosso che già conoscevo.
“È un Red
Heart, ti ricordi?” Sorrise, porgendomelo.
“Facciamo un piccolo brindisi a questo nostro incontro e poi
ti accompagno a
casa. Va bene?”
Non ne ero molto sicura, ma in
fondo un piccolo sorso del mio
aperitivo preferito non avrebbe certo fatto cascare il mondo. Presi il
bicchiere dalla sua mano, e poi me lo portai alle labbra. Non era
molto, così
con due sorsi lo terminai.
Enrico ora mi stava guardando con
una strana malinconia nello
sguardo. “Non volevo arrivare a questo, Giulia. Mi
dispiace.” Mormorò,
prendendomi il bicchiere ancora freddo dalle mani per poi posarlo sul
tavolino.
Non compresi le sue parole, ma
dopotutto non ebbi il tempo di
dire o fare qualsiasi cosa. Sentii un feroce mal di testa, che giudicai
colpevole anche della strana sensazione di pesantezza delle
palpebre… Che cosa
mi stava succedendo? Avevo sonno… Tanto sonno…
La vista mi si annebbiava, e
persino le gambe divennero più
deboli, fino a quando non cedettero.
Prima che il buio e
l'oscurità mi inghiottissero, credetti di
sentire un paio di braccia forti e muscolose afferrarmi prontamente in
modo da
non farmi cadere per terra, ma era come il ricordo di un sogno,
perciò non ne
fui molto sicura…
Sentii il calore del suo corpo
contro il mio, e poi tutto
diventò nero.