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Autore: Niglia    24/06/2009    11 recensioni
{Vecchio titolo: The Wrong Man}
Giulia è una normale ragazza di 18 anni; va a scuola, esce con le amiche e, quando capita, con qualche ragazzo, ma non è certo alla ricerca del Principe Azzurro.
Sembra l'inizio di un'estate come le altre quando, all'improvviso, compare Enrico: l'erede di un impero criminale, bello e affascinante, che si invaghisce di lei e la obbliga, un po' con le buone e un po' con le cattive, a frequentarlo...
"I tuoi amici non sanno dove sei, però loro sono al sicuro." Mormorò, avvicinando le labbra al mio orecchio e facendomi rabbrividire con il suo caldo respiro. "Cerca di fare in modo che rimangano tali... Se mi disobbedisci in qualsiasi modo, farò loro del male, e ti assicuro che sembrerà un incidente."
Parlava come farebbe un amante nell'intimità di una camera da letto, con la stessa voce calda e rassicurante, leggermente roca: eppure le sue parole erano tutto fuorchè rassicuranti. La sua era una minaccia bella e buona...
[dal Capitolo 7]
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Ringraziamenti!
Wao ragazze, l'ultimo capitolo ha avuto proprio successo :..) non avete idea di quanto mi faccia piacere trovare tutte queste recensioni per la mia "opera"!! Se esiste un capitolo 7 è solo merito vostro!! Mi limito a ringraziare coloro che mi hanno recensito: morbidina, Merry NIcEssus, lara27, nimi_chan, Bastard87, Charlie_me, Silvietta (:p), Vale728, SweetCherry e ChasingTheSun, poi un grazie e un abbraccio grande grande a coloro che mi hanno aggiunta tra le preferite e tra le seguite!! GRAZIE!!!
Ora vi lascio al capitolo. Buona lettura!!
Smack :*










Capitolo VII






 

 

 

 

“Benvenuta.”

Sgranai gli occhi, guardandolo. Stava scherzando? Benvenuta? Se aveva intenzione di prendersi ancora gioco di me non glielo avrei permesso!

Incrociai le braccia, rimanendo con le spalle contro la porta in modo da tenere d’occhio ogni suo minimo movimento e controllare che si tenesse ad una degna distanza da me. Lui sembrava del tutto a suo agio… Beh certo, non era mica lui quello che era stato appena rapito.

Odio doverlo ammettere, ma era ancora più bello di come lo ricordassi. Indossava una camicia bianca a maniche corte allacciata dentro un paio di jeans neri lunghi e stretti, e malgrado il semplice abbigliamento aveva uno strano qualcosa che lo faceva somigliare ad un modello… Forse erano i capelli neri o gli occhi verdi, che sembravano risplendere, allegri e compiaciuti.

Che faccia da schiaffi! Pensai, aggrottando la fronte. Enrico rimase immobile al centro della stanza, continuando a sorridere nell’inutile tentativo di mettermi a mio agio, presumo, e solo allora notai che aveva un bicchiere pieno tra le mani. Forse era un aperitivo, a giudicare dal colore.

“Non vuoi sederti?” Chiese, indicandomi il divano posto accanto al camino di pietra spento.

Io sollevai un sopracciglio. “Che cosa ci faccio qui?” Replicai invece, dando finalmente voce ad una domanda che mi martellava la testa da quando ero salita in macchina, prima.

“Volevo rivederti.” Rispose, semplicemente.

Sgranai gli occhi, scuotendo la testa. “Cosa vuol dire che volevi rivedermi?” Esclamai, facendo qualche passo avanti ma stando ben attenta a non avvicinarmi troppo a lui. “Stai scherzando? Mi hai fatta rapire per questo?”

Mi tremava la voce da quanto ero arrabbiata, e l’espressione che assunse lui di tenerezza non fece che farmi infuriare ulteriormente.

“Non arrabbiarti.” Sussurrò. “Vieni, siediti e parliamone con calma.”

“Non ho nessuna intenzione di sedermi!” Ribattei, tornando verso la porta. “Voglio tornare subito a casa mia, hai capito? Subito!”

Lui sospirò, incrociando le braccia e guardandomi con tristezza. “Credevo che Stefano te lo avesse detto…”

Scossi la testa. “Stefano ha detto che avrei dovuto discuterne con te. Che cosa avrebbe dovuto dirmi?”

“Stanotte dormirai qui. E forse anche le notti dopo.”

Sbattei più volte le palpebre, come per assimilare meglio quella notizia. Era… Era uno scherzo, vero? “Non puoi credere davvero che io rimarrò a dormire qui!” Esclamai, più stupita che furiosa.

Enrico sorrise debolmente, come se fosse incredibilmente stanco. Beh, non mi importava. Avevo abbastanza problemi miei senza che mi mettessi a preoccuparmi anche di quelli del mio rapitore. Figuriamoci!

“Vieni a sederti,” ripetè, gentilmente. “Poi vediamo. Può darsi che io cambi idea.”

Lentamente, come se temessi che da un momento all’altro potesse aggredirmi con un qualche coltello nascosto, mi avvicinai a lui, raggiungendo il divano e sedendomi su di esso. Enrico invece si sedette sul bracciolo della poltrona che mi stava di fronte. Accavallai le gambe e incrociai le braccia, in modo che il messaggio corporeo non fosse frainteso; sembravo urlare in silenzio: Non ti avvicinare o peggio per te!

“Come sta il tuo fidanzato?” Esordì, con tono nuovamente malizioso.

Mi ci vollero alcuni secondi per capire che stava parlando di Matteo. “Beh, come vuoi che stia? Ha metà della faccia completamente viola, e quasi non riesce ad alzarsi dal letto!” Esclamai, forse con troppa animosità: non ero arrabbiata perché aveva picchiato Matteo, ma perchè era il principio che mi faceva infuriare. “Era necessario pestarlo a quel modo?”

Gli occhi di Enrico si ridussero a due fessure, e per un attimo vidi lo stesso sguardo minaccioso che aveva rivolto al mio amico quella notte, in discoteca. “Lo avevo avvisato, è stato stupido da parte sua uscire da solo.” La sua voce tremenda mi fece rabbrividire.

“E credi che questo sia normale?” Sbottai, senza pensarci. “Dì un po’, picchi tutti quelli che minacci, così, per il semplice gusto di farlo?”

Lui però non mi rispose. Mi stava fissando con uno strano sorriso stampato sul volto, come se si fosse appena reso conto di qualcosa che lo rendeva incredibilmente felice. “Lui non è il tuo ragazzo.” Disse: non era una domanda. “Non sei preoccupata per lui, ti da semplicemente fastidio che io l’abbia picchiato. Non è così?”

Non seppi cosa rispondere: era assurdo, come l’aveva capito? “E se anche fosse?” Replicai, decidendo che era meglio reagire che farsi vedere spaventata.

Scrollò le spalle, disinvolto, rivolgendomi poi un sorriso che fu senza dubbio il più sincero che avessi mai visto sul suo viso. “Mi fa piacere che tu non sia fidanzata.”

Quella frase sussurrata mi fece mio malgrado arrossire. Distolsi lo sguardo da lui, portandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio in un gesto che, ne ero sicura, mi faceva sembrare una ragazzina timida e imbarazzata: il che non si allontanava molto dalla verità, ma era un gesto che facevo in continuazione quando ero agitata o mi sentivo a disagio. Oh mamma.

“Questo non fa nessuna differenza.” Replicai, sforzandomi di ignorare il tono in cui aveva pronunciato le ultime otto parole. “O almeno, non la fa per te. Prima o poi si accorgeranno che non sono rientrata a casa, e quando verranno a prendermi andrò subito dai carabinieri a raccontare che razza di delinquente tu sia!”

Purtroppo, la mia ‘velata’ minaccia non sortì alcun tipo di effetto. Anzi: Enrico si mise a ridere come se avessi raccontato la barzelletta più divertente del mondo, e fu costretto a posare il bicchiere sul tavolino che separava la sua poltrona dal divano nel quale ero seduta per non rovesciarsene il contenuto addosso. Sicuramente il mio sguardo fu talmente furioso e offeso dalla sua reazione che si costrinse a ricomporsi, tornando serio ed impeccabile e mantenendo solo uno sguardo allegro. Ero l’unica ad essere arrabbiata? Molto sicuramente, si.

“Perdonami, non avevo intenzione di mancarti di rispetto.” A quella frase sussurrata sgranai impercettibilmente gli occhi, stupita da quelle parole. Per essere un delinquente parlava in modo piuttosto forbito. “Ma non crederai davvero di andare a denunciarmi, vero? So che non lo farai.”

Questa volta spettò a me ridere, anche se lo feci con molta più amarezza. “Ne sei davvero sicuro?” Ribattei. “Fossi in te non ci conterei troppo.”

A quel punto si alzò dalla poltrona e venne a sedersi accanto a me, incurante del fatto che mi fossi allontanata da lui il più possibile. Mi imprigionò con le braccia contro lo schienale del divano, nell’angolo del bracciolo, in modo da impedirmi di alzarmi o anche solo di spostarmi di qualche centimetro. Era vicino, accidenti. Troppo vicino.

Deglutii.

“I tuoi amici non sanno dove sei, però loro sono al sicuro.” Mormorò, avvicinando le labbra al mio orecchio e facendomi rabbrividire con il suo caldo respiro. “Cerca di fare in modo che rimangano tali… Se mi disobbedisci in qualsiasi modo, farò loro del male, e ti assicuro che sembrerà un incidente.”

Parlava come farebbe un amante nell’intimità di una camera da letto, con la stessa voce calda e rassicurante, leggermente roca: eppure le sue parole erano tutto fuorché rassicuranti. La sua era una minaccia bella e buona; non era ricorso a metafore complicate per farmi capire che, qualsiasi cosa io avessi fatto di sbagliato e che lo avesse innervosito o fatto arrabbiare, lui non avrebbe esitato a far del male ai miei amici. Prima di allora avevo sempre creduto che tutte le storie che si raccontavano sulla famiglia Occhi Belli fossero delle semplici leggende metropolitane dettate dall’invidia che la maggior parte delle persone del paese nutriva nei loro confronti, e perciò, in quanto tali non bisognava prenderle troppo sul serio.

Ma forse mi sbagliavo. In fondo, Enrico non si era messo troppi scrupoli a picchiare un mio amico per il semplice fatto che aveva osato rispondergli. Che razza di creatura senza cuore poteva mai essere?

Avevo l’impressione che il cuore volesse uscirmi dal petto, da quanto stava battendo furioso. Mi limitai ad annuire, senza guardarlo, senza osare perdermi in quei bellissimi occhi verdi come il mare in tempesta e altrettanto pericolosi… Eppure non riuscii ad impedire ai miei di trattenere le lacrime. Ero davvero troppo, troppo spaventata. Anzi, a dire il vero le sue ultime parole mi avevano letteralmente terrorizzata.

Cosa di cui lui si accorse.

Mi portò due dita sotto il mento, sollevandomi il volto in modo che lo guardassi. Non volevo che mi vedesse piangere, ma non potei fare nulla per oppormi. La sua minaccia bruciava ancora.

“Non piangere, tesoro.” Quello che mi stupì fu che non c’era traccia di scherno nella sua voce, ma solo una sincera e dolce preoccupazione. “Se ti comporterai bene non ci sarà nessun bisogno di essere cattivo. Devi solo fare da brava, e voglio che tu mi prometta che non proverai a scappare in nessun modo. La campagna che c’è qui intorno può essere molto più pericolosa di me, te lo assicuro.”

Rinunciai ad asciugarmi le lacrime e lo guardai con decisione, cercando di non far tremare la mia voce. “Cosa vuol dire che devo fare da brava? Hai intenzione di violentarmi e pensi che io te lo lascerò fare senza neppure provare a difendermi? Sei davvero uno stupido se lo credi!”

A quelle parole si allontanò da me come se lo avessi colpito con uno schiaffo, osservandomi con un’espressione sinceramente ferita e confusa. “Violentarti?” Ripeté a bassa voce, come se non credesse a quello che avevo appena detto e stesse cercando una conferma da me. Io però tacqui, limitandomi ad osservarlo disgustata.

“Non ho nessuna intenzione di abusare di te! Come puoi credermi capace di fare una cosa simile?” Esclamò poi, mettendo nuovamente una bella distanza tra me e lui.

“Io non ti conosco, non so chi sei.” Replicai, senza staccare gli occhi da lui. “E se non è per questo, allora si può sapere perché accidenti mi hai fatta rapire e portare in questo posto sperduto?”

“Te l’ho detto,” mormorò, tornando a sedersi sul bracciolo della poltrona. “Volevo rivederti, e volevo anche… uscire… con te.”

Quell’ultima frase mi fece davvero restare a bocca aperta. “Non… Non potevi semplicemente… chiedermelo?” Chiesi, raddrizzandomi ed eliminando le ultime stille salate dalle mie guance. Non riuscivo a credere che la conversazione avesse preso quella piega.

Enrico scosse la testa. “Non sapevo come trovarti, e inoltre… Volevo essere certo che non mi avresti dato una risposta negativa.”

Oh, ma certo, adesso sì che si spiegava tutto! Come avevo fatto a non capirlo subito? L’ultimo discendente della famiglia più potente e temuta di tutta la regione mi aveva fatta rapire e portare in una vecchia villa abbandonata da Dio perché aveva paura che, se mi avesse chiesto di uscire in circostanze normali, avrei potuto rispondergli di no! Mio Dio, in che razza di situazione ero finita!

Credo di essere rimasta per una manciata di interminabili secondi in silenzio, seduta, senza quasi respirare. Ma poi scossi la testa, mi alzai e sollevai il capo per affrontarlo.

“Okay, basta. Credo di averne avuto abbastanza, per stanotte.”

“Vuoi andare a letto?” Chiese, con assoluta ingenuità.

Io sospirai, ormai completamente esasperata. “Mio Dio, no! Voglio che mi riporti subito a casa! Ti lascerò il mio numero di telefono, se proprio ci tieni, ma non ho nessuna intenzione di passare la notte qui, né ora né mai! Perciò, per favore, prendi la macchina e portami a casa. O, se tu non ne hai voglia, fammi uscire da qui e chiederò a Stefano di accompagnarmi.”

La sua espressione non mi piacque per niente. Temetti che stesse per mettersi ad urlare, furioso, o che chiamasse i suoi amici per legarmi e portarmi di peso in un qualche sotterraneo con celle segrete… Insomma, in quei pochi secondi pensai ad infinite e possibili sue reazioni. Ma neanche una si avvicinò a quello che fece lui.

Chiuse un secondo gli occhi, prese un bel respiro e poi, quando il suo sguardo si posò nuovamente su di me, mi sorrise. Io tremai.

“Non c’è nessun bisogno di chiedere a Stefano, ti posso accompagnare io.” Si avvicinò ad un tavolino di legno sul quale facevano bella mostra di sé delle bottiglie di vino e degli aperitivi, e con molta naturalezza versò in due bicchieri di vetro un po’ di questi ultimi, creando un liquido rosso che già conoscevo.

“È un Red Heart, ti ricordi?” Sorrise, porgendomelo. “Facciamo un piccolo brindisi a questo nostro incontro e poi ti accompagno a casa. Va bene?”

Non ne ero molto sicura, ma in fondo un piccolo sorso del mio aperitivo preferito non avrebbe certo fatto cascare il mondo. Presi il bicchiere dalla sua mano, e poi me lo portai alle labbra. Non era molto, così con due sorsi lo terminai.

Enrico ora mi stava guardando con una strana malinconia nello sguardo. “Non volevo arrivare a questo, Giulia. Mi dispiace.” Mormorò, prendendomi il bicchiere ancora freddo dalle mani per poi posarlo sul tavolino.

Non compresi le sue parole, ma dopotutto non ebbi il tempo di dire o fare qualsiasi cosa. Sentii un feroce mal di testa, che giudicai colpevole anche della strana sensazione di pesantezza delle palpebre… Che cosa mi stava succedendo? Avevo sonno… Tanto sonno…

La vista mi si annebbiava, e persino le gambe divennero più deboli, fino a quando non cedettero.

Prima che il buio e l'oscurità mi inghiottissero, credetti di sentire un paio di braccia forti e muscolose afferrarmi prontamente in modo da non farmi cadere per terra, ma era come il ricordo di un sogno, perciò non ne fui molto sicura…

Sentii il calore del suo corpo contro il mio, e poi tutto diventò nero.



   
 
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