11.
«Ti va di restare?»
Harry aveva afferrato il polso di Severus prima di chiederglielo. Ora lo guardava con
intensità, gli occhi verdi stranamente luminosi nel buio dell’ingresso del suo
appartamento in cui non aveva ancora acceso neppure una luce. Vide Severus soppesare la sua proposta, ma fu un millesimo di
secondo e già il petto dell’uomo si delineava sul suo, mentre con una mano
pallida chiudeva la porta alle proprie spalle.
In quel momento un forte rumore si
alzò dalla strada, ma entrambi lo ignorarono. I festeggiamenti Babbani per l’arrivo del nuovo anno non li sfioravano
minimamente, neanche quelli che dovevano certamente appartenere a turisti
rumorosi. Erano troppo impegnati ad avvertire il calore l’uno dell’altro,
stringendosi in un abbraccio in cui le loro labbra avide trovarono appiglio per
le loro smanie.
Harry rabbrividì, alzando le braccia
oltre il collo di Severus. Le mani dell’uomo
scivolarono all’istante sotto i suoi abiti, sfiorando la pelle tesa sui suoi
muscoli allenati, i polpastrelli freddi contro il calore del giovane uomo.
«Che cosa mi stai facendo…» sussurrò debolmente Severus
sulle labbra di Harry, iniziando a sbarazzarsi dei suoi abiti e lasciandoli cadere
a terra senza fretta.
Harry accennò un ghigno, le mani più
goffe sulle fibbie del mantello dell’altro. Insinuò il viso oltre i fini fili
di corvo che erano i suoi capelli – profumavano di spezie e cipria. La pelle
pallida del Pozionista s’increspò al tocco delle sue
labbra.
«Lo avresti mai detto, Severus?» mormorò Harry, premendo il viso nell’incavo del
suo collo.
L’uomo gli cinse la vita, premendolo
con forza contro di sé.
«Chi
lo avrebbe mai detto?» ribatté gentilmente, lasciando le proprie mani scivolare
lungo il profilo del corpo di Harry, facendo aderire i propri bacini con un
movimento fluido che strappò all’Auror un sospiro. Severus sorrise.
«Se avessi immaginato tutto questo
mi sarei fatto mettere in punizione più spesso da te…»
sogghignò Harry, intrufolando una mano tra loro. Le sue dita, però, non
arrivarono alla bruciante meta che agognavano: Severus
gli afferrò il polso con violenza, facendo sussultare il giovane uomo,
spingendolo via da sé.
I suoi occhi ardevano di
risentimento.
«Che cosa stai dicendo?» esclamò,
velenoso, il viso rapace segnato di contrarietà.
Harry teneva la bocca socchiusa,
stranito.
«Cos-?» biascicò. Severus fece una smorfia. Aveva assunto l’espressione che
Harry ricordava fin troppo bene dopo gli anni della scuola.
«Non dire mai nulla del genere» lo
rimproverò, la voce bassa, Severus. «Eri uno
studente. Eri sotto la nostra protezione. Non dirlo mai»
Era visibilmente scosso e piccato e
Harry, capendo solo allora, abbassò la testa.
«Guarda che io non penso male di te
solo perché eri un mio insegnante…» iniziò a
rispondere, ma Severus ebbe un altro moto di stizza e
si allontanò di un passo.
«Io non so cosa tu voglia, Potter, ma se hai intenzione di
continuare questa cosa vedi di non accennare mai più al nostro passato in quel senso»
Harry avrebbe voluto far notare a Severus che sarebbe stato difficile ora che gli sembrava di
essere di nuovo nei corridoi del castello con dinanzi il professore che più
aveva odiato in assoluto, ma decise di tacere. Gli occhi neri di Severus lo fulminarono.
«Non sono un santo, ma anche la mia
parte peggiore ha dei limiti» aggiunse, chinandosi a prendere il mantello che
era scivolato a terra.
«Dai, Severus…»
mormorò Harry allungando una mano verso di lui, ma il Pozionista
si mise rapidamente il mantello addosso e aprì la porta.
«Buonanotte, Harry» ingiunse
freddamente, lasciandogli addosso un’ultima occhiataccia. Il giovane lo vide
sparire lungo le scale e non si mosse, anzi restò davanti alla porta aperta per
un lungo momento prima di chiuderla con un gesto secco. Imprecò, calciando i
propri indumenti a terra. Poi si chiuse in bagno, fremente di rabbia, e
continuò ad ignorare gli schiamazzi di chi, in strada, non si era comportato da
idiota.
Il secondo giorno del nuovo anno
vide l’Auror Potter tornare al suo ufficio al
Ministero. La neve, che aveva seguitato a cadere copiosa dal cielo, non era
stata una scusa per evitare il rientro, né il silenzio che si era instaurato
tra lui e Severus, anche se questo gli pesava tanto
da tenergli la mente impegnata più di ogni altra cosa. Così tornò al Ministero
immusonito e preoccupato, e quasi ignorò Ron quando gli si apprestò non appena
lo vide, occupato a seguire il filo dei propri pensieri cupi.
«Harry? Harry, miseriaccia, non
posso inseguirti tutto il giorno»
L’Auror Weasley sbatté con forza la cartella che teneva in mano sul
petto dell’amico, e questi sussultò guardandolo.
«Scusa» mormorò. Si passò una mano
sul viso ispido, non si era rasato, quella mattina. Aprì la bocca per
aggiungere il perché della propria insofferenza, ma Ron non gli diede il tempo
di farlo.
«Devi andare di corsa di là dal Wizengamot, la Volkov ha chiesto
di vederti prima di essere rispedita a casa» disse sbrigativo. Gli puntò i
luminosi occhi addosso. «Vai. Hermione mi ha stressato senza pietà»
Harry sospirò. Hermione
era irreprensibile circa i diritti di indagati e carcerati.
«Scusa» ripeté. «Vado subito»
Ron annuì guardandolo andare via. A
passo spedito, Harry raggiunse l’ala del tribunale imbattendosi subito in un
piccolo crocicchio di persone. Hermione, che
indossava una vibrante tunica azzurra, spiccava tra gli altri funzionari, e non
appena i loro sguardi si incrociarono i due si scambiarono un cenno d’intesa.
La giovane donna pose la mano sulla spalla dell’uomo al suo fianco, un alto
mago pelato dagli occhi blu.
«Consigliere Masci,
le presento Harry Potter, l’Auror che ha arrestato la
signora Volkov» la sentì dire subito. L’uomo abbassò
la testa verso di lui.
«Ma certo» disse, il pesante accento
slavo. «Inutile dire che è un onore per me»
Harry non sorrise.
«Consigliere» fece, abbassando la
testa a sua volta. «L’incarico di portare la Volkov
in Biellorussia spetta a lei?»
L’uomo annuì, silenzioso, poi tornò
a guardare Hermione.
«Harry, la signora Volkov chiede di te» disse lei, abbassando la mano con cui
aveva richiamato l’attenzione del Consigliere su Harry. Gli fece cenno di
entrare nell’aula aperta del tribunale e l’Auror
annuì, avvicinandosi lentamente alla porta spalancata, facendo capolino nella
grande sala al cui centro la famosa cella che aveva detenuto alcuni tra i più
famosi Mangiamorte si ergeva.
Al suo interno, la schiena poggiata
contro le sbarre e la testa reclinata all’indietro, stava Inga.
Indossava la tenuta dei carcerati di Azkaban, una
tunica a righe bianche e nere le cui maniche erano state arrotolate sino a
oltre il gomito, lasciando visibili le fini braccia bianche. Harry notò che la
sua pelle cerea era solcata, su entrambe le braccia, da tatuaggi di un vibrante
nero inchiostro. Erano serpenti arrotolati e minuscole rune.
«Ciao, Inga»
disse l’Auror quando fu a pochi passi dalla cella. La
strega si voltò lentamente a guardarlo, un sorriso arrogante sulle labbra,
senza mostrare l’intenzione di cambiare la propria molle posa.
«Speravo fossi a guardia della
prigione, carino» rispose. La sua voce aveva un qualcosa di curioso, sembrava
portare con sé un vago gracchiare. Harry non se ne stupì. Si aspettava di
vedere una donna del tutto nuova, in quella cella.
«Mi spiace, non sono stato assegnato
ad Azkaban» disse lui. Si mise le mani in tasca con
fare casuale e Inga appoggiò la fronte alle sbarre.
«Ti piacciono?» chiese, il tono
infantile. Mostrò le braccia, allungandole oltre il ferro che la teneva
rinchiusa. Harry poté vedere meglio i tatuaggi. Ebbe un moto di ribrezzo.
«Voldemort
marchiava i suoi seguaci con dei disegni molto simili» disse, freddo. Inga rise.
«Voldemort
era un bamboccio»
Abbracciò le sbarre.
Harry accennò un sorriso.
«Te ne tornerai a casa, oggi» disse,
alzando il tono della voce. Inga annuì.
«Mi mancherà l’Inghilterra. Sai, i
parchi. Il Tamigi. La casa del tuo uomo. Sarà difficile ammazzarvi dalla
Bielorussia, sì, mi mancherà, l’Inghilterra»
Gli occhi dei due erano fissi gli
uni negli altri. Inga sorrideva, Harry era una
maschera di sale.
«Puoi anche provarci» ringhiò.
«Verrò a prenderti a calci in culo ovunque sarai»
«Te l’ho detto, Harry Potter»
mormorò melliflua Inga. «Voldemort
era un bamboccio. Io ti schiaccerò come uno scarafaggio»
L’uomo restò immobile sul posto,
senza muovere un muscolo. La strega, invece, si voltò, e Harry vide che stava
ridendo in silenzio, perché le sue spalle fini si scuotevano. Allora anche lui
si voltò e iniziò a muoversi verso la porta.
«Potete cercarla ovunque, la
ricetta» sentì dire. «Non la troverete mai. Ma non preoccupatevi. Ci terremo in
contatto»
Harry uscì dalla sala con passo
rapido, sotto gli occhi preoccupati di Hermione e lo
sguardo freddo del Consigliere. Fu a lui che si rivolse per primo.
«Spero non prendiate sotto gamba la
detenuta, Consigliere» disse, distaccato. L’uomo accennò un sorriso.
«Harry Potter, non lo pensi neanche
per un istante» rispose. Si scambiarono una lunga occhiata, poi Harry sorrise a
sua volta.
«Buon viaggio, allora. Devo
assentarmi»
I due uomini si strinsero la mano
con forza, poi Harry si voltò verso Hermione. Il bel
viso della ragazza era attraversato da una vena di preoccupazione quasi
invisibile che Harry conosceva però molto bene. Si guardarono intensamente, poi
Harry si allontanò.
«A dopo, Ministro» fece, alzando una
mano per salutarla. Hermione fece altrettanto. Poi
Harry si voltò e se ne tornò al Quartier Generale.