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Autore: Il_Signore_Oscuro    19/12/2017    3 recensioni
Il mondo si ricorda solo dei grandi personaggi, di coloro che hanno avuto un ruolo centrale negli eventi più importanti del suo tempo. Mentre il grande meccanismo della Storia divora tutto il resto, precipitandolo nell'oblio. Io però ho scavato e scavato, consegnando alla vostra memoria una storia diversa, una storia che era rimasta nell'ombra. Una guerra più profonda, e combattuta lontano dagli occhi dei molti...
Da oltre dieci generazioni i Cangramo sono i leali alfieri degli Argona, i potenti sovrani della costa orientale di Clitalia, la terra divisa fra i molti re. I Cangramo dominano su una piccola contea nell'estremo sud-est, una contea che comprende il Porto del Volga, la Valspurga alle pendici del Monsiderio e l'antica Rocca Grigia, costruita su un'altura a strapiombo sul mare. I quattro fratelli Cangramo cercheranno di ritagliarsi un posto in un mondo violento e insidioso, intessuto di amori, battaglie, inganni e segreti. Mentre lontano dagli occhi, un male a lungo dimenticato, antico e potente, getta la sua ombra sul futuro degli uomini...
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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CAPITOLO VIII
‘La Caccia Selvaggia’
(Sebastiano)
 
 

Grenda annusò l’aria con fare guardingo. Le orecchie le si rizzarono alla sommità del capo, irte a captare un qualsiasi suono, il benché minimo fruscio di foglie. Non sembrò udire nulla e il muso si abbassò al livello del terreno, sondandolo con brevi strizzate del tartufo umido: la terra era un dedalo di radici sporgenti, morbida erba verde e sterpaglie giallastre. Il resto del branco era in attesa: un giovane dal manto bruno e gli occhi d’ambra orinò sul tronco di un albero, mentre un altro esemplare, con le morbide orecchie a penzoloni, andava ad annusare la corteccia appena bagnata, forse riconoscendo l’odore del suo compaCasto sapeva che nessuno dei suoi cani-lupo aveva bisogno di un guinzaglio: quelle bestie avevano nel sangue lo spirito delle fiere selvagge, questo era vero, ma erano cresciute come cani e in quanto tali covavano una piena e assoluta fedeltà nei riguardi del loro padrone.
Casto aveva una ricca barba castana a coprirgli il mento, scendeva per sottili linee villose sino ai margini della gola, fin quasi a sfiorare il suo pomo d’adamo. I capelli corti, ben pettinati, e gli occhi di un blando bruno gli davano un’apparenza assolutamente anonima e comune “Di quelli uomini che ne trovi identici a migliaia, in ogni angolo del mondo”. ‘Bastiano scostò lo sguardo, accarezzando con un’occhiata suo padre, intento a scrutare fra gli alberi alla ricerca di una qualche traccia della preda. Vittorio, d’altra parte, sembrava più interessato alla sperona, e ne saggiava il peso fra le mani guantate di cuoio: la sperona era una lancia compatta, dalla punta quadrangolare e i lati seghettati, l’asta di legno era lunga una volta e mezzo il braccio di un uomo adulto.
«È più pesante di una lancia normale» constatò il mercante, riposizionandola di traverso sulla sella, dove una cinghia di cuoio assicurava che non finisse in terra.
«Già, ma è anche più resistente e pericolosa quando colpisce il bersaglio, amico mio» rispose ‘Bastiano, calandogli una pacca sulla spalla «piantala per bene nel corpo di un animale e non se la scrollerà di dosso tanto in fretta. E credimi, quando ti troverai faccia a faccia con un cinghiatauro vorrai che sia così»
Grenda lanciò un breve latrato per chiamare all’adunata il suo branco e cominciò ad avanzare, con la coda  curvata sulla schiena ricolma di un manto soffice e bianco come la neve. Gli altri cani-lupo la seguirono, sondando il terreno con il muso a pochi centimetri dal terreno. Casto si avvicinò al Conte, distogliendolo dalla sua contemplazione della foresta.
«Mio signore, i cani-lupo hanno trovato una traccia. La tana dev’essere vicina.»
«Molto bene»
replicò Severo, con un assenso.
Bastò un suo cenno perché il gruppo si rimettesse in marcia. L’agile cavallo da caccia li guidò per una via che si discostava di alcuni metri dal luogo in cui si erano fermati. Percorreva una via parallela a quella dei cani, Severo sapeva che l’odore degli uomini e dei cavalli poteva disorientare gli esemplari più giovani e ancora inesperti, correndo il rischio di far loro perdere le tracce del cinghiatauro.

La guardia personale del Conte si mosse insieme con lui, gli uomini si scambiavano battute l’uno con l’altro o chiacchieravano del più e del meno, parevano a loro agio nella selvaggia Selva Scura. Del resto, come pensò ‘Bastiano “Papà va’ a caccia almeno due volte al mese, e alcuni di questi uomini sono al suo servizio da più di dieci anni” lo sguardo gli cadde su Ezio, uno dei soldati più attempati, con strisce di grigio sulla barba nera come la pece. Il naso sembrava una grossa patata che gli era stata attaccata sul viso, visto com’era tozzo e dalla gobba sgraziata per tutte le volte in cui se l’era rotto, in battaglia e nel corso dei duri addestramenti.
I pretoriani di Vittorio, al contrario degli uomini di suo padre, non sembravano altrettanto contenti di essere in un luogo come quello, né con una compagnia come quella. Un giovane con la fossetta sul mento si guardava intorno tremante come una foglia: quasi avesse paura che spiriti e demoni danzanti sbucassero dalla Selva per portarselo all’Inferno. Un uomo dai tratti squadrati e una cicatrice sul labbro sembrava invece alquanto disgustato, per qualche oscuro motivo, dai soldati della Rocca Grigia a cui guardava con gli occhi pieni di disprezzo. Quei rampolli delle Terre Centrali facevano un trambusto della malora, ogni loro passo era uno sferragliare di metallo e agitarsi di pennacchi “Metteranno in allarme ogni bestia nel giro di cento metri”. ‘Bastiano si voltò verso Vittorio: dall’aria serena e ammirata sembrava si stesse abituando in fretta alle terre selvagge e sorrideva mestamente “È davvero un uomo strano, anche se non mi dispiace come cognato. Vorrei solo che si fosse scelto una scorta diversa da quelli là… da tipi come quelli ne verranno solo guai”  ma probabilmente non era stata una scelta del mercante, come il giovane Cangramo non tardò ad intuire: probabilmente quell’accompagnamento gli era stato imposta dall’Alto Sacerdote di Utopia, e al messo del Redivivo in terra non si poteva rispondere con un ‘no, grazie’.

Il Conte che era rimasto in testa all’intero drappello sino ad allora, rallentò il passo abbastanza da farsi affiancare da suo figlio e da Vittorio. Severo gradiva molto stare solo con i suoi pensieri, in questo era molto simile ad Arturo, e durante la caccia questa sua tendenza si amplificava con lunghi silenzi e pause meditabonde. Quasi con la mente volesse immergersi a fondo fra gli alberi e le fronde della Selva Scura, isolandosi da chi gli stava vicino.
«Signor Belgi, a breve dovremo lasciare i cavalli. Vi sentite pronto?» chiese, voltandosi appena verso di lui.
«Sono impaziente, Conte Cangramo!» la sua voce ricordava vagamente quello di un bambino eccitato da qualcosa di nuovo e strabiliante.
«Molto bene, questo è lo spirito che si addice a una battuta di caccia» sorrise lievemente, senza guardarlo negli occhi «Assicuratevi solo di non mettervi mai, e ripeto mai, sulla traiettoria di un cinghiatauro in carica, vi travolgerà prima di fermarsi. Potete starne certo.»
«Non mancherò di ricordarlo» replicò Vittorio, fermandosi quando anche il Conte tirò le redini.
«Ecco la tana…» asserì, smontando da cavallo e sganciando la sperona dalla cinghia che la assicurava.

‘Bastiano e Vittorio lo imitarono, affidando le cavalcature agli uomini della guardia, con le giubbe nere sul petto. La tana del cinghiatauro si trovava più in là, scavata in una collinetta ricoperta di cespugli e alberi contorti. Dalla spelonca un rettilineo si delineava dinanzi a loro, procedendo verso destra. Un tempo doveva aver ospitato un piccolo fiume adesso del tutto prosciugato. Il Conte adocchiò un rialzamento del terreno sulla sponda opposta, offriva una posizione sopraelevata e vantaggiosa per un agguato. Con passo felpato Severo vi si accucciò, la sperona ben salda in una mano e il capo sporto per scorgere il branco di cani-lupo che si apprestava a circondare la tana. Vittorio si posizionò più in là lungo i margini del sentiero, dove un vecchio salice lo copriva alla vista. A ‘Bastiano toccava il primo attacco, perciò si posizionò nelle vicinanze della spelonca, dietro una siepe di cespugli. Un breve tremolio gli si arrampicò su per la spina dorsale, incalzando il suo battito cardiaco: poteva sentire il cuore vibrargli dentro la gola. Strinse le dita intorno all’asta della sperona, come per darsi coraggio. Aveva un ruolo decisivo nella caccia: se il suo tiro fosse stato lesto e preciso, la bestia non avrebbe percorso più di una ventina di metri: bastava un singolo, mortale, colpo e suo padre l’avrebbe guardato con piena ammirazione, senza più pensarlo come un ragazzino privo della disciplina di un vero uomo. “Sì, gli dimostrerò che sono degno di lui” si promise. E con aria concitata rimase in attesa che Grenda e il suo branco facessero la loro parte.
Casto, il guardiano dei cani, li osservava con lo sguardo pieno di premura e la bocca smangiucchiata di una madre che vegli il suo bambino preso dai deliri della febbre.

Dapprima circondarono la tana, gli esemplari più giovani si tenevano un poco più in disparte, limitandosi ad abbaiare languidamente senza avvicinarsi all’apertura. Quelli più esperiti ringhiavano arricciando il pelo sulla schiena e grattavano la terra con gli artigli, ma era Grenda quella che si assumeva il rischio più grande: posizionarsi all’entrata della tana, per sfidare il cinghiatauro a uscirne. Era a lei che Casto guardava con maggiore apprensione, tormentandosi con le dita i filamenti bruni e setosi della barba.
‘Bastiano trovava una certa dignità in quell’anziana cane-lupo “La stessa dignità che dovrebbe avere un capo” non importa di quale razza. Che si trattasse di un uomo, un cane, oppure un lupo. Era tutto lì: esporsi al pericolo più grande perché altri non avessero a farlo al posto tuo.
Dal fondo della spelonca echeggiarono dei suoni gutturali “Presto, presto…” si disse ‘Bastiano, ma poi in lontananza scorse qualcosa, o meglio, qualcuno: una sagoma umana, avvolta da un ampio mantello grigio e accompagnata da un bastone. “Che sia un Kelta?” si chiese ‘Bastiano. Poi denegò col capo e si costrinse ad abbassare lo sguardo “Piantala di fare lo stupido, devi rimanere concentrato!”. I gruginiti si fecero più profondi e rumorosi dalla spelonca, i cani presero ad abbaiare in un coro forsennato, snudando le zanne giallastre.
‘Bastiano lanciò un’altra occhiata, in là nella foresta: la figura s’era fatta più vicina, il viso era celato da un cappuccio. ‘Bastiano ebbe un tuffo al cuore “Come ha fatto ad avvicinarsi così?!”. Uno scalpicciare dal profondo della tana riportò la sua attenzione alla caccia: ancora qualche istante e il cinghiatauro avrebbe fatto capolino. Si sforzò di attendere quel momento.

La pelle iniziò ad ardere sotto i vestiti. Un suono più potente e profondo di qualsiasi melodia lo chiamava, pungolandolo, spingendolo ad alzare lo sguardo un’ultima volta “una sola, ultima volta”.
La figura era a pochi metri da lui, lo guardava fisso. Il suo mantello sbrindellato danzava a un vento che non c’era e all’apice del suo bastone erano legate una piuma d’aquila ed una di corvo. ‘Bastiano credette di scorgere uno scintillio bianco sotto la cappa calata sul viso. La presa sulla sperona si affievolì senza che se ne rendesse conto.

Uno schianto. Il cinghiatauro fuoriuscì dalla spelonca, caricando a testa bassa. Grenda fu travolta: il ventre candido si squarciò come carta, a contatto con la coppia di zanne che facevano capolino ai lati del muso porcino. L’anziana cane-lupo uggiolò sofferente, mentre veniva sbalzata in aria: il suo pelo bianco si colorava di rosso.
Sul sentiero si udì un tonfo sordo, un’imprecazione rauca: ‘Bastiano si voltò di scatto, in un’espressione di puro terrore dipinta sul volto. Suo padre era in terra, il rialzo su cui si era appostato aveva ceduto sotto i suoi piedi e ora il Conte si trovava al centro dell’unica via di fuga che il cinghiatauro avesse a disposizione.
La belva, simile a un cinghiale ma grande come un orso, si lanciò in una carica furiosa. Gli uomini del Conte accorrevano dalla foresta, in soccorso del loro signore: troppo lenti, troppo distanti. I pretoriani rimasero fermi a guardare.
‘Bastiano scagliò la sperona, ma aveva perduto il momento: la sua mira non era stata accurata, la sua presa non era stata abbastanza salda e la punta si piantò nel dorso del cinghiatauro, dove la pelle era più coriacea e gli spessi muscoli dell’animale formavano una corazza naturale. Suo padre cercava di risollevarsi, ma era tutto inutile. Tentava di togliersi dalla strada, ma non abbastanza in fretta, era rimasto ferito nella caduta.
“Morirà, morirà e sarà solo colpa mia” poi un altro pensiero, un pensiero che parlò nella sua mente ancora prima che si rendesse conto di stargli dando voce “ma io sarò Conte…” lo ricacciò indietro: un pensiero così orribile in una situazione come questa. Dagli alberi emerse Vittorio, che ora si frapponeva fra il Conte e la bestia “Dev’essere impazzito, si farà ammazzare!”.
Il mercante puntò i piedi in terra, la sperona era protesa in avanti: l’asta impugnata saldamente con entrambe le mani, parallela al terreno. Quando ci fu l’impatto, Vittorio fu sbalzato in aria come non pesasse nulla, sbattendo contro un albero lì vicino. Il Conte aveva il volto macchiato di sangue. Ad occhi sbarrati fissava la carcassa accasciatasi dinanzi a lui: la lancia conficcata di almeno venti centimetri nel cranio, ricoperto di setole. ‘Bastiano accorse in fretta e furia da suo padre, ma la guardia lo aveva preceduto. Ezio aiutò il suo signore a rialzarsi, mentre qualcun altro issava su’ Vittorio, che a parte qualche ammaccatura sembrava stare bene. Solo allora i Pretoriani si avvicinarono, senza interessarsi al loro protetto: rimanendo a guardare.
«State bene mio signore?» chiese Ezio, battendogli una mano sulla casacca impolverata.
«P-pad-» si accinse a dire ‘Bastiano, prima che un rovescio della mano lo zittisse in un rumore secco e un sapore metallico si riversasse nella sua bocca. Lì dove l’aveva colpito la pelle doleva e bruciava, ma ciò che più lo bruciava era l’umiliazione: l’ultima volta che suo padre l’aveva preso a ceffoni aveva l’età di Arturo, e comunque non era mai capitato in pubblico. Suo padre non spiccicò parola e ‘Bastiano non cercò giustificazioni, limitandosi ad abbassare lo sguardo.
«Belgi, stai bene?» chiese il Conte. Il mercante bofonchiò un lamento, tenendosi il braccio destro «Ho avuto giornate migliori, ma niente di rotto mio signore». Severo gli pose una mano sulla spalla, la stessa con cui aveva colpito il suo primogenito «Mi avete salvato la vita, mettendo a repentaglio la vostra. Di quella carne avrete il pezzo migliore» fece cenno al cinaghiatauro «oltre alla mia eterna gratitudine».
«Sarà un piacere banchettare con la carne del bastardo che ci ha quasi accoppato, mio signore» rispose lui, suscitando le risate dei presenti.
 
Si riunirono dinanzi alla spelonca, dove i cani-lupo si erano fatti silenziosi e guardavano a muso proteso e orecchie basse in direzione di Casto, accucciato sul terreno: la testa di Grenda posata sulle sue ginocchia, mentre uggiolava, versando stille di sangue dalla bocca allungata. Dal suo ventre sporgevano intrichi di carne violacea, squarciati in più punti, dove le zanne del cinghiatauro avevano inferto il colpo.
Le lacrime scorrevano silenziose dagli occhi del guardiano dei cani, mentre carezzava il capo del povero animale, la daga nell’altra mano tremava languidamente.
«Sceglieranno un nuovo capobranco» proferì Casto, con voce lontana, distante, come parlasse dal fondo di un pozzo.
Severo fece una smorfia contrita e sfilò il pugnale dalla cintura, chinandosi sulla cagna.
«No, mio signore» esclamò Casto, come svegliatosi tutto a un tratto. I suoi occhi, gonfi e arrossati erano fissi in quelli del Conte «L’ho allevata da quando non era più grande di un gattino. Devo farlo io». Severo rispettò quella decisione, indietreggiando di qualche passo.
E dopo un’ultima carezza, un ultimo sguardo, la daga cercò e trovò il cuore. Un ultimo uggiolio, più acuto degli altri, e la morte seguì repentina. ‘Bastiano non ebbe il cuore di guardare a quella scena e con gli occhi cercò l’uomo col bastone che aveva scorto fra gli alberi, ma tutto ciò che vide furono appunto alberi. Il verde cominciava a farsi scuro nelle viscere della selva e dell’incappucciato non c’era più traccia alcuna.

Il ritorno alla Rocca Grigia fu silenzioso, senza più alcuna traccia dell’eccitazione della partenza. Un gruppo di uomini trasportava a fatica la carcassa del cinghiatauro: le possenti zampe legate ad un’asta di legno robusto. Persino i casi non emisero un singolo latrato lungo il cammino, ma uno di loro, con il manto grigio, cercò la mano insanguinata di Casto e vi strisciò contro il capo, alla ricerca di una carezza.
‘Bastiano procedeva con la puledra, il passo lento e arrancato, mentre i suoi occhi screziati di verde si avventuravano nel vuoto d’uno sguardo fisso… assente. Tuttavia, il silenzio che dava a vedere fuori, si contrapponeva al rumore che si portava dentro “Ha rischiato di morire, ed è stata solo colpa mia. Mi sono distratto e anche quando l’ho visto in pericolo tutto ciò a cui son riuscito a pensare è stato il titolo, il nome, il potere che avrei ereditato” una lacrima forzò le palpebre, scivolando per la curva della guancia “Sono un mostro… un uomo che lo conosce appena ha messo a repentaglio la propria vita pur di salvarlo, e io… io che sono suo figlio, io che sono il suo primogenito ed erede, sono rimasto fermo a guardare. Paralizzato dalla paura o da chissà cos’altro. Come un bambino sono rimasto incantato da un miraggio della foresta. Non merito nulla di ciò che ho, di ciò che sono: non merito il mio sangue, non merito il mio nome”.
«Ehi, fratello» lo riscosse una voce calda e rassicurante.
«Vittorio, perdonami: ero sovrappensiero» rispose, sforzandosi di sorridere.
«Lo capisco, abbiamo corso un gran bel rischio, ma non fartene una colpa, va bene? Non è stata colpa tua, può capitare a tutti di sbagliare».
‘Bastiano rispose con un gesto di diniego «Non quando il prezzo è così alto…».
«Ascolta, l’avevi ferito quel mostro. Non fosse stato per il tuo colpo mi avrebbe spezzato in due» ‘Bastiano si voltò a guardare il cinghiatauro, la ferita sul dorso era più profonda di quanto avesse pensato e la chiazza di sangue che ne era uscita era scura e copiosa. La cosa lo rinfrancò, impercettibilmente.
«E vedrai che a tuo padre passerà. Lo conosco poco, ma mi sembra un uomo ragionevole».

Vittorio aveva ragione, pensò ‘Bastiano: forse suo padre gliel’avrebbe fatta pesare per una settimana o due, ma alla fine lo avrebbe perdonato. Sono pochi gli uomini che possono ammazzare un bestia delle dimensioni di un cinghiatauro con un singolo colpo. E quei pensieri, quei pensieri orribili che l’avevano attraversato, adesso li vide sotto una luce diversa “pensiamo un sacco di cose turpi e meschine, ma in fin dei conti ciò che conta davvero sono le azioni, no?” e se ne avesse avuto la possibilità, se fosse stato più vicino, anche lui si sarebbe messo in mezzo per salvarlo. “E la mia lancia sarebbe penetrata più profonda ancora, dentro la testa di quel maledetto cinghiatauro”.

«Ti ringrazio,  fratello» gli disse ‘Bastiano, con un sorriso adesso sincero a distendergli le labbra. Vittorio contraccambiò e accelerò leggermente il passo: ormai la Rocca Grigia era in vista. E mentre il cielo si colorava di un sole rosso, con una cappa rosa e arancione, in ‘Bastiano il rimorso veniva vinto. Altre domande facevano il loro corso nella sua testa, scacciando il senso di colpa, seppellendolo negli angoli bui da cui sarebbe riemerso una volta giunta l’ora che attende i sogni. Inizialmente ripensò a quell’ombra nella Selva Scura: che fosse uno spirito, un demone di quelli che popolano le paure dei bambini? Gli pareva di aver scorto una barba ramata scendere sul suo petto. E lineamenti familiari, visti forse di sbieco, in un altro luogo, quando magari non ci aveva fatto attenzione. Ma la mente di un uomo funziona così: cattura tutto ciò che vede, mette da parte e magari tira fuori vecchie immagini dimenticate avvolgendole con la nebbia del “già visto” disciolta in una sensazione. Quel qualcosa di bianco, poi, non riusciva a toglierselo dalla testa.

Ma non era solo lo spirito della Selva Scura ad intrattenere i suoi pensieri, ce n’erano altri che lo pizzicavano, fastidiosi come un prurito. Provava un profondo e totale disprezzo per la mancanza di affezione e fedeltà dei pretoriani nei riguardi del loro protetto. Vittorio Belgi si era quasi fatto ammazzare e loro non avevano alzato un dito! Non si erano neanche sincerati che stesse bene, né avevano snudato le spade quando il cinghiatauro s’era apprestato a caricare il povero mercante. Nel cuore di ‘Bastiano l’effimera calma fu spazzata via da una impetuosa collera, mentre rivolgeva un’occhiata di fuoco a quel mucchio di spocchiosi imbellettati, col viso perennemente imbronciato. “Possono avere armature d’oro scintillanti, ma nel petto hanno un cuore vile e meschino come quello di una serpe velenosa. Una serpe a cui andrebbe schiacciata la testa con la punta di un bastone”. L’uomo con la cicatrice sul labbro ricambiò la sua occhiata con altrettanto astio e ‘Bastiano lo distanziò, con uno sbuffo stizzito.
Il Conte mandava il destriero al passo, poco più in là. Di tanto in tanto si massaggiava la coscia, lì dove uno squarcio nei calzoni lasciava intravedere una porzione della gamba: contusa e sporca di terra. Il guaritore di Castel Cangramo si sarebbe assicurato che non avesse nulla di rotto e avrebbe pulito e disinfettato la ferita con impacchi di erbe e vino bollente.
Vittorio Belgi era al fianco di suo padre, ma procedevano in silenzio, senza spiccicare parola. Stringeva mollemente le redini, le mani macchiate di sangue rappreso.




 



NdA: Avendo appena finito di ricopiare l'undicesimo capitolo ho pensato di pubblicare l'ottavo. Visto che ormai è questo l'andazzo vi comunico il futuro assetto degli aggiornamenti: ci saranno due aggiornamenti a settimana, uno 'fisso' la domenica e l'altro 'a piacere' nel corso della settimana.
Ma passiamo al testo: in questo capitolo ci sono svariati riferimenti a un mito in particolare, vediamo se qualcuno indovina di che mito si tratta eheheh!
Comunque, il nostro Sebastiano è stato distratto da un qualche spiritello della Selva Scura: di chi pensate si tratti? Che vorrà mai questo spiritello? Qualche teoria?
E ancora, secondo voi i pretoriani nascondo qualcosa? Perchè non hanno neanche provato ad aiutare il loro protetto?
Sperando che la storia vi stia piacendo, vi porgo i miei saluti e vi mando un abbraccio grande grande
ci vediamo questa domenica con un capitolo bello ciccione con Carlo come POV.
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IL SIGNORE OSCURO
   
 
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