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Autore: Ginevra1988    29/12/2017    6 recensioni
All'alba del tre maggio Harry, Ginny e gli altri reduci della Seconda Guerra Magica si ritrovano a fare i conti con... il ritorno alla normalità. Le ferite sono fresche, gli incubi li perseguiteranno ancora per anni e poco sembra essere come prima, ma la voglia di ricominciare è tanta. A passi lenti e incerti dovranno trovare la loro strada verso un futuro nel quale non potevano nemmeno sperare fino a qualche giorno prima.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: George Weasley, Ginny Weasley, Harry Potter, Hermione Granger, Ron Weasley | Coppie: Harry/Ginny, Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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Nessun posto è lontano.
Se desiderate essere accanto a qualcuno che amate forse non ci siete già?
 
Jack Frusciante è uscito dal gruppo – Enrico Brizzi
 
 
 
 
 
Ancora il lungo 7 settembre 1998
 
 
 
Sopra a Hogwarts
 
   Ginny chiuse gli occhi, lasciando che l’aria fredda le accarezzasse il viso e i capelli, insinuandosi sotto il maglione pesante. Si reggeva al manico della sua Scopalinda con la mano destra, mentre i piedi allacciati l’uno all’altro galleggiavano nel vuoto; sotto di lei il campo da Quidditch della scuola era una pozza di erba scura. L’aria era pulita e tagliente a quell’altezza e Ginny se ne riempì i polmoni fino a farsi pizzicare la gola. Fluttuava pigramente tra il lago e lo stadio, lo sguardo che cadeva ancora e ancora verso sud, cercando inutilmente il profilo di Londra, lontana più di ottocento chilometri.
   Aveva approfittato di un’ora vuota prima di pranzo, durante la quale Hermione frequentava Aritmanzia – Dio solo sa per quale motivo, visto che era la materia più terribilmente e inutilmente complicata a cui Ginny riuscisse a pensare. Luna era andata in Biblioteca, così Ginny si era cambiata al volo, sostituendo la divisa scolastica con pantaloni robusti e un maglione spesso, aveva inforcato il suo manico di scopa ormai consunto e si era concessa un’ora tutta per sé nel cielo sopra Hogwarts.
   L’aria era il suo elemento, lo aveva sempre pensato. Non aveva mai sofferto di vertigini, al contrario, aveva sempre trovato estremamente liberatorio galleggiare a metri da terra, dove i problemi e i pensieri sembravano rimanere ancorati al terreno. Lassù c’erano solo pace e silenzio, un mondo in cui il tempo stesso pareva rimanere con il fiato sospeso per non disturbare.
   E poi l’aria – ma soprattutto quel manico di scopa – erano strettamente legati ad una serie di ricordi favolosi, la maggior parte dei quali aveva come protagonista Harry. Ginny si era concessa di riviverne un paio ad occhi aperti quella mattina, lassù sopra Hogwarts, qualcuno nello stadio, qualcun altro in riva al lago. Non faceva che pensare a Harry, da quando lei e Hermione avevano scritto quella lettera chilometrica per il primo giorno di addestramento. L’amica era a un passo dalla paranoia: abituata com’era ad avere sempre Harry e Ron sotto mano – e sotto controllo – il pensiero di averli lontani centinaia di chilometri e probabilmente a tiro dell’uccellino la agitava come un esame di fine anno. A dire il vero, per come erano andate le cose in quella prima settimana di scuola, gli esami non sembravano più essere in cima alla lista delle priorità di Hermione: durante le lezioni si distraeva con una facilità impensabile per lei e molte delle pergamene che riempiva nel tempo libero erano per Ron, a fronte delle poche dedicate ai compiti – che pure non mancavano. Ginny non poteva in tutta onestà darle torto: qualunque cosa facesse, anche la sua mente non riusciva a stare lontana da Harry per più di qualche ora, ma sapeva perfettamente che struggersi e immaginare tutti gli scenari apocalittici possibili non sarebbe servito né a lui né tanto meno a lei.
   Ginny si sistemò una ciocca di capelli che il vento le aveva portato davanti agli occhi e si chiese per l’ennesima volta come stesse andando il primo giorno di addestramento; la risposta tuttavia non sarebbe arrivata prima della mattina successiva, con la posta della colazione. Hermione aveva minacciato di mandare una Strillettera direttamente all’Ufficio Auror se martedì mattina non avesse ricevuto un resoconto esauriente della giornata; Ginny si era limitata a chiedere due righe, giusto per tranquillizzare quella specie di pentola ribollente che aveva in fondo allo stomaco.
   Afferrò di nuovo il manico di scopa con entrambe le mani e lo fece virare dolcemente verso lo Stadio; notò che diversi gruppi di studenti si stavano avviando verso l’entrata del castello, il che significava che l’ora del pranzo doveva essere vicina. Inclinò la scopa verso il basso, preparandosi all’atterraggio, e buttò l’occhio verso le serre: Neville stava salutando gli studenti del secondo anno, Corvonero e Grifondoro, che, con l’aria sconvolta e completamente coperti di una specie di muco verdastro, stavano trotterellando su per il prato inondato di sole. Tutte le volte che lo vedeva con una classe, Ginny non poteva fare a meno di sorridere: per qualche motivo la riempiva di orgoglio vedere quello che Neville era diventato. Quando lei era al terzo anno, loro due e Luna formavano un terzetto improbabile di totali sfigati: Ginny aveva ancora addosso la timidezza e la paura che avevano segnato la sua preadolescenza, Luna era considerata da tutti una svitata completa, e Neville… beh, era il Grifondoro meno Girfondoro che Hogwarts avesse mai conosciuto. Così, soli e scansati un po’ da tutti nei corridoi, avevano cominciato a studiare insieme in biblioteca, il giorno in cui Neville si era offerto di dare una mano alle due ragazze con quel compito particolarmente difficile della McGranitt: lui l’aveva già fatto l’anno precedente e poteva dar loro qualche dritta. Alle sere di studio erano poi seguiti i pranzi sul prato e le uscite ad Hogsmeade, durante una delle quali Neville aveva chiesto a Ginny di accompagnarlo al Ballo del Ceppo. Ginny rise tra sé e sé mentre atterrava sull’erba soffice del campo da Quidditch: aveva desiderato così tanto l’invito di Harry e nascondere la delusione quando aveva dovuto accettare quello di Neville era stato particolarmente difficile. Ripensando adesso quei momenti, sapendo cosa sarebbe successo di lì a qualche anno, non poteva proprio fare a meno di ridere: la timidona, la svitata e lo smidollato avevano ricostruito l’Esercito di Silente, tenuto testa ai Carrow e combattuto nella Battaglia di Hogwarts. Erano stati rapiti, Cruciati, tormentati, ma nessuno di loro si era mai piegato.
   Ginny si caricò il manico di scopa su una spalla e si avviò verso l’entrata del castello, il sorriso sulle labbra, ma nel momento in cui mise piede fuori dal campo di Quidditch la voglia di sorridere le passò velocemente com’era arrivata: Luna stava salendo le scale chiacchierando amabilmente con Astoria Greengrass, che rideva forse per qualcosa che aveva detto l’altra. Cosa diavolo di faceva Luna con una Serpeverde? Accelerò il passo, risentendo sé stessa mentre diceva ad Hermione che non è la Casa che fa la persona, ma ora che una delle sue migliori amiche fraternizzava con la figlia di probabili Mangiamorte – probabili? Chi vogliamo prendere in giro! – la bocca dello stomaco le si era chiusa. Salì quasi di corsa le scale e stava per raggiungere Luna all’ingresso della Sala Grande quando rischiò di travolgere la professoressa Caporal.
   “Mi scusi” borbottò mantenendo gli occhi fissi sull’amica; non si era accorta che la Caporal la guardava con un sopracciglio alzato e le braccia conserte.
   “Vieni dal campo di Quidditch?” chiese.
   “Cosa?” Ginny finalmente si decise a guardare la professoressa, che occhieggiò velocemente la scopa ancora caricata su una spalla della ragazza. “Oh, sì, vengo dal…”
   “Dimmi che hai prenotato il campo per le selezioni.”
   La bocca di Ginny si seccò. Demelza l’aveva lasciata in pace durante il week end con la faccenda delle selezioni; aveva pensato ad un atto di umanità, ma aveva scoperto domenica sera che la felice coincidenza era dovuta ad un Tassorosso del sesto anno, al quale era avvinghiata strettamente dietro un arazzo del settimo piano.
   “Certo” mentì Ginny sperando di risultare credibile. “Venerdì sera” aggiunse sparando la prima data che le venne in mente.
   “Venerdì, eh?” il sopracciglio della Caporal si inarcò al punto da sparire quasi sotto il cappello. “Weasley, sono quasi tentata di togliere punti alla mia stessa Casa per farti passare la voglia di dire sciocchezze.”
   La professoressa tirò fuori un foglio dalla tasca della propria veste e lo ficcò in mano a Ginny, le cui guance dovevano aver preso fuoco tanto erano calde.
   “Venerdì ci sono le selezioni di Corvonero” disse asciutta la Caporal. “Vogliamo ricominciare questa conversazione?”
Ginny sospirò.
   “Non ho ancora prenotato il campo per le selezioni. Mi dispiace.”
   “C’è un buco giovedì sera” la professoressa indicò uno spazio vuoto nella griglia di prenotazioni del campo di Quidditch. “Ora filerai dritta da Madama Bumb e prenoterai questo dannato campo. Sono stata chiara?”
   “Sì, professoressa.”
   “Non sei in punizione solo perché è la seconda settimana di scuola e siamo tutti sotto pressione. Ma non voglio doverti inseguire ancora, mi sono spiegata? Sei il Capitano della Squadra e devi fare il tuo dovere.”
La Caporal non aspettò nessun tipo di risposta e voltò le spalle a Ginny, dirigendosi a lunghi passi rabbiosi verso il tavolo degli Insegnanti. Luna si era già confusa in mezzo agli studenti al tavolo di Corvonero e Ginny non ebbe alternative se non andare da Madama Bumb con la coda tra le gambe.
 
 
Hogwarts – davanti all’ufficio della professoressa Caporal
 
   Era stato un disastro. Un vero disastro.
   Dean fissava con insistenza la porta dell’ufficio della Caporal, le spalle ricurve e la bacchetta ancora stretta in una mano. Tutta colpa di quella dannata esercitazione. E di quell’idiota della Ellis: che razza di idea è, far fare lezione agli studenti? E’ un disastro annunciato.
   Peccato che ad essere nei guai fino al collo al momento fosse lui, e non la professoressa. Dean spostò il peso da un piede all’altro e sentì la pergamena frusciare nella tasca della sua divisa, dove aveva infilato malamente il messaggio che la Ellis aveva scritto alla Caporal; non lo aveva letto ovviamente – era sigillato – ma poteva benissimo immaginare cosa ci fosse scritto: qualcosa come il signor Thomas ha tenuto un comportamento assolutamente non idoneo.
   Stronzate. Fino a due mesi fa gli avrebbero dato una medaglia, ma adesso no, la feccia Purosangue era diventata intoccabile, dovevano convivere tutti come amichetti del cuore come se nulla fosse mai successo. Come se quei bastarsi non avessero dato la caccia a quelli come Dean come fossero i conigli, come se si potesse dimenticare il dolore che ti corrode ogni centimetro del corpo.
   La professoressa Caporal passò davanti a Dean a passo spedito e gli rivolse un’occhiata veloce prima di aprire con un colpo di bacchetta la porta del proprio ufficio.
   “Buongiorno Thomas” disse in tono neutro. “A cosa devo il piacere?”
   Dean non rispose, ma afferrò la pergamena sigillata nella tasca e la allungò alla professoressa; lei strinse appena le labbra mentre prendeva il messaggio, poi fece cenno al ragazzo di entrare. L’ufficio era piccolo e reso ancora più angusto dalle alte pile di libri impilati su ogni superficie disponibile; alle pareti erano appese tavole anatomiche di diverse Creature Magiche che il ragazzo non riconobbe – non aveva mai amato quella materia – e un’enorme chiave dicotomica presumibilmente per classificare Draghi. La Caporal liberò una sedia facendo Levitare un paio di pesanti volumi rilegati in pelle, poi prese posto dietro alla scrivania; aveva già aperto il sigillo della Ellis e stava leggendo con la fronte corrugata. Dean si sedette e attese, fissando intensamente una scanalatura del legno della scrivania di fronte a lui. Dopo diversi minuti, la Caporal appoggiò la pergamena, si tolse il cappello e lo ripose con calma di fianco a lei, poi si passò una mano sugli occhi; sembrava molto stanca.
   “Dean” il fatto che lo chiamasse per nome era già di per sé preoccupante. “Che diavolo ti è saltato in mente?”
   Ho fatto solo quello che dovrebbero fare tutti, pensò il ragazzo, ma ebbe il buon senso di non dirlo ad alta voce.
   “Ho sbagliato mira” tentò una misera bugia, sperando che la Caporal se la bevesse.
   “Tre volte?”
   Dean si strinse nelle spalle. Era colpa della Ellis. Lei lo sapeva, tutti sapevano che cosa stava passando Dean in quel momento.
   Ernie Macmillan, dopo essere arrivano il venerdì precedente senza uno straccio di lezione preparata, aveva tentato di recuperare credibilità agli occhi della Ellis con una lezione sugli Schaintesimi e gli Incantesimi Scudo – l’argomento più banale del mondo, per chi aveva frequentato l’ES. Alla professoressa era poi venuta la brillante idea di mettere in pratica quello che Ernie aveva spiegato, dividendo la classe in due squadre che avrebbero dovuto fronteggiarsi a suon di Schiantesimi e Incantesimi Scudo; con il senno del poi, la Ellis avrebbe dovuto pensare meglio a come fare quelle dannate squadre. Invece aveva semplicemente indicato i ragazzi: uno nella squadra A, uno nella B, uno nella A, uno nella B. E così Dean si era ritrovato gomito a gomito con Zabini e le sorelle Greengrass. Solo Schiantesimi e Incantesimi Scudo, aveva ripetuto la Ellis mentre i ragazzi si schieravano al limitare della Foresta Proibita; la squadra che sarebbe riuscita a Schiantare tutti i componenti di quella avversaria avrebbe vinto. Quando la Ellis aveva dato il via e Dean si era ritrovato a fissare i suoi avversari, aveva capito che non sarebbe mai riuscito a Schiantare Hermione o Luna: se chiudeva gli occhi poteva ancora vedere la ragazza bionda nel seminterrato dei Malfoy, magra e tremante, e c’erano ancora notti in cui si svegliava con le grida di Hermione nelle orecchie. Poi aveva guardato i suoi compagni di squadra: Zabini aveva la bacchetta alzata e un ghigno stampato sulla faccia; Daphne Greengrass aveva già Schiantato Seamus e stava cercando riparo dietro a un albero. Era stato quello il momento in cui Dean aveva deciso. Ginny, l’unica persona decente in squadra con lui, si era accorta troppo tardi di cosa stava succedendo e aveva tentato di correre ai ripari. Prima che si accorgesse realmente di ciò che stava facendo, Dean aveva già mandato in pezzi l’albero dietro il quale si era nascosta quella puttana della Greengrass, che era svenuta; Astoria era poco lontana, ma lo Schiantesimo del ragazzo era rimbalzato sull’Incantesimo Scudo di Ginny, che urlava qualcosa a cui Dean non prestò attenzione. Zabini si era avvicinato correndo, il ghigno trasformato in un’espressione di cupa preoccupazione; Dean lo aveva colpito con l’Incantesimo Tagliacarne – lo stesso che le figure incappucciate a Villa Malfoy usavano su di lui. La rabbia bruciante gli aveva impedito di prendere bene la mira, per cui aveva colpito solo la gamba di Zabini, ma se non fosse intervenuta la professoressa Ellis Disarmandolo, Dean avrebbe proseguito fino a ridurlo in pezzi.
   “Thomas, è grave” il tono cupo della Caporal riportò il ragazzo al presente. “Posso sapere cosa diavolo ti sta succedendo?”
   Dean strinse le labbra così forte che pensava avrebbero cominciato a sanguinare. Cosa gli stava succedendo? La vera domanda è cosa stava succedendo al resto del mondo! Non riusciva proprio a capire perché diavolo tutti fossero così tranquilli mentre Mangiamorte e aguzzini erano tornati a scuola come se nulla fosse.
   La Caporal sospirò, forse intuendo che non sarebbe arrivata nessuna risposta.
   “Toglierò cinquanta punti a Grifondoro. E sarai in punizione fino a Natale, tre sere a settimana. E’ pur sempre l’anno dei M.A.G.O., devi avere tempo per studiare.”
   La professoressa fece un gesto brusco con la mano e Dean si ritenne congedato; era già sulla porta quando la Caporal lo richiamò.
   “Thomas, trova un dannato modo per sfogarti. Non voglio altri… errori di mira.”
   Dean non si voltò nemmeno e si chiuse la porta alle spalle.
 
 
 
Sala Comune di Grifondoro
 
   La pioggia aveva da poco cominciato a picchiettare sui vetri della Sala Comune di Grifondoro; Hermione mordicchiava nervosamente la punta della sua piuma di corvo, mentre fissava la tabella dei turni di pattugliamento dei Prefetti. La prima riunione di venerdì era stata un vero incubo: lei e Ernie si erano ritrovati davanti ad una massa di quindicenni urlanti che accampavano le pretese più diverse, parlando uno sopra all’altro. Il martedì i Tassorosso avevano gli allenamenti di Quidditch, il Prefetto di Corvonero era ancora in punizione, nessuno voleva stare in turno con i Serpeverde, che dal canto loro non facevano nulla per ingraziarsi i compagni, ma si limitavano a stare seduti in un angolo con l’espressione di chi sta respirando un odore molto sgradevole. Hermione aveva sopportato per una ventina di minuti i goffi tentativi di Ernie di accontentare tutti, poi si era alzata di scatto e aveva cacciato due urli, ottenendo l’attenzione immediata di tutti i marmocchi; aveva sbraitato che avrebbe fatto lei i turni e non ci sarebbero stati né favoritismi né eccezioni e se ciò avrebbe significato saltare qualche allenamento o stare due ore con una persona antipatica, beh, quelli erano problemi loro. Chi si fosse azzardato anche solo a pensare di saltare un turno di guardia avrebbe dovuto fare i conti con il proprio Direttore di Casa e Hermione stessa si sarebbe occupata della punizione. Nessuno aveva avuto nulla da obiettare e lei aveva sciolto la riunione senza troppi complimenti.
   La minaccia era stata credibile ed efficace, ma fare i turni era risultato essere particolarmente noioso. Senza contare che proprio non riusciva a distogliere il pensiero da Ron. Sospirò e buttò un’altra occhiata veloce alla tabella che aveva preparato: arrivava solo fino a metà di ottobre, ma per il momento sarebbe andata bene quella.
   La Sala Comune cominciava a svuotarsi, mentre gli studenti più piccoli si avviavano verso i loro Dormitori; nel tavolo di fianco a Hermione si erano sedute da poco più di dieci minuti Lavanda Brown, Calì Patil e Elan Doherthy, impegnate in un cinguettante compito di Divinazione. Hermione fece del suo meglio per ignorare le risatine e il forte profumo di vaniglia e si decise a tirare fuori la sua copia di Trasfiguarzione avanzata: la Marchbanks aveva assegnato loro un tema sulla trasmutazione umana e non aveva l’aria di essere una che accetta ritardi o lavori fatti male.
   Ginny entrò in quel momento dal buco dietro al ritratto della Signora Grassa, la cravatta allentata e la borsa dei libri pericolosamente in bilico su una spalla; si sedette pesantemente sulla poltrona di fianco a Hermione, che la salutò con un sorriso.
   “Sono stata in Infermeria” annunciò con un sospiro.
   “Ti preoccupi per i Serpeverde?”
   “Luna voleva andare a trovare Astoria Greengrass.”
   Hermione si voltò di scatto, l’espressione stupita; Ginny alzò le sopracciglia e si strinse nelle spalle.
   “Pare che siano… amiche” spiegò con incredulità.
   “Da quando?” chiese Hermione.
   “Oh, a Babbanologia sono inseparabili!” trillò Lavanda Brown dal tavolo vicino; Hermione si trattenne appena dal sospirare rumorosamente.
   “Davvero?” Ginny si sporse dalla propria poltrona.
   “Hanno cominciato a parlare un sacco” proseguì Elan sbattendo le lunghe ciglia. “E oggi le ho viste in riva al lago insieme.”
   “Fermi tutti, una Serpeverde Purosangue eccetera eccetera che frequenta… Babbanologia?” Ginny si era quasi alzata in piedi.
   “E da quando la frequenti tu?” si lasciò sfuggire Hermione, fissando perplessa Lavanda; in sei anni non l’aveva mai sentita parlare una volta di Babbani.
   “Oh sai” cinguettò lei. “La Guerra ha cambiato molte cose.”
   “E soprattutto è cambiato l’insegnante di Babbanologia!” esclamò Calì e le tre ragazze scoppiarono in una risatina complice.
   “Il signor Beaverbrook è un vero schianto” sospirò Elan.
   “Ed è molto gentile e premuroso” aggiunse Calì.
   “Dovresti venire anche tu, Hermy” suggerì Lavanda; Hermione represse un brivido provocato da quello stupido soprannome. “Magari potresti migliorare i tuoi gusti in fatto di uomini.”
   Hermione non credeva alle proprie orecchie.
   “Proprio tu mi dai consigli, Lav Lav?”
   Lavanda aveva ridotto gli occhi a due fessure.
   “Ti sei solo presa le mie briciole” sibilò. Hermione non ci vide più: si alzò di scatto con la bacchetta in pungo, ma Ginny fu più veloce e la circondò con un braccio.
   “Fatti un giro, Brown” esclamò Ginny con gesto brusco della testa. Lavanda era impallidita ma cercò di recuperare un certo contegno.
   “Ce ne andiamo” annunciò alzandosi e raccattando alla rinfusa tre o quattro libri sparsi sul tavolo. “Ma solo perché dobbiamo andare in Biblioteca!”
   Girò sui tacchi e attraversò la Sala Comune un po’ troppo velocemente, mentre Elan e Calì non si diedero la pena di mascherare la propria ritirata con un minimo di dignità, praticamente correndo sulla scia di Lavanda.
   “Allora?” Ginny fissava Hermione con gli occhi sbarrati e i pugni piantati sui fianchi, in una perfetta copia di una giovane Molly Weasley.
   “Allora cosa?” sibilò Hermione, risiedendosi di peso e sfogliando Trasfigurazione avanzata in modo assolutamente casuale. “L’hai sentita, no? Ti sei presa le mie briciole!”
   Le passarono per la testa una serie di epiteti che trattenne serrando le labbra.
   “E’ un’idiota, ma per oggi non abbiamo già avuto abbastanza duelli non programmati?” sbottò Ginny, riprendendo il proprio posto sulla poltrona. “A me è bastato Dean, ci manca solo che anche tu dia di matto. E poi tu sei Caposcuola!”
   Hermione smise di sfogliare il libro e si fermò su un paragrafo a metà della pagina.
 
   La concentrazione deve essere particolarmente focalizzata sulla punta del naso, dal quale la Trasfigurazione del volto dovrà sempre partire: la cartilagine infatti è facilmente riparabile e se il procedimento risulta essere sbagliato il mago o la strega se ne potranno accorgere in tempi molto brevi e correre velocemente ai ripari. La Trasfigurazione può partire anche da un orecchio, ma è fortemente sconsigliato scegliere come punto di partenza un occhio o la fronte. I testi dei Guaritori riportano il famoso caso di Joren Yorksen, che nel 1624 tentò la prima trasmutazione temporanea e parziale in animale e non fu più in grado di rimuovere il corno che gli usciva dalla tempia destra.
 
   La ragazza sospirò: doveva riprendere il controllo; in quel modo non sarebbe andata da nessuna parte e forse si sarebbe ritrovata a Schiantare Lavanda Brown solo per il suo irritante profumo alla vaniglia.
   “Scriviamo ai ragazzi?” chiese al paragrafo su Joren Yorksen. La mano di Ginny passò sul suo braccio e strinse piano; l’amica sapeva che era troppo presto e probabilmente lei non aveva nulla da dire a Harry, ma avrebbe comunque scritto quella lettera insieme a Hermione.
 
 
 
Camulus’ Stronghold
 
   Harry chiuse il rubinetto e si passò l’asciugamano sul volto, tamponandosi le guance con lentezza; era morbido, ma sapeva di umidità, come se fosse rimasto a lungo in un cassetto. Il ragazzo era rimasto solo nello spogliatoio, gli altri probabilmente erano già tutti sulla via del Paiolo Magico, mentre lui doveva ancora finire di rimettersi gli abiti borghesi: a torso nudo stava terminando di sciacquarsi via la giornata di dosso; gli occhiali e la felpa a righe rosse e nere aspettavano nell’armadietto.
   Dopo la fine del Duello di prova con Kiky, Leatherman aveva spedito tutti a cambiarsi e aveva preso da parte Harry; avevano parlato a lungo – o meglio, Roy lo aveva praticamente interrogato per capire cosa fosse successo. Da fuori quel duello era stato invisibile: Harry e Kiky sembravano essersi scambiati solo qualche Incantesimo goffo, mentre la vera battaglia era stata ingaggiata nella testa di lui. Il ragazzo si sentiva spossato e aveva faticato non poco nel rispondere alle domande di Leatherman; l’Istruttore aveva modi bruschi e frettolosi, ma si era rifiutato di lasciar andare Harry negli spogliatoi finché non era stato certo che fosse tutto a posto.
   Harry si sedette sulla panca malmessa di fronte al suo armadietto e per la prima volta in quella lunga giornata si concesse di pensare a Ginny. Come sempre da una settimana a quella parte la sua assenza si dilatò nel petto come una bolla pesante; si sentiva incredibilmente sciocco ed era certo che lei non soffrisse così tanto la mancanza di lui. Ginny, la sua meravigliosa Ginny, ne aveva passate ben di peggio – la maggior parte per colpa di Harry, a dire il vero. Avrebbe dovuto aver voglia di scriverle, ma la verità era che aveva solo bisogno di stringerla e sentire il suo profumo.
   Un tocco leggero sulla porta richiamò l’attenzione del ragazzo: le nocche di qualcuno batterono sul legno laccato di verde scuro un paio di volte.
   “Harry?”
   Kiky, che aveva di nuovo indossato il vestito blu di quella mattina, fece qualche passo verso di lui; il ragazzo lasciò cadere l’asciugamano sulle spalle nude, le lanciò un’occhiata inespressiva e si diresse al proprio armadietto in silenzio.
   “Harry, io…” la ragazza non riusciva a trovare le parole; era parsa così sicura di sé a pranzo, mentre sbandierava davanti a tutto il corso quanto fosse brava in Legillimanzia. “Mi dispiace” esalò alla fine. “Non avrei dovuto farlo.”
   “No, non avresti dovuto” Harry risultò più freddo di quanto non avesse voluto, ma non se ne pentì. Lanciò l’asciugamano in un angolo e si infilò felpa e occhiali.
   “Io ho sentito…” la ragazza aveva di nuovo il respiro accelerato. “E’ pazzesco, lo so, ma… credo di aver sentito la tua morte.”
   Harry chiuse l’armadietto di scatto e l’improvviso clangore di metallo contro metallo fece sobbalzare Kiky.
   “Quello che hai visto… dimenticalo. Non ti riguarda.”
   Non voleva scusarsi, voleva delle risposte. Insolente. Insolente e arrogante.
   “Se solo potessi capire…”
   Harry si voltò e fissò la ragazza dritta negli occhi; sembrava sovrastarla.
   “No, io non ti devo nulla” Harry non stava gridando, ma sembrava che lo stesso facendo. “Io non so chi sei, non ti conosco. Sei una Legillimens e pensi che questo ti dia il diritto di fare quello che ti pare? Te lo ripeto, quello che hai visto non ti riguarda.”
   Le passò di fianco evitando di toccarla in qualsiasi modo, come se anche il solo contatto rischiasse di fargli ritrovare di nuovo la ragazza a frugare tra i suoi ricordi. Aveva lo stomaco contratto e un cerchio che premeva sulla testa; in un gesto istintivo si portò il palmo della mano sulla cicatrice, prima di rendersi conto che non era quella a fargli male. Forse stava dando di matto, ma gli venne da sorridere.
 
 
 
Il marciapiede davanti al Paiolo Magico
 
   Il Paiolo Magico sembrava essere stipato fino all’orlo, con dieci persone sedute a un tavolo infilato a forza lungo la parete. La tavolata del corso Auror scoppiò a ridere per qualcosa che da lì non poteva sentire: era giusto in grado di intuire le figure sedute che facevano cozzare i bicchieri di quando in quando. Conosceva talmente bene quel pub da riuscire comunque ad immaginare l’atmosfera al suo interno: poteva quasi percepire l’aria soffocante e umida che sapeva di Whisky Incendiario scadente e fumo stantio.
   Ricordava perfettamente la prima sera del corso da Auror: le chiacchiere, le risate, i brindisi che non erano mai abbastanza; lui aveva vinto il suo Duello di prova contro Alice Paciock, più giovane di lui e dannatamente piena di sé. Ricordava il senso di speranza e di freschezza di quella sera, quella consapevolezza di qualcosa di nuovo che comincia.
   Erano bastate poche settimane per scacciare quell’illusione e farlo tornare con i piedi per terra. Alice Paciock non aveva perso occasione per umiliarlo e lui era tornato uno fra tanti – anche in quel corpo scelto di maghi.
   Si concentrò sulle figure nel pub, cercò la testa rossa di Weasley e intuì che quella nera di fianco a lui fosse Potter. Vederlo quella mattina in ufficio gli aveva fatto un certo effetto: una piccola vittoria, un minuscolo passo verso il disegno finale, come quando si trova il pezzo giusto del puzzle e si comincia ad intravvedere la figura completa. Quegli sciocchi pensavano di camminare in campo aperto e invece stavano seguendo il sentiero che lui aveva segnato per loro. Il Prescelto, colui che aveva salvato il mondo magico, veniva pian piano avvolto nei lacci della rete di un mago qualsiasi, uno fra tanti. O quasi.
   La pioggia cominciò a tamburellare leggera sull’asfalto e sulle falde del suo cappello. Tirò su il bavero del mantello per ripararsi dal freddo precoce della sera di settembre e si avviò lungo la strada affollata di Babbani, lasciandosi alle spalle le figure allegre dietro la vetrata appannata del Paiolo Magico.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo di Gin
Eccomi, ce l’ho fatta a pubblicare prima dell’anno!
Sono in ritardo con tutto, la pubblicazione, la lettura… insomma un disastro. Spero capirete!
 
Capitolo di passaggio che forse non vale l’attesa (mi farò perdonare, promesso), ma un po’ di dietro le quinte passeggiando tra varie voci narranti era necessario. Stanno dando un po’ tutti di sclero; l’unica che sembra essere contenta è la vocetta misteriosa immancabilmente a fine capitolo. Damn.
E la risposta a Enrico Brizzi, citazione iniziale, è chiaramente no. Tutti in questo capitolo hanno qualcuno – o qualcosa, nel caso di Dean, che vive una frattura mica da poco – di amato lontano, e nessuno di loro è particolarmente convinto che il solo fatto di amarlo lo faccia sentire vicino. Sigh.
 
Capitolo dedicato in particolare a Ire_Unicorn, credo di non aver disatteso nessuna delle tue “richieste” a parte Teddy, credo! Per il nostro piccolo ci sarà tempo <3
 
Carissimi tutti che leggete e alcuni (non pochi per i miei standard!) che commentate, colgo l’occasione per farvi i miei più sinceri auguri di un sereno anno nuovo!
Vi avrei fatto anche quelli di buon Natale, ma sono in ritardo anche con quelli! Enjoy
 
Grazie di cuore come sempre a tutti
Ci si risente l’anno prossimo – spero in tempi umani!
 
Smack
Gin
   
 
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