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Autore: malandrina4ever    02/01/2018    8 recensioni
«Perché sono il tuo migliore amico. E se c’è qualcosa che ti pesa, allora tocca a me portarla al posto tuo.»
~ James Potter
«E lui poteva appendermi a testa in giù tutte le volte che ne aveva voglia, ma questo non sarebbe mai cambiato. Perché Lily sorrideva a me e non a lui.»
~ Severus Piton
«Potrebbe essere un complimento, lo sarebbe, se solo non fossero la voce e gli occhi di Potter. È incredibile come riesca a far suonare anche le frasi più gentili come una presa in giro, socchiudendo appena gli occhi e imprimendo quella vena beffarda in ogni parola.»
~ Lily Evans
«La vocina acuta che continua a ripetere ‘Prefetto. Dovresti essere un Prefetto’ si attutisce appena di fronte ai sorrisi entusiasti dei miei amici.»
~ Remus Lupin
«Il Grifondoro che c’è in me crede che, forse, dovrei sentirmi almeno leggermente in colpa per aver barato. Ma il Malandrino che c’è in me continua a ghignare soddisfatto.»
~ Sirius Black
«James si sta approfittando spudoratamente della nostra volontà di risollevargli il morale, noi lo sappiamo, lui sa che noi sappiamo, ma finiremo comunque a dare l’assalto alla Sala Comune dei Serpeverde, perché a volte per essere un buon amico devi semplicemente essere bravo a lanciare bombe fatte di cacca.»
~ Peter Minus
«Alla fine Sirius sa essere un fratello impeccabile. Solo non il mio.»
~ Regulus Black
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I'm not a perfect person
I never meant to do those things to you
And so I have to say before I go
That I just want you to know

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Ed improvvisamente non mi sento più così perfetto, perché Lily Evans sta baciando lui e non me.
Perché sarà sempre così, sarà sempre chiunque altro, piuttosto che me.
Ed è semplicemente l’ordine naturale delle cose, come sono sempre andate e sempre andranno, ma non riesco a togliermi dalla testa che è comunque tutto totalmente sbagliato.
Si fotta l’ordine naturale delle cose, dovrei essere io.
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I've found a reason to show
A side of me you didn't know
A reason for all that I do
And the reason is you.
Genere: Comico, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, James Potter, Lily Evans, Mangiamorte, Sirius Black | Coppie: James/Lily
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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CAPITOLO 27.

 

 
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- Ti ha detto di sì? Davvero?
Remus sembra così dannatamente sorpreso.
- Perché hai quella faccia, Moony? Sei tu che mi hai detto di chiederglielo, perché avresti dovuto farlo se non ti aspettavi che andasse a buon fine?
Non ho mai visto in Remus il genere di amico che complotta alle mie spalle e mi dà consigli deleteri apposta per vedermi fallire e ridere di me, sono sempre stato sicuro di avere quel genere di amico in Sirius soltanto, eppure qualcosa in tutta questa storia non mi torna. È naturalmente ridicolo e inaspettato che Evans abbia acconsentito ad aiutarmi con Pozioni, che significa fondamentalmente respirare la mia stessa aria senza esserne obbligata e probabilmente persino parlare con me e il tutto senza che ci sia la vita di nessuno in gioco e senza essere ricattata. È davvero poco credibile, me ne rendo conto, ma non dovrebbe esserlo per Remus, che ieri ha indossato la sua faccia da ‘io sono così saggio e so qual è la cosa giusta per te e chiunque altro in questo castello’ e mi ha spinto dritto da Evans, convincendomi che fosse una mossa vincente. Subdolo, subdolo Prefetto.
 - Non lo so, James, non sono sempre al corrente del motivo per cui faccio o dico qualcosa, - Remus ha quella sua solita aria giudiziosa e ragionevole che lo fa sembrare agli occhi di tutti il perfetto bravo ragazzo, amico impeccabile, studente impegnato e Prefetto dai sani principi, ma la realtà è che sta prestando più attenzione all’operazione di spalmare il burro d’arachidi sul suo pane tostato che a me che svelo il suo inganno e questo non è per niente quello che un amico impeccabile farebbe. - Credo che tu possa capirmi.  
La mia testa annuisce automaticamente, perché succede spesso che le mie labbra facciano cose senza il mio pieno consenso, quindi certo che lo capisco, poi realizzo che in effetti quello di Remus non era proprio un complimento e aggrotto la fronte.
- Lo sai, Prongs, - Mentre sto per far presente a Remus qualcosa di molto sagace, Sirius scavalca la panca e prende velocemente posto al mio fianco, iniziando a riempirsi il piatto senza perdere altro tempo. - Avermi chiuso in bagno non renderà i tuoi capelli meno azzurri.
Non sono così azzurri come Sirius lo fa sembrare, davvero. Quell’individuo spregevole che si spaccia per il mio migliore amico ha usato un incantesimo così potente che ho dovuto passare ore a sfregarmi i capelli e puntarci contro la bacchetta per far sparire il blu acceso di ieri, ma ad un occhio allenato sono ancora visibili varie tracce e riflessi azzurrini sulla mia testa e questo non è dignitoso. Remus dice che non si notano particolarmente, ma ho recentemente scoperto che Remus non sempre pensa quello che dice e non sempre sa perché dice le cose che dice, dunque intrappolare Sirius nella doccia è stata una mossa pienamente giustificata.
- Come ti sei liberato?
La bocca di Sirius è impegnata con un pancake che sono abbastanza sicuro di aver visto nel mio piatto fino a pochi secondi fa e la sua testa indica con un cenno Frank, che ha appena preso posto di fronte a noi.
- Ho sentito delle grida mentre scendevo a colazione, - spiega Frank, che in realtà non entra in camera nostra a vedere cosa sta succedendo ogni volta che sente delle grida, dato che la cosa tende ad essere una costante. C’è qualcosa di molto sospetto nel fatto che abbia deciso di indagare proprio la volta in cui le grida erano date da un Sirius nudo e bloccato dentro la doccia, ma credo che farò semplicemente finta di credergli. – Ieri sei venuto agli allenamenti con i capelli blu e la mattina dopo sento Sirius gridare disperato: ho fatto due più due.
Peter, che non recupera mai la totalità delle sue funzioni cerebrali prima della fine della colazione e non ha spiccicato parola da quando si è seduto, ridacchia divertito e Sirius lo segue a ruota. Anche Remus nasconde un sorrisetto dietro la sua tazza di caffelatte ed io mi ritrovo a trattenere un sospiro: ma certo, rinfacciamo alla gente il colore dei propri capelli già di prima mattina, forza.
- Per l’appunto, Frank, avresti potuto dirmelo ad un certo punto delle due ore che abbiamo passato insieme, sai.
- Ho fissato i tuoi capelli e ti ho chiesto esplicitamente se avevi litigato con Sirius, - Frank pare convinto che questo risolva la questione e la parte frustrante è che ha ragione: avrei dovuto capirlo. – Come potevo essere più esplicito di così?
- Oh, non lo so, ma forse ehy, James, i tuoi capelli sono blu sarebbe stato un bell’indizio
- Non mi sento a mio agio a dare notizie del genere alle persone, - conclude pacato Frank, che invece pare sentirsi perfettamente a proprio agio nello spostare due dei miei pancake dal mio piatto al suo. Ma certo, fate pure, qualcun altro vuole servirsi direttamente la colazione dal mio piatto? James Potter è qui per questo dopotutto, non ha mica bisogno di energie per allenarsi in vista della partita che rischia di sbattere Grifondoro definitivamente fuori dalla competizione per la Coppa, no. - Ma se preferisci saperlo, hai ancora delle ciocche azzurrine.
- Che ti dicevo, Prongs? Si notano tantissimo, solo che mentre ieri eri palesemente la vittima di uno scherzo, ora la gente potrebbe realmente pensare che le hai fatte apposta, - Sirius ghigna compiaciuto e lo sciroppo d’acero che gli cola sul mento rendendolo ridicolo è una magra consolazione. - Diremo che vuoi lanciare una nuova moda o qualcosa del genere.
La mia mano va a colpire decisa il fianco di Sirius, ma il buonumore che gli provoca il vedermi iniziare la giornata in modo imbarazzante fa scudo al suo corpo e lo protegge dal dolore. È passato troppo poco tempo da quando ho disegnato baffi rosa sulla sua faccia perché io possa mettere in atto una vera e propria rappresaglia nei suoi confronti, ma se continua così dovrò semplicemente legarlo e abbandonarlo nei sotterranei, aspettando che i Serpeverde si sbarazzino del suo corpo come meglio credono.
- Senti, Prongs, lo mangi quel pancake?
Peter pare infine essersi nutrito abbastanza da aver riacquistato il dono della parola, ma non abbastanza da non insidiare le colazioni altrui, e dal modo in cui sta guardando il mio piatto quasi vuoto, suppongo che la risposta alla sua domanda sia no, Pete, questa situazione non finirà mai con me che riesco a mangiare il mio dannato pancake e lo sappiamo entrambi. Devo iniziare a considerare seriamente l’idea di vendere i miei amici e comprarmene di nuovi; dei Tassorosso preferibilmente, sono sicuro che loro non ruberebbero mai la mia colazione.
- Quasi dimenticavo, - Sto sondando il tavolo giallo-nero alla ricerca di possibili candidati quando Frank mi distoglie dalla mia operazione di ricerca. – Indovinate un po’ chi darà una festa clandestina proprio qui in Sala Grande?
 

*

- Sarà la più grande festa che Hogwarts abbia mai visto. Non nella Sala Comune, no, quella è roba da dilettanti: la Sala Grande. Quando mai si è visto un party segreto in Sala Grande, eh? Se ne parlerà per anni. Diventeremo una sorta di leggenda e tutti gli eversivi del futuro guarderanno indietro a noi e diranno ammirati cose come ‘certamente erano entrambe di Grifondoro, solo così si spiega un tale coraggio e sprezzo del pericolo’. 
Ora, è mattina e Alice sta parlando piuttosto velocemente da una quantità indefinita di tempo e non ogni parte del mio cervello è attualmente in grado di seguirla, ma sono comunque riuscita a cogliere due fondamentali errori nel suo piano vaneggiante: punto uno, è il mio compleanno. E mio compleanno vuol dire mia festa epocale e quindi mia leggenda, non vedo perché la mia migliore amica dovrebbe essere inserita nei racconti dei futuri studenti di Hogwarts; non è egoismo o altro, sono sempre felice di dividere le cose con lei, il banco, il bagno, la spazzola, a volte i libri, c’è stato persino uno spiacevole incidente riguardo ad un ragazzo che entrambe fingiamo non sia mai accaduto, ma ecco, la gloria eterna no, quella non è condivisibile per una semplice questione logistica: mio compleanno, mia festa epocale, mia gloria. Semplice così.
Oh, e poi c’è naturalmente quella storia riguardo al mio essere un Prefetto che non darà di certo nessuna festa epocale in Sala Grande.
- Guarda che oggetto bizzarro mi sono ritrovata addosso questa mattina, Alice, - Mi batto un dito sul petto, all’altezza della spilla dorata appuntata sul maglioncino della divisa. – Per cosa credi che stia la P? Pancetta affumicata? Pallina da tennis? Per favore, dai una festa segreta in Sala Grande e fatti espellere?  
Alice fissa la mia spilla, poi fissa me, poi di nuovo la spilla e infine spalanca gli occhi come se avesse appena avuto la più illuminante delle illuminazioni, solo che in realtà non l’ha avuta.
- Prefetto, - sussurra con l’aria di essere in preda ad una crisi mistica. - Hai ragione, sei un Prefetto! Nessuno sospetterà mai di te, è geniale. Se ti scoprono, puoi semplicemente smettere di ballare e divertirti e metterti a rimproverare gli invitati a voce alta e poi dire ai professori che stavi facendo la tua ronda quando hai scoperto una festa clandestina in Sala Grande. Voglio dire, possiamo entrare nella leggenda e tu non sarai nemmeno espulsa.
È bizzarro come Alice vari dal singolare al plurale a seconda che si parli della gloria eterna o dell’essere scoperte dai professori, calibrando attentamente la sua partecipazione all’organizzazione della festa proporzionalmente agli eventuali benefici o svantaggi; credo che sia abbastanza contrario al codice morale dei Grifondoro e anche a quello delle amiche, ma se c’è una cosa che ho imparato in questi sei anni è che entrambi i codici sono estremamente mutevoli e vaghi.  
- Quindi ritiri la precedente idea degli striscioni con la mia faccia dipinta sopra o fingiamo che non aiuterebbero in alcun modo la McGranitt a capire chi ha organizzato la festa? – Una parte di me sta cercando di aggrapparsi disperatamente al mio sopracciglio sinistro per impedirgli di inarcarsi nel modo che Alice definisce da so-tutto-io, ma sono troppo impegnata a non farle notare come la sua proposta di fottere tutti i miei invitati e venderli per salvarmi il culo sia troppo disonesta persino per un codice indefinito come quello dei Grifondoro. Non che non sia un buon consiglio per chiunque dovesse effettivamente trovarsi in una situazione del genere, ma mi piace pensare di non essere il tipo di persona che dà feste segrete in Sala Grande e poi viene scoperta. Già un Prefetto non dovrebbe dare feste e basta, ma essere un Prefetto amorale e incapace sarebbe semplicemente troppo da accettare.
- Quella non era una proposta seria, Lil, - dice Alice. - Non avevo ancora bevuto il caffè e ci conosciamo da sei anni: dovresti sapere che non escono mai proposte serie dalla mia bocca prima del caffè.
- Oh, non lo so invece, perché io non ho ancora bevuto il mio caffè, - puntualizzo, alzando a  mo’ di prova la tazzina ancora piena di fronte a me. - E come posso sapere qualcosa, qualunque cosa, prima di berlo? Tu dovresti sapere questo piuttosto, ci conosciamo da sei anni.
Alice fissa me, io fisso Alice, poi Mary si siede di fronte a noi e inizia a spandere il suo naturale buon umore lungo tutto il tavolo, come è sua abitudine.
- Buongiorno, raggi di sole, che si dice? – trilla contenta, in quel suo bizzarro modo di non odiare il mondo come ogni essere umano normale alle otto di mattina fa. 
- Lily darà una festa epocale in Sala Grande. 
- In Sala Grande? Ma è fantastico, la scuola ne parlerà per anni! Sai già chi invitare? Vorranno esserci tutti, ci scommetto. Inizio a spargere la voce? Oh, devo assolutamente spargere la voce. Sarò quella che ha sparso la voce ed entrerò nella leggenda.
- No, fermi tutti, - Quanti altri nomi possono infilarsi nella mia leggenda prima che diventi semplicemente la leggenda di ‘quel gruppo di Grifondoro’ e si perda il dettaglio che era una festa di compleanno? Non che questo sia il punto naturalmente, dato che non ci sarà nessuna festa e nessuna leggenda. - Alice sta delirando, non farò nulla del genere.
- Ma certo che lo farai, - Alice agita una mano nella mia direzione come per scacciare una mosca, poi torna a rivolgersi a Mary. – Certo che lo farà, è solo che non può saperlo ancora perché non ha bevuto il suo caffè.
- Vi do la mia parola che non lo farò.
- In effetti, Lily, non hai bevuto il tuo caffè, - conclude Mary con gli occhi fissi sulla mia tazza fumante. – Non puoi ancora sapere quello che non farai. Alice, d’altro canto...
E gli occhi azzurri di Mary questa volta si posano sulla tazzina, ora completamente vuota, di Alice. Ed è fatta, non c’è nulla che io possa fare o dire in questo momento per cancellare il fatto che la mia amica ha ora più credibilità di me, perché lei ha bevuto il suo caffè e io no.
 - Cos’è che Lily non farà?
Frank schiocca allegro un bacio sulla guancia della sua ragazza, chinandosi su di lei da dietro mentre Black gli sfreccia alle spalle quasi correndo; automaticamente avvicino a me il piatto in cui si trova l’ultimo muffin presente al tavolo di Grifondoro: Black ha questa bizzarra convinzione di poter vantare chissà quali diritti speciali sui muffin, quando nella realtà se scendi a colazione dopo trenta minuti che è iniziata, non hai diritto nemmeno alle molliche di pane tostato, figuriamoci ai muffin al cioccolato, che vengono depredati nel corso dei primi tre minuti. È proprio mentre gioisco per il colore perfettamente dorato del mio muffin, interrotto da quelle deliziose gocce scure di cioccolato fondente, quelle che si sciolgono in bocca confondendosi con l’impasto morbido in un tripudio di piacere che...ecco, è mentre ammiro adorante il mio muffin che perdo l’occasione di rispondere a Frank al posto di Alice.
- Dare una festa epocale in Sala Grande, - sta giusto dicendo la mia sciagurata amica. – E lo farà in realtà, solo che non lo sa ancora.
- Se c’è una cosa che so nella vita, è che non darò mai quella festa, Frank, credimi.
La mia voce risulta sicura e piuttosto attendibile, ma Frank si concentra più sul cenno del capo di Alice che sulla mia estrema fermezza e credibilità, così ora anche lui sta fissando scettico la mia tazza di caffè piena fino all’orlo. Dannazione.
- È la regola del caffè, Lily, scusa.
E con un’alzata di spalle si allontana alla ricerca di un posto a sedere, ignorando il mio accorato appello di non riportare i vaneggiamenti di Alice a nessuno, come d’altro canto sta invece facendo Mary con Emmeline Vance, proprio qui davanti a me.
Dannazione, perché non ho semplicemente bevuto subito il mio caffè?
 

*
 
- Ma non può farlo.
Nonostante abbia reso i miei capelli più azzurri di quanto sarebbe dignitoso e in questo momento tutto vorrei meno che concordare con lui, Sirius ha centrato perfettamente il punto.
- Infatti, - Annuisco. - È ridicolo. Perché non ci abbiamo pensato noi? Ragazzi, perché non ci abbiamo pensato noi?
Qualcosa nell’espressione di Remus mi suggerisce che lui non è particolarmente dispiaciuto che nessuno di noi se ne sia mai uscito con quest’idea, ma ho recentemente deciso di non soffermarmi mai più su ciò che Remus o la faccia di Remus hanno da dire.
Una festa notturna in Sala Grande, perché non ci abbiamo pensato?  Nessuno l’ha mai fatto prima, nessuno in tutta la storia di Hogwarts, perché scegliere come luogo la Sala Grande, quando ce ne sono tanti altri più sicuri e meno in vista, è in effetti una mossa molto stupida e avventata, un modo come un altro per comprarsi un biglietto di sola andata per l’espulsione. Non è un’idea particolarmente brillante a pensarci bene e posso capire perché Remus sia sollevato che non ci abbiamo mai pensato, ma ehy, più è alto il rischio, più alta è la gloria in caso di riuscita ed è universalmente riconosciuto che il pericolo rende tutto più divertente. Sirius ripete spesso che il rischio è il pepe per noi Malandrini e se ignoriamo il fatto che a tutti e quattro fa in realtà schifo il pepe e che Peter è pure allergico, cosa che rende Sirius un idiota dai paragoni idioti, ha in realtà centrato il punto, di nuovo.
- Giusto, perché non ci avete mai pensato? Suona come qualcosa che avreste dovuto fare ad un certo punto in tutti questi anni, - Frank alza le spalle. - In ogni caso, Lily lo farà, statene certi: la sua tazza di caffè era piena.
Non so cosa Frank voglia dire con questo o cosa c’entri il caffè ora, ma non sempre so cosa Frank vuole dire quando dice le cose che dice, quindi non è un problema. Il problema ora è far capire ad Evans e al resto della scuola che nessuno può infrangere le regole in modo così eclatante senza risponderne ai Malandrini: abbiamo una reputazione da difendere.
- Nessuno tranne noi dovrebbe infrangere le regole qui ad Hogwarts, - sta giusto dicendo Sirius, che è sempre la voce dei miei pensieri, tranne quando parla dei miei capelli. - Andiamo a marcare il territorio, forza.
E ci alziamo davvero tutti e quattro, sotto lo sguardo spaesato di Frank, anche se nessuno di noi ha esattamente idea di che cosa intenda Sirius con ‘marcare il territorio’, probabilmente nemmeno Sirius stesso. Spero solo che non c’entri il fare la pipì di fronte o sopra ad altre persone.
- Il piano non è uccidere Evans, giusto? – si informa cautamente Remus mentre ci facciamo largo nella fiumana di studenti che si sta riversando verso l’uscita della Sala.
- Certo che no, Moony: sembrerebbe che la temiamo e non è così.
- James, - Remus sospira e non sembra particolarmente soddisfatto della mia risposta, il che è bizzarro, perché penseresti che no, non uccideremo la nostra compagna di Casa sia esattamente quello che un Prefetto vorrebbe sentirsi dire, ma a quanto pare no. - Per il futuro, la risposta corretta quando qualcuno ti chiede se stai per assassinare una compagna è no, non sono un assassino, non no, sembrerebbe che la temiamo. Senti la differenza? Come la prima risposta suona da persona equilibrata e rispettabile e la seconda da potenziale serial killer represso?
- Perché è così petulante stamattina? – Lancio un’occhiata perplessa a Sirius e Peter, prima di spostarla dubbioso su Remus. - C’era più caffè che latte nel tuo caffelatte, Moony? Lo sai che non puoi metterci più caffè che latte.
- Non ci ho messo più caffè che latte, - dice Remus e mente sapendo di mentire. - Non sono petulante. Tu sei petulante, anche senza il caffè.
- Infatti, io sono quello petulante. È il mio ruolo nel gruppo, ho il permesso di esserlo.
Non è il mio unico ruolo naturalmente e non sono nemmeno così petulante come i miei amici lo fanno sembrare, ma in quanto capo di tutti loro è mio dovere assecondarli; non ho una spilla per questo, non è come con quella da Capitano della squadra di Quidditch e l’unica volta che ho espresso ad alta voce la mia carica di leader dei Malandrini i restanti Malandrini mi hanno lasciato appeso in mutande fuori dalla finestra del dormitorio per quasi venti minuti, così ora devo fare finta di nulla, perché c’è solo un numero di volte in un anno in cui uno studente può presentarsi in Infermeria con un principio di congelamento, ma va bene così, la mia supremazia non ha bisogno di essere annunciata: è una di quelle cose che sappiamo e basta anche senza dirle ad alta voce, come quando Sirius si è svegliato dentro l’armadio e sapevamo tutti che ce lo aveva rinchiuso Remus durante la notte, anche se lui ha sempre negato.
– Il fatto che non ti soffiamo più in faccia ogni volta che parli senza prendere fiato non significa che hai il permesso di essere petulante, Prongs, ma solo che i tuoi amici sono diventati bravi a ignorarti.
Sirius è così poco amichevole alle volte.
È stata sua l’idea di iniziare a soffiarmi in bocca ogni volta che secondo lui parlavo troppo, al secondo anno, e per quasi un mese non sono riuscito a finire un concetto senza che qualche studente a caso si sentisse autorizzato a soffiarmi i suoi germi tra le labbra nel tentativo di sedare la mia parlantina; sembrava che sarebbe durato per sempre, poi una piccola ma violenta tromba d’aria nata chissà come tra i corridoi di Hogwarts ha fatto finire alcuni ragazzi in Infermeria e la gente mi ha finalmente lasciato in pace, eccetto la McGranitt che per qualche motivo ha sentito il bisogno di mettermi in punizione, nonostante non ci sia scritto da nessuna parte nel regolamento della scuola che non si possono evocare trombe d’aria nel castello.
- Eccola.
Peter fa un cenno verso l’uscita della Sala Grande, dove localizzo immediatamente Evans appoggiata al muro lì accanto, intenta a frugare all’interno della sua borsa. 
La fisso per qualche secondo in silenzio, aggrottando appena la fronte, giusto per controllare che la mia imbarazzante cotta nei suoi confronti sia ancora lì e non sia per caso guarita da sola, come quella volta che mi è spuntata una coda a ciuffo mentre cercavo di diventare Animagus ed è rimasta lì per tre giorni, prima di sparire semplicemente nel nulla una notte. È esattamente così che finirà questa storia con Evans, i disdicevoli e irragionevoli sentimenti che sembro provare per lei finiranno nello stesso posto invisibile di quella codina a ciuffo ad un certo punto, non c’è dubbio, solo che pare non essere oggi quel punto, perché in questo momento la guardo e ho ancora voglia di prendere a pugni Philips e morderle le labbra fino a sentire di nuovo il sapore amaro di quel bacio che non è stata lei a darmi.
- Ehy, Evans. 
 

*

- A domani sera allora!
Alice è scomparsa da tre minuti circa e questa è già la quarta persona che mi passa affianco uscendo dalla Sala e mi strizza l’occhio con aria eccitata ed eloquente. Il fatto che una di queste quattro persone fosse del secondo anno, come se alla festa che non darò potrebbero mai essere ammessi dodicenni, non è nemmeno la parte peggiore. La parte peggiore è Potter, che mi si è piazzato davanti e non sta continuando a camminare verso un posto lontano da qui e da me, mentre alle sue spalle i Malandrini al completo mi fissano con aria combattiva.    
- Ehy, Evans, - dice e il suo tono è meno giocoso del solito e vagamente ostile.
- Che altro c’è, Potter? – replico e mi sforzo di rendere a mia volta la mia voce il più scocciata possibile, perché se lui ha intenzione di essermi ostile senza motivo, allora io gli dimostrerò che in questo sono molto più brava di lui e di chiunque altro, io che passo tutte le mie estati con Petunia Ostile Evans. E quell’altro tattico, piazzato lì casualmente, forse gli ricorderà che proprio ieri ho accettato di cercare di risolvere il suo problema con le Pozioni e che sono l’ultima persona sulla faccia della terra con cui lui ha il diritto di usare quel tono seccato.
- Non essere così prevenuta, Evans: non tutti i Malandrini vengono per nuocere. Infatti, si dà il caso che siamo qui per affari.
Ed improvvisamente realizzo che quello di Potter non è in realtà un tono ostile, ma solo il suo tono serio, il modo in cui suona la sua voce quando non ci imprime strani doppi sensi, risate trattenute e quella perenne vena a metà tra il supponente e l’ironico che lo pervade di solito. È raro che Potter parli e basta, senza impercettibili note beffarde o divertite nella voce, qualcosa che accade una o due volte all’anno al massimo, almeno in mia presenza, ed è logico quindi che io non possa riconoscere il tono serio di Potter dal tono ostile di Potter. Il problema è che la realizzazione mi lascia  per un attimo spiazzata e ci metto qualche secondo a elaborare a pieno il significato delle sue parole.
- Affari? Non ho affari con voi, Potter, che vai blaterando?
- Ma certo che li hai, Evans, - interviene Black con un tono così ovvio che per un attimo mi fa sorgere il dubbio. Voglio dire, sono abbastanza sicura di non aver mai fatto affari con i Malandrini da sveglia, ma posso dire lo stesso della notte? Alice mi avrebbe avvisato se avessi ricominciato con gli episodi di sonnambulismo, no? Probabilmente sì, ma posso dirlo con certezza? Beh, in realtà posso, perché se fossi uscita dalla mia camera da sonnambula, sarei precipitata dalle scale rompendomi il collo molto prima di arrivare nei dormitori maschili per stringere misteriosi affari con i Malandrini. Quindi Black mente e Potter si inventa le cose, tutto nella norma. - Non puoi fare una festa in Sala Grande senza avere affari con noi.
- Ma io non farò...
- Infatti, Evans, non puoi, - annuisce Potter, ignorando il mio tentativo di parlare. – Le persone non possono semplicemente infrangere regole mai infrante prima nella storia di Hogwarts e pensare che questo non ci riguardi. E tu sei una persona.
Potter continua a fissarmi con quella sua bizzarra aria seria, come se quello che ha appena detto avesse una qualche sorta di senso in almeno uno degli universi conosciuti, mentre Black al suo fianco non cerca di nascondere l’accenno di un sorrisetto compiaciuto, perché forse lui invece è consapevole della generale mancanza di senso di questa situazione e ne è felice. Minus, alle loro spalle, annuisce lentamente, le braccia incrociate al petto e un’aria vagamente minacciosa, se non fosse che è più basso di me di almeno due spanne e sono abbastanza sicura che in uno scontro alla babbana gli farei il culo.
- Fatemi capire, - dico lentamente mentre i miei occhi ritornano a posarsi su Potter. – State seriamente prendendo la mia festa di compleanno come un affronto personale a voi quattro?
Gli occhi di Potter si allargano come a dire ‘Non è ovvio?’ e certo che è ovvio, perché quando mai Potter non trasforma tutto in una sorta di competizione? Probabilmente ha anche sfidato a duello tutti gli altri studenti di Hogwarts che si chiamano come lui per dimostrare di essere il James migliore o qualcosa del genere.
- Sono terribilmente dispiaciuto, - mi informa Lupin e non sono sicura se si riferisca a questa storia o alle sue amicizie in generale.
- No, non lo è, - Lo liquida subito Black. - Ha solo messo più caffè che latte nel caffelatte.
- Era più latte che caffè.
- Io ho bevuto succo di zucca.
Fisso Minus negli occhi per qualche secondo, senza sapere bene come reagire a questa sua ultima comunicazione e quando Potter apre bocca mi aspetto per un attimo che anche lui voglia mettermi al corrente della natura della sua colazione, ma a quanto pare no. Non che poi abbia veramente bisogno di parlare per rivelare al mondo la sua colazione, quando ha uno sbaffo di marmellata sul mento che nessuno dei suoi amici sembra intenzionato a fargli notare.
- Ci sono due modi in cui questa storia può andare a finire, Evans, - inizia pratico ed io ho la sensazione che nessuno dei suoi due modi includerà la mia bacchetta infilata nel suo naso, cosa che li rende automaticamente poco validi entrambi. – Puoi organizzare la tua festa senza coinvolgerci e allora saremo costretti a sabotarla per rendere noto a tutti che non è consigliabile sconfinare nel nostro territorio, oppure possiamo collaborare con te e mettere la nostra esperienza e le nostre infinite risorse, oltre al mio ineguagliabile charme, al tuo servizio.
Potter sorride sornione con quella che lui deve senz’altro ritenere un’aria allettante e che ha il solo risultato di far scattare in me un campanello d’allarme, perché nessuna faccenda che faccia sorridere Potter in quel modo può essere buona.
- Non che io non apprezzi la vostra offerta, o ricatto, o quello che è, ma siete tutti vittima di un enorme malinteso, - preciso. – Non darò nessuna festa.
- Frank dice che lo farai, - ribatte Potter sicuro, come se Frank fosse l’oracolo di Hogwarts e questo chiudesse la questione. - Che non hai bevuto il tuo caffè o qualcosa del genere.
Al suono della parola caffè la mia espressione esasperata si rispecchia immediatamente in quella di Lupin, che incrocia il mio sguardo con aria comprensiva e forse ad un certo punto fonderemo insieme un’associazione contro la discriminazione in base alla quantità di caffeina ingerita.
- E comunque lo sa già tutta la scuola, non puoi disdire ora, - aggiunge Black, che fa concorrenza ad Alice in quanto al suo essere costantemente aggiornato su tutto quello che la gente dice o fa in questo castello.
- Ma certo che posso, vedete? – Mi chino a raccogliere platealmente la mia borsa da terra, le sopracciglia inarcate. - Prendo la mia borsa, esco di qui, vado a lezione, e tutto questo senza organizzare nessuna festa. E senza nessuno sforzo!
- Beh, tecnicamente puoi, Evans, - Potter mi trotterella dietro come se non avesse niente di meglio da fare mentre esco dalla Sala Grande ed in effetti siamo in classe insieme, quindi suppongo che né lui né i suoi amici abbiano effettivamente altro da fare oltre che venire a lezione. - Ma non puoi davvero.  
- Potter, i tuoi capelli sono ancora azzurri, - sottolineo fermandomi, giusto per rendergli chiaro che lui è l’ultima persona al mondo a potermi dire cosa fare o non fare, che anche se non sono infallibile le mie decisioni almeno non mi hanno mai portata a finire con strani colori in testa, un lusso che evidentemente non è concesso a tutti.
- Lo so, Evans.
- Lo sai?
- Questa volta lo so.
- Bene. È un passo avanti.
Riprendo per la mia strada certa di averlo azzittito, ma tacere non è una delle abilità presenti nel repertorio di Potter e subito lui me lo ricorda.
- In ogni caso, sarebbe davvero disdicevole ritirarti ora, Evans: nessuno crederà che non volevi fare la festa sin dall’inizio, sai. Diranno che non ne eri in grado e che hai avuto troppa paura di essere scoperta.
- Non necessariamente, - sta iniziando Lupin, che ha un’aria molto sollevata da quando la mia volontà di non fare nessuna festa è venuta allo scoperto, ma nello stesso momento Alice svolta l’angolo e mi si piazza di fronte.
- Lily, Kate Logan sta dicendo a tutti in corridoio che non lo farai mai.
Lupin sospira, Black inarca un sopracciglio piantandomi in faccia uno strano sguardo d’attesa e Potter ha di nuovo il suo sorrisetto sornione.
Anche Alice mi guarda con una strana aspettativa negli occhi ed io ricambio il suo sguardo impassibile.
Non nutro particolare simpatia per Kate Logan, d’accordo, non sarei particolarmente afflitta se una parete di mattoni le crollasse addosso, ma non sarei nemmeno io quella che l’ha fatta crollare: è un’antipatia superficiale, di quelle che non ti portano a crogiolarti in fantasie omicide, di quelle che ti lasciano perfettamente in grado di ammettere quando l’altra persona ha ragione. E Kate Logan ha perfettamente ragione: non darò una festa in Sala Grande, semplice così.
Non so cosa questa strana gente che mi fissa si aspetta che io faccia, ma evidentemente non sono consapevoli del mio elevato grado di maturità, se pensano che io possa infastidirmi per così poco.
- Principalmente per due motivi, a suo dire, - continua Alice ed io colgo con la coda dell’occhio il sorrisetto di Potter allargarsi ulteriormente. Che problemi ha quel ragazzo, si può sapere? – Uno, non ne saresti capace. Due, avresti troppa paura di essere scoperta.
È ridicolo. 
È solo la gente che parla e blatera come fa sempre e le loro chiacchiere hanno la stessa influenza sulla mia vita di una farfalla che batte le ali dall’altra parte del mondo. Oh no, esempio sbagliato. Beh, comunque, non hanno importanza. Non sono mica James Potter io, che si sente in dovere di marcare il territorio per dimostrare di essere il migliore ad infrangere le regole e non intaccare la sua reputazione; a me non importa cosa dice la gente, se sarò ricordata come la Grifondoro che in barba alla sua spilla da Prefetto ha dato una festa epocale in Sala Grande o come quella che ha avuto troppa paura della sua spilla per farlo. Voglio dire, potrei: se c’è una persona in questa scuola in grado di riuscire in un’impresa del genere, ci sono buone probabilità che sia io, perché no? Me la cavo con gli incantesimi silenziatori, sono in possesso dei turni di ronda dei Prefetti, posso semplicemente convincere qualcuno che ha il giro al piano terra a fare a cambio con me e...beh, è inutile entrare nel dettaglio, perché non sto seriamente pensando di fare questa cosa. Solo che se volessi, potrei. E non avrei paura di una spilla sul mio petto. Cosa c’è di temibile in una spilla? Mi ci sono tagliata una volta e mi è uscito un sacco di sangue, ma avevo solo quindici anni ed ero maldestra ed ingenua. Ora ne ho sedici, sono sulla soglia dei diciassette, e so tutto di questa spilla, so come combatterla e come appuntarla sulla divisa senza squartarmi un dito, non mi fa paura. Ho instaurato il mio pieno controllo su di lei, al punto tale che potrei sfoggiarla alla mia festa clandestina senza esserne affatto intimorita. Se volessi festeggiare il mio passaggio alla maggiore età con una festa illecita in Sala Grande, lo farei e basta, perché non ho paura. Semplicemente non è una cosa che suscita in me alcuna attrattiva, quindi non lo farò. E non importa cosa dirà la gente, non devo dimostrare nulla a nessuno. Rischiare l’espulsione solo per non dare soddisfazione a Kate Logan sarebbe la cosa più stupida mai fatta da un essere umano e non ci tengo ad ottenere quel primato.
- D’accordo, dite a tutti che la festa si farà.
Oh, andiamo, sono sicura che da qualche parte nel mondo ci sia qualcuno che ha fatto qualcosa di più stupido di questo. Ad esempio lì c’è un ragazzino del terzo anno che sta facendo rimbalzare sul pavimento uno di quei palloni di puzzalinfa esplosiva che vendono da Zonko, sono abbastanza sicura che lui si meriti il primato molto più di quanto faccia io.
Una parte di me è per un istante molto soddisfatta di questa conclusione, mentre l’attimo dopo tutte le altre parti di me sono ricoperte da una sostanza calda e urticante che mi fa gemere di dolore, proprio come ogni altro studente presente nel corridoio. Con gli occhi appannati dalle lacrime riesco a intravedere Frank che svolta l’angolo di corsa, la bacchetta alla mano e un’espressione preoccupata in viso, salvo poi inciampare nell’armatura fatta cadere a terra dall’esplosione e finire sul pavimento con un tonfo sferragliante.
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- Sono cieco.
- Non sei cieco, James.
La voce di Remus arriva da un punto imprecisato nel buio totale che si estende tutto attorno a me e sta così palesemente mentendo.
- Sono cieco, - ribadisco in preda al panico, tentando di sovrastare con la mia voce il rumore dei miei sogni di gloria che si infrangono al suolo. Un Cercatore cieco? Ma quando mai? Come faccio a prendere il boccino? Perché Remus non afferra la portata tragica della situazione e suona così calmo? Crede che io sia così bravo ed incredibilmente talentuoso da non aver bisogno di vedere il boccino per afferrarlo? Beh, non che non sia lusinghiera e fondata la sua alta opinione di me, ma...  
- Apri gli occhi, James.
Quello di Remus è un consiglio quantomeno ridicolo, perché aperti o chiusi non fa differenza quando il mondo si è ormai trasformato in un’infinita distesa oscura priva di forme e colori, ma eseguo ugualmente e c’è, in effetti, ancora della luce al mondo. La luce bianca e vagamente innaturale che inonda sempre l’infermeria per la precisione; corre per le pareti linde e colpisce le lenzuola ancora più bianche, con un effetto quasi accecante sul mio unico occhio.
- Ho un occhio solo, - prorompo agonizzante, portandomi immediatamente una mano al viso e assistendo nuovamente alla disintegrazione dei miei sogni di gloria, perché quando mai si è visto un Cercatore con un occhio solo?
- James, non essere melodrammatico, - continua Remus di nuovo con quel suo tono troppo pacato, come se qui non ci fosse in ballo il destino dell’universo. - Ti è solo entrato qualche schizzo di puzzalinfa nell’occhio, Madama Chips dice che domattina al massimo potrai togliere la benda. 
Oh, ma certo, qualche schizzo, domattina al massimo, questo è esattamente quello che direi io se non volessi mandare nel panico un Cercatore con un occhio solo. Non mi fido di Remus, del suo tono pacato e del suo viso pacato che mi fissa pacato da un lettino di distanza dal mio, occupando con la sua pacatezza inopportuna la visuale dimezzata che mi rimane, ma mentre tasto cautamente la stoffa che mi ricopre l’occhio non sento alcun vuoto sospetto al di sotto e forse c’è ancora un occhio dentro la mia orbita e non il nulla cosmico.
- Sembri un pirata, Prongs, - ridacchia Peter ed io ci metto qualche secondo più del necessario a localizzarlo, dovendo ruotare completamente la testa per favorire la visuale al mio unico occhio superstite. Suppongo di non avere la faccia meno comica dell’infermeria, con questa benda che attenta alla mia vista e mi costringe a spalancare l’altro occhio per compensare, ma Peter è una fottuta mummia, con le braccia ricoperte di bende e la fronte ricoperta di bende e le labbra più rosse del normale che spiccano su, indovinate un po’, altre bende. E non è l’unica mummia nella stanza, a dire il vero, sono circondato da aspiranti mummie più o meno talentuose eppure tutte continuano a ridacchiare di gusto come se fossi io quello ridicolo qui.
- Siete tutti ridicoli, - li informo stizzito facendo correre il mio unico occhio dall’ammasso di garze che è Peter a Remus e Alice, un po’ più umani ma con comunque più stoffa che pelle allo scoperto e infine Evans, che ha una benda che le ricopre interamente la bocca e davvero, in che razza di mondo sono finito se persino le persone prive di bocca ridono di me, mh? – Anche tu Frank. Sembra che ci sia una seconda testa che spunta dalla tua testa. Ridicolo.
Una delle due teste di Frank, che non è ricoperto di bende, ma ha un bernoccolo in fronte così grande da ipnotizzarmi per qualche secondo, sembra sul punto di voler rispondere qualcosa, ma in quel momento la porta dell’infermeria si apre e Madama Chips interrompe i suoi sospiri seccati per dare piena voce alle sue lamentele.
- Entri, forza. Solo lei ci mancava, signor Black, solo lei. Veda di non essere chiassoso come suo solito, mi sono spiegata?
Sirius, che non è una mummia ed ha entrambi gli occhi, rivolge un sorriso smielato a Madama Chips mentre lei sparisce ancora borbottando tra sé dietro le tende candide di un letto dall’altra parte della stanza, trafficando con una provetta tra le mani.
- Salve a voi, miei deboli amici, - Sirius ghigna, eccessivamente compiaciuto di essere l’unica persona sana nella stanza, e si lascia cadere sul letto di Remus facendolo rimbalzare leggermente. Remus non è compiaciuto.
- Non aver usato Peter come scudo umano per salvarci non ci rende deboli amici, Padfoot, - commenta seccato, mentre io ricordo che quella è stata effettivamente una delle ultime scene che ho visto prima di essere accecato per sempre dall’esplosione di puzzalinfa. – Ci rende amici ed esseri umani decenti.
- Non è quello che è successo, - dice Sirius alzando le spalle, mentre tutte le mummie attorno a lui iniziano ad emettere versi scettici. – Non è andata così, ho detto. Stavo cercando di spostarlo, non...oh, ma certo, c’è un’esplosione di puzzalinfa e tutti come prima reazione decidono di guardare cosa sto facendo io? Non mi stupisce che siate in infermeria, onestamente.
Nonostante io abbia un solo occhio a disposizione, il mio cuscino colpisce Sirius con una precisione millimetrica. Poi ne sento un po’ la mancanza, perché era un cuscino molto comodo, come lo sono sempre quelli dell’infermeria, ma anche il verso indignato di Sirius è piacevole.
- Vi state rendendo ridicoli più di quanto quelle bende vi costringano ad essere, davvero. Non è colpa mia se sono quello con i riflessi più veloci.
- Io sono quello coi riflessi più veloci, - preciso. - Solo che ho anche un’anima.
- Oh, piantatela, - Sirius salta giù dal letto e inizia a passeggiare tra noi, studiando interessato le ferite di ognuno, come se fossimo in uno zoo. Dannato bastardo. - Pete non ce l’ha con me. Pete morirebbe per me. Vero, Pete? Diglielo.
- Ce l’ho con te.
Un coro di approvazione si leva dal branco di mummie, ma la testa di Madama Chips rispunta da dietro le tende ed io la invidio vagamente mentre usa entrambi i suoi occhi per promettere morte e distruzione. Il silenzio torna a regnare nell’infermeria e Sirius si china su di me, avvicinandosi al mio viso con aria assorta.
- Cosa c’è sotto la benda?
- Un occhio.
- Ne sei sicuro?
No, dannazione.
- Certo che ne sono sicuro.
- Posso vedere?
- No che non puoi.
- Dai, solo un’occhiata: giusto per accertarmi che non ti abbiano messo un boccino d’oro al posto dell’occhio.
È ridicolo naturalmente e lui è un dannato bastardo, ma non suona come qualcosa che Madama Chips non farebbe.
- Padfoot, lascialo stare o ricomincerà a fare il melodrammatico.
- Non sto facendo niente, Moony. Voglio solo vedere quanto è messo male.
- Non puoi vedere, - dico seccato, ma il mio unico occhio deve comunicare altro, perché Sirius avvicina le dita ai bordi della mia benda ed io non faccio nulla per fermarlo, perché come posso davvero sapere cosa c’è sotto la benda, se nessuno guarda sotto la benda?
- Signor Black, non si azzardi a spostare quella garza.
Sirius sospira e si siede rassegnato sul mio letto, abbandonando il suo proposito. Madama Chips aggiunge qualcos’altro sul non toccare i suoi pazienti prima di sparire di nuovo dietro le tende, il tutto con un’aria molto minacciosa, e questo non è certamente il modo meno sospetto per convincermi che non ho davvero un boccino d’oro infilato nell’orbita al posto dell’occhio.
- Propongo un’azione disciplinare nei tuoi confronti, - dico poi, decidendo di sfogare tutte le mie frustrazioni sul mio migliore amico, che è una pessima persona e mi fa dubitare della presenza dei miei occhi sulla mia faccia. – Il concilio si riunisca, prego.
Remus e Peter si raddrizzano nei loro lettini e ruotano appena il busto verso di me, mentre io sono già qui e Sirius pure. Bene, concilio riunito.
Alice, Evans, ed entrambe le teste di Frank ci fissano perplessi.
- Che stanno facendo? – chiede la prima testa di Frank, mentre Evans emette uno strano mugugno attutito dalla benda sulle sue labbra. Approvo, per l’appunto, trovo che se ne dovrebbe andare sempre in giro con le labbra fasciate, invece di mostrarmele per tutto il tempo, come se niente fosse, a ricordarmi costantemente come io non le abbia mai davvero baciate pur avendole effettivamente baciate.
- Silenzio in aula, grazie, - dico nello stesso momento in cui Sirius cerca di sottrarsi alla giustizia. 
- Non puoi indirlo tu, è Peter la parte lesa. Finché lui non lo richiede...
- Lo richiedo.
- Dannazione.
Mi sforzo di trattenere un ghigno compiaciuto e cerco di far assumere al mio unico occhio visibile un’aria estremamente seria e professionale.
- Messer Padfoot, lei è oggi nel presente luogo formalmente accusato delle seguenti effrazioni del codice non scritto ma universalmente valido dei Malandrini: alto tradimento ai danni di un confratello, alta vigliaccheria in una situazione di pericolo e alta, altissima menzogna, - inizio solenne, ignorando il fatto che la mia gamba destra si è appena addormentata sotto il peso di Sirius. Lo spingerei giù dal letto con una spallata, se non fosse che ogni assalto fisico è severamente proibito durante le sedute ufficiali del concilio. - Come si dichiara l’imputato?
- Innocente dell’accusa di alta, altissima menzogna, - replica immediatamente Sirius. - In quanto Malandrino, ho il dovere e non solo il diritto di negare sempre e comunque. Mi appello all’imparzialità del concilio perché questa accusa insensata e ridicola sia fatta cadere all’istante.
Segue un fitto scambio di sguardi con Remus e Peter, alla fine del quale entrambi fanno un lieve cenno d’assenso. Sirius tende ad approfittarsene eccessivamente, ma negare sempre e comunque è effettivamente uno dei principi basilari con i quali i Malandrini operano.
- Richiesta accolta, - concedo infine, cogliendo con la coda dell’occhio gli sguardi estremamente perplessi dei non Malandrini in questa stanza. Sembra quasi che non abbiano mai assistito a nulla del genere, il che è ridicolo se volete la mia opinione, perché come risolvono i problemi interni al loro gruppo di amicizie se non così, mh? – Permangono le accuse di alta vigliaccheria e alto tradimento.
- Per l’accusa di alta vigliaccheria mi appello al mio ruolo di Malandrino immagine del gruppo, - Sirius si sistema meglio sulla mia gamba e a me sorge il sospetto che lo stia facendo apposta, farmi concentrare sulla possibilità di perderne l’uso per sempre e distrarmi così da quello che dice. Potrei accusarlo formalmente di questo, ma poi si aprirebbe un’altra seduta in cui sarei accusato di aver diffidato di un membro della fratellanza, che è una tra le accuse più gravi e disonorevoli, così resto in silenzio mentre Sirius dondola allegramente le gambe continuando a bloccare il flusso di sangue nella mia con le sue natiche. – Il Prefetto di Corvonero del quinto ha palesemente una cotta per me e anche quella di Tassorosso del sesto. Quante volte ci hanno coperto grazie a questo? Perdere l’integrità della mia faccia avrebbe significato perdere quel vantaggio. La mia faccia ci serve. Tutti voi traete beneficio dalla mia bellezza disarmante. Preservarla non è stata vigliaccheria, ma puro buonsenso.
Non sono completamente d’accordo, ma Sirius ha appena svelato la corruzione di ben due Prefetti di fronte ad un altro Prefetto, che seppur impossibilitato a parlare non ha nessuna benda sulle orecchie, così mi affretto a cambiare argomento.
- D’accordo, sei assolto dall’alta vigliaccheria, ma resta l’accusa di alto tradimento nei confronti del qui presente Messer Wormtail, - Sirius fa per parlare, ma io lo precedo, perché c’è solo un numero limitato di accuse da cui gli imputati hanno il diritto di difendersi e quella di alto tradimento non è tra quelle. – Quale azione disciplinare propone, Messer Moony, tesoriere, segretario e vicepresidente?
Non so perché Remus abbia così tanti titoli, tra cui addirittura vicepresidente, quando a dirla tutta non c’è nemmeno un presidente a cui fare da vice, ma i titoli sono stati assegnati al primo anno e nessuno di noi si ricorda veramente su quali basi.
- Ma che diavolo...
- Shhh, voglio ascoltare, Frank.
- Dunque, - Remus si schiarisce la gola, lisciando accuratamente le pieghe del suo lenzuolo con aria assorta. - Propongo che l’imputato, il qui presente Messer Padfoot, sconti la sua pena fornendo alla parte lesa i compiti di una materia per un totale di tempo quantificabile in, diciamo, una settimana. Questo, aggiunto all’umiliazione di aver subito un pubblico processo, lo ritengo sufficiente.
- Non sono umiliato, - ci informa Sirius nello stesso momento in cui Peter esclama eccitato ‘Astronomia, può farmi i compiti di Astronomia’.
- Dichiaro aperta la votazione, - annuncio. - Alzi la mano chi è a favore.
La mia mano scatta in aria e così quella di Peter, Remus, Alice, Frank, Evans e un Tassorosso del quinto anno a qualche letto di distanza da noi.
- Loro non possono votare, - protesta Sirius. – E nemmeno Peter che è la parte lesa.
- Obiezione accolta.
Tutte le mani si abbassano, a parte la mia e quella di Remus.
- Alzi la mano chi è contrario.
Io e Remus abbassiamo le mani e Sirius alza la sua.
- Con due voti favorevoli contro uno contrario l’imputato è condannato. Astronomia, una settimana, umiliazione pubblica eccetera eccetera. La seduta è sciolta. Potete andare.
Seguono diversi momenti di silenzio in cui nessuno si muove ed io mi ricordo che in effetti siamo in un’infermeria e nessuno se ne può veramente andare.
- Oppure, beh, potete restare. Come volete.
La solennità nell’aria svanisce lentamente, ma Frank continua a fissarci vagamente affascinato.
- Lo fate spesso?

*

 C’è una benda sulle mie labbra che mi impedisce di respirare decentemente, oltre che parlare. Non è solo appoggiata, è tesa al massimo, premuta con forza, mi blocca letteralmente la bocca e non ne vedo il motivo, davvero: nessun altro in quest’infermeria è stato bendato in questo modo, quindi la faccenda dev’essere personale, una cosa tra me e Madama Chips. Non ricordo di essermi mai attirata le sue ire in alcun modo, ma forse è solo una di quelle antipatie a pelle: il suono della mia voce la infastidisce e così ha deciso di tapparmi la bocca. Lo capisco, posso persino rispettarlo, non posso sostenere che nella sua posizione non approfitterei anch’io del potere per tappare senza motivo le bocche delle persone che odio, ma sulle labbra di Potter non c’è nessuna benda e la sua voce continua a riempire l’infermeria, pomposa ed eccessivamente alta come al solito. Ora, com’è possibile che quella voce non infastidisca Madama Chips? La mia sì e quella di Potter no? Poco credibile, ve lo dico io. 
Il punto è, nessuno qui si chiede perché la mia bocca sia stata tappata? Quali verità scomode potrei rivelare sul conto di Madama Chips? Perché io non posso, chiaramente, avendo già il mio bel daffare a respirare solo dal naso, ma Alice? Frank? Lupin? Nessuno? Ore a disquisire su cosa possa esserci o non esserci sotto la benda di Potter e nessuno che si chieda se le mie labbra siano state per caso catapultate via dalla mia faccia contro il muro di pietra del corridoio? Questo, a pochi giorni dal mio compleanno, è davvero deludente.
Per l’ennesima volta cerco di attirare l’attenzione di qualcuno emettendo degli strani versi attutiti dalle bende che si confondono subito con i lamenti che provengono dal lettino dall’altra parte della stanza, dove Madama Chips sta facendo chissà cosa al ragazzino che ha fatto partire il tutto. È indubitabilmente sospetto: perché le tende tirate? Perché così lontano da noi? Probabilmente odia anche lui e sta eseguendo sul Corvonero un qualche intervento totalmente superfluo e senza anestesia, per puro divertimento. Mi viene in mente la parola ‘vivisezione’ e se da una parte mi preoccupano le cose strane che stanno avvenendo in quest’infermeria, dall’altra spero che Madama Chips ci vada giù pesante, che non ci crede nessuno che un Corvonero non avesse previsto gli effetti del far rimbalzare a terra un pallone di Puzzalinfa. Tentato omicidio, ecco cos’è stato. Odia tutti noi o almeno uno di noi così tanto da essere disposto a fare esplodere la sua stessa faccia pur di colpirci. Effettivamente, inizio a capire perché Madama Chips lo ha piazzato il più lontano possibile da noi.
L’occultamento del Corvonero dall’altra parte della stanza non è nemmeno la faccenda più bizzarra: Black ha appena subito un processo ed è stato condannato e non pare minimamente turbato dalla cosa. Lupin sta ora spiegando a Frank ed Alice i meccanismi di questi strani processi che a quanto pare sono piuttosto frequenti tra i Malandrini, mentre Black sta di nuovo cercando di spostare la benda dall’occhio di Potter ed io decido che questo è il momento migliore per agire. Alice non si volta subito verso di me quando i miei mugugni stizziti le si avvicinano, ma quando le afferro il braccio cimentandomi nella mia espressione più disperata va completamente in panico e questo è ciò che si merita per avermi ignorato così a lungo.
- Oh Godric, Lily! Che c’è, perché sei così rossa? Frank, non respira, aiuto. Sta soffocando!
D’accordo, forse tutta la storia del gesticolare e l’accasciarsi tra le braccia di Alice rovesciando gli occhi verso l’alto è stata un po’ eccessiva e non del tutto necessaria, ma è di fatto quello che sarebbe potuto accadere se loro avessero continuato ad ignorarmi per un altro paio d’ore. Le persone non sono fatte per respirare solo col naso e il soffocamento è sempre dietro l’angolo, per noi Evans in particolare: lo zio Algernon lo sa bene e tra una benda premuta sulle labbra e un ossicino di pollo incastrato in gola la differenza è minima.
Sento dei passi affrettati e sia Frank che Alice stanno ora cercando di rimuovere la benda dalla mia bocca, anche se è difficile separarla dalle altre, sovrapposte in una fastidiosissima prigione di stoffa. Frank mi dà già per spacciata, lo capisco dal tono rassegnato della sua voce, e potrei effettivamente smettere di fingere di essere priva di sensi, ma una parte di me vuole che Alice viva a pieno questi momenti di tensione convinta che io sia ormai trapassata, giusto per ricordarle in futuro di non ignorare più la sua migliore amica per dare corda a Potter. Ed è nel momento esatto in cui la benda viene strappata e la voce di Potter si fa entusiasticamente portatrice di parole come ‘respirazione bocca a bocca’ che decido di porre immediatamente fine alla faccenda, aprendo gli occhi e tirandomi su di scatto, una mano alta di fronte a me nel caso Potter avesse deciso di attuare l’impensabile. Poi è tutto molto confuso e vagamente doloroso, perché la mia testa sbatte contro qualcosa e Frank geme di dolore, portandosi le mani alla fronte già gonfia da prima e nello stesso momento Potter precipita sul letto con un verso da animale agonizzante e una mano sull’unico occhio visibile, dentro cui ho appena ficcato un dito. Non l’ho fatto apposta, ma vedendolo rotolare lentamente sul letto, invadendo la mia postazione tra le braccia di una sempre più perplessa Alice, mi compiaccio di averlo fatto.
- Scusa Frank, - dico massaggiandomi la testa, mentre Potter mormora lamentoso qualcosa a proposito della sua totale cecità, continuando a rotolare. Qual è il punto di quello comunque? Nel mondo di James Potter rotolare ferma il dolore?
- Apri gli occhi, James, - sospira Lupin, in piedi accanto al lettino. Anche Black è qui ora, mentre Minus fissa la scena ancora sdraiato nel suo letto ed io prendo nota del fatto che una mia eventuale morte per soffocamento non consisterebbe per lui in un motivo sufficiente per alzarsi. Voglio dire, non siamo particolarmente amici, d’accordo, diciamo pure per niente, due chiacchiere di cortesia all’occorrenza e via, ma è cortesia anche mettersi almeno seduti per guardare le persone quando quelle stanno fingendo un’intensa agonia, giusto? Ci dev’essere scritto da qualche parte, nel galateo o nel grande manuale delle norme per un vivere civile, di non ignorare la gente che soffoca o che finge di farlo, specie nel caso di una performance realistica come la mia.
Potter non è cieco, per l’appunto, lo capisco dal modo in cui il suo occhio, dopo numerosi stropicciamenti, si apre e si viene a posare subito su di me, indispettito.
- Evans, - inizia dopo un po’ e non mi piace il suo tono, ma non mi piace mai in effetti. - Per farti perdonare, guarderesti cosa c’è sotto la mia benda?
- No, Potter, - dico subito, perché se lui non fosse stato così vicino a me allora il mio dito non sarebbe finito nel suo occhio e quindi, come sempre, è solo colpa sua. Ma prima ancora di finire di parlare realizzo di essermi effettivamente chinata su di lui, che se ne sta ancora abbandonato a pancia in su sul grembo di Alice come uno straccio usato, e le mie dita scattano a sollevare piano i bordi della sua benda, perché Madama Chips ha detto di non farlo, come se questo potesse nuocere in qualche modo a Potter, il che è onestamente tutto quello che chiedo dalla vita. E poi non sono sicura che i vaneggi di Black sul boccino al posto dell’occhio fossero totalmente infondati, che Madama Chips ha appena cercato di soffocarmi e sta ora facendo cose sospette al Corvonero là in fondo, cose così sospette e malvagie da non affacciarsi nemmeno dalle tende per ordinarci di fare silenzio. C’è un momento prolungato di silenzio teso, in cui Frank smette di lamentarsi per la testata e il letto di Minus scricchiola appena mentre lui si mette in ginocchio sporgendosi verso di noi – ma certo, ora si degna di alzarsi.
I capelli di Alice mi sfiorano la guancia mentre si china anche lei a vedere cosa ci sia sotto la benda di Potter e Black sale quasi in braccio al suo amico per guardare.
- Oh Godric, - esclamo inorridita tirandomi indietro all’improvviso, mentre Black trattiene rumorosamente il fiato. – Oh Godric.
- Cosa? Cosa c’è? – Potter si tira a sedere di scatto, spostando frenetico lo sguardo da me al suo amico. – È un boccino? Ci ha messo un boccino?
- È disgustoso, - Il lettino molleggia quando Black si lascia cadere accanto a Frank, scuotendo la testa e portandosi enfaticamente una mano alla fronte. – E tutto questo solo per un po’ di puzzalinfa. Orribile.
- Questo cosa? Oh Godric, lo sapevo, si è presa il mio occhio e ora Corvonero vincerà la coppa. Ho i capelli azzurri e un occhio solo e Corvonero si fotterà la mia coppa!
Potter sembra indeciso se svenire o mettersi a piangere ed io sono sul punto di rincarare la dose, perché pare che Potter si dimentichi di essere odioso ed altezzoso quando pensa che la sua vita sia finita, ma Lupin decide infine di intervenire. Molto maturo da parte sua, certo, ma anche un po’ guastafeste: avevo pronta una bella storia su un enorme vermiciattolo molliccio che avrebbe fatto dell’orbita vuota di Potter la sua nuova casa.
- James, - sospira rassegnato, prendendo posto nello sgabello affianco al letto. – Ti stanno prendendo in giro. Il tuo occhio è normalissimo, solo un po’ rosso.
Per qualche motivo, Potter non sembra fidarsi particolarmente di Lupin e lo scruta sospettoso a lungo, prima di incrociare con lo sguardo il ghigno compiaciuto di Black che rende immediatamente inutili i miei sforzi di restare impassibile.
- Divertente, - dice Potter, ma non suona affatto divertito. - Proprio come sarà divertente quando Remus sarà l’unico tra di voi ad avere i biglietti gratis...
- Per le tue partite quando sarai un Cercatore famoso in tutto il mondo, - lo interrompe Black roteando gli occhi al cielo. - Sì, Prongs, lo sappiamo. 
- Io non ho fatto nulla, - puntualizza Frank, che dalla sua postazione  non aveva in effetti un’ottima visuale.
- Sei stato omertoso, Paciock, di nuovo.
- Ma non riuscivo nemmeno a vederlo il tuo occhio da qua, come potevo sapere...
- Allora avrai un posto talmente lontano dal campo da cui non vedrai nulla.
- Ma...
- Frank, - interviene Lupin, improvvisamente autoritario. - Noi, io, Sirius e Peter, cerchiamo di non dargli corda quando parla del suo futuro da celebrità.
Frank annuisce, mentre io aggrotto la fronte. Quindi i suoi amici ci provano a contenere l’ego esorbitante di Potter nei limiti dell’umano, o almeno all’interno dei confini di Hogwarts. Questo è quasi eroico da parte loro, oltre ad essere vagamente inquietante: se questo è l’ego di Potter sottoposto a restrizioni e controlli da parte dei suoi amici, quanto più vasto sarebbe se lasciato allo stato brado?
- Hai appena perso il tuo biglietto, Remus. Sai cosa, comprerò lo stadio e vi impedirò l’accesso.
- James, siamo a tre. Un’altra e scatta la punizione.
- Cosa?
- Di regola gli sono concesse al giorno un massimo di tre allusioni a quando sarà un Cercatore di fama mondiale. Se arriva a quattro abbiamo il diritto di imbavagliarlo e rinchiuderlo in un’armatura, - mi spiega velocemente Lupin, che è una persona alquanto misteriosa e impenetrabile, perché penseresti che lo stesso ragazzo che va contro a tutti i suoi doveri di Prefetto rifiutandosi di mettere in punizione i suoi amici si rifiuterebbe anche di imbavagliarli e rinchiuderli nelle armature, ma a quanto pare no.
- Una regola, Potter? Quale persona ha bisogno di una regola del genere? – sbotto incredula, mentre l’altra metà del mio cervello inizia immediatamente ad elaborare un piano per indurlo a cianciare ulteriormente della sua gloria futura, perché c’è qualcosa di attraente nell’immagine di Potter intrappolato in un’armatura con un bavaglio sulla bocca. Suona come qualcosa da vedere prima di lasciare Hogwarts.
– No, lui non, insomma, non la infrange quasi mai in ogni caso, - Lupin interviene frettoloso, improvvisamente a disagio. – Di solito non arriva nemmeno a due, davvero.
E annuisce deciso, come a rendere convincenti le sue parole, mentre io sono improvvisamente conscia dell’intensità con cui gli occhi azzurri di Minus sono fissi su di me. Le labbra di Black sono contratte in una specie di ghigno trattenuto ed io sposto lo sguardo dall’uno all’altro perplessa. Questi devono essere gli effetti di stare attorno a Potter tutto il giorno, per forza. Quel ragazzo spande la sua pazzia tramite i capelli ed è per questo che se ne stanno tutti così sparati verso l’alto in tutte le direzioni, come se cercassero di fuggire dalla sua testa. Anch’io cercherei di fuggire dalla testa di Potter se ci fossi attaccata, per l’appunto.
- Non mi interessa, Lupin, - puntualizzo, prima di schiaffeggiarmi mentalmente perché questo è l’effetto che mi fa dare risposte piccate a Remus Lupin. Credo che sia una cosa universale in realtà, è semplicemente che certe persone hanno una certa faccia, una certa voce e non puoi semplicemente essere scortese con loro. – Voglio dire, è interessante, grazie dell’informazione, - Ora tutti mi stanno guardando come se fossi pazza, forse per via delle bende che mi ricoprono la faccia o per le cose senza senso che stanno uscendo dalle mie labbra, così decido di cambiare argomento. – Guardate là, credo che Madama Chips stia vivisezionando il Corvonero che ha fatto esplodere la puzzalinfa.
Gli occhi di tutti si spostano sulle tende tirate dall’altra parte della stanza, da cui continuano a provenire bassi lamenti, e a giudicare dalla sua espressione allarmata credo che Frank mi abbia preso troppo sul serio.
- Ah! Era un Corvonero? – Potter esulta trionfante, facendo sobbalzare Alice. - Lo sapevo che non sono tutti così intelligenti, lo sapevo.
- Certo che non sono tutti intelligenti, Potter, - commento alzando gli occhi al cielo. Sei anni ad Hogwarts e ancora mi tocca sentire questi ridicoli stereotipi sulle Case, come se si potesse capire tutto di una persona semplicemente dal colore di un cravattino.
- E tu lo sai meglio di tutti noi, vero, Evans?
Il sorrisetto sornione di Potter mi suggerisce da subito l’intento offensivo delle sue parole, ma ci metto qualche secondo a realizzarne il significato. E a quel punto la replica nasce spontanea sulle mie labbra.
- Non saprei dirti se il quoziente intellettivo di Dean sia all’altezza della media della sua Casa, Potter, ma almeno lui non ha bisogno di ripetizioni per raggiungere Accettabile.
Per un secondo ho la sensazione che anche i lamenti del Corvonero su cui Madama Chips sta sperimentando nuove tecniche di tortura si fermino, mentre Frank smette di cercare di convincere Alice ad andare a sbirciare cosa sta accadendo dietro quelle tende tirate ed entrambi si zittiscono, lanciandomi un’occhiata di sfuggita, prima di spostare lo sguardo altrove a disagio. Non ho bisogno di vederli per sapere che gli occhi di Black, Lupin e Minus sono fissi su di me ora.
D’accordo, non è stato particolarmente leale da parte mia.
Quando la McGranitt l’anno scorso mi ha assegnato una ragazzina del secondo anno a cui fare da tutor per evitare che venisse bocciata in Incantesimi, la prima cosa che mi ha raccomandato è stata di non farle pesare la sua mancanza, di non farla sentire stupida per aver bisogno di aiuto in una materia. E sono quasi scoppiata a ridere in faccia alla mia Capocasa, perché, sul serio, c’era bisogno di specificarlo? Che razza di persona farebbe leva sul punto debole di qualcuno per farlo sentire un idiota, invece di chiarire che è normale essere portati per certe cose e negati per altre?
Io, a quanto pare.   
Solo che questo è Potter e non è assolutamente la stessa cosa. Mi costituirei di mia sponte da Madama Chips pregandola di imbavagliarmi di nuovo e in modo permanente per il bene comune se avessi appena messo in imbarazzo di fronte a tutti per una cosa simile Hestia Jones, la Tassorosso del secondo anno a cui ho fatto da tutor e che ora è convinta io sia la sua sorella maggiore, o in generale se lo avessi fatto a qualunque altro studente di Hogwarts. Davvero, non avrei problemi, mi alzerei da questo lettino e mi offrirei come cavia a Madama Chips al posto del povero Corvonero, perché me lo meriterei, solo che non è questo il caso, perché è Potter. E Potter è chiaramente l’eccezione, a lui non si applicano le regole di decenza e comportamento che valgono con tutti gli altri, perché è così che funziona: lui usa le mie debolezze e io le sue. Lui comincia, sempre, ogni singola volta, e io ho il diritto di finire. È sempre stato un gioco sporco tra noi due, perché è così che lui ha voluto sin dall’inizio e non l’ho mai visto risparmiarsi un colpo o una frecciata, mai in sei anni, su qualunque cosa, quindi se lui ora mi svela un suo punto debole e poi mi passa un coltello dalla parte del manico, io lo afferro e lo accoltello, perché l’assurdità vera sarebbe se non lo facessi.
E non è come se Potter fosse un’insicura ragazzina del secondo anno comunque e prima di poter arrivare a lui le mie parole devono scontrarsi con gli innumerevoli strati di ego ed eccessiva sicurezza di sé che lo avvolgono, quindi, davvero, i suoi amici potrebbero smettere di fissarmi così, sono piuttosto sicura che il mio coltello si sia frantumato molto prima di sfiorare anche solo la pelle del ragazzo che mi sta di fronte.
Potter, per l’appunto, mi fissa per un attimo palesemente a disagio e preso alla sprovvista, ed io lo guardo a mia volta spiazzata, perché che diavolo sta facendo? Non può guardarmi così. Poi lui si ricorda di essere Potter e non quindi il tipo di persona che si fa toccare da certe cose, dove con tipo di persona intendo qualunque altro essere umano a parte lui, e tutto torna alla normalità, dove con tutto intendo Potter e con normalità intendo stronzo.
- Non misurerei l’intelligenza con la riuscita o meno in Pozioni, Evans, contando che i più bravi della classe siete tu e Mocciosus. E voglio dire, restando amici l’uno dell’altro per cinque anni non vi siete dimostrati particolarmente brillanti.
Come volevasi dimostrare.
Debolezza per debolezza, proprio come dicevo, senza risparmiare colpi.
Con la differenza che lui non si fa il minimo problema ad accoltellarmi e rigirare la lama nella piaga: lo capisco dal sorrisetto insopportabile con cui lo fa e dal suo tono sprezzante, che di certo lui non prende in considerazione nemmeno per mezzo secondo l’idea di farsi imbavagliare da Madama Chips mentre dice queste cose e anzi, se la gode fino in fondo. Perché è James Potter e questo è quello che fa e quello che è e la prossima volta che prenderò in considerazione l’idea di farmi vivisezionare da Madama Chips per colpa sua dovrò ricordarmelo.

*

Ho sempre saputo che i miei amici sono degli idioti e che James in particolare è un idiota, ma improvvisamente mi sento fisicamente e psicologicamente così sopraffatto dalla constatazione di quanto sia effettivamente idiota da scordarmi come si fa a respirare. E quando la persona che si è scordata come si respira non è la più idiota nella stanza, allora è semplicemente merda. Scura, melmosa, maleodorante merda.
Persino Sirius sta pensando che James è un idiota ora, lo vedo dal modo in cui lo guarda vagamente accigliato, come se se ne fosse appena reso conto, e quando Sirius è in grado di riconoscere l’idiozia nei comportamenti altrui allora significa che siamo alla frutta.
Peter non lo ha capito invece.
Nutre troppa ammirazione per James per capire che la risposta alla sua domanda, quella che ha scritta sul volto confuso, ovvero perché fa così se è cotto di lei?, è che è un idiota.
Sono anche io un idiota naturalmente.
Quello che ho dato a James è il peggiore dei consigli, ora riesco a vederlo. Perché poteva essere plausibile che passando più tempo con lei, ora che è finalmente consapevole dei suoi sentimenti, James iniziasse a mostrarle più James e meno Potter, ma pare che stia accadendo l’esatto opposto: ora che lo sa, ora che è conscio della sua debolezza per lei, James si sta impegnando ancora di più per conformarsi alla tremenda immagine che lei ha di lui. O forse, e questa è la cosa peggiore, non si sta impegnando affatto.
Il punto è, cosa può fare Remus Lupin in tutto ciò?
Offrire a James della cioccolata, picchiare James con della cioccolata, mangiare da solo la cioccolata e lasciare in pace James, nessuna di queste ipotesi sembra anche solo vagamente utile. E non mi piace non essere in grado di aiutare i miei amici ad essere meno idioti, perché è fondamentalmente quello che farei per tutto il tempo, aiutare i miei amici, ma a volte non posso e basta e devo accettare di starmene in un angolo a guardare Sirius che beve il terzo bicchiere di Firewhiskey in una sera, anche se so già che questo lo porterà a ficcare la lingua nella bocca di quella Serpeverde che sembra un buldog e disperarsi per giorni poi, devo vedere Peter infilarsi la terza fetta di torta in bocca in una mattinata e poi ascoltarlo lamentarsi in bagno per il resto del pomeriggio, anche se io sapevo che sarebbe successo, e a quanto pare ora devo stare in silenzio mentre James fa di tutto per farsi odiare ulteriormente dalla ragazza di cui è perso, perché a volte non c’è nulla che un Remus Lupin possa fare per salvare i propri amici dalla loro idiozia, semplice così.

*

Evans guarda James come se fosse lo sporco che resta a volte intrappolato sotto le unghie e pare sul punto di dire qualcosa di molto poco carino, a cui poi James risponderà in modo ancora meno carino e così via all’infinito fino a quando la testa di Remus non esploderà.
- Allora, Evans, - Non sono il tipo da interrompere un litigio sul nascere, perché la gente risulta più interessante ai miei occhi quando si insulta, ma James è tremendamente in imbarazzo ora, cosa che nessun altro pare notare, dal momento che il suo imbarazzo tende a tradursi in sorrisetti passivo aggressivi e battutine aspre, e onestamente non è divertente quando non sono io ad imbarazzare il mio migliore amico, così decido di attirare l’attenzione su di me. – La festa: parliamone. 
- Giusto, la festa, - annuisce Alice, altrettanto entusiasta di cambiare argomento. – Mary ha già informato le Tassorosso del quinto: tempo qualche ora e lo saprà tutta la scuola.
- Le Tassorosso del quinto sono invitate? – chiede Frank perplesso ed io alzo gli occhi al cielo, ricambiando l’occhiata esasperata di Alice: quanta incompetenza. – Non mi piacciono le Tassorosso del quinto, ho sempre la spiacevole sensazione di essere giudicato quando finisco nel loro campo visivo.
- Perché è esattamente quello che fanno, amore, - spiega Alice, mentre tutti, a parte Evans e James che stanno ancora litigando silenziosamente con gli occhi, aggrottano la fronte, confusi. È assurdo che nessun altro in quest’infermeria sia in grado di cogliere i meccanismi fondamentali alla base della vita sociale di Hogwarts, nemmeno fossero così difficili da afferrare: dare una festa senza invitare le Tassorosso del quinto, che razza di assurdità. – Ma quale sarebbe il punto di dare una festa senza invitarle?
- Dare una festa, invitare i nostri amici e, beh... – Frank finisce la frase, ma qualcosa nel suo tono incerto mi suggerisce che è ora consapevole del suo errore. - Divertirsi?
Alice ha l’aria di voler proseguire nel suo commovente tentativo di spiegare al suo ragazzo come funziona il mondo, ma io la precedo, scuotendo la testa spazientito. 
- Frank, per favore. Non fai i compiti di Trasfigurazione per poi nasconderli alla McGranitt, no? Glieli consegni. A meno che tu non sia un vigliacco. Ti sembriamo dei vigliacchi? Ecco. Ora, Evans,- La mia mano blocca  con noncuranza qualunque cosa Frank volesse ribattere e Alice mi guarda grata. - Hai intenzione di aiutare o devi fissare James ancora a lungo?
Dopo aver indugiato per qualche altro secondo sul mio amico con uno sguardo di fuoco, Evans si gira infine verso di me con un sospiro. –  Qualcuno mi ricorderebbe di nuovo cosa c’entrate voi quattro con la mia festa?
- Beh, Evans, vedila in questo modo: se l’avremo organizzata noi, la riuscita sarà merito nostro e saremo meno tentati di sabotarla.
- Ed ecco che la mia leggenda va in fumo, - Evans borbotta sottovoce tra sé, scuotendo la testa contrariata. – Quel gruppo di Grifondoro, ecco cosa diranno.
- Non raggiungeremo la fama eterna senza di loro, Lil, - Interviene Alice, per nulla turbata dal fatto che la sua amica si sia messa a parlare da sola. - Non con soli due giorni a disposizione per organizzare il tutto.
- Fama eterna, Evans? – E questo è James, ovviamente. - Tu aspiri alla fama eterna ed io sono l’egocentrico?
- Lo sai, Potter, il fatto che possano esistere al mondo altre persone egocentriche non rende te meno egocentrico, ne sei consapevole, sì? – La sensazione che nessuno qui si renderà utile e che la festa sarà organizzata interamente da me e Alice si fa di colpo più forte, proprio come il mio odio per il genere umano. - O sei così egocentrico da pensare di essere l’unico egocentrico in tutto il mondo?
James pare molto offeso dall’accusa di Evans e fa per ribattere, salvo poi bloccarsi e aggrottare la fronte perplesso.
- Cosa?
- Esatto, Potter, esatto.
- Non usare il tono trionfante con me, Evans, non stai trionfando, ok? Non puoi trionfare, perché nulla di quello che stai dicendo ha senso. 
- La tua faccia non ha senso, Potter.
- La mia faccia? - James ha la stessa espressione di quando è entrato in camera sua la volta in cui avevo deciso che sarebbe stato divertente sostituire tutti i suoi poster dei Cannoni di Chudley con quelli delle Vespe di Winbourne. È stato divertente, per l’appunto, e la signora Potter alla fine gli ha anche impedito di farmi dormire davvero in giardino quella notte. – Avete sentito cosa mi ha appena detto?
James continua ad emettere quei buffi versetti che fa quando è sopraffatto dall’indignazione e lascia correre lo sguardo attorno a sé per controllare che siano tutti sconvolti quanto lui dall’ardire di Evans, salvo poi incontrare solo sguardi estremamente perplessi e tornare così a rivolgersi a lei.  - E la faccia di chi avrebbe senso, Evans? Sentiamo. La faccia di Philips ha senso?
- Se proprio vuoi saperlo, Potter, sì, la sua faccia ha perfettamente senso, grazie dell’interessamento.
Evans incrocia le braccia al petto con ostentata indifferenza e James accenna una risata incredula.
- E cosa ci sarebbe di così sensato nella sua faccia? Gli occhi da cane bastonato? Quelli avrebbero senso solo se qualcuno gli stesse colpendo ripetutamente le palle, Evans, mi dispiace dirtelo.
- Oh, ma certo, Potter, come se i tuoi occhi avessero un senso invece, mh?
- E il naso? Che senso ha quello? Sembra una fusione tra una patata e una pera, dov’è il senso in questo? Se sei un naso, allora sii un naso e basta, no? È questo che fanno i nasi sensati, essere ciò che sono. E se proprio vuoi assomigliare a un ortaggio, allora scegli, o una patata o una pera, non puoi essere entrambi.
- La pera è un frutto, Potter, dove vivi?  
- Ma no, perché mai uno dovrebbe aspettarsi determinazione e coerenza dal naso di Dean Philips dopotutto. È chiedere troppo. Quella è la tua idea di senso, Evans? Wow. Non so nemmeno con che coraggio lo faccia chiamare naso, davvero.
- Oh, vogliamo parlare di nasi? Pensi che il tuo naso abbia un senso invece, Potter? – C’è qualcosa di bizzarro e vagamente affascinante nel modo in cui James è appena riuscito a far regredire Evans ad un’età mentale non superiore ai dieci anni ed io li osservo entrambi come ipnotizzato. – A starsene proprio lì, in mezzo alla tua faccia, come se niente fosse?
- Il mio naso? Il mio naso non avrebbe senso, Evans? Spero tu stia scherzando.
James si passa veloce una mano tra i capelli, dimenticandocela poi in mezzo come fa sempre quando si infervora e gli occhi di lei indugiano sulle dita abbandonate tra le ciocche scure un po’ troppo a lungo, come se fosse lì lì per fargli notare quale altre parte del suo corpo manchi palesemente del minimo senso. 
- No, non sto scherzando.
- Oh, andiamo, guardalo, è perfetto. Cos’avresti da ridire sul mio naso?
- Beh, è, - James, che si è tolto gli occhiali e si sporge verso Evans col naso per aria e gli occhi chiusi, mostra un’espressione concentrata piuttosto fuori luogo, perché nessuno dei suoi sforzi influirà minimamente sulla fisionomia del suo naso, ma Evans è troppo occupata a fissare suddetto naso nel tentativo di trovarvi un difetto per notarlo. Poi James fa un salto indietro con un gemito ed Evans riacquista l’aria trionfante, riabbassando la mano con cui ha appena dato un cicchetto al naso del mio amico. – È debole, ecco cosa. Grande utilità avere un naso perfetto, ma debole, Potter, come no.
C’è qualcosa di eccessivamente melodrammatico nel modo in cui James getta la testa all’indietro portandosi entrambe le mani alla faccia, come se fosse appena stata colpito da un bolide e stesse sprizzando sangue ovunque, e a un certo punto, mentre incrocia per una frazione di secondo il mio sguardo, pare rendersi conto persino lui della totale non credibilità della sua recitazione, tant’è che lascia perdere la voce dolorante che sicuramente aveva già intenzione di sfoderare e ne tira fuori una stizzita.
- Non puoi toccare il mio naso, Evans, ok? – James mi cerca di sfuggita con gli occhi ed io annuisco impercettibilmente per comunicargli la mia approvazione per il repentino cambio di rotta. Remus, alle sue spalle, scuote impercettibilmente la testa, perché è contrario alla sua natura concordare con me. - Le persone che aspirano la faccia di Philips non possono toccare il mio naso.
James sta nominando Philips un po’ troppo spesso perché lui ed il resto del mondo possano continuare a fingere che la sua non sia una patetica e imbarazzante scenata di gelosia, così allargo appena gli occhi in un segno d’avvertimento che si rivela inutile, perché lui ha appena smesso di controllare a intervalli regolari la mia espressione, cosa che mi rende impossibile salvarlo da se stesso. Remus e Peter hanno un’aria preoccupata, ma io smetto di trattenere un sorrisetto beffardo e gli lascio prendere possesso delle mie labbra, perché se non posso impedire al mio migliore amico di rendersi ridicolo, tanto vale deriderlo.   
- Io non aspiro, Potter, forse tu aspiri. Io bacio, come le persone normali fanno, - Evans si alza dal lettino e inizia a dirigersi spedita verso la porta dell’Infermeria, salvo poi fermarsi di scatto e tornare indietro con nonchalance, perché in  effetti sono l’unico a poter uscire di qui quando e come voglio. Adoro questa sensazione di onnipotenza, per l’appunto: usare Peter come scudo umano è stata la cosa migliore che io abbia mai fatto. - E non ho alcun interesse a toccare il tuo naso, potresti anche non averlo per quel che mi riguarda.
- E invece ce l’ho, Evans, – James si alza a sua volta con un lampo di sfida nello sguardo e alle sue spalle Frank si porta entrambe le mani alle tempie con un’espressione molto addolorata o molto concentrata, una delle due. - È anche questo un segno del mio estremo egocentrismo?
- Non mi interessa, Potter: la tua faccia è priva di senso indipendentemente dalla presenza o meno del naso.
James non emette più versetti buffi ora, il che rende il tutto meno divertente e anche un po’ seccante. Annoiato lascio vagare lo sguardo per l’Infermeria, notando che Remus non fa che aprire la bocca per poi pentirsi e richiuderla senza emettere un suono, mentre lo sguardo assente di Alice è fisso su una finestra dall’altra parte della stanza e forse almeno lei si sta rendendo produttiva pensando alla festa. Peter sta parlottando a bassa voce con il Tassorosso che continua a spiarci e credo che stiano mettendo insieme le forze per capire l’argomento del litigio.
- Questo mi rincuora, Evans, perché detto da chi trova sensata la faccia da pesce lesso di Philips può essere solo un complimento, - Dev’esserci nel nome ‘Evans’ una pesantissima offesa nascosta che mi sfugge, perché solo questo spiegherebbe come mai James continui a specificarlo, come se non fosse perfettamente chiaro a tutti a chi si sta rivolgendo, e come mai Evans assottigli lo sguardo ogni volta che lo sente, come se ora anche per lei il suo stesso nome fosse un insulto. Il nome Philips, d’altro canto, ha fatto spalancare gli occhi di Frank con un lampo d’improvvisa comprensione che gli illumina il viso.
Non lo definirei un risvolto positivo, ma ho recentemente deciso di disinteressarmi dell’intera faccenda per la mia sanità mentale, quindi non gli farò esplodere nulla in faccia per distrarlo. E poi ho fame. 
- Oh, ma forse la sua faccia acquista un senso solo se vista da vicino, - continua James, ignaro dello sguardo meravigliato di Frank ora fisso su di lui. - Dimmi, Evans, la faccia di Philips ha più senso mentre cerchi di aspirarla tutta dentro la tua bocca?
Mi sto infilando in tasca le tavolette di cioccolata sparse sui mobiletti accanto ai lettini, pronto per una ritirata tattica verso zone del castello più interessanti, quando la risposta di Evans mi costringe a bloccarmi.  
- Oh, non lo so, Potter, la faccia di Black ha senso quando fai lo stesso con lui?
Non mi piace essere tirato in mezzo contro la mia volontà e sto elaborando una replica che rimetta Evans al suo posto, ma James ora ha ricominciato ad emettere quei versetti increduli che fa quando è sopraffatto dall’indignazione ed è troppo ridicolo perché io possa concentrarmi. Quando fa per parlare considero la possibilità di atterrarlo, ma sono troppo lontano.
- Io cosa? - James pare optare per la negazione assoluta e per un attimo mi sento quasi in colpa per la mia precedente mancanza di fiducia in lui. Solo che poi lui continua a parlare stizzito ed io mi ricordo di avere sempre ragione a diffidare dell’intelligenza delle persone che mi circondano. - Oh, scommetto che tu al quarto anno lo reggevi benissimo il Whiskey Incendiario!
Odio il genere umano così tanto.

*

Sirius si chiude la porta dell’Infermeria alle spalle senza proferire parola e questa notte dovrò controllare che non ci siano piante carnivore o cose del genere sotto il mio cuscino.
- Cosa? - Evans mi fissa perplessa.
- Cosa? - Anche la mia voce suona perplessa.
- Cosa? - dice un Tassorosso a cui non ho mai rivolto la parola in vita mia.
Remus non dice niente e per questo gliene sono infinitamente grato.
- Hai detto qualcosa a proposito del quarto anno e del Whiskey Incendiario, - insiste Evans. 
- No, non è vero.
- Sì, lo hai detto.
- No, Evans, sei pazza, - ribatto sicuro. - E senti le cose. È questo che le persone pazze fanno, sentire le cose e baciare Dean Philips. Sei chiaramente incapace di intendere e di volere. Perché ti sei tolta la benda? Madama Chips ti aveva imbavagliato per un motivo.
- Sì, perché è malvagia e sta vivisezionando quel Corvonero per divertimento, questo è il motivo.
Sto per fare notare ad Evans che Madama Chips sa perfettamente quello che fa, dato che il Corvonero che sta venendo torturato se lo merita a pieno, essendo lo stesso che ci ha fatti finire qui in primo luogo, e per Godric, come può essere un Corvonero se è così tonto da giocare con un pallone di puzzalinfa in corridoio invece di lanciarlo nella Sala Comune dei Serpeverde come qualunque persona dotata di buonsenso farebbe? In ogni caso, Madama Chips mi precede, tirando le tende del lettino del Corvonero con un gesto secco.
- Signorina Evans, la pregherei di abbassare il tono di voce. E il signor Stebbins, dopo che ho passato l’ultima ora ad applicargli unguenti su unguenti, è ora in perfetta forma, come può constatare lei stessa.
Stebbins muove la mano completamente fasciata nella nostra direzione in un segno di saluto ed io lo fulmino con l’unico occhio che la sua incompetenza mi ha lasciato, mentre Evans inizia a balbettare in preda all’imbarazzo.
- Ma certo che sta bene, ma certo. Perché lei è un’ottima Infermiera. Ottima. Lei sa quello che fa, Madama Chips. Sapeva di dovermi imbavagliare. Lei sa. Ha un’altra benda, per cortesia?
- No, signorina Evans, per quanto la riterrei necessaria: la presenza sua e dei suoi amici qui non è più richiesta, siete pregati di lasciare la mia Infermeria, - Madama Chips sospira seccata, lasciando vagare i suoi occhi contrariati e accusatori su ognuno di noi, prima di dirigersi lentamente verso il suo ufficio. - Togliete le bende prima di cena, per quell’ora dovrebbero essere sparite anche le ultime tracce di rossore. Signor Paciock, lei eviti solo di sbattere nuovamente la testa per le prossime ventiquattrore. Forza, andate. 
Non me lo faccio ripetere due volte e in men che non si dica sono alla porta, impaziente di lasciare questo posto: non mi piace l’Infermeria, la perenne pretesa di silenzio e gli odori bizzarri degli unguenti la rendono l’equivalente dei due luoghi più irritanti di tutta Hogwarts, la Biblioteca e l’aula di Pozioni. 
- Lei no, signor Potter, aspetti cinque minuti, - Un altro motivo per cui odio l’Infermeria, è che una volta che sei dentro, non sai mai quando ne uscirai. Primo errore: mai, mai abbassare la guardia. - Finisco qui e vengo a controllarle l’occhio, abbia pazienza.
Madama Chips torna a frugare nell’ampia credenza oltre la porta del suo ufficio con aria impassibile, ma io so che sta trattenendo una risata trionfale e malvagia. Lo ha fatto apposta, ne sono sicuro: poteva informarmi da subito che non ero tra i privilegiati degni di riabbracciare la libertà, ma il suo piano è sempre stato dall’inizio quello di alimentare le mie speranze per poi infrangerle all’ultimo e godersi la disperazione nel mio sguardo. Cinque minuti, dice, come no.
La mia mano vola alla maniglia più veloce di prima, perché devo uscire di qui il prima possibile o non importa se mancano ancora un paio di settimane alla partita contro Tassorosso, la passerò qui legato ad un lettino, perché Madama Chips è subdola proprio così. Solo che Remus e i suoi occhi accusatori si frappongono tra me e la porta e quando lui se ne va Madama Chips è già riemersa dal suo ufficio e mentre si china su Stebbins continua a lanciarmi occhiate guardinghe, conscia della mia troppa vicinanza alla via di fuga. Torno a sedermi sul lettino con uno sbuffo, mentre tutti gli altri escono – Frank non prima di avermi dedicato un lungo sguardo penetrante accompagnato da uno strano sorrisetto. Ricambio perplesso, ma lui si limita ad annuire tra sé e andarsene senza una parola. Tipo sospetto, quel Frank Paciock.
- Alle sei, Potter.
Sto ancora fissando la porta con invidia e quando rispondo ad Evans la mia voce non suona come quella di qualcuno che non è nel bel mezzo di un attacco cardiaco. Non mi ero accorto che fosse rimasta indietro.
- Cosa?
- Tu e il tuo naso, alle sei nell’aula di Pozioni.
La fisso per qualche altro secondo prima di realizzare e a quel punto le mie labbra si muovono da sole.
- Lascia perdere, Evans, ho cambiato idea.
È il suo turno di fissarmi perplessa.
- Cosa?
- Ho cambiato idea, - Continuo incurante con un’alzata di spalle. - Non ho voglia di chiudermi in un’aula a mescolare intrugli anche quando non sono obbligato.
Sto guardando un punto indefinito alle sue spalle, ma vedo comunque la sua fronte aggrottarsi e avverto i suoi occhi su di me per diverso tempo, prima che lei scoppi in una risata incredula.
- Godric, Potter, ti sei offeso davvero?
- Affatto, Evans, - replico subito, offeso come non lo sono mai stato in vita mia. – Avere la visuale dimezzata mi ha semplicemente offerto una nuova prospettiva sulle cose e mi ha fatto capire che non vale la pena perdere tempo prezioso nei sotterranei.
- Piantala, Potter, hai della puzzalinfa in un occhio, non hai rischiato di morire, - Evans incrocia le braccia al petto seccata, scoccandomi un’occhiata spazientita. - E non puoi venire da me a chiedermi aiuto e poi ritirare la richiesta quando ti ho già detto di sì, quindi porta il tuo ego nell’aula di Pozioni alle sei esatte e fai poche sceneggiate.
- Sceneggiate? – esclamo sconvolto, incredibilmente indignato dal fatto che lei si permetta di interrompere così la mia sceneggiata. – Io non faccio sceneggiate, Evans, sei tu che le fai. Io ho solo cambiato idea, non posso?
- Oh, Godric, Potter, sei incredibile, - Evans sospira e non credo che intenda incredibile nell’accezione positiva del termine. La mia espressione dovrebbe comunicarle la mia disapprovazione per ciò, ma lei ha chiuso gli occhi e sta prendendo dei profondi respiri, come se stesse per tuffarsi in acqua. Poi li riapre e sembra un po’ meno esasperata. - Ascolta, non penso che tu sia un idiota perché sei un disastro in Pozioni, ok? Penso che tu sia un idiota perché sei un idiota.
Sono vagamente consapevole di come questo sia il suo tentativo di alleviare la ferita precedentemente offerta al mio orgoglio e sono altrettanto vagamente conscio di come sia bizzarro che il suo tentativo consista nel ribadire quanto lei mi ritenga un idiota, ma soprattutto mi rendo conto che la cosa più bizzarra è che anche solo esista questo tentativo, quando di solito tutto quello che Evans cerca di fare è assicurarsi che le sue offese arrivino dritte a destinazione. È tutto molto atipico e per una volta le mie labbra decidono di non prendere l’iniziativa da sole, così mi ritrovo a soppesare quale sia la reazione più appropriata per qualche secondo di troppo e quando Madama Chips si avvicina incitando Evans ad andarsene io la sto ancora fissando con la fronte aggrottata.
Prima di chiudersi la porta alle spalle alza entrambe le mani di fronte a sé con sei dita sollevate e uno sguardo eloquente ed io sento improvvisamente di odiare Pozioni un po’ meno del solito.
Ammicco nella sua direzione, poi Madama Chips mi strappa la garza dall’occhio con la delicatezza di un serial killer ed io devo trattenere l’impulso di morderle la mano.
 
 
 

Una decina di minuti dopo, uscendo dall’infermeria libero e con entrambi gli occhi nuovamente funzionanti, sono sicuro che non ci sia nulla in grado di migliorare ulteriormente il mio buon umore.
Questo fino a quando non scorgo una figura pallida che percorre il corridoio nella direzione opposta alla mia, portando inconsapevolmente il suo naso adunco sempre più a portata di bacchetta.
- Ehy, Mocciosus, - La sua mano scatta al solo sentire la mia voce e le dita sottili e cadaveriche spariscono nella tasca scura del mantello, sicuramente ad artigliarsi attorno alla bacchetta. Poi i suoi occhi neri sono su di me, assottigliati in un’espressione di disgusto. - Oh no, aspetta, - aggiungo portandomi una mano alla fronte, come se mi fossi appena ricordato di qualcosa. - Non posso parlare con te, scusa: sono impegnato ad organizzare la festa di compleanno di Evans a cui tu non sei invitato.
Un sorriso gongolante accompagna le mie parole e un lampo d’odio gli attraversa il volto per una frazione di secondo.
- Sparisci, Potter, - sibila gelido, ma alla menzione di Evans la sua maschera d’odio e distacco è crollata per un attimo svelando il suo punto debole e tanto mi basta per continuare a infierire.
- Non è niente di personale, davvero, sono sicuro che tu sia l’anima delle feste, - riprendo, notando soddisfatto le labbra sottili trattenere una smorfia d’odio fino a sbiancare l’una contro l’altra. - Ma pensavo di includere nella lista di invitati solo persone a cui la festeggiata rivolge effettivamente la parola.
- E da quando tu saresti tra quelle, mh? – ribatte sprezzante, di colpo più sicuro. - Lei potrà anche non rivolgermi la parola ora, Potter, ma tu non illuderti nemmeno per un istante di poterne approfittare per insinuarti nella sua vita, - Sempre con la mano ben affondata nella tasca a nascondere la bacchetta, fa un passo in avanti, avvicinandosi lentamente a me e continuando a sibilare come una serpe che si prepara ad attaccare. - Accetta il mio consiglio e metti da parte la tua ridicola cotta, perché non c’è verso che lei ti ricambi un giorno o anche solo smetta di trovarti disgustoso.
- Oh, e tu sì che sai tutto su come conquistare una ragazza, giusto? – Mi lascio andare a una risata beffarda, senza indietreggiare di un passo. - Perdonami, ma credo che farò a meno dei tuoi consigli: non mi pare che la tua ridicola cotta ti abbia portato da qualche parte oltre al farti cancellare completamente dalla sua vita.
- Sei patetico, Potter, - Ancora una volta il suo tono distaccato viene scalfito da un fremito d’odio e la mano visibile, quella stretta attorno alla cinghia della sua borsa a tracolla, trema appena. - Sei così felice di quello che è successo l’anno scorso, non è vero? Sei convinto di avere terreno libero adesso, come se lei potesse mai prenderti in considerazione, come se non sapesse esattamente che arrogante bulletto tu sia.
- Terreno libero? Merlino, Mocciosus, in che razza di universo alternativo vivi se pensi che io ti consideri un potenziale rivale? – sbotto incredulo con una mezza risata. - Quello vorrebbe dire che siamo, sai, allo stesso livello, ma a me piace pensare che ci siano un paio di cose a porsi tra noi, cose come l’igiene personale, la parvenza di una vita sociale, il non passare ogni istante del mio tempo libero a inventare maledizioni e a divorarmi ogni singolo libro sulla magia oscura che si trova ad Hogwarts. Pensandoci, di norma non do nemmeno dei sanguesporco ai miei migliori amici.
Se l’odio potesse uccidere senza bisogno di una bacchetta a fare da intermediario, allora gli occhi di Piton mi avrebbero appena spedito all’altro mondo, ma io non ho finito e trattengo a stento un sorrisetto freddo prima di aggiungere il gran finale con tono casuale.
- E naturalmente c’è il fatto che non ho mai mostrato a mezza scuola il mio...
- Ti credi furbo, Potter, - mi interrompe lui con un ringhio, il sangue che sale veloce a colorargli le guance proprio come quel pomeriggio dell’anno scorso dopo il G.U.F.O. di Difesa. - Ma presto la vedrai, la vedrete tutti. I tuoi amici saranno i primi, lo sai, - I suoi occhietti neri si soffermano ad osservarmi con appagamento, ben consci del modo in cui la mia mascella si è irrigidita. - Vi sentite intoccabili qui a scuola, ma là fuori ve ne renderete conto. Mi chiedo solo a chi toccherà per primo, il mostro o il rinnegato, - La voce di Piton è quasi un sussurro ora ed i palmi delle mie mani iniziano a pizzicare lì dove le unghie stanno spingendo così forte da graffiare la pelle. - Sì, forse pensandoci Lupin riuscirà a tenersi stretta la pellaccia un po’ più a lungo, scommetto che ci sono diversi parenti piuttosto impazienti che non aspettano altro che Black esca da qui per...
Non so come Piton avesse originariamente intenzione di finire la frase, ma Protego è il modo in cui la conclude, mentre il lampo di luce azzurra uscito dalla mia bacchetta si infrange in un insieme di piccole scintille contro la sua barriera invisibile ed io sono già pronto a contrattaccare di nuovo. Siamo in un corridoio affollato, una ragazza ha lanciato un grido di sorpresa e tutti gli altri hanno già creato il vuoto attorno a noi con un mormorio concitato; è questione di secondi prima che spunti un Prefetto o un professore e c’è la partita contro Tassorosso a breve, cosa che rende una punizione ora davvero, davvero sconsigliabile e potenzialmente tragica, ma Piton non sta ancora sanguinando e non c’è nulla di più importante di questo ora, del far sanguinare quella sua bocca disgustosa e insegnargli a non pronunciarli nemmeno i nomi dei miei amici.
- Diffindo, - grido e Piton evita il getto di luce per un soffio, mentre la cinghia della sua borsa si strappa e i libri si spargono a terra in un frusciare di fogli. Qualcuno grida ancora e la folla indietreggia appena, mentre il mio sguardo resta fisso su Piton: le labbra sottili non si muovono, ma la bacchetta accenna un movimento nella mia direzione ed io riesco a deviare appena in tempo il suo incantesimo non verbale lontano da me, mandandolo a infrangersi contro un’armatura che subito inizia ad accartocciarsi su se stessa con un rumore assordante.
- Exulcero, – sibila ancora, ma uno scatto della mia bacchetta fa svanire nel nulla il raggio rossastro partito dalla sua e questa volta sono io ad incalzarlo. Il mio Confringo riecheggia per il corridoio solo per infrangersi contro il suo Protego, ma contemporaneamente un Obscuro silenzioso passa inosservato e va perfettamente a segno, facendo comparire una benda sugli occhi di Piton, che subito punta la bacchetta contro il suo stesso viso per mormorare un Finite Incantate. La benda svanisce giusto in tempo per mostrargli il fascio azzurrino del mio Depulso colpirlo in pieno ed ora Piton è esattamente dove deve stare, in ginocchio ai miei piedi, schiacciato a terra da una forza invisibile che potrebbe essere quella della mia fattura o semplicemente quella della mia lampante superiorità nei suoi confronti. Potrei disarmarlo subito, ma l’onore Grifondoro o qualcosa del genere poi mi costringerebbe a fermarmi e sarebbe una vergogna concludere il tutto senza avergli lanciato neppure una Fattura Languelingua o un Gratta e Netta, giusto per ricordargli di dosare il suo veleno quando parla dei Malandrini. Sento ancora l’impulso di prendere la sua testa e staccarla dal resto del corpo a mani nude, perché già riesco a vedere il Marchio Nero sul suo avambraccio, i contorni ben definiti che spiccano sulla pelle pallida, come se fossero già lì, anche ora; vedo quello che diventerà, quello che già è e vorrei fargli di peggio che riempirgli la bocca di schiuma rosa, vedo le bollicine sgorgare dalle sue labbra mentre lui tossisce e vorrei solo lasciare la bacchetta a terra e prenderlo a pugni, perché lo odio così tanto ed è colpa di quelli come lui se le cose vanno così male là fuori, è colpa sua se non faranno che peggiorare.
Ma siamo a scuola e non c’è ancora nulla sul suo braccio, così continuo a tenere la bacchetta tra le dita, le labbra piegate in quel sorriso beffardo che so che lo manda fuori di testa molto più del vedermi furioso.
- Come, Mocciosus? Non riesco a capirti, scandisci bene!
E non c’è nulla di più appagante del modo in cui i suoi occhi lacrimanti per la tosse si riempiono di odio verso di me, quel genere di odio che non si trova di solito tra i corridoi di scuola, quell’odio che gli farebbe pronunciare l’Avada Kedavra senza ripensamenti. E non importa se le sue labbra traboccano schiuma rosata e le mie sono piegate in un ghigno sornione, quell’odio si rispecchia nei suoi occhi e nei miei con la stessa intensità. E il fatto è, quando una persona ti sta rivolgendo uno sguardo del genere, che sottintende la volontà di spellarti vivo e osservarti mentre ti dissangui lentamente, girarti dall’altra parte non è la cosa più brillante da fare. Probabilmente non mi sarei girato nemmeno se la McGranitt in persona avesse chiamato il mio nome: Potter non è una motivazione sufficiente per distogliere lo sguardo da un Severus Piton al massimo del suo odio nei miei confronti. Capitano, d’altro canto, è una motivazione più che sufficiente, perché ho agognato quella spilla dal primo anno e ora che è finalmente mia è semplicemente fuori discussione non rispondere almeno con gli occhi al paradisiaco insieme di lettere che compongono la parola Capitano.
Un attimo prima Mike sta dicendo qualcosa a proposito del non finire in punizione prima della partita e l’attimo dopo Piton sta sibilando qualcosa di strano e che non ho mai sentito prima. Ha appena finito di articolare la parola Sectusempra quando io mi volto di scatto gettandomi di lato, la bacchetta alzata e uno Schiantesimo già sulle labbra. Piton vola all’indietro ed io sono vagamente consapevole del fatto che la sua fattura deve avermi comunque colpito di striscio, perché mentre mi godo la visione del suo corpo che sbatte contro la parete di pietra per poi rotolare a terra sono conscio di un lieve bruciore al braccio sinistro.
Solo che poi non lo è più, né lieve, né solo bruciore.
E ne sono sicuro, ho evitato quel raggio viola quasi totalmente, mi ha malapena sfiorato, quindi non può esserci così tanto sangue, non ha senso. Dev’essere il braccio di qualcun altro quello che sprizza sangue come una fontanella e che fa male come se qualcuno ne stesse incidendo la carne con più coltelli contemporaneamente, quelli sottilissimi e ben affilati che tengono gli elfi nelle cucine. È chiaramente il braccio di qualcun altro, qualcuno che è stato colpito in pieno da una maledizione Cruciatus e non di striscio da un incantesimo sconosciuto, perché nessuna fattura non al pieno della sua potenza può dare la sensazione così esatta della pelle che viene lentamente tirata via dalla carne viva.
Quindi, non è chiaramente il mio braccio.
Da dove dovrebbe uscire poi tutto quel sangue? Qualcuno sta continuando a evocare delle garze e a premercele sopra, ma il rosso si fa largo sul bianco della stoffa con una velocità impressionante e quando la mia vista inizia ad annebbiarsi, giungo alla conclusione che sia meglio non informare Mike che quel braccio non è il mio e che quindi non sono io quello che deve accompagnare in Infermeria.
C’è una porta che si apre di fronte a me, una spalla che non è mia e che sta reggendo gran parte del mio peso, e alla fine lo sguardo di Madama Chips, che passa dall’esasperazione di rivedermi così presto a uno sgranarsi preoccupato di palpebre, e poi anche della mia visuale.
 
 

Quando riapro gli occhi, una quantità indefinita di tempo dopo, lo sguardo di Madama Chips è tornato seccato e basta.
- Di grazia, signor Potter, quando lo capirà che questa Infermeria non è la sua stanza? Non può stare sempre qui.
A quanto pare l’unica eccezione ammessa alla sua insofferenza per me è la presenza di più sangue fuori che dentro le mie vene, buono a sapersi.

**********
 
- E dovrebbero esserci...
- Hai ragione, sì, devono esserci assolutamente.
- E anche...
- Sì, anche quelli, li ho già messi in lista. Che ne dici di...
- Oh Godric, sì, è un’idea fantastica, come ho fatto a non pensarci! Aggiungili, aggiungili! Quanti?
- Quanti ne servono, no?
- Un paio in più, per sicurezza. A chi possiamo chiedere per il...
- Il Corvonero del quinto anno, quel tipo che...
- Thomas Belby, giusto. Per la musica invece per forza i dischi...
- ...babbani del padre di Mike, sì, Frank può rubarli per noi, vero, Frank?
Sirius e Alice interrompono per un attimo la loro fitta sessione organizzativa ed alzano entrambi le teste dalla pergamena macchiata d’inchiostro per lanciare un’occhiata interrogativa a Frank, che sussulta colto alla sprovvista e poi si affretta ad annuire, senza dar voce alla mia curiosità che continua a chiedersi perché un furto è per tutti la scelta più ovvia, quando esiste la possibilità di chiedere in prestito oggetti senza sottrarli di nascosto ai legittimi proprietari.
Quando Sirius e Alice tornano alla loro pergamena, Frank si rilassa nuovamente al mio fianco, ricominciando a fissare ipnotizzato le fiamme che crepitano nel camino, mentre io continuo ad ascoltare gli scambi tra Sirius ed Alice cercando di trovarvi una logica. Non è come se non passassi tutto il mio tempo con James e Sirius che interrompono le frasi a metà quando parlano tra loro e omettono complementi oggetti e soggetti, ritenuti non indispensabili nel loro linguaggio fatto più di cenni e sguardi che parole vere e proprie, eppure non mi capacito di come questi due stiano ora organizzando un’intera festa omettendo di scambiarsi la benché minima informazione, come se fosse tutto estremamente ovvio e scontato.
- Che dici, la invitiamo quella tipa di...
- Ah lei, no no, ma ti pare?
- Per movimentare la serata, no?
- Beh, per movimentare la serata potremmo invitare invece quel Tassorosso del...
- Ah, lui, giusto, ottima idea! E anche quell’altro...
- Sì, sì, segna anche lui.
Vanno avanti così da mezz’ora ormai ed io sono infine giunto alla conclusione che la loro sia solo una messinscena: non sanno davvero di cosa stanno parlando, si comportano come se lo sapessero ma non è così; probabilmente la lista di invitati che sta effettivamente stilando Sirius inorridirà Alice perché non si stavano affatto riferendo alle stesse persone. E quando questo accadrà io sarò lì, con la mia capacità di linguaggio e il mio amore per i soggetti e i complementi oggetti e dirò ‘Ah. Ah.’, proprio così, ‘Ah. Ah. Remus Lupin lo aveva detto’. Non gliel’ho detto, per l’appunto, perché sono impegnato a fingere di non essere qui e non ho intenzione di rivolgere la parola a queste persone impegnate nell’organizzare festini illeciti: è che la festeggiata è il Prefetto di Grifondoro e sono convinto che debba sempre esserci in questa scuola almeno un Prefetto per Casa non coinvolto nell’organizzazione di una probabile espulsione di massa.
- Come facciamo per le bevande? Non è prevista nessuna uscita ad Hogsmeade questo weekend.
- Irrilevante. Faremo un salto io e Remus domani.
Sirius non sa evidentemente quello di cui sta parlando ed io sono lì lì per infrangere il mio silenzio e farglielo presente, quando il ritratto della Signora Grassa scorre di lato e Mike fa irruzione nella Sala Comune con l’aria di chi ha una notizia urgente da comunicarci.
- Ehy, Mike, - lo saluta Frank.
- Ho una notizia urgente da comunicarvi.
- Lo so, - annuisco. – Voglio dire, dicci tutto.
- Il Capitano, James, - dice spostando lo sguardo su me e Sirius. – È in Infermeria.
- Oh, lo sappiamo, - Sirius agita distrattamente una mano per aria, come a scacciare una mosca. – Ma non è davvero cieco, sai. Senti, Mike, hai ancora quei dischi babbani di tuo padre, sì?
- Lo sapete? Di già? – Mike sembra molto perplesso ed io mi chiedo che cosa diavolo gli abbia raccontato James. – Wow, ragazzi, non vi sfugge nulla. Cosa? Ah sì, i dischi, certo, li ho nascosti in fondo all’armadio perché Daniel continua a cercare di rubarmeli, ma lì non li troverà mai: sono avvolti in quegli orribili maglioni di lana che prudono.
Come a riprova delle sue parole, Mike inizia a grattarsi un braccio ed è solo allora che noto la sostanza scura che gli impregna la camicia della divisa.
- Ma è sangue quello?
- Giusto, devo cambiarmi, - Mike si lancia una sbrigativa occhiata alla camicia, prima di incontrare il mio sguardo sconvolto. – Cosa?
- Sembra che tu abbia sventrato qualcuno, Muller. Hai sventrato qualcuno?
Sirius suona più intrigato che preoccupato e questo è solo uno degli innumerevoli motivi per cui non sono felice di dormire a pochi metri da lui.
- No, certo che no, - Mike ci guarda come se fosse maleducato da parte nostra non ignorare tutto il sangue che ha addosso, e quando prosegue lo fa con tono di estrema ovvietà. – È il sangue di James.
- Hai sventrato James?!
Peter si blocca a metà scalinata, il pacchetto di Calderotti che era salito a prendere in dormitorio sospeso a mezz’aria e l’espressione di chi è sul punto di scoppiare a piangere.
Mike continua a fissarci con una calma davvero inopportuna per uno che ha la camicia sporca del sangue del nostro amico e Sirius si raddrizza sul divanetto, accigliato.
- Muller, - dice lentamente, una pacatezza nella voce quantomeno allarmante. - Sei ricoperto del sangue del mio migliore amico e non sembri turbato. Questo è un buon momento per spiegarti o per aggiungerci il tuo sangue, una delle due.
- Ma cosa... - Mike lascia correre perplesso lo sguardo su tutti noi, come se gli sfuggisse qualcosa. – Avete detto che lo sapevate già, perché ora siete sorpresi? James è in Infermeria: ce l’ho accompagnato io e questo è il motivo per cui sono macchiato del suo sangue.
- Aspetta, - inizio allarmato. – James è in Infermeria per della puzzalinfa in un occhio, che c’entra il sangue? 
- Il suo braccio, non so che strana diavoleria fosse, una maledizione o cosa, ma non la smetteva di sanguinare, - spiega Mike, mentre io mi irrigidisco e Sirius si alza di scatto, la mano già a cercare lo specchietto. – Madama Chips ha dovuto penare parecchio prima di riuscire ad arrestare il flusso di sangue. Ma ora sta bene, tranquilli, mi ha cacciato dall’Infermeria solo dopo averlo rimesso in sesto.
- Cos’è successo? – chiedo io nello stesso momento in cui Frank chiede - Quale braccio?
- Il sinistro, fortunatamente, - precisa subito Mike ed è confortante notare come le priorità della squadra di Quidditch di Grifondoro restino sempre invariate negli anni. - Non oso nemmeno immaginare quanto avrebbe dato di matto se fosse stato il destro, a nemmeno due settimane dalla partita.
- E gli allenamenti? Madama Chips ha detto quanto ci vorrà prima che guarisca completamente?
Frank e Mike continuano a parlare tra loro di Quidditch per qualche altro minuto, arrivando non so come alle tecniche difensive della squadra di Tassorosso, ed Alice mi guarda comprensiva scuotendo appena la testa. È solo quando mi schiarisco la gola per la terza volta che Mike si ricorda finalmente della presenza di altre cose e persone al mondo oltre al Quidditch.
- Oh scusa, Remus. Cos’è successo, vuoi sapere? Beh, io non posso sapere cos’è successo, la versione ufficiale è che ho trovato James in corridoio già così, - Il mio sopracciglio si inarca impercettibilmente e Mike continua. – Voglio dire, lo so cos’è successo, ma con la partita in avvicinamento è davvero sconsigliabile che io lo sappia. Madama Chips non ha creduto né a me né a James quando le ha detto di non ricordare nulla e aver probabilmente subito un Oblivion, ma non importa quello che Madama Chips crede o non crede, fino a quando non lo può provare.
Vorrei essere più sorpreso di così del fatto che qualunque cosa sia successa sia evidentemente qualcosa che farebbe finire James in punizione, se confessata. Sto per chiedere a Mike ulteriori dettagli, quando Sirius, spostatosi in un angolo isolato della Sala Comune, inizia a parlare apparentemente da solo ed io lo raggiungo subito, chinandomi a mia volta sullo specchietto da cui fa capolino il viso di James.
- Non lo puoi uccidere, ok? – sta dicendo ed io vorrei che i discorsi dei miei amici non coinvolgessero così spesso l’infrangere la legge.
- Tu sta’ a guardare, - ringhia Sirius con sfida.
- James, stai bene? Chi vuole uccidere Sirius?
- Benissimo, Moony, ma Madama Chips mi ha fatto bere la Pozione Rimpolpasangue più disgustosa della storia ed ora insiste perché io passi qui la notte. Quella donna è pazza, ve lo dico. 
- Non hai risposto alla mia seconda domanda, - insisto, lanciando un’occhiata guardinga a Sirius, che continua ad avere l’aria di una bomba ad orologeria sul punto di esplodere.
- Perché era una domanda stupida, Moony, - replica James. - Senza offesa. Quante persone conosci che Sirius vorrebbe uccidere?
Aggrotto la fronte perplesso, lanciando un’occhiata spiazzata al viso del mio amico riflesso nello specchietto, perché in effetti la maggior parte delle persone che conosco sono persone che Sirius vorrebbe uccidere.
- Piton, - mi illumina Peter, spuntando da dietro la spalla di Sirius. – Ha usato la magia oscura su James.
- Che cosa? – I miei occhi si sgranano increduli e per un attimo mi ritrovo a condividere gli istinti omicidi di Sirius. - E tu e Mike lo avete coperto?
- Beh, - James arriccia il naso infastidito, perché evidentemente non gli piace come suona in questo modo. – Non lo abbiamo coperto, Moony, abbiamo evitato di farmi squalificare dalla partita.
Non è come se non conoscessi di persona la portata dell’odio di Severus Piton per noi ed in particolare per James, ma questa è dannata magia oscura e porta tutto ad un altro livello, qualcosa che non dovrebbe essere messo da parte per non rischiare una partita di Quidditch, ma conosco James e conosco quello sguardo convinto e non c’è davvero nulla che io possa fare per infilargli un po’ di sale in zucca, così mi costringo a ingoiare la mia disapprovazione con un sospiro frustrato, perché anche lui conosce me e il mio sguardo e non c’è bisogno che io lo traduca a parole.
Potremmo farlo espellere, sussurra una vocina da qualche parte nella mia testa e per quanto io la respinga all’istante non posso fare a meno di soffermarmi per un attimo soltanto a immaginare la vita ad Hogwarts senza di lui, senza il costante monito dei suoi occhi neri e pieni di disprezzo, la paura che un giorno semplicemente disobbedisca a Silente e racconti a tutti quello che sono. Ha usato la magia oscura e James ne è la prova e se lo dicessimo a qualcuno l’unica altra persona oltre ai miei amici a conoscenza del mio segreto potrebbe sul serio essere espulsa e non riesco a impedire alla parte più egoista di me di crogiolarsi in questo pensiero, ma poi torno a James e a quello che è successo l’anno scorso, all’ultima partita dell’anno, e al perché ora è così importante per lui non deludere la sua squadra e subito ogni altro pensiero svanisce.
- Possiamo trasfigurare la sua lingua in una serpe velenosa, così gli morderà il naso e lui morirà, - riflette intanto Sirius ad alta voce. – Oppure lo leghiamo e poi lo gettiamo nel lago nero, sì? I dannati Serpeverde potranno vedere il suo cadavere dal soffitto della loro Sala Comune.
- Sirius, - La voce di James è appena un sussurro, segno che non è più solo, ma c’è un che di autoritario nel modo in cui pronuncia il nome del suo migliore amico ed io mi ritrovo a fissare la piega delle sue labbra nel tentativo di carpirne il segreto, perché ora Sirius lo sta effettivamente ascoltando, cosa che non accade mai con gli altri esseri umani. - Non sto dicendo di non voler trasfigurare le parti del corpo di Piton in animali letali, perché lo voglio infatti, con tutto me stesso, e non negherò che quella del lago sia un’ottima idea, perché le dimensioni epocali del suo naso lo farebbero affondare subito e tutto questo è molto allettante, ma non a due settimane dalla partita.
- Non mi farò beccare.
- Lo so, ma Piton non può finire in Infermeria subito dopo di me, ok? Sarebbe troppo ovvio. Già Madama Chips non ha creduto ad una parola di quello che le ho detto, perché mi odia.
- E perché stavi effettivamente mentendo, - puntualizzo.
- Perché mi odia, - insiste James. - Quindi non fate nulla.
Ed ora sta guardando anche me e Peter, ma non è come se io avessi mai preso in considerazione l’idea di annegare Piton nel lago nero. Non per più di due secondi, comunque. È un piano talmente da principianti e Sirius se ne renderebbe conto, se non fosse così accecato dalla rabbia. Quello che continua ad affacciarsi alla mia mente d’altro canto ha a che fare con incursioni notturne nell’ufficio di Lumacorno e sopraffini atti di vandalismo con tracce e indizi inequivocabili e la media di Severus Piton che crolla in seguito ai piccoli, ma costanti incidenti che continuano a capitare ai suoi compiti e con un Lumacorno che lo mette in punizione senza che lui ne sappia nemmeno il motivo ed è tutto molto, molto contrario alle regole e disdicevole anche solo da concepirsi per la mente di un Prefetto, ma è allo stesso tempo giusto e inevitabile e quello che si merita per aver usato la magia oscura su un mio amico, anche se sono sicuro che sia stato James a iniziare, e l’unica cosa che mi frena ora è lo sguardo di suddetto James e lo sguardo che avrebbe se per qualche motivo non potesse giocare alla partita.
- D’accordo, - sbuffa Sirius. – Hai detto che lo hai schiantato almeno, sì?
- Oh sì, dritto contro il muro: avrà mal di testa per giorni, - ghigna James.
- Ho dei calderotti, - annuncia Peter tenendo alto il sacchetto di fronte allo specchio. – Vuoi che te li porti in infermeria, Prongs?
- No, Pete, grazie: sto per evadere.
- Di già?
-  Sono quasi le sei, Moony. Lo sai cosa succede alle sei?
- Uccidiamo Piton? – propone Sirius entusiasta, come se si fosse appena resettato a cinque minuti fa.
Sospiro.
- Cerca solo di non darle fuoco, James, d’accordo?

 
*

- Allora come sta?
 Remus si blocca a metà scalinata per rivolgermi uno sguardo perplesso, mentre Mike lo supera di gran fretta diretto a prendere una pergamena in camera: a quanto pare lui e Frank hanno appena sviluppato una tattica di gioco che metterà i Tassorosso in ginocchio ed è fondamentale segnarla all’istante. Il sorriso che ho rivolto al mio ragazzo avrebbe potuto essere più sincero di così, se solo non sapessi già che quella pergamena sarà cestinata massimo entro sera, in favore di un nuovo e più appetibile schema di gioco. Non so nemmeno a cosa possano servire tutti questi schemi, quando il punto sempre quello rimane: i Battitori si occupano dei bolidi, i Cacciatori e il Portiere della pluffa e il Cercatore del boccino. Servono davvero così tanti schemi per questo? A mio parere no, ma uno dei momenti più bui della mia relazione con Frank è stato quando ho espresso ad alta voce la mia opinione in proposito di fronte a lui e poi tutto è diventato strano e teso e ho pensato che stesse per lasciarmi. Poi per fortuna Mary, che parlerebbe di Quidditch per ore, mi ha aiutata ad inventare uno schema di gioco da regalare a Frank e lui ne è rimasto colpito al punto da attaccarlo alla parete degli spogliatoi, anche se poi James lo ha staccato dicendo che era totalmente da dilettanti e che non poteva stare lì. Suppongo che questo spieghi come mai Mary non sia mai riuscita ad entrare in squadra in tutti questi anni.
- James, cosa dice? – aggiungo in risposta allo sguardo perplesso di Remus, tornato sui propri passi.
- Beh, suppongo di non saperlo, no? Non è come se gli avessi parlato ancora.
- Remus, - Alzo gli occhi al cielo con un sorriso. - Mi dispiace darti questa notizia, ma a volte voi Malandrini sopravvalutate leggermente la vostra capacità di passare inosservati.
- In tre a confabulare in un angolo della Sala chinati su chissà cosa, - aggiunge Frank, un sorrisetto divertito. – Scommetto che era ancora quello specchietto.
- No, noi non...beh, comunque dice che sta bene, ma che la Rimpolpasangue era disgustosa e che Madama Chips è pazza perché vorrebbe tenerlo là tutta la notte.
- Tutta la notte? Sarà il caso che vada ad avvertire Lily, è scesa poco fa nei sotterranei.
- Oh no, non serve, - Remus scrolla le spalle. - A quest’ora sarà già evaso dall’infermeria, non aveva intenzione di darle buca.
A questo punto Frank emette uno strano suono, a metà tra un versetto trionfante e una sghignazzata e sia io che Remus restiamo a fissarlo per diversi secondi, nel caso volesse aggiungere altro, ma lui si limita ad annuire tra sé con le labbra premute forte l’una contro l’altra come a trattenere un sorrisetto.
- Beh, in ogni caso Sirius dice di andare avanti con la lista d’invitati, - commenta Remus dopo un po’ tornando a guardare me, avendo probabilmente deciso che Frank ha semplicemente battuto troppo forte la testa oggi pomeriggio. E in effetti quel bernoccolo non si è ancora sgonfiato minimamente, checché ne dica Madama Chips. - Lui si fa una doccia e scende.
Remus torna alle scale dei dormitori maschili ed io rileggo velocemente la lista stilata fino ad ora da Sirius, soddisfatta. Merlino, è così bello avere finalmente a che fare con qualcuno che sa davvero come si organizza una festa: qualcuno che conosca effettivamente le persone che vivono in questo castello e che non mi interrompa ogni due secondi per chiedermi ‘Chi?’ quando parlo. Qualcuno che abbia ben chiara la differenza tra organizzare una festa e commettere un suicidio sociale. Dovremmo mettere su un’associazione o qualcosa del genere una volta usciti da Hogwarts: potrei arrotondare lo stipendio da Auror organizzando feste a pagamento con lui nel tempo libero e allora sbancheremmo ed io regalerei a Frank un’isola per il suo compleanno.
– Lo sai, oggi credo di aver realizzato qualcosa.
Quando mi volto verso Frank sto ancora riflettendo su che genere di isola potrebbe farlo felice e ci metto un po’ a rispondere.
- Cioè?
- Hai presente quando le persone vengono da te all’improvviso e fanno discorsi strani e astrusi e il tutto perché ti vogliono fondamentalmente chiedere un consiglio, ma allo stesso tempo loro sono pazzi e vaghi e quindi tu finisci per chiedergli se stanno cercando di rubarti la ragazza, no? E poi all’improvviso, a distanza di giorni, capisci cosa volevano dire.
Frank ridacchia tra sé e si è appena giocato la sua isola.
- Non ho presente, Frank, - dico, giusto prima di accorgermi che in realtà ora ho presente cosa significhi avere qualcuno che viene e fa discorsi strani e vaghi e forse, stando al suo racconto, tra qualche giorno avrò l’illuminazione su cosa tutto ciò significhi. - Cosa hai capito?
- Una cosa, - E sorride compiaciuto. - Una cosa che non mi aspettavo. Voglio dire, era un po’ palese, ma così palese da non essere poi affatto palese, neanche un po’, se capisci cosa intendo.
Non capisco affatto, ma il mio ragazzo ha appena preso a martellate il tasto di avvio della mia curiosità con nonchalance ed ora mi sta rodendo dall’interno.  
- Una cosa su chi?
- Oh, no, non posso dirlo, - Frank scuote subito la testa e che io sia dannata se gli comprerò mai anche solo uno sputo di terra in un angolo sperduto del mondo. Avrà solo maglioni in regalo da me d’ora in poi, di quelli enormi e sformati che gli stanno così tanto bene, come qualunque altra cosa in effetti, anche se sono oggettivamente orribili. - Non mi è nemmeno stata esplicitamente detta, quindi sarebbe davvero meschino da parte mia e tutta una serie di altre cose che io non sono.
- No, non le sei, infatti, - convengo. - Ma così è una sofferenza, lo sai che sono curiosa. Non avresti dovuto dirmelo per niente, se non puoi dirmelo del tutto.
- Hai ragione, cambiamo argomento, - Frank annuisce pentito. - Sappiamo già cosa prendere a Lily per il compleanno?
- Oh, certo che lo sappiamo: ci ha lasciato letteralmente gli occhi e il cuore durante l’ultima uscita ad Hogsmeade, - Una parte di me è ancora tentata dall’idea di indagare per scoprire chi, dove, cosa, come, quando e perché, ma se lo scoprissi poi Frank si sentirebbe in colpa e meschino e di conseguenza io mi sentirei in colpa e meschina, così mi lascio prendere dall’entusiasmo per la mia idea per il regalo di Lily e mi getto nel raccontarla a Frank, salvo poi rendermi conto che lui non è molto presente.
- Frank, - dico quando mi rendo conto che ha appena iniziato a ridacchiare tra sé, lo sguardo fisso nel vuoto.
- Mh?
- Stai di nuovo pensando a quella cosa che hai capito?
- Sì, scusami, - dice e poi i suoi occhi tornano quelli assenti di chi sta pensando a tutt’altro. - È che è davvero bizzarra come cosa, anche se è sempre stata sotto gli occhi di tutti: nessuno pensa che sia quello che sembra e invece è esattamente quello che sembra.
Ed eccola di nuovo, quella sghignazzata a metà tra il divertimento e la meraviglia.
- Frank, amore, lo sai che ti amo sul serio, ma se ridacchi di  nuovo con aria persa dovrò trasfigurare questa piuma in una forchetta, conficcartela in fronte e vedere di persona cosa c’è di così assolutamente palese ma non davvero palese in quella tua testolina adorabile, ok?
Frank annuisce, tornando serio.
 - Lo rispetto.

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**********
 
E quindi è così.
È questo che accade quando ci si dimentica di accendere il cervello prima di alzarsi dal letto alla mattina: ci si ritrova in un’aula ad aspettare James Potter e non per colpirlo con un calderone sulla testa e fare sparire il suo corpo, ma per insegnargli a non litigare con le pozioni. Ha senso? Un piano che prevede me e James Potter e il suo continuare a respirare per tutto il tempo, senza mai smettere, e che non prevede invece nessun bavaglio sulla sua bocca, può un piano del genere avere senso?
Non per una persona con il cervello acceso, cosa che io evidentemente non sono più da tempo: non sarei qui e non starei organizzando una festa totalmente illecita per il mio compleanno altrimenti. Non che io la stia poi effettivamente organizzando, dato che Alice e Black lo stanno facendo al posto mio, il che è un’ottima consolazione: sarò anche impazzita, ma almeno la mia discesa nel cammino della perdizione non è per nulla faticosa. Devo solo ricordare loro che se proprio dobbiamo farci tutti espellere in modo così idiota, voglio almeno montagne di muffin alla mia festa, soffici, fragranti muffin ricoperti di gocce di cioccolato fondente. Potremmo fare una festa a tema muffin, con tutti gli invitati costretti a vestirsi da muffin ed io vestita solo di muffin veri. È un’idea strepitosa e subito abbasso lo sguardo a studiare con occhio critico i miei fianchi, cercando di indovinare che taglia porterei in termini di muffin, quando dei passi risuonano per il corridoio fuori dall’aula di Pozioni e non mi piace essere interrotta mentre penso ai muffin, proprio come non mi piace James Potter e vedendolo varcare la porta con quel suo sorriso sornione già stampato sulle labbra non posso impedirmi di pensare che questa è l’ultima occasione per essere processata come minorenne: se colpissi ora, potrei cavarmela con solo un paio d’anni ad Azkaban – e onestamente, quanto possono essere più estenuanti di lui i Dissennatori? Non così tanto, se lo chiedete a me. 
Con quella benda che gli copre l’occhio non dovrebbe nemmeno vedere il paiolo arrivargli addosso, è tutto perfetto, a parte il fatto che la benda si è spostata ed è ora sul suo braccio. La fisso per un attimo, con la bizzarra idea che l’occhio di Potter sia ora proprio lì sotto, sul suo avambraccio, poi scuoto la testa e ricordo che l’occhio di Potter è vicino all’altro occhio, sulla sua faccia, dove stanno normalmente gli occhi delle persone. Dove quell’esplosione di puzzalinfa abbia fatto schizzare il mio cervello, invece, è un quesito ancora privo di risposta.
- Lo so, Evans, lo so, - Non è come se Potter non stesse sorridendo già da quando è entrato, perché è quello che fa sempre, senza motivo, ma ora le sue labbra hanno preso una piega ancora più gongolante e lui solleva teatralmente il braccio, stringendo le dita a pugno e facendo guizzare i muscoli da sotto il tessuto sottile della camicia. - Prenditi il tuo tempo per apprezzare tutto questo: sono qui per te.
Fallo ora, Lily. Tra due giorni sarai maggiorenne e il Wizengamot non sarà così clemente con te.
- Stavo solo constatando la presenza di nuove ferite di guerra sul tuo, per me assolutamente privo di interesse, corpo, Potter, non montarti la testa, - Replico con un autocontrollo degno di un muffin, perché loro sono molto dotati in questo, a mio parere, per il modo in cui riescono a trattenere tutto quel gusto e quel piacere divino nel morbido perimetro della loro massa, senza lasciare che si sparga ovunque nel mondo e provochi orgasmi continui alle persone. - Che hai combinato adesso?
- Piton e le sue dannate maledizioni che nessuno conosce, - Potter sbuffa, lanciando un’occhiata contrariata al braccio fasciato. - Sembra che se le inventi.
- Forse dovresti provare a lasciarlo in pace.
- Non lo vado a cercare, Evans. È lui che è ovunque.
- Ti sembrerà assurdo, ma la maggior parte delle persone cambiano strada quando vedono qualcuno che odiano, non si precipitano a litigarci, - replico, anche se intimamente non posso che dargli ragione: Severus è ovunque, o almeno da quando non ci rivolgiamo più la parola. È chiaro che sia così, è il modo in cui funziona quando cerchi di ignorare qualcuno: il mondo non ci sta, semplicemente, e te lo piazza ovunque. Severus così come Petunia, anche se con lei potrebbe c’entrare anche il fatto che dividiamo la stessa casa e lo stesso bagno.
- Hai ragione, mi sembra assurdo.
Potter ghigna ed io alzo gli occhi al cielo e il mio culo dalla sedia.
- D’accordo, iniziamo, - sospiro lisciandomi la gonna e prima di avvicinarsi lui si chiude la porta dell’aula alle spalle, come se delle ripetizioni di Pozioni fossero un affare losco e che va nascosto alla vista altrui.
Quando me lo ritrovo di fianco mi rendo conto di non avere effettivamente idea di cosa dovrei fare ora e avrei potuto usare questo tempo per preparare un piano invece di pensare ai muffin, ma tant’è.
Potter mi guarda con una certa aspettativa ed io non riesco a pensare quando le persone mi guardano con aspettativa, così decido di guadagnare tempo rimettendolo al suo posto, tanto per cominciare.
- Sia chiaro, Potter: non sono una professoressa, non mi pagano per starti dietro e non ho nemmeno la vocazione spirituale per l’insegnamento, quindi come mi accorgo che sto parlando da sola o che tu non ci stai davvero provando, me ne vado.
Andarmene, questo suona come un piano.
- Evans, così mi ferisci, - La mano di Potter è sul suo petto ora. - Io ti ascolto sempre.
- E cerca di non ricordarmi perché non ti sopporto, Potter, per favore.
- Ma io non lo so perché non mi sopporti.
- Infatti, infatti, - annuisco distrattamente, senza prestargli attenzione, perché ora sto finalmente elaborando il mio piano d’attacco. Conoscere il nemico dovrebbe essere il primo passo per vincere una guerra, e il nemico, che solitamente è Potter, è in questo caso l’incapacità di Potter di preparare una pozione che assomigli a una vera pozione. È un’incapacità eclatante e piuttosto rumorosa, spesso tossica e a volte potenzialmente mortale, come quella volta in cui Lumacorno ha dovuto evacuare l’aula per evitare che qualunque cosa avesse creato Potter nel suo calderone sterminasse l’intera classe. So che una volta al terzo anno il suo mestolo, a contatto con qualunque cosa ci fosse dentro il suo paiolo, ha preso vita e lo ha picchiato forte sulla fronte, lo so perché ho assistito alla scena ed è stato così appagante. Il fatto è, queste sono solo le conseguenze più o meno dannose di qualunque problema abbia Potter con le pozioni e se voglio capire qual è c’è solo una cosa da fare, prima di ogni altra.
- D’accordo, Potter, ora io mi siedo lì e ti guardo-
- Per me è ok, Evans. Vuoi che mi spogli o preferisci il vedo-non vedo?  
- Io mi siedo lì e ti guardo, ho detto, e tu prepari una pozione, d’accordo?
- Va bene. Vestito, giusto? Ahia, Evans, era solo per essere sicuro. Ok, ok, quale?
Potter ha appena alzato gli occhi al cielo esasperato, come se fossi io la matta che lo assalta senza motivo e non lui che continua a fare proposte indecenti. Ora, che problema ha questo ragazzo coi suoi vestiti? È normale che non veda l’ora di toglierseli di dosso? Non lo possiamo rinchiudere in una qualche clinica con persone che possano aiutarlo a risolvere il suo problema o qualcosa del genere? Perché sarei pronta a farmi carico di ogni spesa in caso: Lily Evans è sempre in prima fila quando si tratta di aiutare le persone e di rinchiudere Potter lontano dagli altri esseri umani.
- Vediamo, prova con la pozione della Pace, vuoi?
- Mmm, non mi piace tanto, Evans, - Potter arriccia il naso, scontento. – C’è il muco di vermicoli tra gli ingredienti che appiccica tutto e...
- Riformulo la frase, Potter: prepara la pozione della Pace.
- Ah, quindi questa non è una democrazia, bene, buono a sapersi, - Potter si dirige borbottando tra sé all’armadietto degli ingredienti ed io mi siedo sul banco più vicino, seguendo le sue mosse, accigliata. Quindi è così che funziona nel mondo di James Potter, si vanno a prendere gli ingredienti prima di leggere la ricetta nel manuale, affidandosi alla memoria. Non è necessariamente un errore, forse ha davvero una memoria di ferro, forse gli ingredienti di questa pozione in particolare gli sono rimasti impressi per qualche motivo o forse, forse è un idiota.
È un idiota, per l’appunto, come posso constatare vedendolo tornare al banco con due soli dei numerosi ingredienti previsti dalla pozione.
- Potter.
- Sì, Evans?
- Hai portato il libro di pozioni?
- No.
- E perché, se posso chiedere?
- Perché lo odio, - dice Potter ed io trattengo un sospiro, perché certo che il ragazzo a cui sto dando ripetizioni di Pozioni odia il manuale di Pozioni,  non sia mai. – Non mi piace il suo tono, fai questo, fai quello, non ti azzardare a fare quest’altro. Chi si crede di essere quell’Augustus Salamander, mh? Solo perché ha scritto un libro di Pozioni, ma per favore.
- Augustus Salamander è uno che sa che per la pozione della Pace sono necessari più di due ingredienti, tanto per cominciare, - sottolineo pacata, ignorando tutta la parte dell’essere uno dei più grandi pozionisti dei nostri tempi e ordine di Merlino prima classe per le sue ricerche sulle proprietà del succo di Horclump. – Quindi prendi uno dei vecchi manuali nell’armadietto e leggi che ti serve.
Potter esegue, borbottando tra i denti qualcosa di parecchio offensivo verso Augustus Salamander e il suo nome ed io lo osservo sfogliare con forza le pagine ingiallite e poi lasciar scorrere velocemente lo sguardo tra le righe, impaziente. Quando, dopo essersi caricato gli ingredienti tra le braccia, si dirige spedito verso il calderone in ottone di fronte a me, ignorando quello in rame lì a fianco, trattengo un sospiro. E trattenere sospiri è quello che faccio più o meno per la mezz’ora successiva, mentre studio in silenzio il suo modo di lavorare e la nascita di un liquido giallognolo che nulla ha a che vedere con la densa pozione bianco perla raffigurata sul manuale alla voce “Distillato della Pace”.
- Allora? – chiedo saltando giù dal banco e avvicinandomi al calderone. – Ti è venuta?
- Beh, non è esplosa, - dice Potter, prima di incrociare il mio sguardo e portarsi una mano ai capelli. – Ma suppongo che non sia propriamente una pozione della Pace.
- E da cosa lo capisci?
- Dalla tua faccia.
- E?
- E dal fatto che non assomiglia a quella in foto.
- E?
- E dal fatto che le mie pozioni non vengono mai e questa è una mia pozione.
- No, concentrati. Che odore senti?
Potter si china sul paiolo, perplesso.
- Nessuno?
- Esatto. E che c’è scritto qua?
Il suo sguardo segue il mio dito e Augustus Salamander lo informa che una perfetta pozione della Pace è sempre accompagnata da una delicata fragranza di lavanda.
- Oh. Ok.
- E qui che c’è scritto invece?
Di nuovo i suoi occhi seguono il mio indice e questa volta Augustus Salamander lo informa che una pozione della Pace funzionante è ottenibile solo lavorando con un paiolo di rame o peltro.
- Ah.
- Già, - annuisco, sfogliando le pagine fino a tornare all’elenco degli ingredienti. – E quello vicino agli occhi di anguilla è un tre, non un cinque.
- Mi sono scivolati.
- Ho visto, - commento neutra. - È il motivo per cui non dovresti aprire i contenitori direttamente sul paiolo. Svuoti il barattolo di fianco e li prendi uno ad uno con le dita: perdi qualche secondo in più invece di perdere mezz’ora a preparare una pozione inutilizzabile, scambio equo, no?
Potter arriccia appena le labbra, scornato: immagino che non sia la norma per lui sentirsi elencare uno ad uno i propri errori, soprattutto considerando che è abituato a considerarsi infallibile.   
Ma qui d’infallibile c’è solo la sistematicità con cui ha sbagliato un passaggio dietro l’altro, così continuo imperterrita.
- Il pungiglione di Doxy in qualunque pozione va inserito intero solo se fresco, è a questo che serve la data sul coperchio del barattolo: in questo caso dovevi prima sbriciolarlo col mortaio.
Credo che Potter stia per avere una crisi allergica a questa situazione e forse dovrei chiamare uno di quei ragazzini del terzo che lo venerano come un Dio in terra per riempire il suo serbatoio di lodi e ammirazione, sia mai che il suo ego si sgonfi fino a diventare solo un paio di volte quello di un comune mortale.
- E per finire, non hai pesato la pietra di Luna, che va sempre dosata in base alla capienza del calderone, e hai dimenticato di aggiungere le ali di mosca crisopea alla fine.
- Non l’ho dimenticato, - precisa. - È solo che non mi piace toccare insetti morti. O vivi. Non mi piace toccare insetti punto. Come a tutte le persone normali e che non si chiamano Augustus Salamander.
- Fammi capire, hai volutamente saltato un passaggio perché ti faceva schifo l’ingrediente in questione?
Potter alza le spalle e annuisce come se la sua fosse una scelta ovvia e perfettamente dotata di senso e le mie orecchie da pozionista, che sono anche le mie uniche orecchie, ora stanno sanguinando.
- No, Potter, no, ok? Tu non puoi semplicemente, questo è, - Calma, Lily, calma. Inspira, espira. Come se la mosca crisopea fosse così disgustosa poi, a mio parere è più disgustoso continuare a parlare con Minus quando si dimentica di avere la bocca piena e ti mostra la sua colazione masticata, il che capita praticamente ogni mattina, ma non ho mai visto Potter schifato da quello. – Ripeti con me: Salamander è nostro amico, le istruzioni non sono lì per bellezza e gli ingredienti non sono consigli, non puoi scegliere quali accettare e quali no e...
- D’accordo, Evans, calma, - Potter solleva le mani in aria, vagamente allarmato, come se fosse lui quello ragionevole in quest’aula. - Non pensavo fossi così legata alle mosche crisopee.     
Oh, ora sono quella troppo legata alle mosche crisopee. Di bene in meglio.
- Va bene, Potter, - stabilisco, tornando a sedermi sul banco dietro di noi. – Ora siediti. Lì.
Potter guarda la sedia che gli indico, la sposta di fronte a me e poi ci si siede a cavalcioni, le braccia incrociate sullo schienale e il mento su di esse. Ed è così, io devo insegnargli l’arte delle Pozioni e lui non si sa nemmeno sedere dal verso giusto, perché quando mai James Potter fa qualcosa per il verso giusto, mh?
- Quindi, - esordisco portandomi una ciocca dietro l’orecchio e studiandolo attentamente. Lui ricambia il mio sguardo dal basso. – Da cosa credi che nasca il tuo problema con le pozioni?
Potter alza la testa, portandosi una mano al mento e assottigliando lo sguardo verso un punto alle mie spalle, assorto. Devo fare forza su me stessa per non voltarmi a controllare cosa stia guardando, perché lo so che non c’è nulla e che lui è pazzo.
- Sono abbastanza sicuro che mi manchi l’organo delle pozioni, Evans, - conclude infine tornando a guardarmi, soddisfatto della propria risposta. Pazzo, come dicevo. – Devo averne troppi adibiti all’essere irresistibile e non c’era semplicemente più spazio per qualcosa che mi rendesse in grado di capire Pozioni.
- Non può essere un problema di spazio, - lo correggo automaticamente. – Se ci sta il tuo ego ci potrebbe stare anche uno stadio intero.
- Ok, forse è una maledizione allora. Sirius dice di averne una che gli impedisce di assaporare le tuttigusti, forse io...
- Non sei maledetto, Potter, - Lo informo guardandolo dall’alto e questa potrebbe essere la cosa più carina che io gli abbia mai detto. - E non ti manca nessun gene. Forse qualche neurone sì, ma non esiste un organo adibito alla preparazione di pozioni, quindi non appigliarti alla genetica per giustificare il tuo essere un disastro.
Potter incrocia le braccia al petto, sollevando appena il mento con l’accenno di un sorrisetto.
- Quindi, Evans, posso supporre che tu sappia perché sono un disastro in Pozioni?
- Lo so, infatti, - Mi raddrizzo sul banco. – Non è come se non fosse palese.
Potter inarca le sopracciglia, in attesa.
- Illuminami.
- Tanto per cominciare, sei impaziente. Sembri un’anima in pena che vorrebbe correre ovunque e fare qualunque altra cosa invece che starsene in piedi davanti al calderone, - spiego ripensando al suo modo sbrigativo e distratto di sfogliare il manuale e ai sospiri spazientiti che hanno accompagnato il mescolare sempre troppo rapido. - Ci manca solo che ti metta a saltellare sul posto, Potter.
- Ma io sono un’anima in pena che vorrebbe correre in giro e fare cose invece che stare qui a fissare il calderone, Evans, - puntualizza lui.
- Beh, cerca di non esserlo. Come puoi pretendere di riuscire a preparare una pozione se non ci sei con la testa?
Potter schiude le labbra per poi richiuderle dopo qualche secondo, considerando le mie parole. Oppure sta solo pensando a cosa vorrebbe fare invece di stare qui, una delle due.
- Se ti fossi fermato a leggere con attenzione le istruzioni, senza correre tra le righe come se avessi il fuoco alle calcagna, avresti evitato la metà degli errori, - continuo decisa, approfittando del suo silenzio. – E anche fisicamente, giri sempre troppo veloce, tagli ogni ingrediente o troppo spesso o troppo fino perché non hai voglia di fermarti a considerare il giusto spessore e trascuri i dettagli: un grammo in più non è la stessa cosa, fa la differenza.
- Ora, - mi alzo nuovamente, facendogli cenno di fare lo stesso, e mi avvicino al banco. - Smetti solo per un attimo di pensare al miliardo di altre cose che vorresti fare adesso e concentrati sul calderone. Il mondo esterno non esiste, il campo da Quidditch non esiste...
- Piano con le offese ora.
- Non esiste nulla al di fuori di quest’aula, - insisto. - Fallo, ok? Forza.
- Ok, - Potter sospira. - Fatto. Non esiste nulla.
- E nessuno, - preciso.
- A parte tu ed io, - Sorride e mi fa l’occhiolino.
Io lo fisso interdetta.
- Potter.
- Sto facendo quello che mi hai chiesto, Evans, -  Potter alza le spalle, un sorriso innocente e assolutamente fuori posto sulle labbra. - Niente al mondo a parte quest’aula, quindi solo io e te in tutto l’universo. Nessun altro. Niente Philips e neppure la piovra gigante, - Il suo sorriso furbo si allarga ulteriormente. - Pare che dopotutto dovrai venire ad Hogsmeade con me, Evans.
Il silenzio aleggia nell’aula per qualche secondo, giusto il tempo che serve al mio istinto di autoconservazione per prendere il sopravvento. 
- Okay, è stata un’idea stupida. Io me ne vado.
- Okay, okay, Evans, - Potter mi afferra per un polso, poi i miei occhi si allargano e guardano prima lui e poi la sua mano e lui capisce che questa mossa infrange il grande regolamento che regola tutte le cose che devono essere regolate e mi lascia. - Io e il calderone e nient’altro, d’accordo. Ci sono.
Lo scruto sospettosa per qualche secondo, prima di prendere un profondo respiro. D’accordo, facciamo questa cosa.
- Non il calderone, non ancora, - Lo correggo. - Gli ingredienti. Tu e gli ingredienti
- Quali?
- Tutti
- Tutti.
-Tutti, Potter
- Non dovresti dirmi una pozione e...
- No, non sei pronto per fare una pozione, - Nego decisa, avviandomi verso l’armadietto delle scorte. - Scordati di preparare pozioni fino a quando non saprai maneggiare e dosare tutti gli ingredienti. Ora prendi le radici di asfodelo, forza.
- Evans, sei riuscita a renderlo ancora più orribile. A cosa serve, ora?
- A tutto, Potter. È con gli ingredienti che si preparano le pozioni, sai.
Potter sospira, lanciando un’occhiataccia ai contenitori disposti ordinatamente all’interno dell’armadietto.
- Odio gli ingredienti, - sbuffa. - Sono così noiosi. Se ne stanno lì, fermi con quell’aria...
- Quale aria?
- Quell’aria, dai, - insiste Potter come se fosse tutto molto lampante. -Banale, smorta, monotona. E sembrano tutti uguali.
È così quindi.
Gli ingredienti hanno un’aria noiosa e sembrano tutti uguali.
È questo con cui ho a che fare.
Dannato Potter.
La mia bacchetta si muove decisa verso l’armadietto e subito i tappi dei contenitori si svitano da soli, lasciando liberi i vari ingredienti di uscire e librarsi per aria.
- Che stai facendo, Evans?
Potter segue perplesso i movimenti dei vari ingredienti che iniziano lentamente a descrivere ampi cerchi attorno alle nostre teste.
 - Rendo meno noiosi gli ingredienti, - spiego con un’alzata di spalle, prima di dare un altro colpo di bacchetta. Subito gli ingredienti iniziano a vorticare più velocemente, saettando da una parte all’altra dell’aula, ma sempre senza scontrarsi tra loro. - Ora prendi le radici di asfodelo, se ci riesci.
Il sopracciglio di Potter si inarca notevolmente.
- Se ci riesco?
- Stanno andando piuttosto veloce, - butto lì con un sorrisetto.
- Veloce? - Potter spalanca gli occhi incredulo, prima di emettere uno strano verso dalla natura indefinita, a metà tra uno sbuffo e una risata. - È come se fossero ferme ai miei occhi, Evans.
- Sì? Prendile allora.
Con un’alzata di spalle faccio qualche passo indietro, raggiungendo il banco più vicino. Potter mi lancia un’ultima occhiata perplessa, poi inizia a perlustrare lentamente lo spazio attorno a sé con attenzione; a un certo punto i suoi occhi si assottigliano e iniziano a scattare da una parte all’altra dell’aula, seguendo i movimenti di un paio di radici giallognole che tempo pochi secondi e si ritrovano strette tra le sue dita.
- Quelle sono radici di valeriana, Potter, - lo informo pacata, stroncando sul nascere la sua occhiata trionfante.
Lui le lascia e qualche secondo dopo ha tra le mani altre radici, questa volta di un arancione acceso. I miei occhi non devono essere sembrati molto contenti di quell’arancione, perché questa volta Potter lascia le radici prima ancora che io apra bocca, rimettendosi a scrutare gli ingredienti che vorticano veloci attorno alla sua testa.
- Potter, - inizio lentamente, scendendo con calma dal banco e avvicinandomi a lui. Poi alzo lo sguardo al cerchio di oggetti che continuano a girare a mezz’aria attorno a noi e dopo qualche secondo sollevo un braccio; subito Potter abbassa gli occhi sul mio palmo teso verso di lui e su cui spiccano due morbide radici marroncine, una scintilla di frustrazione oltre le lenti. - Ora, è una fortuna che questa non fosse una competizione, - commento con tono casuale. - Perché se lo fosse stata, avrei appena vinto.
- Oh, andiamo, solo perché non sapevo quali fossero, - Prevedibilmente l’indignazione nel tono e nell’espressione di Potter raggiungono immediatamente una consistenza tale da essere intravista oltre l’ostentato strato di indifferenza. - Se l’avessi saputo le avrei prese in mezzo secondo.
- E allora impara a riconoscerle, Potter, - dico guardandolo dritto negli occhi, di cui il destro non sembra ancora tornato del tutto alla normalità, il nocciola dell’iride che si confonde col rossore che lo circonda. Questo, unito al fatto che anche la pelle delle mie braccia continua ad essere irritata e mi sento le labbra stranamente gonfie, è una prova inconfutabile dell’odio che Madama Chips nutre per tutti noi. Forse lo ha assoldato lei il Corvonero, a questo punto. - Ammesso che sia davvero quello il problema, - Continuo con leggerezza e già lo vedo irrigidirsi: ottimo piano, caporale Evans, ottimo piano. Le mie doti da stratega si riconfermano per l’ennesima volta. - Voglio dire, puoi dirmelo se vuoi che rallenti un po’, non c’è problema: pensavo che andasse bene perché sei un Cercatore e tutto, ma se vanno troppo veloci...
- Oh, vedo cosa stai facendo, Evans, - mi interrompe con una mezza risata stizzita. - Ed è ridicolo: questo non è veloce, non si avvicina nemmeno alla velocità di un Boccino.
- Allora prendi i fagioli sopoforosi prima di me, se sono così lenti, - concludo serafica con un’alzata di spalle. -Ti do un vantaggio di dieci secondi, forza.
- Vantaggio? – Riesco quasi a intravedere l’ego di Potter tremare tutto al suo interno e scuoterlo dalle fondamenta. - A me? Stai scherzando.
- Nove, otto...
Potter cerca di imporre la sua superiorità sul resto del mondo ancora per qualche secondo tramite il suo sguardo indignato, poi si riscuote di colpo e inizia a guardarsi frenetico attorno. Due secondi dopo mi sta porgendo un bezoar in preda all’agitazione ed io inarco un sopracciglio. Il bezoar finisce a terra e lui torna alla sua agitata ricerca.
Alla fine dei dieci secondi non so se essere più impressionata dalla cura con cui ha evitato anche solo di sfiorare con lo sguardo l’ingrediente esatto per tutto il tempo o dalla sua velocità e dal numero di ingredienti sbagliati che è riuscito ad afferrare in così pochi secondi.
- Li usiamo dal primo anno, Potter, - sospiro alla fine stringendo i fagioli con entrambe le mani e piazzandoglieli sotto il naso. - C’è la loro foto nell’inventario degli ingredienti più comuni che ci hanno fatto comprare prima di iniziare la scuola. Io l’ho effettivamente sfogliato, sai, è per quello che so come sono fatti gli ingredienti, non per altro. Ma, - Potter fa per parlare ed io lo blocco con una mano, imperterrita. - In realtà capisco perfettamente perché tu non abbia idea di come siano fatti i fagioli sopoforosi: non è come se questa informazione ti potesse servire a qualcosa nella vita, a parte ad andare bene a Pozioni, ma Pozioni è noiosa e quindi che importa, no?
E nel frattempo una milza di pipistrello gli va a sbattere proprio contro la fronte e non sono sicura se sia stato un caso o il mio inconscio. Potter pare propendere per la seconda opzione, perché stringe le labbra in modo poco conciliante.
- Ora, se tu fossi una persona eccessivamente competitiva potresti sentirti un po’ frustrato dal non poter dimostrare la tua abilità di Cercatore solo perché non sai cosa afferrare, - Di nuovo lui fa per parlare e di nuovo io lo ignoro, stringendomi nelle spalle con un sorriso pacifico.  - Ma per fortuna non è questo il caso.
Potter incrocia le braccia al petto, studiandomi con un mezzo sorrisetto infastidito.
- Evans.
Il suo tono dice so cosa stai facendo, ma i suoi occhi, i pugni chiusi e le spalle tese aggiungono e ci sto cascando in pieno.
- Tutto ti si può dire, Potter, ma non che tu non sappia accettare la sconfitta, - Il fatto è, lo sto aiutando, proprio come ho detto che avrei fatto, e posso dormire sonni tranquilli e ritenermi la migliore tra le compagne di Casa e la più responsabile tra i Prefetti, a parte per la storia della festa clandestina che della gente poco raccomandabile sta organizzando su mio ordine, e contemporaneamente però posso, anzi devo, torturarlo. A volte la vita sa essere così appagante. - Ed è giusto così, tutti perdono qualche volta, no? Ora vieni qui e taglia quei...
- Non ho perso, Evans.
- Hai ragione: l’importante è partecipare, - annuisco accondiscendente, posando i fagioli sopoforosi sul banco di fronte a noi. - Non c’è bisogno di stare a specificare chi è stato più veloce e chi più lento, ora passami quel coltello che ti mostro come tagliarli, forza.
Sento il suo sguardo puntato sulla mia schiena ancora per diversi secondi, poi lui sospira infastidito e mi si affianca, porgendomi il coltello. Gli mostro i vari modi di preparare i fagioli sopoforosi spiegandogli i più indicati per ogni pozione e ad un certo punto sembra che Potter inizi effettivamente a prestarmi attenzione, smettendo di ribollire internamente per il suo spirito competitivo appena calpestato. Quando gli chiedo di ripetere le mie mosse e lui si arrotola ulteriormente le maniche della camicia sulle braccia per lavorare meglio, lo sguardo mi cade su una piccola macchia rossa che ha appena iniziato ad allargarsi sopra la sua benda.
-  Potter, il braccio, - gli faccio notare, perché lui non pare essersene accorto. Subito i suoi occhi scattano verso di me, perplessi, per poi spostarsi sul rosso che gli sporca la benda e che non accenna ad arrestare la sua rapida avanzata.
- Oh, stai scherzando, di nuovo?
Potter impreca, guardandosi attorno come se si aspettasse di trovare una pila di bende nuove proprio dietro di lui, poi lancia un’occhiata contrariata e impacciata alla fasciatura sempre più rossa. Il mio sguardo si stacca dal suo braccio per un paio di secondi appena, giusto il tempo di trasfigurare delle nuove bende a partire dal vecchio manuale di Pozioni di cui forse Lumacorno non noterà la sparizione, ma quando mi volto di nuovo verso di lui con le garze tra le mani mi blocco di colpo, perché la fasciatura è ora completamente zuppa di sangue.
- Potter, - mi sento dire e poi il suo sangue è sulle mie dita, ma io continuo a srotolare le bende umide e calde come ipnotizzata, perché non è normale che ci sia così tanto sangue, non è normale e una parte di me sa perfettamente che cos’è tutto questo.
- Evans, non toglierla, sospetteranno di te se mi dissanguerò qui, lo sai.
La voce di Potter arriva come attutita alle mie orecchie, perché ora ce l’ho sotto agli occhi quel taglio lungo e troppo sottile, all’apparenza innocuo come un graffio fatto con la carta, se non fosse per il colore quasi nero della pelle ai bordi della ferita, se non fosse che so esattamente che cos’è.    
- Potter.
La benda zuppa di sangue atterra sul pavimento di pietra dell’aula con un rumore umidiccio e lui incrocia i miei occhi, interrogativo.
- Com’era?
- Cosa? – chiede distratto, mentre cerca di arrotolarsi attorno al braccio le bende che gli ho trasfigurato, su cui, noto solo ora, spiccano ancora le scritte delle pagine del libro di Pozioni.
- La maledizione, - insisto.
- Non ne ho idea, Evans, - Potter, sempre più pallido, scuote la testa, continuando a trafficare a fatica con le bende. - Qualcosa di strano che non ho mai sentito prima.
- Sectusempra?
Il modo in cui si blocca di colpo, alzando poi gli occhi su di me, è di per sé una risposta.
Non che me ne servisse davvero una.
- Come lo sai?
- Torna in Infermeria, - Le mie dita insanguinate scivolano dal suo polso, lasciandovi un alone rossastro e subito gli sfilo di mano le bende nuove, per poi fasciarlo velocemente alla bell’è meglio mentre lui continua a fissarmi interdetto. - Non si fermerà con le bende e basta.
Un colpo di bacchetta e gli ingredienti smettono di volteggiare per aria, nuovamente risucchiati all’interno dell’armadietto, un altro e la benda insanguinata a terra svanisce.
- Dove vai? – Potter continua a guardarmi dubbioso, l’aria di chi si è perso qualche passaggio.
- Da nessuna parte. Vai da Madama Chips, - insisto, prima di afferrargli la mano e premergliela decisa sulle nuove bende che hanno già ricominciato a macchiarsi. Potter fa per dire qualcosa, ma io lo precedo. - Ti raggiungo tra 10 minuti, ok? Vai.
Potter mi lancia un’ultima occhiata perplessa e pare sul punto di ribattere, poi abbassa gli occhi sul rossore che si sta già espandendo a vista d’occhio sotto il suo palmo e si affretta verso l’uscita.
I suoi passi si attutiscono fino a sparire in lontananza ed io resto sola nell’aula a fissare la porta per diversi secondi, le braccia abbandonate lungo i fianchi e la bacchetta ancora tra le dita. Devo pulirmi le mani e poi devo rimetterla nella tasca del mantello e devo farlo ora, ma le dita scivolose della mia mano destra continuano a stringersi sempre di più attorno al manico sottile della bacchetta ed io chiudo gli occhi, stringendo forte le labbra l’una contro l’altra e chiudendo l’altra mano a pugno. Diversi minuti e profondi respiri dopo, mi chiudo la porta alle spalle, imboccando decisa il corridoio, la bacchetta di nuovo in tasca e nessuna traccia della mia rabbia se non le scintille scarlatte che si sono infrante contro il pavimento di pietra dell’aula.
 

 
 
 
- Lily.
È senza fiato e pronuncia il mio nome come qualcosa di proibito, un sussurro quasi riverente che mi fa accapponare la pelle; gli occhi scuri si illuminano di colpo nella penombra dei sotterranei come se un lampo li avesse attraversati all’improvviso ed è sorpreso tanto quanto è felice.  
Si affretta ad uscire dalla Sala senza degnare di un’occhiata il ragazzino del terzo che lo ha chiamato per me, il muro scorre richiudendosi alle sue spalle e lui continua a guardarmi come se temesse di vedermi svanire da un momento all’altro.
Le labbra sottili si schiudono incerte, ma io non lo lascio parlare.
- Avevi promesso.
Lui mi guarda ed è come se le mie parole ci mettessero troppo per arrivare a destinazione, come se dovessero superare l’invisibile barriera della nostra amicizia passata. Mi guarda ed è come se non vedesse me, ma una bambina che non c’è più e forse non è mai esistita se non nei suoi occhi. Le mie labbra si muovono ma ho l’inquietante sensazione che non sia mia la voce quella che sente.  
- Cosa?
Non capisce e c’è un’impercettibile nota di panico nel suo tono, come se ci fosse ancora qualcosa da rovinare tra noi, qualcosa di non ancora perduto.
- Sectusempra, Severus, - Continuo gelida e un lampo di comprensione gli attraversa lo sguardo. - Mi avevi promesso che era solo per metterti alla prova, che non l’avresti mai usata sulle persone.
- Potter, lui...
Scuote la testa e di nuovo c’è quell’accenno di panico nella voce, come se non dovesse sprecare un’occasione, quando le occasioni le ha già sprecate tutte e non se ne rende neppure conto.
- Cosa, ha iniziato lui? Che grande scoperta, Severus, è sempre lui, e allora? È magia oscura, ho visto cosa fa quella maledizione! Se non lo avessi preso solo di striscio, - Ora sono io a scuotere la testa, incredula e agghiacciata. - Potevi ucciderlo!
E so già cosa sta per dire, perché anche dopo tutto questo tempo continuo a saper leggere il suo viso meglio del mio e la stizza prende immediatamente il sopravvento nei suoi occhi, scacciando tutto il resto.
- Da quando difendi James Potter, Lily?
Mi ritrovo a boccheggiare sconvolta, senza parole, perché è come parlare al muro, perché a lui davvero non importa e non so nemmeno perché diavolo sono ancora qui.
- Proprio non capisci, vero? – Scuoto la testa rassegnata, trattenendo una risata amara. - Hai appena usato la magia oscura ad Hogwarts, hai rischiato di uccidere un tuo compagno di scuola e tutto quello di cui ti importa è la tua faida infinita con James Potter?
- Oh, giusto, perché io sono il peggiore tra i due, vero? Perché avrei potuto ucciderlo, mentre voi Grifondoro siete troppo giusti per spingervi così oltre, sì?  - Il suo sibilo pieno d’odio risuona per il corridoio vuoto ed io assottiglio gli occhi, cercando di capire dove voglia arrivare. - Ti stupirà sapere che Potter e i suoi amichetti così innocenti hanno cercato di uccidere me già l’anno scorso.
- Ancora con quella storia? – Sbotto esasperata, portandomi una mano ai capelli. - Perché non mi dici una buona volta cos’è successo, Severus? Perché quello che so io, quello che sa tutta la scuola, è che James Potter ti ha salvato la vita da qualunque cosa ci fosse in fondo a quel tunnel.
- Non dire qualunque cosa come se non lo sapessi perfettamente cos’era.
Il suo tono è sprezzante ed il silenzio cala tra noi per diversi secondi, mentre io sostengo il suo sguardo insistente.
- Quindi? Lupin ha cercato di ucciderti? È questo che intendi? - E questa volta non riesco a trattenere una risata amara. - Non è stata colpa sua. Non puoi cercare un, - La mia voce si riduce a un sussurro. - Un tu-sai-cosa durante una notte di luna piena e poi accusarlo di aver cercato di ucciderti.
- E come ho fatto a trovarlo? – Sibila tra i denti, ora visibilmente furioso. - Come ho fatto a fermare il Platano per infilarmi nel tunnel? Come diavolo ho fatto a sapere esattamente quale nodo premere per poter arrivare a quel mostro, mh? Me lo spieghi, Lily?
Le labbra di Severus sbiancano l’una contro l’altra, tanta è la forza con cui le stringe ora mentre continua a fissarmi ed io lo fisso spiazzata, senza sapere cosa dire, perché non ho una risposta.
- Qualcuno me l’ha detto evidentemente, - riprende lui, appena più calmo, ma gelido. Non c’è più traccia di paura nella sua voce ora, solo rabbia; non sta più attento a non rovinare tutto e forse si è finalmente reso conto che non c’è nulla di salvabile, che abbiamo già massacrato da tempo quei due bambini che passavano ore a parlare stesi l’uno accanto all’altro sui prati verdi di Privet Drive. - Qualcuno che sapeva esattamente cosa avrei trovato in fondo al tunnel, - continua con un piacere quasi maligno nella voce, ma forse lo sto solo immaginando.  Ed io so solo che non voglio ascoltare la fine di questa storia. - Ora, in tutta la scuola, chi sono gli unici che avrebbero potuto saperlo?
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Madama Chips mi odia in un modo così totalizzante ora. Lo capisco dal modo in cui continua a rivolgermi occhiate assassine ogni volta che esce dal suo ufficio per prendere qualcosa nell’Infermeria e lo capisco anche dal fatto che a un certo punto me lo ha proprio detto, “Io la odio, signor Potter”. È stato molto poco professionale da parte sua, ma tant’è. Continuava a dire che non era possibile che il taglio avesse ripreso a sanguinare così dal nulla, senza che io avessi fatto niente, e credo che alla fine sia giunta alla silenziosa conclusione che io provi un masochistico piacere a riaprirmi le ferite solo per poter tornare qui da lei, perché ho una malsana cotta nei suoi confronti o qualcosa del genere. Non mi piace questa situazione, non voglio che Madama Chips pensi che io sia innamorato di lei perché poi si aspetterà dei cioccolatini per San Valentino o qualcosa del genere ed io non regalo cioccolata a nessuno, a parte Remus, ma non per San Valentino e solo perché lui è sempre molto saggio e meritevole, tranne quando trama ai miei danni. Pensare a Remus mi ricorda che ho degli amici e che tendenzialmente si avvertono gli amici quando si finisce in infermeria ed io potrei effettivamente farlo, perché ho lo specchietto in tasca, ma una parte di me trova disdicevole confessare di essere finito in infermeria per la terza volta in una giornata. Sirius mi prenderebbe in giro per ore e poi andrebbe ad uccidere Piton senza dire nulla a nessuno, perché è il genere di cosa che Sirius troverebbe sensata. E poi Piton maledirebbe anche Sirius oppure Sirius verrebbe scoperto mentre seppellisce il cadavere di Piton nella Foresta Proibita ed in qualche modo io finirei per saltare la partita contro Tassorosso e allora dovrei riaprire volontariamente la ferita sul mio braccio e dissanguarmi lentamente.
Il punto è, mi sto annoiando.
Evans ha detto che mi avrebbe raggiunto, il che è bizzarro e completamente ridicolo, perché non c’è nessun motivo al mondo per cui Evans dovrebbe venire a trovarmi in infermeria, se non per finire il lavoro iniziato da Piton, ma lei sembrava molto agitata e distratta e di fretta e ha detto che sarebbe venuta, e chi sono io per contraddirla e ricordarle che mi odia? Sono passati più di dieci minuti e una parte di me si sta rassegnando al fatto che lei sia semplicemente tornata in sé e si sia resa conto di non avere alcun motivo per cui venire da me, ma tutte le altre parti di me continuano a lanciare occhiate impazienti all’orologio a muro di fronte a me.
Mi ha srotolato la benda dal braccio con una strana espressione e se n’è fregata abbastanza del fatto che così facendo avrebbe accelerato il mio già di per sé rapido processo di dissanguamento, il che è stato molto coerente e molto poco carino da parte sua, ma poi mi ha effettivamente fasciato il braccio e questo è indubbiamente il segno di un grande amore latente in lei, per me o semplicemente per il non uccidere le altre persone, una delle due.
Forse le chiederò se è innamorata di me quando salirà, perché se lo fosse risolverebbe molti dei miei problemi e sarebbe una fortuita coincidenza, essendo io molto innamorato di lei, dove con innamorato intendo semplicemente che vorrei andare ad Hogsmeade con lei e non, che so, un innamorato alla Frank e Alice, che si sposeranno e avranno tanti bambini. Non voglio fare dei bambini con Evans, non credo che potrebbero uscire dei bambini sani di mente da me e lei e che senso ha fare un bambino se poi quello non è abbastanza sano di mente da imparare a essere il migliore a Quidditch, mh?
È molto irritante che ci sia questa parte di me molto disdicevole che sta pensando di non volere dei bambini da Evans, perché le persone normali non pensano a tutte le persone con cui non vogliono avere figli e questo è solo uno dei miliardi di motivi per cui devo smettere al più presto di avere questa cotta imbarazzante per Evans.
Rifletto per un attimo se sia il caso di premermi forte le dita sulla ferita per riaprirla e punirmi del fatto che sto continuando a pensare a lei anche ora, quando la porta dell’infermeria si apre cigolando e il destino beffardo entra a farsi gioco di me sotto le piacevoli spoglie di Evans.
Subito mi localizza e si dirige verso di me e se non fossi così impegnato a negare a me stesso che sto esultando internamente per il fatto che lei sia davvero venuta a trovarmi, noterei il suo strano sguardo perso.
Si siede nel lettino di fianco al mio e non parla, tenendo gli occhi puntati davanti a sé e suppongo che sia un buon compromesso, il suo corpo è venuto a trovarmi, ma la sua testa no, perché avere entrambi sarebbe stato troppo.
Mi godo il silenzio per qualche secondo, lasciando correre i miei occhi da persona ferita e in fin di vita a cui quindi nessuno può rinfacciare nulla su di lei, dalle gambe fasciate dalle calze a righe della divisa al modo in cui la gonna si appiattisce appena contro il materasso morbido sotto di lei e risucchia le cosce lisce sotto la stoffa a pieghe. Deglutisco silenziosamente, costringendomi a sollevare lo sguardo al viso circondato dai lunghi capelli appena un po’ arruffati e a malincuore infrango il silenzio, incerto, perché c’è qualcosa di molto bizzarro in tutto ciò e non ho ancora deciso se sia un qualcosa di positivo o negativo. 
- Evans?
- Avete cercato di ucciderlo?
Ha un tono vagamente assente ed io non ho idea di cosa stia parlando, ma a questo punto direi che negativo era la risposta esatta.
- Cosa?
- L’anno scorso, - continua sempre con quello sguardo vuoto fisso di fronte a sé, in un punto piuttosto lontano dai miei occhi, ed io preferirei che non lo facesse. - Tutta la scuola ha parlato di come tu avessi salvato Severus durante una notte di luna piena. Ho sempre pensato che avesse seguito Lupin per scoprire dove andasse, che si fosse messo in quel casino da solo e tu l’avessi salvato, - E finalmente sposta lo sguardo su di me, incrociando i miei occhi ed assottigliando i suoi, un inorridito lampo di comprensione ad accenderle la voce. - Ma non è così, glielo avete detto voi come arrivarci.
E all’improvviso capisco la fretta di Evans qualche minuto fa e non è più un mistero come facesse a conoscere la maledizione che mi ha colpito.
La ferita sul mio braccio manda un’acuta fitta di dolore facendomi stringere le dita sul lenzuolo ed io odio Severus Piton così tanto.
E non è come se quella notte non ci avesse già inferto ferite peggiori di questa, non è come se la cicatrice tra noi Malandrini non avesse impiegato mesi a smettere di bruciare, ma la verità è che Piton non si stancherà mai di tornare a stuzzicarne i bordi fino a farla riaprire, né ora né mai e tutto perché sono stato io a tirare lui e il suo stupido naso fuori da quel tunnel appena in tempo e questo gli è insopportabile ancora più di quanto lo sia per me.
- Sì, Evans, - Inizio e non mi stupisco di come la mia voce suoni all’improvviso seccata e ostile, perché è così evidente, anche se ogni tanto rischio di scordarmelo, che non c’è nulla che io possa fare, né ora né mai, e nonostante tutto lei continuerà a credere a Piton e non a me, fino alla fine. Non importa come l’ha chiamata e se lui non aspetta altro che uscire di qui per unirsi alle fila dei Mangiamorte, agli occhi di lei continuerò sempre ad essere io il peggiore tra i due e mi fa impazzire. - Ci annoiavamo e abbiamo pensato di rivelare il segreto di Remus a Piton, hai proprio capito tutto, - Si raddrizza sul lettino ed è spiazzata dall’improvvisa aggressività nel mio tono, ma io continuo a guardarla dritto negli occhi, beffardo. - Voglio dire, è stato così vantaggioso per noi, non è come se Piton ce lo rinfacciasse continuamente e Remus dovesse vivere col terrore che un giorno il tuo amico lo dica a tutta la scuola.
Il silenzio aleggia nell’infermeria per diversi secondi e lei non mi corregge, anche se l’ho appena definito suo amico.
- Infatti, - sbotta dopo un po’ con una mezza risata, portando le mani in alto con un gesto impaziente. - Non vedo perché avreste fatto una cosa del genere, non ha senso, ma non ha senso nemmeno che non l’abbiate fatta,  perché Severus ha ragione e qualcuno deve averglielo detto. E chi se non voi? I professori? Silente?
E il fatto è, non mi sta urlando contro e sta cercando di essere ragionevole, più di altre volte, ma non riesco comunque ad ascoltarla sul serio, perché alla sua voce si sovrappone il sibilo sprezzante che Piton mi ha rivolto poche ore fa ed è vero, Piton ha ragione e per quanto lui non faccia più parte della sua vita non ne farò mai parte neanch’io e le mie colpe saranno sempre più gravi delle sue, in un modo o nell’altro.
E allora mi sento ridere, anche se sono sicuro che Madama Chips stia per uscire dal suo ufficio a lamentarsi del troppo rumore.
- Sai cosa, Evans, credi quello che vuoi, non m’importa, - La punta di amarezza nella mia voce è coperta dall’indifferenza e i colpi silenziosi che l’invisibile Remus che vive nella mia testa sta scagliando contro le pareti del mio cervello non mi scalfiscono minimamente, perché voglio solo che lei  se ne vada, perché non sopporto quelle sue ciocche rosse che le sfiorano la fronte e mi ipnotizzano anche ora, e perché la odio per il modo così diverso e peggiore in cui lei odia me. – Visto che ti ha portato così bene, continua a fidarti di Piton, come hai sempre fatto.
*
Non so come mi immaginassi che sarebbe finita questa conversazione e sono effettivamente consapevole che avete cercate di ucciderlo non è il modo più pacifico di iniziarne una, ma c’è tuttavia qualcosa che mi sfugge nell’aggressività improvvisa di Potter e in quella vena di sincera irritazione ben percepibile oltre il suo tono beffardo.
- No, non sto credendo a lui, ok? Sono qui. Te lo sto chiedendo, - replico subito, perché anche se non è qualcosa da tutti i giorni ottenere una reazione irata da Potter, qualcosa di vero oltre le battutine sornione e la barriera di superiorità, come se in fondo esistesse effettivamente qualcosa in grado di toccarlo, non è per questo che sono qui ora. Il silenzio regna tra noi per qualche secondo ed io mi mordo le labbra, trattenendo un sospiro. - Come ha fatto?
L’irritazione sembra essersene andata così com’è arrivata, in un lampo improvviso, ed ora non ce n’è più traccia negli occhi nocciola di Potter, mentre mi osserva a lungo con un’espressione indecifrabile, ma più calma. È solo dopo diversi secondi che sembra recepire anche la mia domanda e subito distoglie gli occhi dai miei, iniziando a guardarsi intorno a disagio. Non so quanto tempo passa nel silenzio dell’infermeria vuota, con io che lo fisso in attesa e lui che evita ostinatamente il mio sguardo, le dita di una mano perse a stringersi tra le ciocche nere e indomabili e le labbra strette l’una contro l’altra, l’aria di chi sta cercando di uscire da un forte contrasto interiore.
Poi la sua voce spezza il silenzio e subito ha la mia attenzione più totale.
- Non lo sapevo, - sospira e c’è un che di rassegnato nel suo tono, ma anche di riluttante. - Nessuno di noi lo sapeva e certamente non Remus. Ce lo ha detto la sera stessa cosa aveva fatto, come se fosse una specie di scherzo. Ho corso, ma non sono arrivato in tempo: quando l’ho raggiunto lo aveva già visto.
Potter tiene lo sguardo fisso davanti a sé, ai piedi del letto, e non c’è bisogno che lui dica il nome, perché se è stato solo uno di loro, io lo so già. Perché l’unico pettegolezzo in grado di soppiantare quello di come James Potter avesse salvato la vita a Severus Piton l’anno scorso è stato quello del misterioso litigio tra i Malandrini, che ha visto uno di loro isolato dagli altri per quasi un mese, senza che nessuno ne capisse il motivo.
-  Black, - sussurro lentamente e Potter non mi guarda.
Ed improvvisamente tutto ha senso, perché mezza scuola ha passato un mese intero a interrogarsi su cosa avesse diviso i Malandrini dopo cinque anni, su cosa mai potesse aver combinato Black di così imperdonabile da farsi voltare le spalle persino da Potter, l’amico inseparabile che stravedeva per lui, mentre ora è la domanda opposta che mi annebbia la mente. 
- Come hai fatto a perdonarlo? – mi sento chiedere, senza fiato.  - Come ha fatto Lupin?
E una parte di me ancora si aspetta che Potter smentisca tutto e dia la colpa a Severus, perché mi riesce difficile credere che già a sedici anni si possa essere così sopraffatti dall’odio al punto da uccidere, perché non dovrebbe essere così, non mentre siamo ancora a scuola, non come se fossimo già le fazioni opposte di una guerra che aspetta solo di travolgerci tutti una volta usciti di qui. Ma ce l’ha scritto in faccia Potter, negli occhi che sfuggono ai miei e cercano una risposta che non c’è negli altri lettini vuoti dell’infermeria, ed è esattamente così che è andata, Black avrebbe potuto uccidere Severus l’anno scorso, proprio come Severus avrebbe potuto uccidere Potter oggi, e noi in mezzo alla guerra ci siamo già, perché è nata e cresciuta con noi ed anche ora ogni mossa, gesto o parola non fanno che portarci più vicini ad essa.
- Non, non voleva ucciderlo davvero. Non stava pensando, - Potter tentenna appena, per poi proseguire spedito e con una strana intonazione vuota, come se fosse qualcosa che ha recitato tante volte e a cui ancora non crede fino in fondo. - Sirius a volte non pensa. Silente l’ha capito.
E risento le parole di Severus e l’odio annientante nella sua voce, il modo in cui si è autoconvinto che siano stati tutti e quattro, contro ogni logica, che anche Lupin fosse d’accordo, e rivedo la scritta sprezzante sul muro della loro camera, quell’ibrido che lui ha potuto tracciare solo grazie a Black, perché Black li ha traditi come Severus ha tradito me. E non riesco a capire come a loro sia bastato un mese quando a me e lui non basterà una vita.
Il mio sguardo deve lasciar trapelare la mia domanda implicita, perché Potter sospira, prima di inclinare la testa, l’aria di chi vuole cambiare argomento.
- Non c’è nessuno a cui perdoneresti tutto, Evans?
No, penso, ma le mie labbra restano immobili e per qualche motivo una parte di me pensa a Petunia, a tutto quello che mi ha fatto e al modo in cui ancora continuo a sperarci. Ed è facile non perdonarla quando è lei la prima a non perdonare me per qualcosa su cui non ho il controllo, ma è mia sorella e se solo se lo ricordasse prima o poi, se mi dimostrasse che non sono solo una macchia fuoriposto nel quadro perfetto della sua vita...Ma il fatto è, non accadrà.
- Devo andare, è ora di cena, - Stabilisco all’improvviso, alzandomi dal lettino e sforzandomi di avere l’aria di una persona estremamente rilassata e casuale, in modo da non dare l’impressione di stare fuggendo. Com’è che siamo arrivati a questo punto? Il suo migliore amico ha praticamente pianificato e messo in atto un tentato omicidio e lui fa domande a me? Dannato Potter. Faccio qualche passo appena verso l’uscita, prima di bloccarmi e lanciare un’occhiata incerta al suo avambraccio fasciato. - Supererai la notte, sì?
Potter mi fissa attonito per qualche altro secondo, prima di sorridere vago.
- Pare di sì, Evans. Ma puoi restare a controllare tu stessa, se vuoi. Tenermi la mano, scongiurarmi di non morire perché sono la tua vita e tutte quelle cose.
E nella mia mente si forma davvero l’immagine di me che resto al capezzale di Potter tutta la notte, aspettando pazientemente il momento propizio per imbavagliarlo e premergli forte il cuscino sul naso.
- Credo che ne farò a meno, Potter, grazie, ma puoi sempre stringerti la mano da solo e ripeterti quanto ti ami, sono sicura che Madama Chips non avrà nulla da obiettare, - Ho già le dita strette sulla maniglia, quando mi ricordo un dettaglio non trascurabile. - E nel mentre, potresti assicurare ai tuoi amici che è solo una coincidenza il tuo essere finito in infermeria subito dopo la nostra lezione priva di testimoni? Non vorrei dovermi guardare le spalle per il resto dell’anno.
- Ci penso io, Evans, tranquilla. Sono sempre felice di guardarti le spalle, lo sai.
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James è evaso dall’infermeria per la seconda volta in un giorno.
Questo è così irresponsabile da parte sua.
Vorrei non essere il tipo di persona che alle undici di sera, la testa già sul cuscino e le coperte tirate su fino al mento, resta sveglio ad arrovellarsi sull’irresponsabilità dei propri amici, ma tant’è. Per amor di cronaca, non è solo questo a tenermi sveglio: da dietro le tende socchiuse del baldacchino accanto al mio proviene una luce fioca e la curiosità mi sta uccidendo. James non è il tipo da leggere a letto, o fare qualunque altra cosa a letto a parte dormire, che quando è cosciente non è in grado di starsene fermo  e seduto da qualche parte per più di due minuti. Il punto è, non importa se la cosa più discreta e rispettosa da fare sarebbe chiudere gli occhi ed ignorare la faccenda senza ficcanasare, perché quando uno dei miei amici si comporta in modo insolito anche il resto della scuola si comporta in modo insolito poi, che sia perché ci sono rane nelle loro mutande o perché diverse parti del loro corpo sono state trasfigurate in pezzi d’arredamento. 
Rabbrividisco appena nel posare i piedi caldi di letto sul pavimento di pietra, le mani alte davanti al viso a farmi da scudo nella penombra. Come la porta del bagno si chiude alle mie spalle, conto lentamente fino a cinque e poi tossisco.
Una volta, due volte.
Conto di nuovo fino a cinque e poi il terzo colpo di tosse.
Non sento i passi, ma dopo pochi secondi la porta si apre e poi richiude silenziosamente e Sirius mi è di fronte, i capelli arruffati e tutti appiattiti su un lato della fronte, ma gli occhi perfettamente svegli.
- Che sta facendo? – sussurro subito.
- Non lo so, - Sirius aggrotta la fronte, prima di accostarsi alla porta chiusa. Un colpo di tosse, poi due. Questa volta sentiamo un lieve rumore dall’altra parte prima ancora del terzo colpo e Sirius abbassa lentamente la maniglia, lasciando entrare un topo grigiastro dagli occhietti neri. Non appena Sirius richiude silenziosamente la porta, Peter si ritrasforma, impaziente.
- Ha un libro di Pozioni, - sussurra. – Lo sta leggendo.
L’espressione più che perplessa di Peter si rispecchia immediatamente nelle nostre e nella stanza cala il silenzio, mentre ci guardiamo sconcertati.
Poi qualcuno bussa alla porta e Sirius apre.
- Siete in tre in bagno, - annuncia James. - Spiegatemi come questo non dovrebbe insospettirmi.
È una fortuna che Sirius sia davanti a me di almeno due passi, perché questo pone nelle sue mani l’onere di replicare. Lo vedo sostenere lo sguardo di James per diversi secondi, labbra e occhi socchiusi nell’atto di spremersi le meningi e forse ad un certo punto dirà qualcosa di intelligente.
Poi le sue mani si stringono sulle spalle di James e con una mossa veloce lo costringe a scambiarsi di posto con lui.
- Voi siete in tre in bagno, - annuncia soddisfatto, dalla sua nuova postazione fuori dalla stanza. - Pervertiti.
Poi chiude la porta e poco dopo il suo letto cigola come se qualcosa di pesante ci fosse appena atterrato sopra.
James mi guarda interdetto ed io guardo interdetto i suoi capelli, poi un rumore simile allo scorrere di un ruscello attira la nostra attenzione.
Ci voltiamo entrambi e Peter alza le spalle.
- Mi scappava.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
...sorpresa!
Solo per oggi al supermercato di CAS offerta speciale: prendi due, paghi uno.
Se non siete morti di vecchiaia mentre cercavate di arrivare alla fine del 27, potete spararvi in vena anche il 28 – mi sembrava cattivo aggiornare a parte con un capitolo interamente flashback. 
Avvertenze per l’uso: il capitolo 28, oltre ad essere atipico per il suo essere ambientato totalmente nel passato (alla fine sono riuscita comunque a tornare a PRIMA che James realizzasse di essere in una Jily, visto?), è atipico anche in quanto unico capitolo della storia a non avere i POV e la prima persona, altro motivo per cui merita di essere bullizzato e non avere un aggiornamento tutto suo.
 
 

 
CAPITOLO 28.

 
«Non lo sapevo. Nessuno di noi lo sapeva e certamente non Remus. Ce lo ha detto la sera stessa cosa aveva fatto, come se fosse una specie di scherzo. Ho corso, ma non sono arrivato in tempo: quando l’ho raggiunto lo aveva già visto.»
Non c’è bisogno che lui dica il nome, perché se è stato solo uno di loro, io lo so già. Perché l’unico pettegolezzo in grado di soppiantare quello di come James Potter avesse salvato la vita a Severus Piton l’anno scorso è stato quello del misterioso litigio tra i Malandrini, che ha visto uno di loro isolato dagli altri per quasi  tre mesi, senza che nessuno ne capisse il motivo.
«Black»  dico lentamente e Potter non mi guarda.
[Capitolo 27]
 

 

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Hogwarts, Novembre 1975 – Quinto Anno.
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Quando James Potter apre gli occhi, quella mattina, ha la sensazione che sarà un’ottima giornata e che tutto andrà per il verso giusto, dalla partita di Quidditch contro Tassorosso alla luna piena.
Ormai lui e gli altri hanno imparato a controllare le loro trasformazioni alla perfezione e ad ogni plenilunio le loro interazioni col lupo sono sempre più pacifiche, come se lui avesse iniziato a ricordarsi inconsciamente di loro e di volta in volta è necessario sempre meno tempo per guadagnarsi la sua fiducia e calmarlo. Essere in grado di tenere a bada un licantropo trasformato fa camminare lui e Sirius con il mento un po’ più in alto del normale e persino Peter passa di fronte ai Serpeverde sghignazzanti con una certa spavalderia. La loro eccitazione è contagiosa e Remus è sul punto di cedere: forse proprio quella sera accetterà per la prima volta di lasciare il branco libero di correre per il parco di Hogwarts e magari anche per la foresta proibita, invece di stare rinchiusi tutta la notte tra quelle quattro pareti di legno buie e polverose. James riesce già a sentire l’erba fresca del parco sotto gli zoccoli e la luna alta sopra di lui: vincerà la partita e festeggerà correndo con i Malandrini sotto la luna piena e scoprendo nuovi passaggi da tracciare sulla mappa e chissà, forse Evans sceglierà proprio quel giorno per cedere al suo fascino. James Potter quella mattina ha davvero un ottimo presentimento e si alza dal letto con un sorriso entusiasta, impaziente di iniziare la giornata.
Per il resto della sua permanenza ad Hogwarts, James Potter eviterà accuratamente di dare il benché minimo ascolto alle sue sensazioni mattutine. 
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Infermeria.
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Madama Chips è stupita di vederlo lì così presto, quando solitamente Remus non si presenta alla sua porta se non prima di pomeriggio inoltrato. Nota il suo colorito pallido e le mani scosse dai tremiti e lo fa stendere immediatamente sul lettino più isolato, in un angolo dell’ampia stanza comunque vuota: Remus si chiede distrattamente se l’infermiera cacci appositamente gli studenti indisposti durante ogni luna piena, poi un’altra fitta potente gli attraversa le tempie e lui smette di pensare a qualunque cosa. Un panno umido gli viene premuto sulla fronte e le goccioline fredde che gli scivolano ai lati del viso bollente si mischiano a quelle del suo stesso sudore. Sbatte ripetutamente gli occhi nel tentativo di snebbiarsi la vista e scorge di sfuggita le espressioni atterrite di James e Peter, fermi in piedi ai lati del letto: non è la prima volta che gli capita di iniziare a soffrire già di prima mattina, ma per i suoi amici è come se lo fosse sempre, una secchiata gelida che li angoscia puntualmente. James indossa già la divisa da Quidditch e la sua scopa è abbandonata sul lettino accanto a quello di Remus, perché la partita inizierà a minuti e Grifondoro rischia di cominciarla senza il neo-Capitano. Ci mette un po’ Remus a convincerlo ad andarsene, che starà bene, e l’operazione è resa più difficile dal suo respiro affannoso e pesante che non sembra collaborare, poi Madama Chips torna con la pozione Sonnifera ed è lei stessa a cacciare i suoi amici, “che il suo paziente ha bisogno di riposo e non di smancerie”.
- In bocca al lupo, - mormora Remus dolorante, il sapore amarognolo della pozione in fondo alla gola e un mezzo sorriso a incurvargli le labbra. La sua voce è poco più di un sussurro, ma James, già alla porta, sente comunque e prima di perdere i sensi Remus vede il suo sorriso divertito, accompagnato dallo sbuffo esasperato di Madama Chips.
Poi le sue palpebre si abbassano e James ha la delicatezza di lasciare l’infermeria senza rispondere ciò che si risponde usualmente.
- Crepi!
A sua difesa, Peter è parecchio agitato per Remus, per la partita e per Sirius che è sparito da troppo tempo, di nuovo in uno dei suoi momenti, e Peter non rende bene sotto pressione.
- Ma quanto sei zuccone, Wormtail?
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Campo da Quidditch.
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Quando James entra correndo negli spogliatoi, la scopa sulla spalla e il fiatone, riesce fisicamente a sentire la tensione che si allenta di colpo e la luce in fondo al tunnel che riporta immediatamente alla vita i suoi compagni di squadra. Alexis, la nuova battitrice, lo colpisce non troppo piano sulla spalla con la sua mazza, perché “Non provarci mai più, Capitano”, mentre Mike continua a cercare di strizzargli le palle in uno strano rituale scaramantico e tutti gli altri continuano a dargli del dannato coglione ritardatario. Questo non è il rispetto che James si aspetta dalla sua squadra, per l’appunto, ma non si ribella agli spintoni e alle arruffate di capelli che gli arrivano da ogni parte mentre cerca di estrarre lo specchietto per contattare Sirius. È sparito poco prima che Remus iniziasse a stare male sul serio, quando un gufo reale gli ha lasciato cadere tra le mani una lettera, subito dopo pranzo; James non ha nemmeno dovuto guardare il sigillo con lo stemma dei Black sulla pergamena per capire chi fosse il mittente: è come se persino i gufi di casa Black osservassero Sirius dall’alto, lanciandogli le lettere con sprezzante superiorità. Non è qualcosa che ti aspetteresti da un gufo, ma dalle poche mezze frasi che James riesce a cavare di tanto in tanto dai denti serrati di Sirius, si aspetta di tutto dai Black. James conosce la prassi, sa che il suo migliore amico getta direttamente le lettere nel camino o le va ad aprire da qualche parte da solo, mai davanti a loro, ma Sirius è via da un po’ ormai e James sa anche quanto quelle lettere lo rendano intrattabile e attaccabrighe. È per quello che vorrebbe contattarlo prima della partita, giusto per assicurarsi che stia bene e che non si stia cacciando nei guai da solo, ma non c’è tempo e la squadra di Grifondoro viene chiamata sul campo prima che James possa estrarre lo specchietto dalla tasca e una volta in mezzo allo stadio, il vento che gli scompiglia i capelli e le urla del pubblico nelle orecchie, riesce a scorgere solo Peter nelle tribune di Grifondoro.
Quando il fischio di inizio partita gli risuona nelle orecchie, James è meno concentrato di quanto dovrebbe e non è per niente contento del fatto che dei suoi tre amici uno sia steso su un letto d’infermeria e un altro disperso chissà dove. E poi è ancora meno contento quando a nemmeno metà partita il battitore di Tassorosso commette il più palese e scorretto nella storia dei falli, rischiando di ammazzargli il Portiere. Madama Chips ci mette qualche minuto ad arrivare e James sa perfettamente perché e quando lei insiste per scortare Mike in infermeria James sa anche che le proteste della squadra e di Mike stesso sono inutili, che con Remus in infermeria Madama Chips non cercherebbe mai di procurarsi un nuovo paziente se non lo ritenesse strettamente necessario. Mary MacDonald, che cerca di entrare in squadra proprio ogni singolo anno  facendo indistintamente il provino per ogni ruolo, si sbraccia entusiasta nella direzione di James, ma è Austin Tatterfield, la riserva del quarto anno, a prendere il posto di Mike come Portiere. Il punto è, James è Capitano solo da un anno e sebbene abbia diretto i provini per i ruoli da titolare a Settembre, non si è preoccupato di cambiare o testare le riserve scelte negli anni passati dallo scorso Capitano.
James prova un’infinita stima per Dorcas Meadow, che lo ha accolto in squadra già al terzo anno e gli ha insegnato un sacco di cose prima di lasciare la scuola, giunta alla fine della sua carriera ad Hogwarts. James sospetta in realtà di avere anche avuto una cotta per lei ad un certo punto, in particolare quando prima di andarsene lei gli ha ceduto la sua spilla nominandolo Capitano e James avrebbe potuto sposarla seduta stante o quando Dorcas ha segnato un punto tirando dall’altra parte del campo e James è quasi svenuto per l’adorazione. C’è una parte di lui che è persino vagamente conscia di aver avuto la sua prima erezione consapevole vedendola chinata a lucidare la sua scopa dopo l’allenamento, nella divisa sudata e stretta sui fianchi, ma non è questo il punto. Il punto è, James si chiede spesso cosa farebbe Dorcas al suo posto quando ha un dubbio su come gestire la squadra, perché lei è stata assolutamente il miglior Capitano di sempre e James le deve così tanto, solo che vedendo Austin Tatterfield subire un goal dopo l’altro, James non può fare a meno di chiedersi come la stessa persona che gli ha insegnato come effettuare una perfetta finta Wronsky abbia potuto scegliere quella chiavica come riserva della squadra. I 10 punti che Daniel porta a casa segnando il rigore concesso da Madama Bumb per il fallo contro Mike non possono nulla contro tutti i punti che la mancanza di un vero Portiere sta regalando a Tassorosso e ben presto James capisce che ora è tutto nelle sue mani, che deve mettere fine alla partita il più presto possibile, nell’esatto momento in cui i suoi compagni riescano a recuperare quel tanto necessario ad assicurargli la vittoria una volta preso il boccino.
È passata mezz’ora e James avrebbe potuto acchiappare il boccino in almeno cinque occasioni diverse, ma Grifondoro continua ad incassare e il suo punteggio sale molto più lentamente di quello di Tassorosso: i suoi Cacciatori continuano a dare il massimo nel tentativo di segnare, ma per ogni goal messo a segno da Grifondoro subito Austin ne incassa altri due e il distacco di punteggio invece di diminuire non fa che aumentare. Frank e Alexis, subito dopo aver impedito per l’ennesima volta alla Cercatrice di Tassorosso di afferrare il boccino grazie a una scarica di bolidi ben piazzata, lanciano un’occhiata disperata a James, che si ritrova a dover prendere la sua prima decisione veramente difficile da quando è Capitano: continuare a impedire alla Cercatrice avversaria di prendere il boccino e tirare la partita per le lunghe nell’improbabile ma non impossibile speranza di recuperare il distacco e vincere, col rischio però di rendere solamente il divario nel punteggio tale da essere sbattuti definitivamente fuori dalla competizione per la Coppa, oppure farla finita subito afferrando il boccino e i suoi 150 punti, perdendo sì la partita ma con una differenza di punteggio tale da restare comunque in gara per la Coppa di fine anno.
Pochi minuti dopo il boccino d’oro sbatte frenetico le ali tra le sue dita e Grifondoro perde 190 a 260.
La squadra comprende la scelta di James e dopo una decina di minuti decidono persino di far uscire Austin da sotto il getto gelido della doccia, rinvigoriti dalla prospettiva di passare il resto dell’anno ad allenarsi come non mai per riuscire comunque a ottenere la Coppa, vincendo in maniera netta sia contro Serpeverde che Corvonero. Austin, per l’appunto, confessa di non aver lanciato nessun Confundus a Dorcas per farsi scegliere come riserva, gli è bastato far presentare al provino Michael, il suo gemello Serpeverde. A quel punto James gli affattura la lingua, ma è abbastanza felice di poter tornare a considerare Dorcas Meadow l’essere più perfetto sulla faccia della terra e di poter dare la colpa di tutto a un Serpeverde.
Allenamenti extra è la parola chiave e per il resto dell’anno nessuno in squadra si lamenterà una singola volta, nemmeno Sam, che ha sempre visto di malocchio gli allenamenti extra e in generale gli allenamenti stessi. La vittoria schiacciante contro Serpeverde li ripagherà di ogni fatica, rimettendoli ufficialmente in gara per la coppa, e a fine anno, prima dell’ultimo incontro, Grifondoro sentirà di avere già la vittoria in pugno e a ben ragione: la squadra di Corvonero sarà quasi già rassegnata a perdere, avendo mandato spesso dei primini a spiare gli allenamenti continui e instancabili di Grifondoro, e James, di nuovo, si sentirà particolarmente positivo riguardo alla partita.
Il piano sarà fondamentalmente prendere il boccino il prima possibile, in modo da vincere con un distacco di quasi 150 punti e poi correre in giro per la scuola con la coppa tra le braccia, più o meno vestiti. Sembrerà a tutti un ottimo piano, fino a quando James non appenderà Severus Piton a testa in giù togliendogli le mutande di fronte a mezza scuola subito dopo i G.U.F.O. di Difesa, a pochi giorni dalla partita, e una McGranitt rossa di rabbia costringerà la squadra di Grifondoro a elaborare un nuovo piano in quattro e quattr’otto, sbattendone il Cercatore e Capitano ad assistere alla partita dagli spalti. 
Grifondoro perderà, le espressioni dei suoi compagni di Casa gli insegneranno cos’è il senso di colpa e James Potter giurerà per la seconda volta a se stesso che non si fiderà delle sue sensazioni positive mai più.
Ma quel giorno James non lo sa ancora e quando Sirius fa quello che fa, lui sarà ancora negli spogliatoi a motivare la squadra dopo la sconfitta. Non sa ancora che perderanno tutti la coppa per colpa sua e del suo odio per Piton, proprio come non sa che quella sarà la notte più lunga della sua vita.
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Guferia.
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Sirius non sa di stare per combinare un disastro.
Non lo sa mai, Sirius, quando è sul punto di rovinare tutto: non c’è una voce nella sua testa, l’attimo prima che lui faccia o dica qualcosa che stravolgerà tutto, che glielo anticipi, che gli dica ‘Ecco, stai per mandare tutto a puttane’. E forse è proprio questo il problema, che in quei momenti non c’è nessuna voce nella testa di Sirius, nemmeno quella dei suoi stessi pensieri, perché qualcosa si annebbia in lui ogni tanto e le parole escono dalle labbra senza prima passargli per il cervello, le fatture sprizzano dalla bacchetta senza che lui debba nemmeno pensarci. È quello che gli è successo sul treno per Hogwarts, al primo anno, quando si è sentito dire “Forse io andrò contro la tradizione”, pur sapendo perfettamente che nessun Black spezza la linea di sangue, che Serpeverde è ciò che gli scorre nelle vene e che tutti si aspettano da lui. È quello che gli è successo quando quel cappello sfilacciato gli ha chiesto il permesso di gettarlo nella fossa dei leoni, letteralmente, e invece di rispondergli che no grazie, a Grifondoro ci può mandare qualcun altro senza aizzarmi la mia intera famiglia contro, gliel’ha lasciata gridare a tutta la Sala quella parola, senza opporsi, e l’attimo dopo si stava dirigendo verso il tavolo sbagliato tra lo stupore generale, già un po’ orfano. È quello che gli succede ogni volta che i suoi genitori gli rivolgono la parola e qualcosa nella sua testa si spegne e lui si ritrova a ribattere e dire sempre, ogni singola volta, la cosa sbagliata, quella che sa li farà infuriare ancora di più ed è solo col sapore amaro del sangue in bocca che si ricorda che le estati a casa Black sono già abbastanza infernali senza bisogno di offrire ai suoi su un piatto d’argento altri pretesti per puntargli contro la bacchetta, altri pretesti oltre alla sua sconveniente esistenza.
È quello che gli succede  per la maggior parte del tempo, gli impulsi che si tramutano automaticamente in azioni, senza che la riflessione abbia una qualche parte in questo, ed è il motivo per cui le persone si arrabbiano con Sirius più che con chiunque altro e le cose attorno a lui tendono ad esplodere con una così alta frequenza. Di tutte le volte che il suo cervello si è spento e la sua bocca ha agito per lui, Sirius non ne ha mai rimpianta neppure una, che è quasi affascinante il modo in cui una singola parola o gesto piazzato al momento giusto possa minare gli equilibri di ogni situazione e far crollare il terreno attorno a lui. Sirius sa di essere un po’ troppo impulsivo anche per un quindicenne Grifondoro e non se n’è mai pentito fino a quella volta, perché quella volta quello che Sirius fa inavvertitamente franare non è la terra attorno a lui, ma quella sotto le sue scarpe, l’unica cosa in grado di tenerlo in piedi in mezzo a tutto. Non sta pensando a loro quando le sue labbra si schiudono e sputano su Piton, insieme all’odio e al veleno, quell’informazione che l’altro accoglie come un dono, incredulo, e che più tardi si trasformerà nel tradimento negli occhi dei suoi amici. Ma non sta pensando ai Malandrini Sirius, ha tra le mani la lettera piena dell’odio sottile ed elegante di sua madre, tracciato in inchiostro nero ancora fresco, e lo sente filtrare attraverso la pergamena e fin sotto la sua pelle, mentre la voce sprezzante di Piton gli riempie le orecchie. Sta di nuovo ficcanasando nei loro affari, perché non fa altro ultimamente, se ne sta lì a sproloquiare su come un giorno scoprirà dove se ne vanno ogni mese e li farà espellere tutti e Sirius semplicemente non è Remus, che si limita a stringere appena le labbra e si sforza di ignorarlo, non è Peter, che finge di non sentire ed aumenta il passo verso la Sala Comune di Grifondoro,  e non è nemmeno James, che alterna risposte beffarde a trasfigurazioni mirate del suo naso per cui finisce puntualmente in punizione. Non è nessuno di loro Sirius, Piton lo ha beccato in un pessimo momento e quello che gli scorre nelle vene è un odio così al di là di una fattura o un pugno ben piazzato che quello che succede dopo è inevitabile.
- Ripeti sempre che scoprirai dove spariamo ogni mese, Mocciosus, ma continui a darci buca. Che c’è, te la fai sotto al pensiero di premere il nodo sulle radici del Platano e vederlo coi tuoi occhi?
Tutti, dai suoi amici a Silente, cercheranno di tirargli fuori la verità, quello che davvero gli è passato per la testa in quel momento. James cercherà disperatamente una spiegazione e alla fine, solo alla fine, arriverà alla conclusione che Sirius non stava pensando, che non aveva previsto le conseguenze, che non lo voleva uccidere davvero.
Sirius non contraddice James, perché è vero che non stava pensando.
Ma poi non è come se ci fosse bisogno di pensare per volere qualcuno morto, e Sirius sa anche questo.

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Non è come se non fosse già una pessima giornata per James, con la sconfitta contro Tassorosso ancora bruciante e la delusione nascosta in modo pessimo negli sguardi dei suoi compagni di Casa. È ok, suppone, è semplicemente il prezzo da pagare per essere il Capitano: quando la squadra vince è lui quello che si becca più complimenti e pacche sulle spalle di tutti, indipendentemente dal suo contributo nella partita, ed ora che ha perso è su di lui che si concentrano le occhiate sconfortate dei Grifondoro non appena mette piede in una stanza qualsiasi. È logico e in qualche modo persino giusto, ma James continua a trovare spiacevole avere su di sé così tanti occhi quando non sono colmi d’ammirazione. È quando gli sembra di scorgere per una frazione di secondo qualcosa di molto simile al dispiacere in uno sguardo verde puntato su di lui che James decide di odiare Hogwarts e la sua vita in generale. La sua idea era quella di trovare Sirius, ma in Infermeria non c’è nessun Serpeverde e nessuno in Sala Grande sta sussurrando di ale del castello esplose o allagate, quindi dopotutto Sirius non deve aver combinato nulla di potenzialmente preoccupante. La Stanza delle Necessità quel pomeriggio non è altro che una riproduzione fedele del parco di Hogwarts, ma priva degli studenti e dei loro sguardi insistenti, e James nuota fino a sera nelle acque limpide del Lago che la Stanza ha reso tiepide per lui. Lo sa che dovrebbe avvisare i suoi amici, che saltare la cena senza avvisare non è da lui e soprattutto non il giorno della luna piena, ma sa anche che i suoi amici non dubiteranno neppure per un attimo del fatto che alle dieci in punto sarà con loro sotto il mantello, già sulla strada per la Stamberga. Quando, con i capelli ancora umidi, torna in Sala Comune, si stupisce di non trovarvi già entrambi i suoi amici, ma solo Peter con il mantello sul grembo e un’aria impaziente. È stupito, ma non preoccupato, perché è Sirius, è un Malandrino e non importa quanto quel giorno sia di pessimo umore, arriverà a momenti. Solo che i momenti passano, Sirius non arriva e James e Peter decidono di salire in camera a prendere lo specchietto. Di tutti gli eventi a cui un Malandrino può presentarsi in ritardo, il plenilunio è l’ultimo anche solo considerabile e James è appena un po’ scocciato quando chiama il nome del suo migliore amico, tenendo alto lo specchietto di fronte a sé.
Il vetro sottile resta silenzioso e la risposta gli arriva dalla porta alle sue spalle.
James è abbastanza sicuro di aver avuto una brutta giornata fino a quel momento, ma non sa che l’ingresso di Sirius nella loro stanza porterà ad un livello tutto nuovo la sua concezione di brutta giornata.

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Sirius non capisce perché James e Peter lo guardino così ora.
C’è qualcosa nei loro occhi che gli ricorda spiacevolmente il modo in cui lo ha guardato Regulus al suo ritorno a casa, al primo anno, con quel cravattino rosso e oro appeso al collo. Lo stesso sguardo incredulo e tradito di suo fratello e a Sirius davvero non piace.
- Stai scherzando. 
Quando Sirius è entrato, James è parso sollevato e ha afferrato il mantello, intimandogli di sbrigarsi e lamentandosi del ritardo. Sirius si è sentito commentare un distratto ‘Non preoccuparti, Prongs, questa notte Moony avrà comunque compagnia’ ed è allora che i suoi amici hanno iniziato a guardarlo in modo strano. Perplesso dapprima e all’erta poi, quando James si è deciso a chiedere chiarimenti, la voce alta e tesa e l’aria di chi non sa bene cosa stia succedendo. Nemmeno Sirius lo sa bene, se non che dopo la sua risposta, dopo che l’ha detto e basta, il tempo si è come fermato. Peter è impallidito ed ora continua a fissare Sirius come se non lo riconoscesse, incapace di parlare, mentre James è immobile, ogni muscolo del corpo teso come prima di uno scatto.
- Sirius, - dice e c’è qualcosa di supplicante nella sua voce. – Stai scherzando. Dimmi che stai scherzando.
Sirius non si è ancora pentito di quello che ha fatto. Arriverà il momento, quando la parola traditore gli verrà rivolta contro ancora una volta, stuzzicando ferite ancora aperte, quando l’espressione di Remus gli sbatterà in faccia in tutta la sua chiarezza la verità di quella notte, in cui realizzerà quello che ha fatto davvero, non a Piton, ma ai Malandrini, e se ne pentirà come di nient’altro in vita sua, ma non è adesso. Ora Sirius riesce ancora a sentire la soddisfazione feroce e vibrante che lo anima al pensiero di Severus Piton che pensando di camminare trionfante verso l’opportunità perfetta per farli espellere tutti e quattro si sta invece avvicinando a un licantropo trasformato che gli farà gelare il sangue nelle vene e chiudere il becco una volta per tutte. Non si è ancora pentito Sirius, ma basta il tono di James, controllato ma non al punto da non lasciar trasparire una vena di dissimulata disperazione nella voce, basta quello a farlo vacillare e per un attimo, solo per un attimo, Sirius vorrebbe potergli rispondere che sì, sta scherzando e non ha fatto proprio nulla, perché c’è qualcosa di totalmente sbagliato nel tono supplicante del suo migliore amico.
E poi lo sguardo nocciola fisso su di lui si annebbia all’improvviso, trapassando Sirius come se non lo vedesse più, perché James lo conosce meglio di chiunque altro e non gli è sfuggita quell’esitazione. E ora James sa che Sirius non sta scherzando.

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I contorni della stanza sfumano attorno a lui e James si ritrova ad allargare appena le dita tremanti, le mani sollevate e inerti a mezz’aria, nel tentativo irrazionale di fermare il tempo abbastanza a lungo da riuscire a pensare e tirarsi fuori dall’incubo surreale in cui tutti loro sono appena stati risucchiati. Sirius ancora non se ne rende conto, è così evidente, e se il cuore non gli martellasse nel petto così forte da fargli pulsare il sangue nelle orecchie James si prenderebbe il disturbo di cancellargli con un pugno ben piazzato quell’espressione interdetta e confusa dal viso. Ma non c’è tempo per quello e la verità è che ora come ora James trova insopportabile anche solo la vista di Sirius: non riesce a guardarlo in faccia e lo scaccia con forza dalla sua mente, mentre le sue mani sfilano frenetiche la Mappa da sotto il materasso del suo baldacchino. Sirius sta dicendo qualcosa e lui non deve nemmeno sforzarsi di ignorarlo mentre spiega velocemente la mappa meglio che può con il fiato bloccato nel petto e le mani che non smettono di tremare. Ha percorso le linee di inchiostro su quella pergamena giallina così tante volte da sapercisi orientare con estrema facilità ormai, ma in quel momento deve richiamare a sé tutta la sua concentrazione per riuscire a mettere a fuoco i vari piani e i puntini che si muovono al loro interno e che continuano ad attorcigliarsi l’uno con l’altro. E alla fine lo trova, un puntino isolato dagli altri che si sposta veloce, sempre più vicino ai confini di Hogwarts, lì dove il Platano protegge da cinque anni a quella parte il segreto di Remus. Non si accorge nemmeno di averla lasciata cadere, semplicemente la Mappa non è più tra le sue mani e lui è scattato verso la porta, perché non è ancora troppo tardi, può ancora sistemare tutto.
Peter non si è mosso dall’angolo della stanza da cui continua a lanciare occhiate terrorizzate e sconvolte a Sirius, mentre la mano di quest’ultimo si chiude improvvisamente attorno al braccio di James. Ha raccolto il mantello da terra e lo tiene sollevato con l’altra mano, pronto a gettarlo su entrambi, come se non essere visti potesse avere una qualche importanza ora.
- Non mi seguire, non...-  James si libera il braccio bruscamente, evitando accuratamente di incrociare gli occhi del suo migliore amico. - Stammi lontano.
Poi i suoi piedi pestano veloci i gradini della scala a chiocciola dei dormitori maschili di Grifondoro e i tappeti zaffiro della Sala Comune, fino ai passaggi segreti angusti ed umidi dietro gli arazzi. Corre veloce senza mai fermarsi, anche se il cuore gli sta già esplodendo nel petto e quando le suole delle sue scarpe calpestano l’erba umida del parco illuminata dalla luce fioca della luna piena, alta nel cielo, James si sente per un istante quasi sopraffatto dalla fitta di paura che lo inonda come un veleno: Remus ha già lasciato il posto al lupo, Piton sarà già nel passaggio sotto il platano e tutto il suo mondo sta per sbriciolarglisi tra le dita. Ma stringe i denti e continua a correre, sempre più veloce, perché James non lascerà che accada. Non lascerà che succeda questo a Remus e nemmeno al dannato Piton, né a quell’idiota di Sirius. Non lascerà che succeda nulla a nessuno.
Continua a correre e non prende nemmeno in considerazione l’idea di non arrivare in tempo, di non riuscire a fermare Piton prima che veda Remus.
James dovrebbe davvero, davvero imparare a non fidarsi dei suoi buoni presentimenti.

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Remus è quasi a metà della trasformazione e dei Malandrini non c’è traccia.
Ha provato diverse volte ormai a convincerli a non venire ogni mese, eppure ora che lo hanno ascoltato sul serio, ora che non sono lì per davvero non può fare a meno di cercarli con lo sguardo, accucciati in un angolo della stanza a ricordargli in silenzio cosa significhi avere degli amici al mondo.
Non glielo ha mai detto, Remus, che non è la nottata il momento in cui lo aiutano di più: il lupo è distratto dal branco e non infierisce su se stesso, evitando a Remus di svegliarsi con le braccia ricoperte di morsi e tagli sanguinanti la mattina dopo, ma non è il sangue e non sono le ferite: il momento in cui davvero i suoi amici fanno la differenza è quello della trasformazione, quando Remus è costretto a guardare negli occhi la luna e se stesso, senza barriere o parole di conforto tra lui e la maledizione ed è allora che i suoi amici gli dimostrano di esserci, quando il mondo intero smette di esistere e loro non se ne vanno da quella stanzina impolverata, dal teatro degli orrori. Quando tutto, compreso Remus, svanisce e loro restano.
Ma quella notte è come se i Malandrini non fossero mai esistiti e le sue grida sono l’unica compagnia possibile.
La prima volta da quasi un anno e Remus è solo con il lupo.
La pelle tira e si strappa contro le ossa appuntite che continuano a deformarsi lente ma inesorabili, uscendo all’aria aperta ricoperte da una patina di sangue denso e grumoso. Le sue membra sono irriconoscibili ora, nel momento peggiore, quello in cui non è più un umano e non ancora lupo. Il suo corpo che lo divora dall’interno e lui grida così forte da non sentire il cigolio della porta, mentre questa si apre all’improvviso. E per un istante, al di là delle grida e del dolore, il sollievo lo invade, ma non sono loro ad entrare: il viso pallido ed emaciato di Severus Piton fa capolino nella penombra e la smorfia di trionfo sulle sue labbra esangui si trasforma ben presto in una di terrore, non appena realizza cos’ha davanti.
Remus non capisce bene cosa stia succedendo, ma una fitta di panico gli stringe lo stomaco in una morsa, perché è sbagliato, Piton non dovrebbe essere lì e lui sente di star perdendo lucidità. Usa l’ultimo barlume di concentrazione per gridargli di scappare, ma quella che gli esce dalla gola bruciante è la voce del lupo e l’ululato è l’ultima cosa che gli rimbomba nella testa prima di perdere conoscenza. L’ululato e la voce affannata di James.

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Piton indugia con le dita sulla maniglia per diversi secondi, allarmato dai versi inumani al di là della vecchia porta scheggiata. Ha un’idea di quello che potrebbe trovarsi di fronte ed è solo in quel momento che si ferma a pensare a quanto sia stato avventato da parte sua fiondarsi lì senza lo straccio di un piano, senza contare che nessuna situazione che inizia con lui che dà ascolto a Black può concludersi  bene.
È solo quando un altro ragazzo spunta dal fondo delle scale e gli grida di fermarsi che lui non ha più dubbi: Potter non vuole che apra, quindi Piton abbassa la maniglia con decisione.

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Severus Piton è un idiota e James non l’ha mai voluto morto più del momento in cui gli salva la vita.
Lo schiantesimo uscito dalla sua bacchetta respinge la testa di Moony all’indietro esattamente un attimo prima che le zanne umide e affilate affondino nella gola scoperta di Piton, steso a terra e inerme sotto il peso del lupo. È solo con altri due schiantesimi consecutivi che James riesce a sbalzare Moony contro il muro, permettendo al Serpeverde di rialzarsi. Non lo ha ascoltato prima, ma quando James lo afferra per un braccio incitandolo a correre, Piton inizia effettivamente a caracollare per le scale come se non ci fosse un domani, a dispetto del colorito più esangue del solito e dell’aria malferma sulle gambe magre.
Il fatto è, può sembrare una buona idea, correre, quando hai un licantropo con la bava alla bocca alle calcagna, ma la verità è che non esistono buone idee quando un essere del genere è dietro di te: c’è solo un esito, in quel caso, e quello che puoi fare è semplicemente essere raggiunto, dopo un secondo o, se corri particolarmente veloce, dopo una decina di secondi. E poi c’è la parte inevitabile dei denti affilati che ti bucano la pelle, la carne strappata, il dolore lancinante, le grida affogate nel sangue e tutte le altre simpatiche cose che una morte per sbranamento porta con sé. James lo sa questo ed è in quel momento, quando non si fionda giù per le scale dietro a Piton per raggiungere la botola, che salva nuovamente la vita di entrambi: la mano stretta attorno alla bacchetta scatta una frazione di secondo prima di Moony e i suoi artigli si piantano nel legno marcio della porta che ora lo nasconde alla vista. James mormora veloce qualche altro incantesimo per assicurarsi che la porta tremante non ceda sotto i colpi del lupo infuriato, poi si volta e in un attimo è nel passaggio umido al di sotto della botola, lontano dalla luce fioca della Stamberga.
- Un lupo mannaro.
 Lo supera nel buio senza nemmeno fermarsi, ignorando il sussurro stralunato dell’altro.
- State nascondendo un fottuto lupo mannaro a scuola, - Piton deve aver ripreso a camminare, perché anche se James non rallenta, la voce alle sue spalle continua ad essere vicina, sempre più infervorata. – Siete impazziti, Potter? Che cosa pensavate di fare? Credi che sia un gioco, che ti renda furbo, nascondere una bestia del genere in una scuola? Tutti questi anni...avrebbe potuto fare una strage e solo perché tu e i tuoi amichetti poteste divertirvi e sentirvi così al di sopra degli altri per avere un segreto del genere, vero?
- Sta’ zitto.
James affonda le unghie nei palmi delle mani ed accelera, perché vuole solo uscire da quel tunnel e mettere più spazio possibile tra se stesso e Severus Piton, tra se stesso e quello che è appena successo.
- Tu lo sapevi, - Piton aumenta a sua volta il passo, senza demordere, ed ora suona quasi sorpreso. - Sapevi esattamente dove trovarmi, - prosegue pensoso, prima di avere l’illuminazione più inesatta della storia e peggiorare ulteriormente la giornata di James. - Eri d’accordo con Black, tutti voi, Lupin e Minus, avete cercato di uccidermi!
- Nessuno ha cercato di ucciderti, ok? – James si volta di scatto, sperando che Piton non noti la punta di disperazione nella sua voce, sommersa com’è dalla rabbia. Tutto quello non sta succedendo davvero. - Tu hai cercato di ucciderti. Perché diavolo hai dovuto aprire la porta?
- Sarete espulsi, tutti e quattro, - Quando Piton parla di nuovo, è ancora affannato, ma c’è una nota di delizia nella sua voce e James scopre di odiarlo con un’intensità del tutto inedita. - Quando Silente lo saprà, quando saprà cosa avete nascosto proprio sotto il suo naso, per tutto questo tempo, voi tre sarete espulsi e Lupin finirà in qualche gabbia all’Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature magiche.
La schiena di Piton sbatte contro la pietra umida e scivolosa che fa da parete all’angusto passaggio e un po’ di terriccio si stacca dalle zolle di terra sopra le loro teste, finendogli sul naso. Ne finisce un po’ anche sui capelli di James, ma lui continua a tenere le mani ben strette attorno al colletto di Piton, gli occhi fissi in quelli neri dell’altro.
- Sta’ zitto, - sibila in preda a un odio bruciante che gli divora la voce, facendola tremare di rabbia. – Ti avverto, non dire un’altra parola.
- Oh, sto zitto ora, Potter, - replica subito lui, quella sottile vena di allegria che continua a percorrergli la voce, così in contrasto con la nota di paura che marca quella di James. - Ma non starò zitto davanti a Silente, puoi giurarci. Quando saprà cos’è Lupin...
- Temo di essere già al corrente della natura del signor Lupin, Severus.
Sono diverse le voci che James non vorrebbe sentire in quel  momento, probabilmente sarebbe più esatto dire che James non vorrebbe sentire voci e basta, a parte quella di Remus che lo avvisa che sta facendo tardi per la partita e che dovrebbe davvero smettere di fare incubi assurdi e alzarsi dal letto, ma tra tutte le voci che James non vorrebbe sentire ora, quella pacata, e tuttavia dura di Silente è in cima alla lista. Se ne sta lì, a scrutarli attento con gli occhi azzurri dietro le lenti a mezza luna e un agitato Peter alle spalle, e James non può fare a meno di chiedersi come quella giornata continui a trovare il modo di peggiorare ancora e ancora e ancora.

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Piton è furioso, e quella è una consolazione ben più grande per James dei cinquanta punti che Silente gli ha assegnato “per la prontezza e il coraggio dimostrati”. Lo guarda uscire dall’ufficio di Silente, mentre il Gargoyle di pietra si richiude con un tonfo alle sue spalle, e lo segue con gli occhi mentre si fionda a passo sostenuto verso la fine del corridoio, senza posare lo sguardo su James nemmeno per sbaglio. Non è come se non si odiassero già, ma James sa che questo è diverso. C’è qualcosa di più serio, di più adulto e più assoluto nel modo in cui si odiano ora: Piton ha cercato fino all’ultimo di far ricadere la colpa degli eventi di quella notte su tutti e quattro, guadagnandosi diverse occhiate glaciali da Silente nel riferirsi a Remus con appellativi che James continua a sentire anche ora, appoggiato alla pietra fredda nel silenzio del corridoio. Si è aggrappato alla necessità della loro espulsione e al pericolo rappresentato da “quella cosa” fino all’ultimo, quando Silente ha congedato lui e Peter per restare solo con Piton. È quasi arrivato alla fine del corridoio ora, senza che James gli abbia gridato qualche battutina sprezzante come farebbe normalmente, perché dopo quella notte, James lo sa, la normalità sarà tutta da ridefinire. All’ultimo, proprio prima di girare l’angolo, Piton pare tuttavia cambiare idea e ricopre in pochi secondi la distanza che lo separa dall’altro.
- Non ti devo niente, Potter, - gli sibila contro e il rancore nella sua voce e negli occhi bui è più intenso di quanto James lo abbia mai avvertito. - Non m’importa se l’avete fatta franca per l’ennesima volta: io non sono Silente, io ti vedo per quello che sei davvero e quello che hai fatto stanotte non è stato eroico, né altruista né coraggioso. Avete cercato di uccidermi e poi tu hai avuto troppa paura per arrivare fino in fondo. Hai salvato te stesso e quegli scherzi della natura che chiami amici, non me.
In un altro momento, James cederebbe al formicolio che gli percorre le dita e lascerebbe scontrare il suo pugno chiuso contro il naso adunco dell’altro, proprio lì, davanti all’ufficio del Preside, e al diavolo tutto. Ma James ha appena scoperto una dimensione tutta nuova nel suo odio per lui, una sfumatura e un’intensità tali che un naso rotto non basta più.
- Puoi raccontarti quello che vuoi su questa notte, Piton, non m’interessa, - replica calmo, guardandolo dritto negli occhi. - Ma la verità è che oggi ti ho salvato la vita ed ogni respiro che farai d’ora in poi, ogni singolo respiro, per tutta la tua insignificante, misera e patetica esistenza, saprai che è solo grazie a me, - Fa una pausa. - Buona fortuna a convivere con questo.
Il silenzio cade tra loro come un mantello soffocante, mentre a pochi centimetri di distanza l’uno dall’altro continuano a fissarsi per diversi secondi, prendendo atto della nuova forma d’odio appena nata in quegli sguardi muti. Poi Piton, le labbra premute l’una contro l’altra con tanta forza da renderle quasi bianche, si volta e sparisce oltre l’angolo, il mantello scuro a svolazzare nell’ombra.
Vent’anni dopo non avrà ancora perdonato a James di avergli salvato la vita quella notte.

- - - -

Non appena resta solo, James esclama ad alta voce “Api Frizzole” e si fionda sulla scala a chiocciola rivelata dal gargoyle, impaziente. Spalanca la pesante porta di quercia senza neppure bussare, perché in fondo non dovrebbe comunque essere lì: Silente, prima della sua chiacchierata con Piton, ha espressamente ordinato a lui e Peter di tornare in Sala Comune e mandargli Sirius da solo. Non è tanto che James non ha alcuna voglia di tornare in Sala Comune, né tantomeno vedere Sirius, o almeno non è solo quello: Piton è uscito dall’ufficio del Preside con un’aria tutt’altro che trionfale e razionalmente James lo sa che Silente, coi suoi anni di esperienza e i suoi occhi saggi dietro le lenti a mezzaluna, non deve aver avuto troppi problemi ad assicurarsi il silenzio di un ragazzino di quindici anni, ma James ha comunque bisogno di sentirglielo dire.
- Mentirei se mi dicessi sorpreso, signor Pott-
- Non lo dirà a nessuno?
James ha appena interrotto il Preside e in un altro momento potrebbe importargliene qualcosa.
- Piton, - specifica impaziente, vagamente consapevole di come la sua voce risulti quasi supplichevole. - Non dirà a nessuno di Remus?
- Non lo dirà a nessuno, - ripete Silente pacato, l’azzurro limpido a scrutarlo attento oltre le lenti a mezzaluna.  
- Come fa a esserne sicuro? Lo odia, Preside, ci odia, lo userà contro Remus, lui-
- Sì, - Silente annuisce grave e stranamente calmo al tempo stesso e James ha la sensazione che stia trattenendo un sospiro. – Userà questa notte per nuocere al signor Lupin in ogni modo che gli sarà possibile. E temo che ne abbia diversi tra le mani, modi di colpirlo su cui nemmeno io posso intervenire, ma rivelare il suo segreto ad anima viva non è tra questi, ha la mia parola.
- Gli ha fatto un incantesimo? – insiste James, perché non importa se Silente gli ha appena implicitamente fatto capire che non intende scendere nei dettagli, lui si sentirebbe così tanto sollevato se solo sapesse che il segreto di Remus non dipende unicamente dal buonsenso di Piton. – Perché sono abbastanza sicuro che il Voto Infrangibile non sia illegale sopra i quindici ann-
- La lealtà verso gli amici, signor Potter, - Il tono di Silente è vago e casuale, come se avesse appena spezzato un lungo silenzio, come se James non stesse parlando fino a due secondi prima. È qualcosa che gli piacerebbe saper fare questa, interrompere qualcuno senza sembrare maleducato e impertinente, che è invece l’effetto che gli sembrano sempre avere le sue parole. Ma probabilmente è un’abilità che non si può imparare, una conseguenza naturale dell’essere un anziano e saggio Preside di Hogwarts dal nome altisonante, ordine di Merlino Prima Classe e tutta un’altra serie di rispettabili cose che James non sarà mai. - È una qualità che ho sempre trovato tra le più ammirevoli in un giovane mago, molto più di qualunque altra capacità, magica e non. È qualcosa di cui il mondo ha bisogno, ora più che mai. – James non è sicuro di dove il Preside voglia arrivare, ma è in realtà perfettamente d’accordo con lui, perché ora più che mai il mondo ha bisogno che quell’idiota di Piton venga legato, imbavagliato e gettato in nome dell’amicizia sul fondo del Lago Nero, dove solo la Piovra Gigante potrà sentirlo qualora gli venisse la malsana idea di aprire la bocca. Ma James è stato in quell’ufficio abbastanza volte da quando è ad Hogwarts da saper distinguere i momenti in cui Silente è bendisposto nei confronti della libertà di parola e quelli in cui invece pretende un attento silenzio in risposta alle sue perle di saggezza. – Tuttavia temo di doverle caldamente rinnovare il mio precedente invito a fare ritorno al suo dormitorio, - conclude infatti e il suo sguardo, ancora più del tono, non ammette repliche. - Il segreto del signor Lupin è al sicuro, è la mia ultima parola sull’argomento. Buonanotte, signor Potter.
È finita, James lo sa perfettamente. Non saprà mai cosa Silente ha detto a Piton per assicurarsi il suo silenzio e l’unica cosa che gli resta da fare è annuire e uscire dalla stanza, fidandosi di lui. Lo sa perfettamente, ma per qualche motivo si ritrova ancora immobile, in piedi con le spalle alla porta e gli occhi fissi in quelli del Preside.
- Sarà espulso? – si sente chiedere all’improvviso, senza aver mai deciso di farlo.
- Naturalmente no, - La sorpresa fa per un attimo dimenticare a Silente che James non dovrebbe ancora essere lì davanti a lui. - Se c’è qualcosa su cui non sussistono dubbi in questa notte, è il ruolo che il signor Lupin vi ha avuto.
- No, non, - James esita, distogliendo lo sguardo a disagio. – Non Remus.
- Sirius, - aggiunge, la voce ridotta a un sussurro.
Il silenzio cala nell’ufficio e anche se non lo sta guardando, James lo sa che Silente sta ora facendo quella cosa con gli occhi, trapassargli la testa come se fosse invisibile e cercare di leggerci dentro. Spera solo che non ci riesca, perché anche se nemmeno James è pienamente sicuro di cosa gli passi per la testa al momento, ha solo una certezza, ed è che qualunque cosa sia è composta prevalentemente da imprecazioni.
- Di questo ne discuterò col signor Black non appena mi raggiungerà.
Ogni risposta che ha ricevuto da quando è entrato nello studio del Preside non ha fatto altro che suggerirgli, più o meno sottilmente, non sono affari tuoi e James deve sopprimere il bisogno di afferrare uno degli strani strumenti d’argento che riempiono gli scaffali e sbatterlo a terra per il gusto di romperlo, perché sono affari suoi. Ma quando Silente gli augura la buona notte per la seconda volta, lo fa con una fermezza tale che è come se gli avesse lanciato un Imperius e James si trova ad abbassare la maniglia prima ancora di essersene accorto.
È già fuori dall’ufficio, pronto a chiudersi la porta alle spalle, quando indugia di nuovo.
- Non lo voleva uccidere, - sussurra, senza voltarsi a guardare Silente. - Lui, non stava pensando.
Non sa se Silente gli creda o meno, perché prima che possa rispondere si è già chiuso la porta alle spalle.
Ma poi non è come se James stesso sapesse cosa credere.

- - - -

Quando Sirius imbocca il corridoio che porta all’ufficio di Silente, James lo sta percorrendo nella direzione opposta.
Sirius rallenta, ma James continua a guardare dritto davanti a sé e gli passa di fianco come se non lo vedesse. Eccetto che lo ha visto.

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Il gargoyle di pietra continua a restare immobile e James sta perdendo la testa.
Ha camminato a vuoto per i corridoi di Hogwarts per un tempo indefinito, prima che i suoi piedi lo riportassero esattamente lì. Ha solo bisogno che Sirius esca da quel dannato ufficio e gli dica di non essere stato espulso, permettendogli di odiarlo in santa pace. Riesce già ad odiarlo in realtà, ed uno dei motivi per cui lo odia così tanto è che è ridicolo anche solo associare la parola odio al suo nome.
Il rumore improvviso del gargoyle che striscia sulla pietra rimbomba nel corridoio silenzioso e l’espressione spiazzata di Sirius è lì dietro, perché non si aspettava che James fosse ancora lì. Neppure James si aspettava di essere ancora lì.
Non è stato espulso.
James non glielo ha propriamente chiesto, ma i suoi occhi devono averlo fatto.
Silente è chiaramente fuori di testa e James potrebbe interrogarsi su che cosa debba fare uno studente esattamente per farsi espellere allora, ma in realtà non gli interessa.
Sirius non sarà espulso e James aspettava solo questa certezza per liberare il pugno che sta trattenendo da tutta la sera. Non ha mai provato un bisogno così forte di colpire qualcuno, eppure quando Sirius lo dice e non c’è più nulla a frenare James, quando può finalmente cedere alla rabbia che lo consuma silenziosamente da ore e farla esplodere in faccia a Sirius, sul suo perfettissimo naso da aristocratico per la precisione, trova che non ne ha davvero voglia. Una parte di lui ha desiderato colpire Sirius per tutta la sera e ora che nulla si frappone più tra lui e il viso del suo migliore amico, sente invece qualcosa sgonfiarsi dentro il petto.
- Abbiamo giurato, Sirius, - L’altro lo guarda spiazzato e probabilmente si aspettava anche lui un pugno. Probabilmente avrebbe preferito. – Era il suo segreto e abbiamo giurato che sarebbe diventato il nostro e che non lo avremmo mai rivelato ad anima viva. Lo abbiamo convinto a fidarsi di noi perché è questo che gli amici fanno e tu, - James si blocca perché non riesce neanche a dirlo. Godric, non riesce neanche a pensarlo. – A che cazzo stavi pensando, si può sapere?
Sirius evita il suo sguardo, sposta gli occhi da una parte all’altra senza tregua. Non lo ha mai visto così a disagio in cinque anni. In effetti, non lo ha mai visto a disagio e basta.
- Piton, lui...
«Non mi interessa di Piton» Forse sta gridando, o forse è solo il corridoio silenzioso che fa riecheggiare in quel modo la sua voce. James non riesce davvero a preoccuparsene ora. – Voglio sapere cosa ti ha fatto Remus. Voglio che mi dici cosa ti ha fatto per meritarsi, - James si blocca di nuovo e cerca di regolarizzare il respiro. C’è un fiume in piena dentro di lui e vorrebbe solo che dall’altra parte non ci fosse Sirius. Proprio chiunque, a parte Sirius. Ma ci sono solo loro due lì ed è per quello che fa così male. – Gli hai detto come superare il Platano, Sirius, gli hai detto come trovarlo, gli... - Gli occhi di Sirius sono fissi per terra e dal grigio chiarissimo non traspare nessuna emozione. Solo la mascella serrata e rigida indica che ha sentito l’incrinatura nel tono di James. – Ci hai tradito.  
Traditore del proprio sangue, è così che lo chiamano i Serpeverde. È così che lo chiamano a casa. James lo sa e sa anche perché è solo a quel punto che Sirius alza gli occhi a incrociare i suoi. Per un attimo, solo per un attimo, è come se quel pugno glielo avesse dato davvero. Lo guarda senza difese ed è spiazzato sopra ogni altra cosa, come se fosse James quello ad averlo tradito ora. Ma è solo un attimo, e poi Sirius fa esattamente quello che James sapeva avrebbe fatto e indurisce la mascella e lo sguardo e di colpo c’è un muro fin troppo visibile davanti a lui. Non dice nulla, ma ogni movimento impercettibile del suo viso, il mento che si solleva leggermente, la vaga luce di sfida negli occhi, ogni cosa dice ‘non mi importa’ e ora James ha voglia di urlare, perché dopo quello che ha fatto quella notte dovrebbe solo ripetere quanto invece gli importi e quanto sia dispiaciuto e così via fino a restare senza fiato. Sapeva che non lo avrebbe fatto naturalmente, perché conosce il suo migliore amico, ma lo fa comunque uscire di testa.
«Quindi?» sbotta infine, le labbra piegate in una smorfia un po’ incredula e un po’ di sfida. «Non hai nulla da dire?»
James è così frustrato dal fatto che nessuno abbia insegnato a Sirius che si può chiedere scusa.  Non è come se delle scuse bastassero per quello che ha fatto, ma lo manda comunque fuori di testa che non ci stia nemmeno provando, che se ne stia lì e basta in silenzio, che quel silenzio con la mancanza di rispostacce sia anzi il massimo che può offrire a un’amicizia che doveva durare una vita.  
Quello che lo frustra di più è che lo sa perfettamente perché Sirius non sta chiedendo scusa.
Non è come se ne avessero mai parlato e non è stato immediato da parte di James, ma dopo cinque anni sa anche quello che Sirius non gli ha detto, come se dopo l’ennesima notte passata a respirare la stessa aria certe cose fossero semplicemente filtrate da sotto la pelle dell’altro e fin dentro la sua. A James hanno insegnato che se si sbaglia, si può chiedere scusa e sperare nel perdono. Non che lui sia famoso per la sua abilità nello ammettere gli sbagli, ma è perché tendenzialmente i cosiddetti sbagli consistono nel far levitare qualche Serpeverde per i corridoi e non è come se a James importasse qualcosa di essere perdonato dalla maggior parte della gente a cui fa dei torti. Perché, non per vantarsi, ma tendenzialmente James non fa torti alle persone a cui tiene. Quando accade però, sa che si chiede scusa, anche più di una volta, e si insiste ancora e ancora per mostrare che ci tieni, e se devi metterti in gioco e renderti vulnerabile nel mentre va bene, perché ci sono persone che ne valgono la pena. James è convinto che questo a Sirius non l’abbia mai insegnato nessuno. È convinto anzi, che sia impresso a fuoco nella mente del suo amico un altro perverso insegnamento, che se sbagli vieni cancellato come un nome su un arazzo e chiedere scusa è inutile e controproducente, quando l’unico modo sensato di reagire è attaccare a tua volta, anche se sai di aver torto. Non si può perdere qualcuno, se gli dai tu le spalle per primo. A James sta bene così e in tutti quegli anni è sicuro di essersi scusato con Sirius qualche volta in più del necessario, anche quando sarebbe in realtà toccato all’altro, e lo ha fatto senza pensarci troppo, perché se è un immaturo egocentrico la maggior parte del tempo, quando ci sono di mezzo i suoi amici mettere da parte l’orgoglio gli viene naturale come respirare. Remus a volte sbuffa e si infastidisce un po’ davanti a questo atteggiamento di Sirius, ma per James è tutto molto semplice: Sirius è il suo migliore amico e se non gli piace scusarsi, allora può farlo James al posto suo. Se non fosse che è proprio la loro amicizia quella su cui Sirius ha sputato senza rendersene conto, James probabilmente accetterebbe le mancate scuse di Sirius anche ora, senza battere ciglio, ma non questa volta. Perché questa volta è una di quelle in cui nemmeno le scuse basterebbero e per la prima volta in tutti quegli anni James non riesce ad accettare la disparità nel loro rapporto, il fatto che lui se ne stia lì con la voce rotta e il respiro affannato e Sirius resti irremovibile nella sua maschera di distacco. Perché quello è, una maschera, e lo sa benissimo, ma per la prima volta a James non importa saperlo e non gli importa sapere perché è lì, e sa benissimo anche quello, ma lo fa impazzire e basta, che Sirius ancora non si fidi di lui abbastanza da ammettere ad alta voce di avere fatto un casino ed essere terrorizzato. Lo taglia fuori e basta, come se avesse qualcuno della sua famiglia davanti, e non lui, come se James portasse quella B al petto per puro caso e non fosse nessuno.
«Non so come faccia la tua famiglia ad odiarti, Sirius: dimostri ogni goccia di sangue Black.»
Forse lo dice solo per dimostrargli che non è come gli altri, che è il suo cazzo di migliore amico e che quella maschera di indifferenza gliela può rompere come e quando vuole. E poco importa se mentre si allontana a passo svelto sa di aver rotto anche qualunque cosa fosse rimasto dei Malandrini dopo quella notte.

- - - -

Non è nulla che Sirius non abbia mai pensato guardandosi allo specchio, non è nulla che la sua stessa voce non gli abbia sussurrato nelle notti di insonnia.
Sentirlo con la voce di James, però, fa un po’ più male.
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Infermeria.

Remus sa che qualcosa non va nel momento stesso in cui apre gli occhi.
Ogni singolo osso del suo corpo duole come se fosse marcito all’interno, come se la sua pelle malconcia fosse solo una copertura, tesa sopra un ammasso informe e dolorante di ossa sbriciolate e organi ammaccati, e non è il fatto che si sente peggio del solito, non sono nemmeno le facce tese di Peter e James che si voltano subito verso di lui, è che gli sembrano passati solo pochi secondi da quando perdeva coscienza di fronte al viso terrificato di Severus Piton.
«Ho...» Prova a parlare, ma la voce si trasforma in un rantolio rauco che gli graffia la gola e si ritrova a tossire. Peter gli passa subito un bicchiere d’acqua già pronto sul comodino accanto al letto e nella fretta gli fa cadere qualche goccia sul braccio, ma Remus lo ignora e continua a guardare James spaventato e supplicante. Fa per parlare di nuovo, ma non ce n’è bisogno.
«No» dice subito James. «Non hai fatto nulla. Piton sta bene.»
Non hai fatto nulla, altre parole per non hai sbranato vivo il nostro compagno.
«Non ho morso n-»
«Remus, non hai fatto nulla» insiste James. «Va tutto bene. Piton non lo dirà a nessuno, Silente me l’ha promesso. È tutto ok.»
Piton lo sa, non è tutto ok, è il contrario di ok, è un incubo, ma Remus non ha morso nessuno e la sua schiena si rilassa appena contro i cuscini. Beve un sorso d’acqua solo per scoprire che quello è il massimo che riesce a ingerire. Il vetro fresco del bicchiere gli dà un lieve sollievo contro le dita martoriate, ma non lo sente in maniera uniforme ed è solo allora che abbassa gli occhi a guardarsi: ha le dita quasi completamente fasciate, probabile cortesia di Madama Chips per non fargli vedere lo stato delle sue unghie, come se poi non avesse passato i precedenti dieci anni a svegliarsi con le unghie sbrindellate. Il lupo non è più abituato a stare solo e Remus non ha bisogno di vederli per sapere che quella notte si sono aggiunti numerosi nuovi graffi alle pareti della Stamberga.
Ha una fasciatura più spessa sull’avambraccio sinistro, all’altezza di un bruciore che è lo stesso da quando ha aperto gli occhi, acuto e continuo. Si è morso. Ricorda la prima volta che è successo, dopo la sua seconda luna piena. Aveva cinque anni e il segno fresco e insanguinato dei suoi denti sulla carne lo aveva fatto scoppiare a piangere e non per il dolore. Ricorda di aver chiesto alla mamma se avrebbe iniziato a trasformarsi due volte al mese invece che una.
Piton lo sa e tutto quello che riesce a pensare Remus è che resterà la cicatrice. I morsi lasciano sempre la cicatrice.
I segni dei denti sul braccio saranno un problema d’estate. Può sperare solo di essersi morso più volte, di aver tirato, di aver fatto un po’ di casino. Con un po’ di fortuna non sarà palesemente la bocca di un lupo.   
«Dov’è Sirius?»
Se ne accorge all’improvviso, che sono solo due i Malandrini stremati accanto al suo letto. Ha una fitta continua alla testa da quando si è svegliato e le palpebre gli pesano come pietre, ma percepisce subito la tensione generata dalla sua domanda. Peter abbassa lo sguardo e James socchiude le labbra senza che ne esca alcun suono.
«Sta bene» si affretta poi quando Remus si raddrizza preoccupato. «È...da qualche parte.»
L’aria è pesante e l’ansia si irradia dai suoi amici in silenzio, entrandogli nel naso ad ogni respiro. C’è qualcosa di sbagliato.
«Signor Lupin, ha assolutamente bisogno di riposare ancora» interviene Madama Chips spuntando dal nulla, le mani indaffarate con una fiala. «Questa notte si è conciato molto peggio del solito. Ho già pronta la pozione sonnif- »
«No.»
Remus non è il tipo da dire di no agli adulti, né da rivolgerglisi con un tono così fermo e freddo. Madama Chips è chiaramente spiazzata.
«Signor Lupin.»
«No.»
Remus la fissa dritto negli occhi e non aggiunge spiegazioni, ma c’è qualcosa nel suo sguardo, la stanchezza e la determinazione che si equivalgono, e Madama Chips si allontana in direzione del suo ufficio senza aggiungere altro. 
Remus si volta verso James.
«Dimmi cos’è successo.»
                                                                                
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Febbraio 1975. Hogwarts, Aula di Incantesimi.
 
È la prima volta in due mesi e mezzo che Remus lo guarda negli occhi.
Sirius non rivolge la parola a nessuno dei Malandrini da quella notte e loro non la rivolgono a lui.
Dormono nella stessa camera e condividono tutte le lezioni, ma questo non incrina il proposito di fingere la reciproca non esistenza. Sirius è bravo in questo, ci è cresciuto e ci vive ancora in una casa dove anche i quadri fingono che lui non esista. Sa come farselo scivolare addosso, come mantenere un’espressione distesa quando esce dal bagno e sono tutti lì, sul letto di Peter, così vicini ma irraggiungibili. Cerca di convincere se stesso, prima ancora che loro, come ha sempre fatto, sin da quando era bambino e gli veniva rinfacciato di non essere abbastanza Black. Per la maggior parte del tempo, però, cerca semplicemente di stare in stanza il meno possibile, rientrando tardi alla sera e uscendo presto alla mattina. Passa molto tempo con Frank ultimamente. È l’unico che non gli abbia chiesto nemmeno una volta cosa sia successo.
James gli lancia delle occhiate brucianti ogni tanto, perché lui d’altro canto non ci riesce a fingere sempre. Non lo guarda, ma capita che gli dia una spallata se gli passa troppo vicino. Esce di scatto dalle stanze a volte. Ci prova e spesso è eccezionalmente bravo a fingere che Sirius non esista, ma la sua rabbia scotta troppo per non affiorare puntualmente, irruente. Tutti lo vedono e James è anche quello più irritato dal modo in cui tutta la scuola li guarda e sussurra sottovoce, vagliando un’ipotesi dopo l’altra su cosa abbia spezzato i Malandrini, su cosa abbia fatto Sirius Black di così grave. Su quanto tempo ci metteranno gli altri a perdonarlo, soprattutto.
Peter è nervoso, ma è l’unico a non sembrare arrabbiato. Spesso incrocia gli occhi di Sirius, per sbaglio, e li distoglie di scatto, in maniera vistosa. Anche quando non lo guarda, è sempre dolorosamente chiaro sul suo viso che è conscio della sua presenza. Sembra più a disagio che altro.
Remus non ha detto nulla a Sirius la notte dopo che è successo.
Sirius è arrivato sin davanti alla porta dell’Infermeria prima di tornare indietro. Forse sarebbe dovuto entrare e guardare Remus negli occhi, ma la verità è che non aveva nulla da dirgli. Sirius lo ha tradito e non c’era nulla da dire, e così è tornato indietro e Remus non gli ha gridato contro quando è uscito dall’Infermeria qualche giorno dopo. Gli è passato accanto, entrando in camera, lo sguardo fisso di fronte a sé senza dar segno di averlo visto. In un modo così sottile e naturale, come se non lo stesse ignorando, come se Sirius semplicemente non esistesse davvero.
Sono due mesi che Remus non lo guarda negli occhi e Sirius stesso si sente come se non esistesse, a volte. Lo sa che significa, venire cancellato e basta. Quella di Remus non è la furia bollente di James, è qualcosa di gelido incastrato in ogni particella della sua pelle, è la delusione senza ritorno che Sirius ha già visto negli occhi dei suoi genitori, quella che porterà Walburga Black a bruciarlo via dall’arazzo, come una macchia.  
Due mesi che Remus riesce senza sforzo a non guardarlo negli occhi, fino al giorno in cui invece lo fa.
L’aria si fa di colpo pesante nell’aula, mentre Vitious finisce di pronunciare ‘Lupin’. Sirius è già vicino alla lavagna, bacchetta in mano, ed ha parato tutti i tentativi di disarmo di Alice, uno dopo l’altro. Coglie con la coda dell’occhio James irrigidire la mascella, mentre non stacca gli occhi dal suo banco. Peter lancia un’occhiata a Remus. Non vola una mosca nella stanza, persino i Serpeverde sono tutti con gli occhi su di loro, in silenzio. 
Remus non si fa chiamare due volte dal professore: resta immobile qualche secondo appena e poi si alza, bacchetta alla mano.
Vitious, senza dar segni di aver notato l’attenzione insolita della classe, mostra di nuovo a Remus con la sua voce gioviale il modo corretto di lanciare un incantesimo di Disarmo, poi gli fa cenno di iniziare.
Remus sa perfettamente come si lanciano gli incantesimi di disarmo, anche se il professore li ha spiegati la lezione scorsa per la prima volta e li stanno provando a livello pratico solo in quel momento. Anche Sirius lo sa e sa anche come respingerli. Hanno fatto un po’ troppi dispetti ai Serpeverde negli anni e si sono visti arrivare addosso fatture improvvise un po’ troppo spesso per non essersi già portati avanti con le basi del combattimento tra maghi. Per quello i primi insicuri Expelliarmus lanciati da Alice si sono infranti senza risultato contro la difesa allenata di Sirius. 
Remus è un’altra storia.
Gli si posiziona davanti ed è la prima volta in due mesi che lo guarda negli occhi.
Sirius non ha mai vacillato di fronte alle occhiate di fuoco di James, ma in quel momento deve chiamare a raccolta tutta la sua forza per reggere lo sguardo indecifrabile di Remus senza incrinarsi.
Forse è per quello che l’altro riesce a disarmarlo così facilmente.
L’esercizio, a questo punto, prevede che Sirius raccolga la sua bacchetta, volata ai piedi di un banco in prima fila a qualche metro da lui, si posizioni nuovamente di fronte a Remus, e aspetti un nuovo Expellelliarmus da parare. Ha fatto qualche passo appena nella direzione della sua bacchetta e Vitious si sta complimentando con Remus, quando un altro lampo illumina improvvisamente l’aria e Sirius vola contro l’armadietto con un tonfo assordante, atterrando sul pavimento tra le grida generali.   
Sirius alza la testa, un rivolo di sangue che gli cola dal labbro, e di nuovo incrocia gli occhi di Remus, che ha fatto qualche passo verso di lui e stringe la bacchetta in mano, ignorando completamente i richiami indignati di Vitious.
Non è il momento, ma per un attimo a Sirius viene da ridere.
Con due mesi di ritardo, Remus si è finalmente ricordato che Sirius esiste e di essere furioso con lui. 
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James, come il resto della classe, è pietrificato, gli occhi fissi sui due malandrini e come sordo al trambusto creatosi.
Sirius è ancora a terra, la bacchetta abbandonata inerte e inutile a diversi metri di distanza, ma Remus continua ad avanzare verso di lui ed è quando alza di nuovo la sua, pronto a colpire l’altro disarmato, che James si riscuote. In un attimo supera la prima fila e gli è davanti, piazzandosi esattamente tra i suoi due migliori amici, le dita su quelle di Remus che stringono la bacchetta.
Non dice nulla, si limita a restarsene lì in mezzo, con la bacchetta di Remus contro il petto. Può sentire alle sue spalle Sirius alzarsi, ma non stacca gli occhi da Remus, che pure non lo guarda: ha gli occhi puntati oltre la sua spalla, in quelli di Sirius. Gli trema la mano, ma la abbassa, stendendo il braccio lungo il fianco e continuando a guardare davanti a sé ed ignorare Vitious, come se non lo sentisse, nonostante stia praticamente urlando. Poi si gira di scatto ed esce dalla classe a passo veloce, senza incrociare più gli occhi di nessuno, lasciando James e Sirius in piedi di fronte alla classe.
James non ha idea di cosa sia appena successo e resta lì per qualche altro secondo senza sapere cosa fare o cosa rispondere a Vitious, che sembra per qualche motivo convinto che lui non sia più perso del professore stesso, senza sapere che farsene degli occhi di tutti  su di lui.
Evans è in prima fila e James incrocia i suoi occhi per una frazione di secondo appena, prima di fiondarsi fuori dall’aula a sua volta.
 
 
 
Remus è a un corridoio di distanza, la schiena contro il muro e una mano sporca di sangue, all’altezza delle nocche. Guarda di fronte a sé e non lo vede arrivare, ansima forte, come se non riuscisse a respirare bene e James lo vede portarsi le mani tremanti ai capelli, mentre scivola piano contro il muro.
James affretta il passo e si china subito su di lui, inginocchiandoglisi di fronte, stampandosi un’aria rassicurante in viso che non gli appartiene da mesi e certo non in quel momento.
«Moony, ehy» dice piano e Remus alza la testa, mostrandogli gli occhi lucidi.
James non ha mai visto Remus piangere. Non quando hanno scoperto il suo segreto al primo anno e lui pensava che volessero farlo buttare fuori dalla scuola, non quando si è seduto con loro e ha raccontato per filo e per segno della notte in cui è stato morso e delle giornate successive, della prima trasformazione, del perché delle cicatrici. Remus è sempre stato il più forte tra loro e James lo ha sempre saputo, ed è vedendo le lacrime trattenute nei suoi occhi ambrati e il suo petto alzarsi e abbassarsi veloce, in modo irregolare, che James per la prima volta in quei due mesi non riesce a vedere la luce in fondo al tunnel.
Ha paura di peggiorare la situazione toccandolo e così prova a calmarlo a voce, e si stupisce di se stesso e del modo in cui riesce a dirlo come se ci credesse, come se andasse davvero tutto bene.
«E tu,» Remus lo guarda come se lo vedesse per la prima volta e non ha il suo usuale tono pacato e ragionevole. James riesce a percepire chiaramente l’ansia nelle sue parole.  «È il tuo migliore amico e ora sei arrabbiato con lui, ma non durerà a lungo e allora sarò io quello-»
«No, non è vero» Lo interrompe subito, fermo, guardandolo negli occhi, perché questo lo sa e basta. «Sono con te.»
Remus si concentra sul respiro regolare di James e pian piano smette di ansimare.
 Sospira e guarda il vuoto alla destra di James, gli occhi lucidi che non lasciano scappare nessuna lacrima.
È un sussurro a malapena udibile, ma che non nasconde la disperazione.
«Perché l’ha fatto?»
James non risponde, perché non importa se tutti, lui per primo, si aspettano che lo sappia, perché lo conosce meglio di se stesso e tutto. James non lo sa perché cazzo Sirius lo abbia fatto.
 
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Vitious ha insistito perché passasse in infermeria a farsi vedere da Madama Chips e Sirius non ha protestato, che passare il resto dell’ora con gli occhi di mezza classe puntati addosso non è tra le sue priorità.
Li vede subito, andando verso le scale, a metà del corridoio per Trasfigurazione e si blocca. L’infermeria è dall’altra parte ma Sirius resta fermo per qualche secondo appena e poi parte deciso verso di loro, nonostante non pensare sia stato quello che ha dato l’avvio al tutto in primo luogo. James è il primo a notarlo e subito, quando vede che Sirius non ha intenzione di fermarsi, si alza e gli si piazza davanti.
«Che fai?» lo blocca immediatamente, sulla difensiva.
Sirius lo ignora, gli occhi fissi su Remus, ancora a terra a qualche passo da James, la schiena contro il muro e gli occhi lucidi.
«Voi che fate» replica ad alta voce, con sfida. «Piangi come un poppante, Lupin?»
Le mani di James sono sulle sue spalle prima ancora che abbia finito di parlare e Sirius indietreggia di qualche passo sotto la sua spinta brusca. «Che cazzo fai?»
Sirius lo guarda per la prima volta e gli restituisce la spinta, spostandolo di lato con un braccio.
«Tu non c’entri nulla, levati» dice indifferente, superandolo e raggiungendo Remus.
Remus lo guarda in silenzio e si alza, fermandosi esattamente di fronte a lui. Sirius regge il suo sguardo senza esitazioni questa volta.
«Forza, non c’è nessuno» dice accennando al corridoio vuoto eccezion fatta per loro tre.
Per qualche secondo nessuno si muove, poi Remus fa un passo avanti e arriva il pugno, forte, dritto contro la sua mascella. Sirius volta la testa di lato e strizza gli occhi, il mento in fiamme, poi torna a guardare Remus.
Quando arriva il secondo pugno, James si porta le mani ai capelli e dà le spalle agli altri due, senza saper cosa fare. Se debba fare qualcosa o no.
Non fa nulla e Remus colpisce ancora.
Sirius si porta le mani alla faccia, la visuale annebbiata dal dolore e il sangue caldo che gli cola dal naso e gli imbratta le dita. Sono in due ora ad avere gli occhi lucidi.
Remus lo guarda e non è più lo stesso ragazzo senza controllo che lo ha attaccato mentre era disarmato.    
«Va meglio ora?» chiede, con il tono pacato che è sempre stato suo, solo un po’ più sostenuto.  
«No» risponde Sirius dopo qualche secondo. «Tu?»
Remus sospira. «No.»
Sirius non sa esattamente per quanto restino così, l’uno di fronte all’altro, in silenzio, col sangue di Sirius che lega le nocche di Remus alla sua faccia, poi lo dice e basta.
«Mi dispiace.»
Non ricorda nemmeno quand’è stata l’ultima volta che l’ha detto, ma è abbastanza sicuro che sia stato tra le mura tetre di Grimmauld Place, durante le vacanze di Natale del suo primo anno, le peggiori della sua vita. Quando, lontano dalla Torre di Grifondoro, era stato così spaventato da scusarsi per uno Smistamento che aveva voluto con tutto se stesso. Non è servito naturalmente e Sirius ha rimpianto quel mi dispiace con ogni fibra del suo essere  per anni. Non ha ancora smesso di volerselo rimangiare, ma non è sua madre quella davanti a lui ora. Non è suo padre, non è suo fratello. È Remus.
«Perché?»
«Perché l’ho fatto o perché mi dispiace?»
Remus alza le spalle.
«Entrambe le cose.»
Sirius resta in silenzio. E il fatto è che non lo sa, come non ha mai saputo perché fa le cose che fa, perché è nel modo in cui è. Perché ha avuto un brivido di eccitazione quando il Cappello ha gridato Grifondoro e perché li odia così tanto, se poi è così simile a loro. Perché si sente costantemente nel mezzo, mai completamente da una parte o dall’altra.  
«Non riesco a non rovinare tutto, l’ho sempre fatto» dice lentamente e lo sa che non è una risposta, ma è la cosa più sincera che abbia. «E mi dispiace perché questa volta ho perso l’unica cosa a cui tengo.»
Remus lo osserva in silenzio a lungo, poi annuisce lentamente.
«L’hai fatto» dice freddo, prima di allontanarsi.
Sirius resta immobile sino a quando i passi di Remus sono solo un eco lontano. James è ancora lì e gli dà ancora le spalle, ma non accenna a muoversi. Dalla fine del corridoio inizia a provenire il vociare allegro dei loro compagni, segno che le lezioni sono finite, e Sirius se ne va nella direzione opposta, senza una parola.
 
 
James sente Sirius allontanarsi veloce e chiude gli occhi, trattenendo un sospiro.
Ha voglia di piangere e se la ricaccia in gola a fatica, cercando anzi di strapparsi quell’espressione funerea dalla faccia prima di unirsi alla fiumana di ragazzi diretti alle scale.
Fa qualche passo in avanti, ma indugia nel corridoio vuoto ancora per un poco, perché gli serve qualche altro secondo prima di buttarsi in mezzo alle chiacchiere e alle risate fino alla Sala Grande, dove il pranzo è appena stato servito.
Piton, che era nell’aula di Incantesimi con loro poco prima, non lo guarda neanche per sbaglio, ma si stacca dalla fila diretta alle scale per infilarsi proprio nel corridoio in cui è lui, e gli passa di fianco con l’accenno di un sorrisetto ben visibile sulle labbra pallide.
James scatta nella direzione opposta, andando quasi a sbattere contro Frank nell’immettersi nella corrente.
Ha sempre creduto di odiare Severus Piton, ma è solo ora che inizia ad odiarlo davvero.
                                                                                          
                                                                   
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Col senno di poi, nessuno è davvero stupito che sia James a smuovere la situazione.
Dopo quella volta, Sirius non cerca più di rivolgere la parola a Remus né a nessuno di loro e Remus torna a ignorarlo completamente, così come anche Peter, così come anche James stesso, fino a quando invece due settimane dopo, di punto in bianco, non lo trascina nel bagno di Mirtilla Malcontenta e gli insegna, ancora una volta, cosa sia una famiglia, lì tra i cunicoli del bagno delle femmine.  Lo fa come fa sempre tutto, irruente e testardo, e Sirius se lo trova a due centimetri dal viso, spazientito e coi capelli più insensati del solito.
«Piantala» gli sbotta contro.
Sirius inarca un sopracciglio.
«Di fare?»
«Quello che stai facendo.»
Sirius non sa cosa sta facendo e James glielo legge in faccia in mezzo secondo, come se due mesi di silenzio non contassero nulla. «Stai ignorando Remus.»
«Sì, beh, sei in camera con noi, sono abbastanza sicuro che tu sappia che lui sta ignorando me.»
«E allora?» James sbuffa, innervosito. «Non è che siccome lui è arrabbiato con te, tu hai il diritto di lasciarlo perdere.»
«Hai sentito quello che-»
«Sì, ho sentito e Remus ha ragione, lo sai.» James non lo lascia neanche finire, confermando per la seconda volta che due mesi non significano nulla: riesce ancora a rispondere anche a quello che Sirius non dice ad alta voce. «Ma non dev’essere per forza così. Lui non è la tua famiglia, noi non siamo la tua famiglia» Sirius si irrigidisce appena, lo sguardo che si indurisce istintivamente come ogni volta che i suoi amici nominano i Black e una nota d’avvertimento a lampeggiargli nelle iridi grigie. James la ignora senza esitazione, continuando imperterrito: «E loro non ti avrebbero mai perdonato, avresti potuto fare qualunque cosa e non sarebbe mai stato abbastanza. Ma questo è diverso, non puoi semplicemente tagliarci fuori come hai fatto con i Black, perché noi siamo la tua famiglia in un modo in cui loro non lo saranno mai. Avresti potuto fare qualunque cosa e non sarebbe andato bene per loro, ma questa volta puoi farlo, puoi chiedere scusa e cercare di mettere le cose apposto.»
Sirius resta in silenzio, le labbra premute l’una contro l’altra  e la mascella rigida, perché James ha ragione naturalmente, ma Sirius non è quel tipo di persona, che sbaglia e chiede scusa e continua a provarci fino a quando non sistema tutto: quello è James, testardo e leale e senza paura. Sirius non è così, è sempre stato quello che sbaglia e guarda da un’altra parte, aspettando il perdono con ostentata indifferenza, senza mai chiederlo –senza mai aspettarselo. È sempre stato così Sirius e James lo sa, ma ora lo sta guardando negli occhi e gli sta chiedendo di non esserlo.
E Sirius non riesce a ribattere, perché James non gli ha mai chiesto nulla in cinque anni, non davvero.
«Okay? Non me ne frega nulla se non è così che funziona per te, perché questa volta siamo noi e non hai il diritto di arrenderti e basta. Non importa quante altre volte dovrai scusarti e insistere e beccarti un rifiuto, perché era la peggiore paura di Remus ed ora sei tu a doverlo convincere a fidarsi di nuovo di te. E indovina un po’? Non puoi farlo senza fidarti tu per primo di noi. E onestamente, dopo cinque anni trovo anche ridicolo dovertelo dire, che puoi fidarti di noi, del fatto che non importa cosa tu faccia, non saremo mai come i Black. Anche se non ti parliamo da due mesi, anche se ho voglia di prenderti a pugni, anche se Remus finge che tu non esista, non sarà mai come con i Black.»
E una parte di Sirius lo sa che è vero, l’ha sempre saputo. Per il modo in cui James dà voce a paure che Sirius non sapeva nemmeno di avere, per il modo in cui è lì, in quel bagno infestato e fuori uso, ad urlargli contro, nonostante tutto.
Per la B argentata che gli ciondola sul petto e che non si è mai tolto. 
 
Sirius rilassa le spalle e annuisce impercettibilmente, gli occhi fissi in quelli di James.
Le iridi nocciola dell’altro gli stanno ancora silenziosamente dando dell’idiota, ma ha capito.
Sirius è così felice che non ci sia bisogno di parole con lui, perché non saprebbe da dove iniziare.
«Mirtilla ti sta toccando il culo» dice invece, perché quel fantasma ha sempre avuto una cotta imbarazzante per il suo migliore amico.
 
 
 
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Sirius è sollevato di scoprire che il lupo non porta rancore, alla successiva luna piena.
Si becca qualche graffio sul muso, qualche artigliata nella coda, ma nulla più del solito.
Non è una vera sorpresa, perché che il lupo non è Remus lui l’ha sempre saputo.
 
 
Quando Remus apre gli occhi, il sole che filtra dalle crepe oltre le assi che inchiodano le finestre della Stamberga, è solo, ma  non c’è sangue brillante sulle sue unghie, nessuna nuova ferita a squarciargli la pelle, solo il segno sbiadito di denti canini sul suo polso sinistro.
Non ricorda mai nulla delle notti di plenilunio, ma non gli serve aspettare ore e vedere le facce addormentate degli altri e i graffi sulle loro braccia per sapere che i Malandrini sono tornati a correre con lui quella notte: Padfoot gli morde le zampe quando il lupo diventa troppo aggressivo.
Non perdonerà Sirius ancora per diverso tempo, ma per un secondo, solo per un secondo, le labbra gli si piegano leggermente verso l’alto nella penombra della Stamberga, nell’accenno di un sorriso che sparisce subito e non lascia tracce.
 
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Tre mesi e due giorni è la risposta.
Tre mesi e due giorni ci hanno messo i Malandrini a perdonare Sirius Black per qualunque cosa avesse combinato.
Un Corvonero riscuote la vincita per aver azzeccato il tempo esatto, con sommo disappunto e protesta della Tassorosso che aveva puntato su tre mesi esatti, ma le scommesse sulla ragione del litigio non avranno una risoluzione altrettanto definita: dopo qualche altra settimana di speculazione, il resto della scuola si rassegnerà all’impossibilità di scoprire le cause del tutto e la faccenda entrerà a pieno diritto tra i misteri non svelati di Hogwarts, un segreto condiviso solo dai Malandrini stessi e un Serpeverde.
 
Un anno dopo il Serpeverde parlerà e per una Grifondoro del sesto anno non sarà più un mistero.  
Quindici anni dopo il Serpeverde, ora professore, parlerà di nuovo, questa volta di fronte ad Harry Potter.
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Giugno 1975. Londra, Stazione di King’s Cross.
 
Sirius si trascina stancamente il baule verso la barriera del binario, lì dove Orion è appena sparito insieme a Regulus. Nessuno dei due ha guardato nella sua direzione né si sono dati la  briga di aspettarlo naturalmente, ma Sirius sa che se li facesse attendere anche solo un minuto l’inferno delle vacanze estive inizierebbe già dal viaggio verso Grimmauld Place, invece che direttamente sulla soglia.
Ha già salutato i Malandrini, ma quando una mano si chiude all’improvviso sulla sua spalla, facendolo voltare, scopre che James gli è corso dietro.
«Sirius, lo sai che quando diventa troppo, casa mia è aperta, sì?» gli dice affannato.
Sirius sbuffa, accennando un sorriso. Glielo dice ogni singolo anno.
 
Due mesi dopo ha un occhio nero e un baule alle spalle e James gli apre la porta nel cuore della notte, in mutande e dopo essere caduto dalle scale.
«Sei ridicolo,» gli dice Sirius. 
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[...] «Sei ridicolo,» mi informa la figura sulla soglia della porta, tendendomi una mano. I Mangiamorte, così si fanno chiamare, non hanno la voce del mio migliore amico, così afferro la mano e mi lascio tirare su, solo per ritrovarmi davanti il viso sfocato di Sirius. 
[Prologo.]

   
 
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