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Autore: Samy92    06/01/2018    4 recensioni
Bulma parte per una missione di scienziati per andare nella Regione Polare a Nord della Terra, dopo aver brevettato una tecnologia per combattere il surriscaldamento globale. La scienziata più famosa del mondo, infatti, ha creato una molecola in grado di contrastare i gas serra. Non avrebbe mai potuto immaginare che, una volta arrivata tra il freddo dei deserti di ghiaccio, avrebbe fatto una scoperta che, forse, avrebbe cambiato per sempre la sua vita portandogli via la persona a cui, insieme a suo figlio, tiene di più: Vegeta.
Storia prima classificata al Contest “Come neve nella notte di Natale” indetto da Nede
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Goku, Nuovo personaggio, Trunks, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 2_ Distanze incolmabili
 
La mattina seguente, Bulma aprì gli occhi svegliata dai raggi del sole che le accarezzavano la pelle. Prima ancora di schiudere le palpebre, stese il braccio accanto a sé, non meravigliandosi di aver trovato il lato del letto, occupato da Vegeta, vuoto. Non se ne sorprese, era sempre così… si limitò a sorridere mentre il suo profumo tra le lenzuola ancora le accarezzava le narici, decidendosi finalmente ad alzarsi per andare a svegliare il suo bambino.
Dopo una doccia veloce ed essersi vestita e sistemata, uscì dalla sua stanza, per percorrere il piccolo tratto di corridoio che la separava da quella di Trunks. Il bambino dormiva scompostamente, con le coperte attorcigliate attorno alla gamba, decisamente troppo muscolosa per un bambino di otto anni, mentre con le braccia si stringeva al cuscino come se questo fosse dotato di un’anima propria.
Bulma approfittò per osservarlo dormire ancora un po’, prima di avvicinarsi a lui per scompigliargli delicatamente i capelli, destandolo dal suo sonno, schioccandogli un bacio sulla guancia.
“Sveglia giovanotto, è ora di andare a scuola…” gli sussurrò, quando finalmente Trunks aprì i suoi occhi azzurrissimi come i propri, dispensandole un lieve sorriso.
“Mamma… è bellissimo che tu sia di nuovo a casa” disse genuino il bambino, voltandosi all’altro lato, riappisolandosi. Bulma rise di gusto. Come poteva non amare la propria famiglia?! Come poteva non combattere per loro?! Per Trunks e Vegeta?!
Le menzogne a volte hanno una luce strana. Alcune, per quanto possa risultare strano, vengono dette a fin di bene. Bisogna solo valutarne cause ed effetti. La causa erano quelle sfere che pendevano sulla sua testa come un flagello, l’effetto era l’inevitabile sgretolamento della sua famiglia. La soluzione l’aveva trovata nel sorriso di suo figlio e nel calore delle braccia di Vegeta. “Occhio non vede, cuore non duole” cita il detto. E probabilmente ne ha le sue ragioni…
Bulma si stampò uno dei suoi sorrisi più belli e spensierati sul volto. Con Trunks, si diresse al piano inferiore, ignara che avrebbe trovato una sorpresa ad attenderla. Occhio non vede, cuore non duole, ma, se poi l’occhio vede, il cuore finirà inevitabilmente per farsi male perché le menzogne hanno pur sempre una data di scadenza… prima o poi tutto viene a galla ma nel frattempo la fiducia per l’altro è morta, forse per sempre.
 
***
 
Quando finalmente, insieme, madre e figlio arrivarono in cucina per la colazione, trovarono Vegeta seduto ad attenderli. La sua usuale espressione, fredda ed imperturbabile, era macchiata di un qualcosa di diverso che generò un brivido lungo la schiena di Bulma, facendole venire la pelle d’oca.
Due dettagli bastarono per toglierle l’aria dai polmoni e la terra da sotto i piedi. Il cuore le si congelò in gola insieme al sorriso, che le morì sulle labbra, nel vedere sotto la sua mano guantata di bianco, in netto contrasto con il candore della stoffa che lei stessa aveva ricreato per Vegeta, una delle sfere nere, quella con quattro stelle, per la precisione. Vegeta continuava a farla roteare con l’indice contro il piano del tavolo, non distogliendo neanche per un secondo lo sguardo da Bulma. Alla donna non rimase altro che la voglia di piangere e sprofondare, mentre deglutiva il vuoto.
Aveva paura. Per la prima volta sembrava quasi tremare al cospetto di Vegeta. Non era mai accaduto, neanche quando il principe dei Saiyan ancora vantava la sua fama di assassinio sanguinario e, proprio quel pensiero, la condusse a quelle quattro stelle che scintillavano sanguinolente sulla sfera: non era un caso che Vegeta avesse scelto proprio quella con il numero quattro… era la stessa che Bulma, Gohan e Crilin gli avevano rubato sotto il naso. Quando avevano osato prenderlo in giro. Come aveva fatto Bulma, quella stessa notte…
Ressero reciprocamente i propri sguardi. Vegeta non distolse il suo, cinico e penetrante, dell’essere che era sempre stato, da quello di Bulma, neanche quando Trunks, saltellando allegro, ignaro di ciò che stesse succedendo tra i suoi genitori, si avvicinò a suo padre, piegandosi per portare i suoi occhi all’altezza della sfera con la bocca aperta in un “Oh!” di sorpresa.
“Che cos’è, papà?!” chiese, con la curiosità tipica dei bambini della sua età e sua spiccata eredità materna.
Neanche in quel momento Vegeta spostò il suo sguardo da quello di Bulma. Neanche mentre con una stilettata aprì la bocca per la prima volta, rendendo palese a sua moglie, quello che la donna aveva già percepito appena messo piede nella stanza:
“Dovresti chiederlo a tua madre” sputò quasi via, con una punta di disprezzo, freddo e distaccato. Bulma si sentì morire dentro, come se fosse precipitata al suolo, cadendo in volo da cinquanta metri d’altezza.
“Trunks!” richiamò il bambino, che stava ancora osservando la sfera, passandosi con fare pensoso la mano sotto al mento “perché non vai dalla nonna?! Dovrebbe aver comprato i pasticcini che ti piacciono tanto!” disse, provando a celare il tremore della voce, rotta dal pianto ormai prossimo.
“Ma, mamma! Io voglio sapere cos’è quella sfe…” tentò una protesta il bambino.
“Trunks!” alzò a quel punto la voce Bulma “ti ho detto di andare da tua nonna, obbedisci!” disse, gridando a suo figlio come non aveva mai fatto prima. Ad avere il ruolo di genitore duro e severo era sempre stato Vegeta, non lei, che cercava sempre di compensare la dolcezza e la tenerezza nell’educazione di Trunks che a Vegeta, invece, mancava. Lo notò anche Trunks, che ferito, incassò il colpo. Bulma non poté non notare il luccichio ferito dei suoi occhi azzurri e, nel giro di pochi secondi, si sentì morire per la seconda volta.
Senza aggiungere altro, il piccolo bambino dai capelli lilla, si allontanò prendendo la via della porta per impedire che suo padre vedesse che era prossimo al pianto, evitandosi la seconda sviolinata della mattinata, su quanto fosse l’erede della razza Saiyan e su quanto i Saiyan non piangessero. Mai.
Rimasti soli, Bulma e Vegeta, continuarono a studiarsi e a scrutarsi a vicenda. Il silenzio pesava tra di loro, rendendo impossibile non sentire il suo rumore che stava scavando tra di loro una distanza incolmabile.
Lui, troppo orgoglioso per chiedere apertamente spiegazioni, ma fin troppo determinato e testardo per andarsene via senza averle ottenute. Lei, incapace di riuscire ad affrontare la situazione, anche se non era mai stata una codarda. E non lo sarebbe stata neanche in quel momento: fece qualche passo avanti, decisa a parlare. Sentiva ormai le lacrime prossime a sfuggire dai suoi occhi, esattamente come sentiva il senso di colpa accarezzarla, insieme alla consapevolezza che Vegeta non l’avrebbe mai perdonata.
Si sedette di fronte a lui: i suoi occhi azzurri ancora immersi nella notte oscura di quel cielo non più così facile da guardare che erano quelli di lui.
“Ho trovato quelle sfere qualche giorno fa, è stata una donna Saiyan a darmele, affinché io le portassi a te…”
Dicendo quelle parole non distolse neanche un attimo lo sguardo da Vegeta, cercando di carpire qualcosa dalle sue reazioni. Riuscì a scorgere a malapena un lampo di sorpresa e stupore. E non se ne sorprese, perché Vegeta riusciva sempre a celare le proprie emozioni a chiunque, anche a lei…
Bulma trasse un sospiro per darsi forza, riprendendo a parlare, sapendo di avere la sua attenzione… e gli disse tutto. Gli raccontò di Gula, di quello che le era accaduto dopo la distruzione del Pianeta Vegeta, di come la donna avesse raggiunto la Terra e cosa più importante, a cosa servissero quelle maledette sfere.
Vegeta non si perse neanche una parola del suo racconto, continuando ad ascoltare tutto quello che Bulma aveva da dirgli rimanendo serio ed imperturbabile. Almeno all’apparenza. La realtà era ben altra… la verità era che si sentiva strano, confuso, dubbioso, ma, più di qualsiasi altra cosa, si sentiva tradito, come mai accaduto prima, visto che il tradimento arrivava dall’unica persona nell’universo di cui aveva imparato a fidarsi:
“Perché volevi tenermelo nascosto?!” chiese, continuando a scrutarla.
Fu in quel momento che Bulma distolse lo sguardo da lui, colpevole, posandolo sulle sue mani incrociate dinanzi a lei, sul tavolo.
“Vegeta… mi dispiace, io non vole-…” iniziò a dire, tentando di giustificarsi, incapace ormai di arginare le lacrime che scesero come due venature d’acqua, amara, eppure così cristallina sulle sue guance.
Il rumore della sedia di Vegeta che veniva tirata furiosamente indietro e la furia del suo pugno che per poco non ridusse il tavolo di vetro in mille pezzi, calamitò di nuovo l’attenzione di Bulma su di lui con un sussulto.
“Dimmi per quale cazzo di motivo hai deciso di tenermi nascosta una cosa del genere! Volevi scegliere per me, Bulma?! E’ questo che volevi?!” urlò Vegeta, incapace di frenare la sua rabbia. Bulma trasalì, sbiancando. Vegeta non aveva mai urlato, non con lei. L’aveva ignorata, disprezzata, insultata… ma non le aveva mai urlato contro.
Si dimenticò un attimo del tremore e scattò in piedi come una molla. Non era nessuno per urlarle contro in quel modo! Aveva sbagliato a non parlargliene, ma ne aveva tutte le ragioni. Specularmente a quello che aveva fatto lui, si alzò sbattendo furiosamente i palmi aperti sul tavolo, esattamente di fronte a lui, alzando la voce come sempre faceva quando voleva ficcargli qualcosa in quella sua testa granitica:
“L’ho fatto perchè non volevo che mi abbandonassi di nuovo, maledetto stupido! La tua… gloria” disse, vomitando con disprezzo l’ultima parola “il tuo maledetto ego, sono le cose che hai sempre anteposto a me! Mi hai abbandonata quando ero incinta di tuo figlio, te ne sei sbattuto il cazzo di me e di Trunks che aveva appena sei mesi quando il dottor Gelo mi ha quasi fatta schiantare contro le rocce e neanche un anno fa ti sei venduto ad un mago da strapazzo, uccidendo più persone di quante io riesca a contare solo perché la tua rivalità con Goku era più importante di quello che io ho fatto per te da quando dieci anni fa sei entrato da quella fottuta porta. Adesso questo, Io non ce la faccio più, Vegeta! Sono stanca di dover sempre combattere contro il muro che alzi tra te e il resto del mondo! Non so cosa pensi, so solo che hai sempre odiato questa vita, schifosamente troppo terrestre per te. Non mi hai mai detto, neanche mezza volta, che mi ami e adesso questo” disse di getto, indicando la sfera tra di loro “Non ne posso più di vivere nell’incertezza che tu possa andartene da un giorno all’altro, vivendo con la paura di non riuscire ad essere mai abbastanza per te… sono stufa Vegeta!” disse inasprendo il tono, anche se le lacrime le soffocavano la voce.
Per anni, Bulma non aveva mai osato dirgli o rinfacciarli nulla, solo perché era fermamente convinta che infondo fosse stata colpa sua l’essersi innamorata dell’uomo peggiore dell’intero cosmo, avendo accettato Vegeta e tutti i suoi difetti. In quel modo aveva lasciato che gli eventi scivolassero nel corso degli anni senza valutare completamente il peso che entrambi si sarebbero portati dietro. Aveva sperato che quell’animale selvaggio che aveva accolto in casa sua, nel suo letto, un giorno sarebbe riuscito ad amarla completamente, ma in quel momento, mentre lo vedeva di fronte a lei, tanto infuriato solo perché aveva scelto, per una volta, egoisticamente, di tenerlo legato a sé, era sicura di aver fallito e di aver sbagliato tutto dal principio.
Le sue parole, aspre e amare, arrivarono a Vegeta, schiaffeggiandolo ripetutamente in pieno volto, sillaba dopo sillaba. Era la verità, aveva sbagliato molto e continuava a sbagliare anche solo respirando, ma non quella volta. Lei poteva rinfacciargli quello che voleva, ma se Bulma sperava che quella volta avrebbe ceduto, si sbagliava di grosso.
Ognuno per se stesso ascolta la sua verità lasciando muta la propria metà opposta e Vegeta aveva le sue ragioni, esattamente come Bulma aveva le proprie. Ed era quello che li aveva sempre accumunati e separati. Troppo orgogliosi, troppo testardi per coprire le loro distanze. Le parole di Bulma lo ferirono, più di quanto il suo orgoglio fosse disposto a riconoscere. In tutti i modi stava provando a fare ammenda, ma se quella stupida non era disposta a capirlo, allora forse non meritava neanche i suoi sforzi.
“Tsk!” disse, infatti, dandole le spalle “Sarai felice di non dovermi rivedere mai più, allora” e così, dicendo prese la sfera sul tavolo, riunendola insieme alle altre rimaste nello scrigno ai suoi piedi, incamminandosi verso la porta-finestra. La aprì con lentezza estenuante, prima di arrivare in giardino. Non si voltò mai indietro, ma, non ammettendolo apertamente neanche a se stesso, per un attimo sperò che Bulma lo fermasse, ma la donna non lo fece. Lasciò che spiccasse il volo, nel cielo nuvoloso e ombroso di quella giornata dei primi di dicembre, mandandolo incontro al destino che aveva scelto per sé, in cui aveva deciso che lei non avrebbe fatto parte.
A Bulma non restò altro che guardare la sua scia luminosa svanire nel cielo, scivolando a terra, versando tutte le sue lacrime.
 
***
 
Le due settimane di permesso di Bulma passarono in fretta, senza che la donna avesse più notizie di Vegeta. Non aveva ancora lasciato la Terra, di quello ne era certa: non le aveva chiesto né preso alcuna navicella e Trunks ne aveva percepito l’aura in qualche sporadica occasione, quando lei distrattamente gli aveva chiesto se riuscisse a percepirne la presenza, cercando di non turbarlo o insospettirlo.
Il dottor Brief la stava già aspettando alla guida della loro air car, diretti all’aeroporto, quando Bulma uscì in giardino accompagnata dal piccolo Trunks e da sua madre.
La scuola era finita il giorno prima, visto che le vacanze di Natale erano ormai alle porte, e, come di rito, il bambino avrebbe approfittato di quei giorni per passare del tempo con il suo papà. Per i suoi occhi di bambino era normale che Vegeta stesse via per diversi giorni. Il Saiyan non era insolito, infatti, allontanarsi per allenarsi da solo, tornando dopo una settimana o, al massimo, dieci giorni.
Con il cuore in gola, Bulma si chinò in ginocchio davanti a lui, prima di scompigliargli i capelli:
“Trunks, fai il bravo… non far arrabbiare la nonna mentre sarò via!” disse seria, raccomandandosi con suo figlio, mentre Bunny se ne stava dietro di lui, con l’aria melodrammatica e il fazzoletto tra le mani pronto ad asciugare eventuali lacrime che avrebbero inevitabilmente fatto capolino dai suoi occhi, nella simulazione di un pianto isterico.
“Si, mamma!” disse, quasi schernendola, Trunks, roteando i suoi occhi azzurrissimi al cielo “E non farò arrabbiare neanche papà durante il nostro allenamento, te lo prometto! Anzi, chissà perché non è ancora tornato, di solito non sta via più di dieci giorni…” disse il bambino, visibilmente entusiasta all’idea che Vegeta sarebbe presto tornato a casa.
Trunks venerava suo padre come una divinità, era il suo eroe e lei aveva fatto in modo che lui lo perdesse per sempre. Il vuoto allo stomaco che provava ormai da giorni si aprì in una profondissima voragine. Avrebbe solo voluto piangere ed urlare al cielo che era stata una stupida, una sciocca, ma non trovava più la forza neanche per quello. Si limitò a stringere tra le braccia il suo bambino… codarda di nuovo:
“Sono sicura che a quest’ora sarà già sulla via di casa, tesoro!” disse, ingoiando le sue stesse menzogne.
Anche il dottor Brief, attirato dalla strana tristezza di quel quadretto familiare, era arrivato alle sue spalle, sentendo la conversazione di sua figlia con il nipote, mentre salutava sua moglie. A differenza di tutti gli altri membri della sua famiglia, lui era quello che conosceva Bulma più di chiunque altro, ed era l’unico che si era accorto di quanto fosse ormai scarna in volto e triste. La notte non dormiva, preferendo il caffè e il lavoro al calore del suo letto. Il giorno se ne stava chiusa in laboratorio, dimenticandosi anche di mangiare e l’assenza di Vegeta proprio durante i suoi unici giorni di permesso, puzzavano decisamente troppo allo scienziato per non porsi qualche domanda di troppo.
Una volta sull’aereo che li avrebbe riportati nella Regione Polare, infatti, il dottor Brief, notando sua figlia perdersi ad osservare le nuvole dall’oblò dell’aereo con aria triste e stanca non resistette più all’impulso di chiederle il motivo del suo strano comportamento:
“Perchè hai mentito a tuo figlio, tesoro?! E’ chiaro che Vegeta è andato via a causa di qualcosa che è accaduto tra di voi e non per allenarsi… lo vedo dai tuoi occhi, Bulma, hai lo stesso sguardo di quando eri incinta e lui è andato via per allenarsi nello spazio” trasse da solo le sue conclusioni il genitore. 
Bulma non poté far altro che abbassare lo sguardo sulle sue mani incrociate in grembo. Perché quando si trattava di Vegeta le sue emozioni dovevano per forza essere così amplificate?!
“Perchè lo ami, sciocca, tanto da nascondergli un’importantissima verità pur di tenerlo con te!” fu la sua coscienza sporca a rispondere per lei. 
Si era portata quella realtà dei fatti dietro per quindici lunghissimi giorni, sopportandone il peso e, in quel momento, non riuscì a non vedere in suo padre l’unico appiglio che avesse per riuscire a sopprimere il macigno che aveva sul cuore. 
“Oh, papà…” si buttò tra le braccia dell’anziano scienziato, che l’accolse stringendola al suo petto, cullandola tra le sue braccia, come faceva quando era solo una bambina “Sono stata una stupida…” 
Gli raccontò tutto. Per la seconda volta rivelò la scoperta che l’aveva portata a separarsi dall’uomo che amava. Il dottor Brief l’ascoltò senza battere ciglio.
Dubitò, quando sua figlia arrivò a raccontargli della discussione avuta con Vegeta, in cui, il dottor Brief non riusciva a vedere la colpevolezza dell’uomo, se non nell’impulsività con cui era andato via senza farsi più vedere. Per quanto parlasse molto poco con suo genero, aveva imparato a conoscerlo abbastanza bene da sapere che le accuse di Bulma lo avessero ferito più di quanto fosse disposto ad ammettere, in primis a se stesso. E sua figlia… lei si era tenuta dentro tutta la sua sofferenza per anni, accontentandosi di averlo con sé, tirandola fuori nel peggiore dei modi e nel momento meno opportuno.
“Bulma…” la richiamò, non senza sottolineare la severità del richiamo che stava per farle “Hai sbagliato figliola… Vegeta non ti ha detto che avrebbe utilizzato le sfere, ma tu lo hai comunque attaccato, rinfacciandogli cose del passato che forse non avresti dovuto più riportare a galla…” disse spicciolo il genitore “E comunque non penso che abbia intenzione di ripristinare il suo pianeta, vedrai che tornerà da te e da Trunks…è vero, ti ha fatta soffrire molto, ma ricordati che è anche morto per te e per il vostro bambino… vedrai che tornerà, ama te e ama Trunks più di ogni alta cosa” concluse lo scienziato, guardandola dritto negli occhi. 
“Non più del suo ego!” incaponì lei, testarda fino infondo, distogliendo lo sguardo da quello di suo padre “Per quanto riguarda l’amore… non ha mai detto di amarmi, anzi, mi ha sempre detto esplicitamente di non contemplare neanche il significato di quella parola” disse franca e abbattuta, gonfiando le guance dal disappunto, con gli occhi ancora velati dal pianto. 
“La neve, quando cade, lo fa in silenzio, figlia mia…” il dottor Brief rise dell’espressione buffa di sua figlia “Forse non te lo ha mai detto a parole, ma ti ama… glielo si legge in faccia ogni volta che posa gli occhi su di te e tu sei una folle a non averlo ancora capito, anche se lui non lascia alcuna traccia dei suoi sentimenti” concluse infine, asciugandole le lacrime con i pollici, prendendole il viso tra le mani. 
Bulma non ne era affatto convinta, ma, ancora stretta tra le braccia di suo padre, abbozzò, provando a credere alle sue parole, tornando a guardare fuori dal finestrino. 
 
***
 
Il freddo pungente delle Montagne Rocciose gli sferzava il viso, senza però riuscire a sconvolgere più di tanto il suo fisico, abituato a situazioni ben peggiori di quella.
Vegeta era arrivato lì ormai da due settimane e da due settimane non faceva altro che starsene tra quelle alture, a riflettere. Le sfere rilucevano di rosso scarlatto alle sue spalle, in netto contrasto con la neve e la loro presenza pesava alle sue spalle, nonostante fossero poggiate sul morbido manto bianco. 
Non era ancora riuscito ad usarle e si dava del codardo, lì, tra quelle rocce inanimate, dove nessuno avrebbe potuto testimoniare la debolezza del suo animo, diviso tra ciò che sarebbe dovuto essere e ciò che era diventato. Perché una parte di sé non desiderava altro che tornare ad essere il principe dei Saiyan che era sempre stato, mentre l’altra aveva ben altro motivo per non desiderarlo affatto e quel motivo erano un paio di occhi azzurri e dei capelli rilucenti come acqua cristallina. 
Digrignò i denti, serrando la mascella e, per pura frustrazione, con un solo grido sprigionò la sua aura, rilasciando tutta la potenza che in quei giorni aveva tenuto sotto chiave, dentro di sé, per evitare che Trunks o chi per lui, scoprisse dove fosse. 
La terra iniziò a tremare, la neve iniziò a percorrere il fianco delle montagne in enormi valanghe e le rocce si sgretolarono sotto le onde che si diramavano dal suo corpo, impattando su di loro. Finirono in mille pezzi, quando Vegeta caricò un ki-blast distruttivo, scagliandolo contro di loro, mettendo in quel colpo tutta la rabbia che si sentiva addosso.
Delusione, confusione, disorientamento… tutto era racchiuso in quell’unico bagliore che si estinse veloce, così come era stato generato. Il Saiyan, si guardò le mani, guantate e tremanti, riconoscendo in quel tremore la propria insicurezza, odiandosi ancora di più per essere diventato così debole.
Il finimondo che Vegeta stava mettendo su arrivò persino a Goku, sui lontani monti Paoz, che riconobbe subito l’aura del suo amico e rivale, percependo qualcosa di decisamente fuori posto in tutta quella furia sprigionata da Vegeta. 
Il giovane Saiyan se ne stava tranquillo, steso sui prati a riposare dopo un intenso allenamento con suo figlio, Goten, quando avvertì l’aura di Vegeta e la terra muoversi sotto di loro. Si sollevò dal prato, e insieme a lui anche Goten, che lo seguì con lo sguardo ingenuo e carico della sua curiosità di bambino:
“Papà… ma questa non è l’aura di Vegeta?!” chiese il piccolo Goten, prima di continuare “Uffa! Trunks mi ha mentito… ha detto che non si sarebbero allenati e invece stanno combattendo!” disse teneramente il bambino, gonfiando le guance.
“Dimmi, Goten… senti per caso l’aura di Trunks?!” gli chiese Goku, con il sorriso sulle labbra, passandogli una mano tra i capelli ribelli, identici ai suoi. Solo allora il bambino si rese conto che la forza spirituale di Trunks non arrivava dallo stesso posto da cui proveniva quella di Vegeta:
“Figliolo, che ne dici di aiutare tua madre in cucina?!” disse, leggendo la consapevolezza sul volto del bambino, che con un piccolo assenso si congedò da lui, per tornarsene a casa.
Goku, a quel punto, si portò le dita alla fronte e in meno di un secondo si tele-trasportò nel posto in cui si trovava Vegeta. Si materializzò di fronte a lui, proprio mentre il principe caricava l’ennesimo pugno da scagliare contro le rocce.
Goku bloccò la sua mano a mezz’aria, stringendola con forza nella propria:
“Non dirmi che ti sei rimesso in testa di voler distruggere di nuovo la Terra, Vegeta, perché ci stai riuscendo…” disse Goku con ironia pungente, notando all’istante, che, al contrario, Vegeta non aveva propriamente la stessa voglia di scherzare, senza considerare l’aura grigia e l’umore tetro e nero che aleggiavano attorno al suo corpo, visibilmente provato e trascurato, visto che dava l’idea di non nutrirsi da giorni e di non dormire da altrettanto tempo, benché i graffi, le ferite superficiali sul corpo e lo stato in cui riversava la sua tuta da combattimento gli tolsero tutti i dubbi su quanto avesse fatto in quel tempo.
“Che hai, Vegeta?!” chiese preoccupato il più giovane dei Saiyan, inarcando le sopracciglia.
Vegeta non si era mai comportato in quel modo e in un certo senso il suo atteggiamento disorientò e stupì non poco Goku, soprattutto quando il moro dai capelli a fiamma, si liberò bruscamente dalla sua presa, voltandosi dandogli le spalle, arrossendo impercettibilmente per l’imbarazzo e per il fastidio, pronto ad esplodere dalla rabbia da un momento all’altro:
“Non sono affari tuoi, Kakaroth… e vedi di andartene, la tua presenza mi irrita!” sbottò e, in quel preciso momento, Goku fece l’unica cosa che Vegeta avrebbe voluto evitare: vide lo scrigno poggiato a terra, proprio sotto di loro, che ancora si libravano, volando, a mezz’aria.
Prima ancora che Vegeta potesse pensare di fermarlo, Goku era già sceso a terra e lo aveva preso, aprendolo per studiarne il contenuto, prendendo una delle sfere tra le mani, fissando il suo sguardo a metà tra il curioso e il rimprovero in quello dell’altro Saiyan:
“Vegeta, che significa questo?! Da dove diavolo hai preso queste strane sfere del drago?!” chiese, aspettandosi una risposta che però non arrivò, ma che, anzi venne sostituita da un violento pugno che impattò sulla sua guancia.
Con un repentino sbalzo d’aura, Vegeta raggiunse il secondo livello del Super Saiyan e a Goku non rimase altro da fare se non raggiungere il suo stesso livello di combattimento, per pararsi dai suoi attacchi, lasciando ricadere a terra la sfera, insieme allo scrigno.
Vegeta continuava a colpirlo con pugni che impattavano sulla difesa delle sue braccia, con una foga che varcava la linea sottile tra la collera e la follia, senza dargli tregua:
“Che ti succede, Kakaroth?! Non dirmi che non hai il coraggio di attaccare!” gli disse il principe, sbeffeggiandolo, in un’immagine che era più simile al Vegeta arrivato per la prima volta sulla Terra che all’uomo e padre di famiglia che era diventato, per lui ormai più un fratello che un rivale.
“No!” disse di nuovo Goku, bloccandogli il polso per poi scagliarlo furiosamente con la schiena contro un masso distante una decina di metri da loro “Non combatterò contro di te, Vegeta, almeno fino a quando non mi avrai detto cosa diavolo ti sta succedendo! Sei irriconoscibile e sei fuori di te… inoltre non mi hai ancora detto a cosa servono quelle sfere che ti porti dietro” disse Goku, chiudendogli ogni possibilità di attacco o di fuga, parandoglisi di fronte, con le mani incrociate sul petto, in una posa più tipica di Vegeta che propria.
“Tsk!” biascicò Vegeta, recuperando la calma, sebbene il ticchettio al suo occhio sinistro non volesse saperne di fermarsi, scostando Goku con una spallata, recuperando la libertà che quell’inetto, con la sua presenza asfissiante gli aveva ostruito “quelle le ha trovate Bulma…”
“Bulma?!” chiese Goku incredulo, rispondendogli con un’altra domanda, studiando il suo andamento mentre Vegeta rimetteva la giusta distanza tra di loro.
“Possono esprimere un solo desiderio e quel desiderio può essere espresso da una sola persona…” continuò Vegeta, più parlando al vento che alla fastidiosa presenza alle sue spalle.
“Che-che desiderio?!” chiese ancora Goku, mentre l’incertezza si faceva sempre più spazio in lui.
“Rispristinare il Pianeta Vegeta” concluse spicciolo l’altro Saiyan, voltandosi, ben attento ad individuare ogni minima reazione dell’altro, trovandovi una buona dose di stupore e perplessità. Goku era così… incapace di nascondere le proprie emozioni, a differenza sua che non lasciava mai intravederne alcuna.  
“E chi sarebbe l’unica persona che potrebbe esprimere il desiderio?!” continuò con le sue domande Goku, passandosi l’indice sotto al naso, con fare pensoso.
Un’occhiataccia di Vegeta fu più che sufficiente a dargli la risposta che cercava e a quel punto, per Goku, tutto si delineò e si fece più chiaro:
“Lasciami indovinare…Bulma te lo ha tenuto nascosto ma tu l’hai scoperto lo stesso. E’ così Vegeta?!” disse Goku, portandosi le mani sui fianchi, inclinando la testa di lato per studiarlo, con uno strano sorriso sulle labbra. Conosceva Bulma abbastanza da sapere cosa fosse disposta a fare per la sua famiglia. Esattamente come la ragazzina di sedici anni, che si era presentata da lui con tutta la sua incoscienza per intraprendere la ricerca di sette sfere dei desideri che le avrebbero dato il principe azzurro che aveva sempre sognato e che, alla fine, invece, l’avevano condotta dall’unico principe che le aveva rubato il cuore.
Se non altro, adesso, Goku aveva ben chiara la causa del turbamento di Vegeta. Non aveva bisogno che lui gli rispondesse, sapeva che non lo avrebbe fatto… gli bastò vedere Vegeta voltarsi di nuovo a dargli le spalle, stringendosi le braccia al petto, chiudendosi nel suo guscio personale, per capire.
"Sai, Vegeta…” ricominciò Goku, dopo una breve pausa, ben sapendo che l’altro Saiyan non avrebbe aggiunto altro, aspettando solo il momento in cui lo avrebbe lasciato in santa pace “Mi piacerebbe molto vedere il nostro pianeta di origine, ma vedi, credo che forse, in un certo senso, doveva andare così. Io sono stato impacchettato e spedito via quando ero ancora un neonato… Tu sei stato usato come merce di scambio con Freezer quando eri solo un bambino e Bulma… credo che lei ci abbia salvati entrambi. Infondo merita una seconda possibilità. Se tu avessi voluto ripristinare il Pianeta Vegeta lo avresti già fatto senza esitazione. Stai solo prendendo tempo per non dover ammettere a te stesso che hai già scelto lei e non il tuo orgoglio di guerriero e Saiyan. Tutti sbagliamo…e tu lo hai fatto più di tutti in passato, ma lei non ti ha mai negato il suo perdono” concluse il suo discorso, Goku, tirandogli la sfera. Vegeta l’afferrò senza neanche voltarsi a guardarlo, nello stesso momento in cui Goku sparì, usando di nuovo il tele-trasporto, lasciandolo solo.
Forse, dopotutto, per quanto fosse insopportabile doverlo riconoscere, Kakaroth aveva ragione…
 
***
 
Era il 23 dicembre. Quella mattina l’impianto per il rilascio delle molecole di Ralgite era stato attivato, collaudato e dichiarato funzionante. I laboratori, le attrezzatture, i tralicci di montaggio… tutto era stato smantellato lasciando nella distesa di ghiaccio solo la base con gli alloggi degli scienziati che li avrebbero ospitati soltanto per quella notte ancora.
La mensa comune, quella sera, si era trasformata in un’enorme sala per festeggiare la riuscita del progetto e l’ormai imminente arrivo del Natale, per il quale gli scienziati si sarebbero separati in via definitiva, per tornare ognuno alle proprie vite, alle proprie case e alle proprie famiglie.
Bulma, se ne stava da sola, nell’angolo più remoto della sala ad osservare i vari gruppi di persone: tra di loro c’era chi parlava e rideva animatamente, chi ormai, a causa dell’alcol, aveva già salutato i livelli di lucidità da un bel pezzo, arrivando anche a destreggiarsi in discutibili performance canore e ballerine e chi invece continuava ad ingurgitare sidro bollente e qualche altro schifosissimo super alcolico per riscaldarsi dal freddo di quella nottata tra i ghiacci, particolarmente gelida, come il gruppetto formato da Ivar, Kim e Nikolai.
Forse loro non percepivano il freddo di quella nottata come invece lo percepiva lei… ed era solo colpa sua, se sentiva la sua anima fredda ed inanimata, rimasta congelata a più di due settimane prima.
L’indomani, come tutti gli altri, Bulma sarebbe ripartita per tornarsene a casa. Avrebbe trovato Trunks ad attenderla, per festeggiare con lui il Natale. Ma non ci sarebbe stato Vegeta. Vegeta a cui non importava nulla delle “loro stupide usanze terrestri” e che, anche se ci fosse stato, avrebbe trascorso comunque la sua giornata di Natale ad allenarsi nella Gravity Room. Eppure quella volta, le sarebbe bastato anche quello: saperlo a pochi passi da lei, consapevole che, in ogni caso, al calare delle ombre avrebbe sempre trovato il suo corpo caldo a scaldarla durante la notte. Perché Vegeta era cosi: amava senza lasciare traccia e lei aveva coperto, come una sciocca, anche le poche che era riuscita a scorgere in quegli anni sotto il timore, l’egoismo e la paura.
Senza trattenersi oltre in quell’atmosfera di festa che non le apparteneva per nulla, si alzò dal suo posto per andare a rifugiarsi nel suo alloggio, ignara di essere seguita lungo il corridoio della base, almeno fino a quando non si sentì richiamare da una voce biascicata nel buio alle sue spalle:
“Bulma!”
Per un attimo il fiato le si smorzò in gola dal timore, fino a quando non si voltò riconoscendo il soggetto a cui apparteneva quella voce consunta dall’alcol:
“Ivar, sei tu!” sospirò, quasi di sollievo. Per un attimo aveva temuto fosse qualcun altro.
Eppure, non era ancora troppo tardi per temere, perché, cogliendola del tutto impreparata, il rosso le si gettò addosso sbattendola contro la parete alle sue spalle, afferrandola per il sedere spingendosi contro di lei con un’eccitazione che la donna sentì chiaramente contro la sua gamba, facendole provate terrore e repulsione.
“Perché, speravi fosse qualcun altro, Brief?! Il tuo compagno forse?! Mi chiedo come faccia a stare lontano dalle cosce di una donna calda come te” le alitò sulle labbra, afferrandole violentemente i polsi portandoglieli sopra la testa, mentre con foga le bloccava le labbra, incastrandole con le sue, baciandole contro la volontà della donna che non faceva altro che dimenarsi e respingere il suo bacio, fino a quando non riuscì a morderlo con violenza, fino a sentire il suo sangue defluirle nella bocca, accompagnato da un conato di vomito che le salì nello stomaco.
Approfittando della sua momentanea distrazione, Bulma alzò il ginocchio, colpendolo violentemente dritto tra le gambe, facendolo crollare a terra, quasi privo di sensi. Fuggì, correndo lungo il corridoio, pulendosi schifata la bocca, tenendosi una mano sul petto per cercare di calmare il respiro, che si regolarizzò solo quando non si richiuse a doppia mandata la porta del suo alloggio alle spalle.
Solo quando fu nella totale tranquillità della sua stanza, ripensò con orrore a quanto stava per accadere, scivolando a terra contro il freddo metallo della porta, regolarizzando il respiro e il battito del cuore, passando a rassegna tutto quello che la sua mente aveva registrato durante l’assalto di Ivar.
Dopo averlo colpito, però, era fuggita via subito… troppo presa dal panico per soffermarsi sull’importante dettaglio di una luce azzurrognola che illuminò, poco distante da lei, la mano e il volto di una figura nascosta nell’ombra, che sgusciò via, portando i suoi stivaletti bianchi, di fronte agli occhi riversi al suolo di quell’uomo viscido che aveva osato metterle le mani addosso...
 





Salve a tutti! Eccomi con il secondo capitolo, che anticipa quello di chiusura che verrà pubbliato tra oggi e domani! Colgo l'occasione per ringraziare tutti voi che avete letto e accolto questa storia, ringraziando in special modo voi che mi avete lasciato le vostre bellissime recensioni a cui risponderò quanto prima questa sera! GRAZIE MILLE!!!
A prestissimo, baci!....
   
 
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