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Autore: Axel Knaves    22/01/2018    1 recensioni
Un patto di sangue involontariamente stretto e un'invocazione fatta per scherzo, portano Eva Rossi a condividere il suo appartamento con Helel (a.k.a. Lucifero) e Azrael (a.k.a. Morte).
Ma cosa potrebbe mai andare storto quando condividi la vita e la casa con la Morte, che entra nei bagni senza bussare, e il Diavolo, che ama bruciare padelle?
Eva non potrà fare altro che utilizzare le sue armi migliori per sopravvivere a questa situazione: il sarcasmo e le ciabatte.
~Precedentemente intitolata: Bad Moon Rising e Strange Thing on A Friday Night
~Pubblicata anche su Wattpad
Genere: Comico, Demenziale, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Nonsense | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
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[4]» Roller Coster di Emozioni «[4]

 

Dopo che i miei, così detti, “amici” ebbero finito di ridere e ripreso un contegno – il che aveva contemplato anche tre professori delle aule vicine che erano usciti per dirci di smettere di disturbare le lezioni della mattina… E non volevo neanche immaginare che cosa avessero pensato gli altri studenti vedendo un gruppo di ragazzi quasi alle convulsioni da quanto stavano ridendo e una ragazza che si stava per strappare i capelli per l’imbarazzo, mentre imprecava come un marinaio – decisi di saltare le lezioni di quella mattina e seguirli in biblioteca.
Eravamo un piccolo gruppo di nerd, per cui iniziammo a studiare appena preso possesso di un tavolo e fortunatamente per alcune ore avevano deciso di lasciarmi crogiolare nel mio imbarazzo, per la figura di merda, e di cambiare argomento.
Avevamo così passato una piacevole mattina tra studio, battute squallide e doppi-sensi; quasi da dimenticarmi come la mattina sembrava essere iniziata nel modo più spiacevole possibile.
«Ora che sei più rilassata, ci vorresti raccontare come mai stamattina sei arrivata a passo militare e con uno sguardo che poteva uccidere?» Mi chiese curiosa Sonia, mentre masticava il cappuccio di una penna. Un brutto hobby che aveva, ma che allo stesso tempo la rendeva sexy… Cosa? Sarò pure donna ma gli occhi per vedere li ho anche io!
«Ho litigato con uno dei coinquilini». Risposi a denti stretti, ricordandomi come Helel mi aveva trattato quella mattina. 
Stupida mortale? Davvero? Avrebbe visto quando ero una “oh così innocua mortale” quando gli avrei infilato qualcosa su pe–
«Calma i tuoi pensieri, piccolo Sith», Claudia mi portò alla realtà, era seduta di fronte a me con accanto Vittorio. «Sento i tuoi pensieri omicidi fin qua».
«Omicidi no», risposi veritiera. «Ma non posso promettere che non stessi pensando a qualche modo per torturarlo…»
«Sì», rispose Vittorio annuendo, «l’avevamo notato dal modo in cui stai stringendo quella matita».
Mi guardai le mai e compresi casa intendeva: le mie nocche bianche erano strette saldamente intorno alla matita che avevo rotto senza accorgermene.
Sospirai e lasciai cadere il cadavere dalla mia mano sul mio quaderno. Mi nascosi il viso nelle mani in maniera frustata.
«Almeno chi ha torto dei due?» Chiese Claudia, ovviamente curiosa.
Aprì lo spiraglio tra l’indice e il medio e la guardai con un occhio solo.
Helel è nel torto!
Fu il mio primo pensiero, ma poi ci riflettei un attimo. Era davvero così? Sì, era vero: Helel non aveva il diritto di insultarmi in casa mia, quando gli stavo offrendo vitto e alloggio gratis…
Ma non era colpa sua se era costretto a vivere sotto il mio stesso tetto… Quello era colpa mia…
«Entrambi…». Risposi incerta a Claudia. «Abbiamo torto entrambi».
Claudia mi sorrise e annuì, come se capisse tutto ciò che mi era passato per la testa.
«OhmioDio! Guardate chi c’è là!» Esclamò all’improvviso Sonia dal posto accanto al mio, facendomi saltare dalla sorpresa, indicando un tavolo poco distante da noi.
Le teste di noi tre scattarono in un attimo e dovetti mettermi una mano davanti alla bocca per non emettere strani versi di imbarazzo: seduto da solo, con le cuffie nelle orecchie, c’era Mr. Perfect che stava studiando.
Questa volta, essendo i neuroni un attimo più preparati, riuscii a studiarlo meglio: era alto, anche da seduto si notava. Le gambe stese e accavallate erano avvolte in un paio di jeans attillati e stracciati sulle ginocchia, mentre il mur– cioè il petto era coperto da una maglietta bianca.
Aveva la testa china su un libro, una mano che teneva i capelli dal farli cadere sugli occhi mentre con l’altra si stava massaggiando il collo.
Avevo già detto che sembrava un principe Disney uscito direttamente da uno dei cartoni animati?
«Dovresti andargli a parlare». Disse placidamente Claudia.
«COSA?!» Esclamai, anche se sembrò più il verso di un T-Rex in preda a strani dolori.
«Claudia ha ragione», concordò Vittorio, «non ti sei scusata per avergli preso contro stamattina».
«Torio forse quello che volevi dire era: “per averlo stuprato con gli occhi”». Corresse Sonia e io le diedi una pacca sulla spalla.
«Non lo stavo stuprando con gli occhi!»
«Oh, ma per favore! Ti stavo per andare a prendere una vasca da piscina olimpionica per quanto stavi sbavando!» Puntualizzò la bionda.
«Senza parlare che ha rischiato di inondare l’intero edificio quando l’ha guardato negli occhi, eri di certo sul punto di venire!» Aggiunse la mora seduta davanti a me.
Mi sentii avvampare per l’imbarazzo. Forse non mi conoscevano ancora benissimo, ma di certo mi conoscevano già abbastanza.
«Se gli vado a parlare, la finite?» Chiese esasperata, mentre chiudevo gli occhi e le spalle mi caddero in disfatta. Queste due avrebbe potuto vincere una qualsiasi guerra solo annoiando i nemici, finché non avessero chiesto pietà.
«Forse». Rispose Vittorio, per le due, con un sorrisetto malvagio in faccia.
«Vittorio!» Esclamai disperata. «Anche tu no!»
Lui non disse nulla, semplicemente indicò Mr. Perfect con la testa.
Senza altri tentennamenti mi alzai dal posto.
Feci un grosso respiro, drizzai le spalle e mi feci strada verso il ragazzo.
«Scusa». Lo chiamai timidamente appena fui di fronte a lui.
Il ragazzo alzò lo sguardo e dopo avermi notato si tolse gli auricolari. Lo studiai nei suoi movimenti: era aggraziato e gentile. Le mani erano curate e le dita erano affusolate e lunghe. Il volto era pregiato quanto la ceramica cinese. I tratti evidentemente orientali.
Per la miseria! È così perfetto da non avere neanche l’acne, questo essere etereo?
«Si?» Chiese con la stessa voce profonda di stamattina e usai tutto il mio auto-contegno per non svenire lì sul posto.
«Volevo scusarmi per stamattina, non ero attenta a dove stavo andando e non ti ho visto». Dissi abbassando la testa e grattandomi la nuca. Ovviamente, essendo me in questa situazione, il disagio aumentò ancora di più notando come ero vestita: jeans neri e maglietta nera di tre taglie più grande.
A volte odiavo il fatto che mi piacessero così tanto i vestiti larghi e maschili.
«Non ti preoccupare», ridacchiò lui. Alzai gli occhi e vidi che mi stava porgendo la mano.
«Jason Park». Si presentò e mi sorrise.
Risposi al sorriso.
«Eva Rossi». Dissi e allungai il braccio per stringergli la mano, quando qualcosa mi colpì la nuca: «Ahi!»
Piegai la testa in avanti e portai entrambi le mani a massaggiarmi il punto colpito. Mi girai per vedere cosa mi aveva colpito e chi era stato, il secondo dopo avrei voluto scappare: Azrael ed Helel erano sulla soglia della biblioteca.
Sul viso di Azrael apparve un enorme sorriso quando i nostri sguardi si incrociarono dai due estremi opposti della stanza; i miei occhi si posarono poi su Helel, che aveva il capo chino e con entrambe le mani si massaggiava la testa.
Mi girai velocemente verso Jason con il migliore sorriso che potessi dargli, non feci neanche caso alla sua reazione.
«Scusa Jason, devo scappare, è stato un piacere conoscerti. Ci vediamo». Dissi in un nano secondo e mi fiondai verso i due angeli che si trovavano sulla soglia.
«Cosa ci fate qua?» Gli sibilai appena fui abbastanza vicina.
«Ti stavamo cercando». Disse Azrael, il sorriso non pieno come qualche secondo fa. «Chi era il ragazzo con cui stavi parlando?» Chiese, poi.
Abbassai l’indice con cui l’Angelo della Morte stava indicando Jason.
«È scortese indicare qualcuno», gli ricordai, «è Jason, l’ho conosciuto oggi». Risposi e notai il suo sorriso vacillare un attimo. E ora che aveva anche lui?
Eva, priorità. Mi dissi.
«Perché mi stavate cercando?» Chiesi, lasciando andare la mano di Azrael; che era stranamente piacevole da stringere.
Azrael distolse gli occhi da Jason e appena tornarono su di me, riapparve anche il sorriso.
«Primo, Helel ti deve parlare», mi rispose e con la coda dell’occhio fissai Helel che si era d’improvviso rizzato alle parole del fratello. «Secondo, stiamo morendo di fame e tu stamattina sei scappata via senza neanche lasciarci i soldi per poter andare a prendere un take away». Aggiunse.
«Scusa». Gli dissi. Qualche ora prima ero così accecata dalla rabbia che mi ero completamente dimenticata che senza me ai fornelli, questi due sarebbero potuti benissimo morire di fame.
«Questo possiamo risolverlo anche dopo, prima ascolta Hel, per favore. E se non vuoi ascoltarlo, fallo per me». 
Azrael aveva lo sguardo puntato nei miei occhi e riuscii benissimo a vedere la supplica muta che mi stava facendo: “Dagli una seconda possibilità, per me”. Come potevo dirgli di no? 
Annuii e mi girai verso Helel, braccia incrociate al petto e sguardo che segnalava di non gettare via anche questa possibilità in più che gli stavo offrendo.
Il Diavolo mi studiò un attimo in volto mentre si mordeva il labbro inferiore, ovviamente esitante e agitato. Aspettate, l’Angelo Caduto in persona era impaurito dalla risposta che gli avrei dato? 
«Eva…», iniziò titubante. Mi guardò, la bocca aperta per parlare ma non ne usciva nessun suono. Gli occhi bianchi stavano urlando rancore, rimorso e vergogna; eppure la sua bocca si chiuse senza che un suono ne uscisse.
Helel chiuse gli occhi e sospirò, ovviamente frustato con se stesso. Mi fece un po’ di tenerezza.
Poi, all’improvviso, mi ritrovai avvolta in un abbraccio. Due braccia lunghe e forti erano avvolte attorno alle mie spalle mi premevano contro a un petto per non permettermi di scappare. Il respiro del Diavolo mi batté contro l’orecchio.
Finalmente l’uomo dagli occhi albini mi parlò, in sussurro.
«Mi dispiace». Si scusò. «Mi dispiace di averti tratta come spazzatura in questi giorni. Mi dispiace averti trattato come nulla quando tu ci stai aiutando in tutte le maniere che puoi. Ti sei presa la responsabilità di avere due angeli in casa e badare a loro mentre si abituano a vivere una vita mortale. Ci hai offerto un letto, un tetto e un piatto caldo, quando molti ci avrebbero lasciati alla fame. Ci hai lasciato scivolare nelle tue conoscenze anche quando tutto ciò che avevi letto di noi era malvagio o in un minimo modo negativo.
«Hai saputo del patto di sangue e non ti sei né arrabbiata, né spaventata. Sei rimasta calma e appena arrivati a casa ci hai fatto bere una tisana calda mentre preparavi i letti in cui avremmo dormito. E tutto questo io l’ho ripagato con parole brusche e offese. Ero così offuscato da tutti i pregiudizi che i miei sottoposti mi avevano fatto entrare in testa, che non riuscivo a vedere ciò che stavi facendo per noi.
«Non ti prometto che riuscirò a cambiare dall’oggi al domani, ma ti posso promettere che se mi darai una seconda possibilità cercherò di migliorarmi un poco alla volta, con anche il tuo aiuto. Perciò, ti supplico, perdonami».
Sentivo le lacrime pungermi gli occhi, mentre Helel diceva quelle ultime quattro parole singhiozzando. Se una cosa l’avevo imparata da mio fratello maggiore era che il pianto di un uomo vale come una testimonianza firmata in tribunale: fu per questo che senza troppi pensieri abbracciai indietro Helel.
«Ssshhh, va tutto bene, va tutto bene». Lo consolai con voce calma mentre con una mano gli accarezzavo i capelli e con l’altre lo tenevo stretto a me. «Ti perdono e ti prometto che farò tutto ciò che è in mio potere per aiutarti; tu promettimi solo di essere te stesso da ora in avanti».
Helel annuì, la testa ancora nascosta nel mio collo.
Dopo ancora qualche minuto di singhiozzi Helel mi lasciò andare e si rimise dritto. Dovetti usare tutto ciò che avevo per non mettermi ad urlare: Helel con gli occhi arrossati dal pianto era tenerissimo.
«Bene!» Esclamai, distogliendo lo sguardo dal viso tenero di Helel. «Cibo!» Guaì Azrael riavvicinandosi a noi. Non mi ero neanche accorta che si fosse fatto più in là per lasciare parlare me e Helel in privato.
«Sto con mio fratello», disse Helel, «ho i crampi dalla fame».
«Siete proprio due bambini!» Ridacchiai, guardandoli lamentarsi della fame.
«Ehi!» Esclamarono indignati insieme e facendomi ridacchiare ancora di più.
«Okay, okay, calmi», mi scusai alzando le mani in segno di resa. «Fatemi andare a prendere la borsa e poi vi porto in un ristorante qua vicino, okay?».
I due fratelli mi sorrisero e annuirono. Gli sorrisi in dietro e poi mi diressi a prendere la borsa al tavolo dove, Sonia, Claudia e Vittorio stavano ovviamente spiando le mie interazione con i due angeli.
Mentre percorrevo la biblioteca sorridendo iniziai a pensare che forse quella mattina avevo sbagliato: forse non sarebbe stata così tanto dura condividere la casa e un po’ del mio tempo con Azrael ed Helel.

 

»Angolo Autrice«

Ed ecco il quarto capitolo, finalmento finito l'editing!!! Yessa!!!
E finalmente viene presentato Mr. Perfect a.k.a. Jason Park e mica quello che Azreal prova è una punta di gelosia? è.é 
Helel e Eva finalmente si chiariscono e sembra che il loro rapporto ripartirà da capo con, si spera, un esito migliore.
Ma la tranquillità non durerà a lungo infatti dal prossimo capitolo si inizieranno a vedere qualche problemuccio all'orizzonte, con anche la comparsa di vecchie conoscenze e persone che si sarebbero volute dimenticare nel passato.
Cosa succederà? Non avete che da aspettare e scoprirlo!
Infine come sempre un ringraziamento a A.S., che tra poco potrebbe diventare benissimo la mia editor.
Spero tanto che anche questo capitolo vi sia piaciuto!
Se volete lasciare una recensione o seguire la storia nessuno vi ferma ;)

Axel Knaves

   
 
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