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Autore: Merwen Uchiha    25/01/2018    8 recensioni
Una corona forgiata nella notte dei tempi.
Un impero millenario sull'orlo del baratro.
Una regina i cui poteri vanno oltre ogni immaginazione.
Un ragazzo dagli occhi color dell'oro, sul cui passato incombe la scure del destino.
Un uomo plasmato dalla guerra, consumato dalla fiamma di un odio inestinguibile.
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"Tu sei Lady Higurashi? La regina delle ombre? Naaaah, non può essere. Lei sarà una... una con la risata gracchiante."
"Con la risata gracchiante?" Kagome inarcò un sopracciglio.
"Tipo una vecchia pazza. Hai presente? Una che ridacchia mentre prepara le pozioni, con un solo dente in bocca" rispose Inuyasha, convinto.
"Come ti chiami?" chiese lei, guardandolo come se fosse una strana creaturina strisciante.
"Inuyasha, Vostra principessaggine" disse, esibendosi in uno svolazzante inchino, come quelli che aveva visto fare a Myoga.
"Stai male?" domandò la ragazza.
"Non è così che si fa? A inchinarsi, intendo?"
"Certo, se fossi una piovra però" rispose Kagome soffocando una risata.
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"Hai ucciso qualche drago di recente?" chiese Kagome sorpresa.
"Tsk, certo che no, stupida!" replicò Inuyasha.
"Un demone? Un orco? Un esercito di giganti? Cosa hai fatto di così eroico?" tentò nuovamente la ragazza.
"Ho catturato un paio di conigli. Vale?" rispose lui.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inuyasha, Kagome, Rin, Sesshoumaru, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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“Datemi il mantello, mettetemi la corona:
ho desideri immortali in me”
-William Shakespeare,
Antonio e Cleopatra
 
CastelCupo, stanza della regina
 
“Alzati, Kagome.”
“No.” La ragazza si tirò il pesante piumone sopra la testa. “Sto dormendo”. Si rannicchiò meglio dentro il suo bozzolo, immergendosi ancora di più nel conforto dell’oscurità.
“È tardi” insistette Mary, la sua tata.
Kagome sbirciò fuori. “È ancora buio”
Mary alzò gli occhi al cielo e obiettò seccamente: “Siamo a CastelCupo, è ovvio che sia buio.”
Nessuna risposta.
La tata prese un profondo respiro, poi ordinò con tono imperioso: “Ascoltami, Kagome Higurashi, tu ti alzi adesso!”.
“Mary!”
“In piedi. Ora!” replicò la donna, inflessibile.
La ragazza nascose la testa sotto il cuscino e bofonchiò: “Non – voglio – alzarmi!”.
“Giuro sui Sei Principi che ti alzerai, a costo di trascinarti per i capelli” disse Mary.
Kagome mugugnò qualcosa di incomprensibile e si rintanò ancora di più sotto la coltre di coperte.
Qualcosa di caldo e umido sfregò contro la sua guancia. Un paio di grandi occhi scuri la fissavano.
La ragazza sorrise al suo gatto, che si era arrampicato sul suo cuscino e, una volta attirata la sua attenzione, aveva cominciato a fare le fusa.
Lei lo prese in braccio e chiese: “Tu cosa ne pensi, Buyo?”.
Per tutta risposta, il gatto fece le fusa ancora più forte. Kagome ridacchiò: “Hai proprio ragione, Mary è una vecchia acida”. Buyo le leccò una guancia.
“Fai scendere dal letto quella bestia bavosa” intimò Mary mentre esaminava i capelli arruffati di Kagome
“Ahia!” protestò la ragazza. “Che stai facendo?”
“Lo vedi questo?” Mary le agitò davanti al viso un rametto che aveva appena estratto dal groviglio di capelli. “Ti sei di nuovo arrampicata sugli alberi di mele con quella servetta, come si chiama… Rin?”
“Non so di cosa parli” protestò Kagome.
“E se fossi caduta e ti fossi spezzata il collo, ragazzina?” sbraitò la donna. “Non che a me importi minimamente, ma c’è molta gente là fuori che dipende da te.”
“Davvero? Avevo capito che tutto quello che dovevo fare era starmene buona, graziosa e tenere la bocca chiusa” bofonchiò Kagome. “Le mie responsabilità sono stupide.”
“Tu? Tenere la bocca chiusa? Venisse il giorno!” Mary scostò le una ciocca dall’orecchio. “Il popolo ti ammira. Quello che fai, quello che dici, conta. La gente vuole poter essere orgogliosa di te e ora…” la sua voce si incrinò leggermente “ora che non ci sono più tuo padre e tuo fratello, è compito tuo far si che vengano giorni migliori per tutti. I Sei sanno quanto ha sofferto il nostro regno”. Mary le accarezzò il braccio con inaspettata dolcezza. “Il tuo lavoro è prenderti cura del popolo di Genna, il mio lavoro è prendermi cura di te”.
Kagome le strinse la mano e sorrise dolcemente: “Non devi preoccuparti per me”.
“Non preoccuparmi? Bambina, mi preoccupo per te dal giorno in cui sei nata! Se non mi prendo cura io di te, chi lo farà?” disse la donna con un velo d’ironia.
Mary aveva la pelle sottile. Kagome fece scorrere il polpastrello lungo una vena azzurra. Alzò gli occhi verso quel volto, segnato da un vasto reticolo di rughe. Le scostò una ciocca di capelli argentei. “E chi si prende cura di te, Mary?”
“Io non ho bisogno di nessuno. Eh poi, chi si prenderebbe cura di una, com’è che hai detto prima? Ah, sì una vecchia acida come me?” disse la donna con malcelata amarezza.
“Io vorrei” rispose Kagome con estrema dolcezza.
Mary rise.
“Che c’è?” Kagome gonfiò le guance indispettita. “Discendo dai Sei Principi.” Proseguì con sussiego. “Il sangue dei più grandi maghi mi scorre nelle ven…”
“E cosa ci fa questa sul pavimento?” la interruppe Mary, raccogliendo la vestaglia. “L’avevo appena lavata e ora ci sono zampate dappertutto.”
“Mary! Tu non mi ascolti” protestò la ragazza con tono lamentoso. “Potrei essere dotata di meravigliosi poteri magici e tu stai solo…”
“Poteri magici? Non dire sciocchezze! Una ragazza con i poteri magici? Tsk, mai sentita una cosa del genere!” ribadì la donna scuotendo la testa.
“Io potrei avere dei poteri” insistette Kagome con tono sognante.
“Bambina, tenere il broncio non è un potere magico.”
La giovane regina le scoccò un’occhiataccia offesa.
Mary non si lasciò turbare. “Tuo padre – che i Sei proteggano la sua anima – mi guardava con quegli stessi occhi ogni volta che doveva fare qualcosa che non gli piaceva. Grigi* come il cielo in tempesta”. Sospirò, poi schioccò le dita e ordinò ad alta voce: “Sango, porta i vestiti di Lady Higurashi!”.
“Sì, signora” rispose vivacemente la ragazza, entrando nella stanza.
Kagome sorrise alla damigella, da sempre la sua migliore –nonché unica- amica. Sango si inchinò con grazia e ricambiò il sorriso.
“Ragazza, sono pronti i vestiti?” chiese Mary.
“Sì, signora.”
“E il mantello?”
“Sì, signora” ripeté nuovamente Sango, indicando con un cenno del capo l’angolo dove, illuminato da due enormi candelabri di ferro, c’era un mantello nero, ornato da alamari d’argento.
Kagome gemette. “Il Mantello delle Ombre? Ma prude!”
“Questo non è un mio problema” ribatté placidamente Mary mentre passava di candela in candela con un fiammifero.
Una morbida luce color ambra sbocciò timidamente, rischiarando gli angoli e le nicchie scavate nelle antiche mura, gli arazzi ormai sbiaditi e le statue di marmo scuro. Mary soffiò sul fiammifero, spegnendolo, e commentò soddisfatta: “Ecco, così va meglio!”.
Io non appartengo a questo posto pensò Kagome. Quella era la stanza dei suoi genitori. Il tavolo era quello a cui sedeva sempre suo padre, nella poltrona che scricchiolava dolcemente quando si chinava per intingere il calamo nel vasetto dell’inchiostro. Ed era sua madre, non lei, a vestirsi davanti al specchio con la cornice intarsiata d’argento. Kagome adorava osservarla mentre si intrecciava un filo di diamanti neri tra i capelli. Le aveva detto che un giorno quelle pietre sarebbero state sue. Kagome aveva pensato che quel giorno appartenesse a un futuro molto lontano, invece… batté le palpebre e si morse il labbro superiore, ricacciando indietro le lacrime, che le pungevano gli occhi: aveva promesso a se stessa che non avrebbe più pianto, dopo il funerale dei suoi genitori, ricordò con fierezza.
Però… come poteva tenere fede alla sua promessa, quando quelle stesse gemme indossate da sua madre la aspettavano sul tavolo da toeletta, simulacro-fantasma di una vita spezzata.
“Vuoi muoverti e venire a sederti davanti allo specchio?” la voce burbera di Mary la riscosse dai suoi cupi pensieri. La donna brandiva una spazzola d’argento come se fosse una spada, e gliela puntava contro con fare intimidatorio.
Sulle labbra della ragazza danzò l’ombra di un sorriso, ma, per evitare di incorrere nelle ire della donna, fece come le era stato detto senza obiettare.
Mary si mise a spazzolarle energicamente i capelli.
“Ahia!” protestò Kagome. “Non so perché ti tengo ancora, Mary. Sarei stata trattata meglio da un demone!”
“Ma dai?” ridacchiò Mary. “Davvero pensi che Sesshomaru, il principe dei demoni evocato da tuo padre, ti pettinerebbe delicatamente e amorevolmente i capelli?”
Kagome soffocò una risata. Suo padre era stato un grande necromante, maestro nell’arte di evocare demoni e assoggettarli al suo servizio. Ricordava ancora quel giorno in cui Sessh…
“Ho detto Ahi!” protestò nuovamente la ragazza. Mary le aveva dato un altro violento strattone con la spazzola, riscuotendola bruscamente dai suoi pensieri.
“Stai ferma. Tua madre non faceva mai tutte queste scene. Sul serio, bambina, pensa a chi sei, a cosa rappresenti, prima di aprire la bocca. Quante volte te l’ho detto? Ora sei Lady Higurashi.”
“Non lo sono.” Era ancora doloroso ricordare quel che era successo ai suoi genitori e a suo fratello. “Non era mai stato previsto.”
Mary le posò una mano morbida e calda sulla guancia. “Lo so, bambina. Ma lo sei, e questa cosa non la si può cambiare.”
“Preferirei esercitarmi nella magia. Se riuscissi a sentire di nuovo le loro voci, solo per una volta, Mary…” “Ssst, tesoro. Non pensare a queste cose.”
“Li sogno” disse Kagome. Mary sorrise. “Anche io a volte vedo i miei ragazzi in sogno. Anche se sono passati cinque anni, non sono cambiati. Combinano ancora un sacco di guai.”
“Ci sono altri modi in cui potresti vederli…” cominciò la ragazza. Lei era una Higurashi e nelle sue vene scorreva davvero sangue di necromante, checché ne pensasse Mary. “Parlare con i morti, persino visit…”
La spazzola cadde rumorosamente a terra. Mary la fissava, inorridita. “Vuoi entrare nel Crepuscolo? Hai perso il senno?”
“Il nonno l’ha fatto. Ci è andato e ha parlato con…”
“E guarda che cosa ne è stato di lui.” Mary la scrutò severa. “Ora ascoltami, ragazzina. Non voglio più sentir parlare di… di queste cose. Mai più.”
“Ma, Mary…”
“Mai più.”
Non aveva senso discutere. Non quando Mary assumeva quella “faccia da combattimento”. Kagome sedette in silenzio mentre la tata le spazzolava i capelli neri con movimenti lunghi e dolci, partendo dallo scalpo e scendendo fino alla punta, finché non furono lucidi come ali di corvo. Chiuse gli occhi. Sentiva la spazzola tirare e poi scorrere via man mano che Mary scioglieva nodi e grovigli.
Potrei rimanere qui per sempre. Nascondermi in questa stanza, insieme a Mary e Crema. Chiudere fuori tutto il mondo orribile. Sarebbe perfetto.
“Sei bella come tua madre” disse Mary.
“Lo dici sempre.”
 “Perché è sempre vero.”
Kagome saltò in piedi e le diede un bacio sulla guancia.
“E questo a cosa lo devo?”
La giovane regina arrossì. Non aveva intenzione di comportarsi come una bambina. Si raddrizzò in tutta la sua altezza di tredicenne; superava Mary di ben quindici centimetri. “Oh, voglio solo che tu sappia che… ti sono davvero affezionata. Dopo tutti questi anni. Sì. Davvero affezionata.”
Mary tirò su col naso rumorosamente. Troppo rumorosamente. “Davvero affezionata? Oh, quanto ho desiderato sentire queste parole. Penso che potrei svenire. Sono davvero sopraffatta dall’emozione.” Si indicò un occhio. “Qua. Credo ci sia una lacrima.”
“Forse pensi di essere divertente, Mary, ma non lo sei.” Perché mai Kagome si preoccupava di essere carina con quella vecchia impossibile? Decise di cambiare argomento. “È già tornato Sesshomaru?”
“Non che io sappia. Vuoi che gli mandi una missiva?”
“No. Lascia perdere.” Perché ci stava mettendo così tanto a rintracciare un uomo? O gli era accaduto qualcosa? Qualcosa di brutto? Non essere stupida, pensò. Le cose brutte non succedono a Sesshomaru. Le cose brutte succedono a causa di Sesshomaru.
Mary si batteva la spazzola contro il palmo della mano. “Devo scendere nelle cucine. Ho lasciato il libro mastro rosso dalla cuoca e non mi fido di lei. Per contare fino a venti le servono le dita dei piedi.” Indicò i vestiti che Sango stava sistemando. “Quindi ho bisogno che tu ti lavi e ti vesta. I tuoi ospiti arriveranno presto.”
“Non voglio vederli.” Aveva temuto quel giorno. Doveva trovare il modo di uscirne. “Digli che sto male. Che sono malata.”
“Non vederli? Che razza di discorsi sono questi? Tu ti vestirai e sarai in cortile prima del tramonto. E poi, non vuoi incontrare il tuo futuro marito?”
 

 
*a differenza dell’anime, nel manga Kagome ha gli occhi grigio-scuro, quindi ho voluto conservare questa sua caratteristica anche nella mia fanfic.
Angolo della cosa
Lo so. Sono una pessima persona. Non ho aggiornato per quasi due settimane *la menano*, però spero che questo capitolo possa piacere quanto il primo, anche se non mi convince molto *tira una cuscinata contro il computer*.
Anyway, procediamo con i ringraziamenti…
Date un Nobel, un Oscar e un clavicembalo (perché un clavicembalo serve sempre. Fidatevi) alle 8 splendide persone che hanno recensito, alle 7 che hanno messo tra i preferiti/seguiti/ricordati il primo capitolo della mia storia e anche ai lettori silenziosi!! Vi ringrazio tantissimo!! *finge di non essersi riletta le recensioni almeno un centinaio di volte, fangirlando peggio Jakotsu con le orecchie di Inuyasha*
Mi sono dimenticata di specificare l’età dei protagonisti: hanno entrambi quattordici anni, quindi sono più giovani di come appaiono nel manga. Per questo ho cercato di immaginare come potessero essere a quell’età, pur conservando le caratteristiche principali dei personaggi. Ho provato a rendere Kagome un tantino più capricciosa, dato che è cresciuta come una principessa, mentre Inuyasha… lui nel manga ha la maturità mentale di un bambino di cinque anni, quindi ho deciso di lasciarlo più o meno così come è.
Grazie a tutti quelli che sono arrivati fin qui, mi scuso con chi è morto nel frattempo e a presto *sparisce in una nuvola di fumo*
 
   
 
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