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Autore: Roscoe24    26/01/2018    0 recensioni
Le piaceva la sua vita? Certo. Ma la sentiva incompleta. Non si sentiva del tutto parte di quel family business a cui in casa sua si dava tanta importanza.
Genere: Generale, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Bobby, Castiel, Dean Winchester, Nuovo personaggio, Sam Winchester
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione, Contesto generale/vago
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Castiel ricevette quella telefonata mentre si trovava in una tavola calda, poco distante da dove si trovava casa Singer. Non che non si trovasse bene, in quella casa, ma a volte aveva semplicemente bisogno di staccare un po’. Non erano gli abitanti la causa della sua necessità, poiché amava quelle persone come pensava non avrebbe mai amato nessuno – l’amore, almeno come lo provava adesso, era un sentimento tipicamente umano e lui… be’ lui non l’aveva mai provato. Certo, Dio aveva ordinato agli angeli di amare l’umanità e lui aveva obbedito, ma erano due amori diversi: quello imposto da Dio era un amore reverenziale, rispettoso, nato dal fatto che l’umanità veniva amata in quanto creazione del Padre – di conseguenza, come gli angeli amavano Lui, amavano anche tutto ciò che Egli creava, fatta eccezione per alcuni ribelli (e la sua mente vagò a Lucifero, ma immediatamente scacciò l’immagine del fratello). Quello che provava per gli umani, che riteneva ormai la sua famiglia, non aveva niente di reverenziale. Continuava a rispettarli, certo, ma ciò che provava nei loro confronti era viscerale e non nasceva certo da un ordine, quanto piuttosto dall’aver visto le loro anime e averle amate esattamente per come sono. L’affetto che lo legava a quelle persone cresceva giorno dopo giorno ed era qualcosa di imponente. C’erano sentimenti contrastanti, legati a quel genere di bene. Amare qualcuno alla maniera degli umani significava anche – ed essendo stato con Dean e Sam si sentirebbe di aggiungere un soprattutto – arrabbiarsi con lui, gridare, litigare, ma solo perché in questo modo gli si dimostra più affetto. Gridi contro qualcuno che ha fatto qualcosa di stupido solo se gli vuoi bene perché temi che quel qualcosa possa metterlo nei guai. Possa fargli del male, possa ucciderlo. Per questo, adesso, Castiel si trovava ad inveire contro Max, che lo guardava con gli occhi grandi, lucidi e timorosi. La somiglianza con gli occhi di suo padre era quasi spaventosa. Lo stesso colore, la stessa forma, la stessa sorprendente capacità di espressione – quella che faceva intuire a Castiel cosa passasse nella testa di Dean ancora prima che il cacciatore potesse parlare.
“Hai fatto tutto da sola??” La sua voce suonò severa. In Paradiso non gli avevano mai insegnato cosa fosse la preoccupazione: gli angeli per loro natura non la provano. Né per se stessi, né per i propri fratelli. Erano stati cresciuti ed addestrati per servire il Paradiso e nessuna vita era più importante della causa, di conseguenza non vedevano la morte come una cosa di cui preoccuparsi, quanto piuttosto una cosa di cui andare fieri. Servire il Cielo donandogli la propria vita era un modo perfetto per essere ricordati, per venire ricoperti di quella che in ogni libro sacro viene definita gloria celeste. Ma vivendo con i Winchester, la preoccupazione era diventata parte di lui. Si era umanizzato sempre di più e la cosa non gli dispiaceva perché lo faceva sentire completo, più vivo di quanto non si fosse mai sentito. Gli umani provano una vasta gamma di emozioni che li rende sfaccettati, colorati; gli angeli, invece, non dando importanza ad altro che non fossero le loro regole rigide e rimanendo sempre e solo fedeli agli ordini, erano freddi e grigi, come degli automi senza vita.
“Se avessi voluto sentire una ramanzina, avrei chiamato papà!”
“Non parlarmi così, Max.”
La ragazza abbassò lo sguardo, andando a torturarsi una pellicina all’angolo del pollice. “Scusa, è che…” rialzò gli occhi su di lui, “è che avevo bisogno di qualcuno che non reagisse come avrebbe reagito papà, anche se hai tutte le ragioni per farlo.”
“Puoi ben dirlo. È stato un gesto incosciente,” l’angelo sfiorò con lo sguardo il collo della ragazza e Max sentì il cuore che si fermava per qualche istante prima di recuperare i battiti perduti e correre come un forsennato, “Poteva andarti peggio di così, Max.” aggiunse Cas, indicandole il collo con l’indice.
“Lo so, ma…”
Castiel alzò una mano con fare perentorio. Max si zittì all’istante, le labbra ritirate dentro la bocca e i denti che premevano su di esse dall’interno. Sentì un leggero sapore di sangue, perciò smise di torturarsi.
“Ne parlerai con tuo padre…”
“Ma..”
“Niente ma, ragazzina.” Tuonò, più fermo di quanto avrebbe voluto, ma l’idea di Max che rischiava la morte lo turbava più di quanto avrebbe ammesso. “Ti aiuterò, a patto che una volta finito andremo a casa e sarai tu a dirlo a tuo padre.”
Max si arrese a quell’idea: “Mi terrà in punizione da qui alla fine dei miei giorni, e lo sai. Mi vuoi condannare ad un esilio?”
“Vuoi costruire il rapporto che avrai da questo momento in poi con tuo padre su una bugia?”
No, non voleva. Secondo un detto buddista, tre cose non possono essere nascoste: il sole, la luna e la verità. E così come i primi due, anche la terza prima o poi sbuca in cielo sotto gli occhi di tutti, visibile in ogni parte del mondo. Mentire a suo padre sarebbe stato inutile e poi, a dirla tutta, non ne sarebbe stata capace. Non sarebbe riuscita a guardare Dean negli occhi, sapendo che aveva fatto ciò che aveva fatto, e fare finta di niente. I rimorsi l’avrebbero consumata fino a farle vuotare il sacco. Tanto valeva farlo subito. Affrontare le conseguenze delle proprie azioni e sentire ciò che suo padre aveva da dire, anche se una vaga idea ce l’aveva già.
“D’accordo, glielo dirò.”
“Brava,” Castiel le fece un buffetto sulla testa, “Adesso, dimmi cosa vuoi che faccia.”

Il suo piano era relativamente semplice: Castiel grazie ai suoi poteri angelici avrebbe cancellato dalla memoria di tutti ciò che era successo quella sera.
“Non voglio che ricordino niente, Cas. Onestamente, non vorrei essere ricordata come la squinternata che si è caricata Kevin in spalla. Devo passare in questo posto ancora due anni.”
Castiel rise. Max se ne accorse solo per il movimento che facevano le sue spalle, che si abbassavano ed alzavano. Non aveva una risata rumorosa, non l’aveva mai avuta. Forse, pensò la ragazza, il fatto che avesse imparato a ridere come gli umani non bastava a scavalcare la rigidità in cui era stato addestrato e il massimo che poteva fare era quello.
“Lo capisco. Il liceo non è piacevole se in corridoio sussurrano cose alle tue spalle.”
“Sei stato al liceo, per caso?”
“Sono un angelo, Max. Che razza di domanda è?”
“Scusa,” fece spallucce, “chiedevo soltanto.”
“Dobbiamo cominciare con il tuo preside. Dov’è?”
“L’ho rimandato in palestra. Gli ho detto di aspettarmi lì e non di non dire niente a nessuno.”
“Bene. Sarà più semplice in questo modo.”
“Come farai?”
“Entrerò e alzerò semplicemente una mano.”
“Tutto qui?” chiese sbalordita, le sopracciglia sollevate a formare due archi.
“Tutti qui. Per le masse è sufficiente il contatto con la mia energia. Non è necessario che li tocchi o altre cose.”
Max annuì con convinzione. Si fidava di Cas e se lui diceva che sarebbe stato semplice, allora così sarebbe stato. Fece un passo verso di lui e lo abbracciò forte, il viso voltato verso destra per non ovattare la voce: “Grazie Cas. Non saprei come fare senza di te.”
Castiel, che si era affezionato a quella ragazza come mai avrebbe pensato, la circondò con le braccia, ricambiando la stretta.
“Non c’è di che, Max. Sono qui per te.”
Lei lo strinse ancora di più.
Voleva bene a quell’uomo, o meglio a quell’angelo. Non aveva mai dubitato dell’esistenza di un bene superiore, anzi, era fermamente convinta che esistesse qualsiasi entità agli umani piaccia credere per trovare conforto. Dio ha molti nomi, ma viene percepito sempre nello stesso modo. Dio, o come lo si voglia chiamare, è un modo che hanno gli esseri umani di sentirsi protetti, capiti, ascoltati. E quando Castiel era arrivato nelle loro vite, lei aveva capito che quello era il modo che aveva Dio di dirle che la stava proteggendo.
Infatti, era stato Castiel a riportarle il suo papà, facendolo uscire dall’Inferno. Nonostante avesse sette anni, la prima volta che lo vide alla soglia di casa sua, con i capelli corvini arruffati e gli occhi duri come pietre azzurre, la postura rigida di un soldato e la voce profonda, percepì dentro di se un’ondata di calore nei confronti di quello sconosciuto. Sapeva che avrebbe dovuto provare timore perché appunto degli sconosciuti non ci si fida, ma con Cas era stato diverso.
Ricordò come andò verso di lui, quando lo vide la prima volta. Suo padre era di spalle, le gambe aperte, i piedi ben ancorati al pavimento, come se cercasse di rimanere saldo, e le spalle rigide, parlava con Castiel che era appoggiato al lavandino della cucina, le braccia incrociate al petto e il tono di voce duro e severo.
«Portami rispetto, Dean, o tornerai nel luogo da cui ti ho salvato.» Castiel fece un passo verso di lui e sebbene trasmettesse un’aura minacciosa, imperiosa, Dean non si mosse. Rimase esattamente fermo dove si trovava. Max non poteva saperlo, ma Dean lo fece per lei. Non voleva di certo sfidare un’entità ultraterrena, soprattutto perché lo stava minacciando di rispedirlo all’Inferno, ma aveva sentito i passi di Max dietro di sé e l’ultima cosa che voleva era che una creatura sovrannaturale di cui non aveva conoscenza alcuna – era la prima volta che vedeva un angelo – e di cui non si fidava si avvicinasse alla sua bambina. Sarebbe morto prima di farlo avvicinare alla sua piccola.
Ricordò anche che suo padre non ebbe il tempo di rispondere nulla perché lei lo afferrò per una mano e piantò i suoi occhi su Castiel, che abbandonò la durezza nella voce e nello sguardo per guardarla con dolcezza. Dean non si rilassò, mantenendo la sua diffidenza, ma si concentrò sulla sua bambina che sembrava non temere in alcun modo quell’uomo; lei, che di solito per prendere confidenza con le persone ci metteva moltissimo. Era una cosa che l’aveva sempre rassicurato, mentre in quel momento vederla avvicinarsi con tanta naturalezza a quello sconosciuto lo spaventò e non poco. Se per caso, Castiel avesse avuto cattive intenzioni con lei, avrebbe potuto approfittare della fiducia che Max provava nei suoi confronti. Un’ondata di bile investì lo stomaco del cacciatore, il corpo gli tremò, scosso da brividi bollenti, rabbia e istinto di protezione si stavano mescolando in lui.
«Ciao, Max.»
«Ciao. Sei un amico di papà?»

Lui si chinò alla sua altezza, «Si, sono un amico di papà. Come stai?»
«Max»,
Dean si sistemò tra l’angelo e la figlia. Castiel, ancora chinato, alzò gli occhi su Dean, che lo guardava dall’alto al basso, un guerriero pronto a difendere la sua principessa anche a costo della morte; Castiel si rimise in piedi con lentezza e incastrò i suoi occhi in quelli di Dean. Il cacciatore non si mosse di un passo, per nulla intimorito dalla figura angelica. «Vai a giocare con lo zio Sam.»
Lei aveva obbedito ed era trotterellata via.
Era tutto così cambiato, adesso.
Adesso, lo sconosciuto che fissava suo padre con severità, era diventato una delle persone che Max amava di più al mondo e che reputava parte integrante della sua famiglia.
“Andiamo?”
Castiel annuì, “Fammi strada.”

Entrarono a scuola dalla porta sul retro, quella da cui Max era uscita per entrare nel cortile degli scuolabus. Il suo primo istinto fu quello di dirigersi verso la mensa per assicurarsi che i suoi amici stessero bene, ma si rese conto che la priorità andava data alla folla e a Chapman che, anche se si era dimostrato gentile e d’aiuto, aveva pur sempre dei doveri da preside che l’avrebbero spinto a raccontare tutta quella storia, soprattutto la parte di Kevin. Così si diresse verso la palestra. Passarono la sfilza di armadietti, camminando al centro del corridoio. I loro passi echeggiavano tranquilli e lo stato emotivo di Max, adesso, era più rilassato. Non temeva più che qualcuno potesse sbucare dal nulla per aggredirla.
Arrivarono davanti alla porta della palestra, dove la musica arrivava ovattata e faceva tremare il pavimento sotto ai loro piedi.
“Ci siamo Max. Sei pronta?”
La giovane annuì. “Prontissima.”
Max spalancò la porta, sentendola più pesante del solito. I suoi muscoli, che adesso cominciavano a rilassarsi del tutto, iniziavano a sentire i postumi degli sforzi da combattimento di tutta quella nottata assurda. Provò un senso di oppressione al pensiero che il peggio doveva ancora arrivare. Affrontare Dean sarebbe stato faticoso quanto affrontare Rufus. Per non parlare di quanto sarebbe stato doloroso. Ma era pronta. Sapeva che prima o poi, in un punto impreciso della sua vita, lei e suo padre avrebbero dovuto affrontare la situazione a cuore aperto, senza nascondersi dietro alla scrivania sicura di Bobby o ad allenamenti che, ormai, cominciavano a risultare sterili. Doveva passare al livello successivo, se voleva essere in grado di difendersi come si deve e questo significava spingere anche Dean oltre quel confine che avevano segnato e che, ormai, andava attraversato. Non era più una bambina, era una ragazza e in quanto tale, doveva ricevere gli adeguati allenamenti per essere davvero in grado di difendersi da sola.
“Va tutto bene, Max?”
“Sì, Cas, rimuginavo su delle cose.”
L’angelo la scrutò con i suoi occhi blu. Era come guardare l’oceano. Max aveva sempre pensato che Dio avesse preso spunto dagli occhi curiosi di Castiel per creare le profondità marine. Era una teoria, però, che si era sempre tenuta per sé.
“Sei sicura?”
Max annuì, così Castiel distolse lo sguardo da lei per farlo vagare su tutta la folla in movimento. Corpi che ballavano e si agitavano, proprio come quando, solo qualche ora prima, anche Max era lì in mezzo, a far parte di quella marea. Non si erano accorti del loro ingresso, la musica era troppo alta perché sentissero il solito cigolio frusciante della porta pesante che faceva attrito contro il pavimento. Gli occhi di Castiel abbracciarono la folla in tutta la sua interezza. Max lo vide fare un profondo respiro, prima di alzare la mano. Se lei non fosse stata consapevole della presenza dell’angelo al suo fianco, non si sarebbe accorta di niente. Avrebbe semplicemente scambiato quel movimento di luce bianca e accesa per un riflesso di una delle lampadine sulla palla stroboscopica, ma lei sapeva che nessuna luce artificiale poteva essere brillante quanto quella che veniva emessa da un angelo, che ricavava quel bagliore dalla sua stessa grazia. Non esiste niente paragonabile alla sfumatura argentea che assume la luce quando viene creata dall’energia della grazia angelica.
“Non ricordano niente né dell’attacco, né della storia di Kray.”
Max emise un sospiro di sollievo e circondò con un braccio la schiena di Castiel, mentre appoggiava il viso ad un lato del suo fianco. Era molto più alto di lei, anche se vicino a suo padre e a suo zio non sembrava così.
“Grazie, Cas. Davvero.”
L’angelo l’abbracciò a sua volta e Max, anche se ormai avrebbe dovuto averci fatto l’abitudine, si stupì nel non sentire il battito cardiaco di Castiel. Era così umano a volte, che dimenticava che non era nato così, che la sua natura era quella di un angelo e gli angeli non hanno un cuore che batte ritmico dentro ad una gabbia toracica; loro sono energia pura che pulsa eterna e che non è percepibile ad occhio umano, a meno che non si voglia finire con le retine bruciate e i bulbi oculari sciolti.
L’essenza di Castiel, la sua vera forma, i suoi fenomenali poteri, erano rinchiusi dentro ad un minuscolo spazio vitale.
“Smettila di ringraziarmi. Aiutarti è una delle cose che mi sono promesso di fare per te.”
“E le altre quali sono?” gli chiese, curiosa.
“Proteggerti, anche se la cosa ti suonerà estremamente ripetitiva, dal momento che tutta la tua famiglia vuole farlo.”
“Tu sei la mia famiglia, Cas.”
Nonostante tutti gli anni passati insieme, quella frase provocò a Castiel un tuffo al petto, come se improvvisamente gli si fosse materializzato un cuore, i cui battiti sfarfallavano frenetici. Era vero. Non la contraddiceva mai, ogni volta che Max lo includeva nella sua famiglia, perché sentiva di appartenere al suo nucleo familiare, a quelle persone che sarebbero state al suo fianco per sempre e avrebbero fatto di tutto per assicurarsi che lei fosse felice e al sicuro.
“Lo so. Per questo voglio proteggerti.”
Max sorrise, “Ci sono altre cose che ti sei promesso di fare per me?”
“Sì, ma le scoprirai a tempo debito.”
“E quanto sarebbe, esattamente, questo tempo debito?”
“Tutta la tua vita, Max.”
Dio l’aveva mandato sulla terra, ma era stato Castiel a decidere di rimanere con lei. E non l’avrebbe mai lasciata.
“A me sta bene.”
Castiel accennò un sorriso, gli angoli della bocca alzati, ma nessun dente in mostra. Gli occhi si addolcirono, un bagliore azzurro attraversò il blu intenso e rughe d’espressione si formarono ai loro lati. Era cambiato, da quando l’aveva conosciuto. In qualche modo, nella sua immortalità, Castiel era… invecchiato. La sua essenza umana, il suo tramite, a differenza della sua forma angelica, subiva il trascorrere del tempo esattamente come la subiva Dean, i cui lineamenti, con il passare degli anni e delle battaglie combattute, si erano induriti.
“Perché ti sei promesso di fare delle cose per me, Cas?” gli domandò, mentre uscivano dalla palestra, chiudendosi la pesante porta alle spalle. L’angelo la guardò di sfuggita e poi portò gli occhi in un punto imprecisato nel corridoio, dietro la spalla della ragazza.
“Ci sono cose che non sai, Max. Cose che non spetta a me dirti.”
Max lo scrutò. Sembrava che Castiel guardasse ad un tempo passato, lontano, che rivedesse eventi specifici, irrecuperabili. Ebbe l’impressione che, in qualche modo, stesse parlando di sua madre e, spinta da una forza invisibile, da un coraggio che, con ogni probabilità, le era cresciuto dentro in quella sera, lo chiese esplicitamente.
“Parli della mia mamma?”
Gli occhi di Castiel sfrecciarono di nuovo su di lei, vivi ed elettrici. “Sì, Max. Parlo di Abigail.”
“Perché?”
L’angelo emise un lungo, doloroso, sospiro. “Senso di colpa, immagino. Pentimento. La mia croce è, in qualche modo, aver fatto parte di qualcosa che ha contribuito all’omicidio di tua madre.”
Le mancò l’aria. La testa cominciò a vorticare e una fitta allo stomaco glielo chiuse come se un gigante di pietra la stesse stringendo tra le sue mani.
“Anni fa avevo convinzioni diverse, Max. Anni fa credevo che il Paradiso avesse sempre ragione, ma quando ho scoperto cosa avevano fatto alla tua famiglia per raggiungere i loro scopi, beh, io… io non potevo sopportarlo.”
Max deglutì a fatica. Alla mente le balenò l’immagine di un Castiel più giovane, lo stesso che aveva visto in cucina, un soldato obbediente, fiducioso. Una risorsa potente. Nulla è più fruttuoso della lealtà di un soldato che crede ciecamente nella causa che ha deciso di servire. E immaginò lo stesso Castiel sentirsi tradito da quella stessa causa in cui aveva deciso di credere tanto. Lo immaginò infuriarsi, scatenare contro il Paradiso la sua furia celeste, incontrollabile – la stessa ira che lo portò alla ribellione, al rifiuto di seguire ordini ciechi per rivendicare il suo diritto al libero arbitrio. Castiel, che pur avendo un’anima pura, ha percorso, in maniera del tutto diversa, i passi di Lucifero, suo fratello.
“L’hanno uccisa gli angeli?” sussurrò con un filo di voce, così flebile che faticò ad udirsi persino lei. Aveva la gola così secca che le faceva male parlare.
“Non è così semplice, Max. Parlane con tuo padre, d’accordo? Poi tornerai da me, se vorrai, e ti dirò tutto quello che vuoi sapere.” Castiel l’abbracciò, tirandola forte a se. La baciò la fronte, con delicatezza, con il suo modo dolce e impacciato, affettuoso. “Non è così semplice.” Disse di nuovo, questa volta più a se stesso che a lei, mentre le accarezzava la testa con la stessa tenerezza che avrebbe potuto usare suo padre.
Max, aggrappandosi all’impermeabile logoro di Castiel con così tanta forza da far diventare le nocche bianche, cominciò a piangere senza nemmeno rendersene conto.
Lacrime silenziose e invadenti, come il passato, il quale, per quanto si cerchi di evitare, prima o poi torna sempre per presentare il conto, piombando silenzioso e tremendamente invadente, impossibile da ignorare.


Le parole di Castiel ancora le echeggiavano in testa, mentre con l’angelo al suo fianco si dirigeva in mensa.
Avrebbe confessato ciò che aveva fatto quella sera, come aveva promesso a Castiel, e poi avrebbe chiesto a suo padre la storia di sua madre. Ricordava poco di Abigail, a stento ricordava i dettagli del suo viso, o il suono della sua voce. Dean, dopo la sua morte, aveva nascosto tutte le cose che erano appartenute a sua madre dentro a degli scatoloni, comprese le foto. Non le aveva mai raccontato com’era morta, o come avesse fatto a conoscerla – almeno, non nei dettagli, l’unica cosa che sapeva era che il loro incontro era legato alla risoluzione di un caso. E lei non aveva mai fatto domande, all’inizio perché suo padre le bastava, quando poi aveva cominciato a sentire l’assenza di sua madre, aveva capito che fare domande su di lei faceva si che le ferite aperte nel cuore di suo padre cominciassero a sanguinare. Si chiudeva in se stesso per giorni, dopo che lei gliela nominava, mentre Bobby e Sam gli lanciavano occhiate apprensive e preoccupate, come se si aspettassero di vederlo crollare in mille pezzi sotto ai loro occhi da un momento all’altro.
Ma lei doveva sapere.
Era giusto che sapesse.
Abigail era parte di lei, era la sua mamma. Aveva il diritto di conoscerla.
“Siamo arrivati,” comunicò a Castiel, appena riconobbe la porta della mensa. La sua voce risultò roca, persino funerea. Ingoiò il magone che le stava crescendo in gola e appoggiò i palmi delle mani sulla maniglia a spinta della porta.
Accantonata la sensazione di tristezza che tutta quella storia le provocava, spinse con forza e la porta si aprì.

La prima cosa che cercò con lo sguardo furono i suoi amici. Li vide raggruppati dentro ad un cerchio di sale, proprio come gli aveva detto di fare. Fu contenta di vedere che, esclusa la preoccupazione e la paura che solcavano i loro volti, stavano tutti bene. Non appena la videro, Zoe si staccò da Aaron, che la stava tenendo stretta a sé, e fece per andarle incontro – proprio come era successo quando Rufus si era volatilizzato nell’aria in corridoio – ma Ben la bloccò, uscendo dal cerchio, colpendo con la spalla JJ che si trovava alla sua sinistra, e le corse incontro. Il sale ai suoi piedi formò una striscia allungata, uno squarcio di granellini biancastri che si sparsero per tutto il pavimento. Le suole dei suoi anfibi graffiavano le mattonelle, la camicia gli svolazzava intorno, insieme ai capelli, mossi dalla velocità della corsa. Si fermò davanti a lei, il petto si alzava e si abbassava, il respiro ancora ansimante. Di slancio la tirò a se, abbracciandola così forte da farle male.
“Benj-”
Non la lasciò finire. Nell’esatto momento in cui le sue braccia abbandonarono il corpo di Max, le mani del ragazzo si posarono sul suo viso, chiudendosi a coppa. Senza esitazione alcuna, si chinò su di lei e la baciò.
La testa di Max vorticò e le sue orecchie fischiarono per qualche istante prima che si rendesse esattamente conto di quello che stava succedendo. Prima che capisse che ciò che sentiva sulla bocca erano effettivamente le labbra di Benji e lui altro non stava aspettando che una sua reazione, che non tardò ad arrivare. Sorrise, prima di schiudere le labbra e trasformare quel bacio in un vero bacio. Le sue mani andarono ad aggrapparsi alla schiena di lui, essendo troppo bassa per arrivare fino alla sua nuca. Si era immaginata mille volte come sarebbe stato baciarlo, ma nessuna fantasia reggeva il confronto con la realtà, con l’euforia che sentiva crescere dentro, la testa che girava e il cuore che pompava sangue e adrenalina in ogni centimetro del suo corpo. Sentiva le mani di lui salde sul proprio viso, fino a quando una di esse non abbandonò una delle sue guance per posarsi sulla sua schiena e tirarla di più a sé, facendo aderire perfettamente i loro corpi, che si incastrarono sinuosi, come due pezzi di puzzle.
“Volevo farlo da un sacco di tempo,” le sussurrò dopo essersi staccato per tornare a respirare, la fronte appoggiata a quella di lei.
Max, con ancora il cuore che scalciava in petto e le guance rosse, sorda a qualsiasi altro rumore che non fosse quello provocato dallo scontro delle proprie labbra con quelle di Ben, sorrise.
“Avresti dovuto farlo prima.”
“Non pensavo, sai…”
“Così però rovini il momento!” urlò Aaron, alle sue spalle. “Non puoi baciarla in quel modo e poi blaterare come una femminuccia, distruggi il momento macho!”
“Io ti ammazzo, Walsh. Giuro che ti faccio a pezzi!” ringhiò Zoe, al suo fianco, pizzicandogli un braccio. JJ, accanto a loro soffocò una risata, “Sono anni,” continuò la ragazza, “a n n i, che guardo quei due che si sbavano dietro e tu rovini il momento così?”
Max, che a differenza di Benji, vedeva i suoi amici che si erano avvicinati un poco, ma rimanevano comunque a debita distanza, vide Zoe alzarsi sulle punte per dare uno scappellotto ad Aaron.
“Se non lo uccide lei, lo faccio io.” Le disse Ben, che però non si era voltato a guardare l’amico. I suoi occhi neri e profondi, come le acque dell’oceano Artico, erano tutti concentrati su di lei. Le mancò il respiro. Non l’aveva mai guardata in quel modo, o meglio, se l’aveva fatto lei non se n’era mai accorta. In quel preciso istante, le sembrò di essere la cosa più bella e preziosa che l’intero pianeta avesse da offrire. Le si accartocciò lo stomaco.
“Non hai rovinato niente, Ben.” Si alzò sulle punte per dargli un bacio leggero. Si sentiva così euforica che le sembrava di volare su una nuvola. Solo Castiel che si schiariva la gola alle sue spalle la fece ritornare alla realtà. Provò una fitta di imbarazzo che le infiammò il viso, realizzando in quel momento che l’angelo aveva assistito a tutta la scena. Per come la vedeva lei, era quasi come se fosse successo davanti a Dean.
“Stanno tutti bene.” disse Cas, avvicinandosi. Benji, automaticamente, fece un passo indietro. L’angelo incastrò i suoi occhi blu sul ragazzo, studiandolo con attenzione. Le palpebre socchiuse e le sopracciglia aggrottate. “Tu provi delle pulsioni sessuali nei suoi confronti, ragazzo?”
Max si strozzò con l’aria, mentre Benjamin annaspò. Conosceva Castiel come lo zio acquisito di Max, quindi fu una domanda piuttosto imbarazzante. Soprattutto perché la risposta era affermativa, ma non l’avrebbe mai detto ad alta voce. Non davanti a lui.
“CAS!!” gridò Max, guardando l’angelo con gli occhi verdi sgranati. Dal gruppo si sentirono delle risate soffocate.
“È una domanda semplice, non capisco perché ti scandalizzi. Lo sento, comunque, quindi non può mentirmi.”
Ben alzò le sopracciglia confuso: “Lo senti?
“È un discorso complicato, Benji. Possiamo parlarne domani? Ora io dovrei…” la ragazza lanciò un’occhiata a Castiel, che annuì lentamente, “dovrei fare una cosa in famiglia.”
“Ha a che fare con tutto ciò che è successo stasera?”
“Esatto.”
“Certo, ci vediamo domani.”
“Prima però,” cominciò Castiel studiando i volti di tutti i presenti, “devo proporvi una scelta: dimenticare o vivere con la consapevolezza.”
Max in lui vide il leader che era stato seguito durante la guerra civile in Paradiso, l’angelo in cui altri angeli avevano posto la loro fiducia, riconoscendogli la capacità del comando che Cas non aveva mai saputo di avere. Aveva la postura rigida del soldato, la stessa che avevano nella sua famiglia, la stessa che aveva lei. Gli occhi erano fissi sui presenti, due pietre cobalto da cui è difficile staccare lo sguardo, a meno che non si temano. E Max non faticava ad immaginarsi uomini, angeli, amici e ancora di più nemici, abbassare impotenti il proprio sguardo sotto a quello combattivo e intimidatorio di Castiel.
“Io voglio dimenticare.” Kevin uscì dalle spalle degli amici di Max. La voce che tremava e gli occhi cerchiati. “Non voglio ricordare niente di tutto questo.” La paura ancora piegava le sue corde vocali. Max poteva capirlo. Molte volte aveva guardato il viso di suo padre scavato dagli orrori della loro vita e si era chiesta quanto avrebbe voluto non sapere, quanto gli sarebbe piaciuto non essere uno dei migliori nel suo mestiere. La conoscenza costa sacrifici. La fama ha un prezzo così elevato che ha portato suo padre ad avere debiti che non riesce a sanare completamente.
“Ne hai il diritto, Kevin.” Disse quindi Max. “Come ne avete il diritto tutti voi.”
I suoi amici, però, scossero la testa. Ben le afferrò una mano e parlò per tutti: “Non se ne parla, testina spiumata. Noi vogliamo sapere tutto.”
“D’accordo.” intervenne Castiel, “Avvicinati, ragazzo.”
Kevin, tremante e piuttosto titubante, lanciò un’occhiata a Max.
“Fidati, Kevin. Non ti farà del male.”
Il ragazzo obbedì. Si avvicinò all’angelo e, nel momento in cui Castiel alzò la mano, chiuse gli occhi. La luce invase le sue palpebre chiuse, rossastra e calda, e improvvisamente, la sua mente tornò alla palestra. Insieme alla sensazione che era lì che doveva andare. Infatti, senza fare domande o salutare i presenti, si diresse all’uscita della mensa, sparendo dietro la porta.
“Dobbiamo andare, Max.”
La ragazza annuì all’angelo e poi si rivolse ai suoi amici. “Domani vi spiegherò tutto, dal principio.”
“A domani, Max.” la salutò Zoe, abbracciandola forte. I ragazzi si unirono a quell’abbraccio e Max dovette impegnarsi con tutte le sue forze per non crollare in un pianto che racchiudeva al suo interno un mare di emozioni: gioia per averli ancora tutti interi, gratitudine per averli incontrati, felicità per essere amata nello stesso modo in cui lei amava loro. Erano l’altra parte della sua famiglia e mai abbastanza avrebbe ringraziato chiunque muovesse la grande giostra, lassù, per aver fatto incrociare i loro cammini. “Vi voglio bene, ragazzi.” E a quel punto, un’unica lacrima solitaria solcò il suo viso.

*
 
Il viaggio di ritorno, fatto con il teletrasporto, lontano da occhi indiscreti, fu tanto breve quanto sconquassante. Il suo stomaco fece almeno quattro capriole e Max dovette far ricorso ad ogni fibra del suo corpo per non vomitare davanti al portico di casa.
Quando però salì le scale in compagnia di Castiel e si trovò davanti alla porta di casa con tutta l’intenzione di far girare la chiave nella toppa, improvvisamente la voglia di vomitare tornò prepotente, insieme ad un gran giramento di testa e la voglia di svenire.
Avrebbe evitato un sacco di rogne, in quel modo. Suo padre forse si sarebbe impietosito e sarebbe stato più comprensivo. O magari, ipotesi più plausibile, avrebbe girato il coltello nella piaga dicendo che tutto quel malessere era dato dalla caccia di quella notte, andando a calcare il fatto che avrebbe dovuto chiamarlo.
“N-non posso farlo,” sussurrò impercettibilmente. La gola secca e il cuore che la soffocava, come se si fosse improvvisamente spostato sull’ugola.
“Si che puoi. È una tappa, Max. Tu e Dean l’avete rimandata per troppo tempo, ma è necessario che l’affrontiate, adesso. Rappresenta una crescita per entrambi.”
“Ma… ho paura. Non voglio crescere, non in quel senso. Non sono sicura di voler cacciare nella mia vita.”
“E allora non caccerai.”
Max staccò gli occhi dalla porta solo per portarli su Castiel, che già la stava guardando.
“Non è mio dovere farlo? Insomma… ho sempre pensato che tutti se l’aspettassero da me. Sono una Winchester… il family business… e che mi dici del fatto che non posso nascondere la testa sotto la sabbia, mh? So troppe cose, Cas, troppe, per far finta di niente e vivere come una persona qualunque.”
“Il tuo dovere, Max Winchester, è vivere esattamente come Max Winchester vuole vivere. Non devi pensare a cosa gli altri vorrebbero che tu facessi, devi pensare a quello che vuoi fare tu.”
“Ma non è da egoisti?”
“Non è nel vostro DNA essere egoisti. Se tuo padre e tuo zio lo fossero stati un tantino di più, si sarebbero risparmiati molte sofferenze.”
“A volte vorrei avere la sicurezza che ha papà,” sussurrò abbassando gli occhi sui suoi stivaletti. Erano sporchi di terra e impolverati. Dei granelli di sale si erano infilati tra le cuciture delle suole.
“La sua sicurezza deriva da anni di esperienza. Ma lui non ha avuto scelta, la sua esperienza è il peso di qualcosa di doloroso che si porta dietro da anni e che gli è stato imposto. Per questo, qualsiasi cosa vorrai, lui ti appoggerà. Ti ha dato una scelta da quando sei venuta al mondo, anche se non te ne sei mai resa conto.”
Max si lasciò andare ad un debole pianto, ormai troppo fragile, a quel punto della nottata, per riuscire ad erigere le barriere emotive necessarie a fermare la diga dietro i suoi occhi.
“Andrà tutto bene, Max. Parlagli e lo scoprirai.”


Quando Dean Winchester sentì la porta di casa aprirsi, si diresse verso l’ingresso per andare in contro a sua figlia. Aveva intenzione di chiederle se si era divertita, se la serata era andata come sperava andasse, insomma, cose del tutto tranquille, informazioni che erano lontane anni luce da ciò che gli parò davanti non appena i suoi occhi incrociarono la figura della ragazza. Max era in piedi, la porta chiusa alle sue spalle, Castiel al suo fianco. I vestiti impolverati, sporchi, la maglietta aveva uno strappo su un lato, sulla gamba destra di sua figlia abitava un lungo graffio rosso, non sanguinava, ma la pelle era rialzata, come se qualcuno – o qualcosa – l’avesse lesa non troppo in profondità da far fuoriuscire il sangue, ma quel tanto che basta ad irritare l’epidermide. E poi… poi i suoi occhi andarono al collo, dove un segno violaceo, quasi nero, fungeva da macabra collana, un testimone la cui veritiera parola era impossibile da ignorare. Max era stata aggredita. Una cieca rabbia montò alla testa del cacciatore, il cui cuore cominciò a scalciare nel suo petto, rimbombando come un tamburo di guerra. Chiunque fosse il colpevole di tale scempio l’avrebbe pagata cara.
“Amore,” le si avvicinò, preoccupato, allungando una mano per toccarla, ma lei si ritrasse. Dean, a quel punto, la guardò confuso e spaesato e Max avrebbe preferito una pugnalata negli occhi pur di non dover essere la causa del malessere del suo papà.
“Papà..”
“Chi è stato?” ruggì a denti stretti, le mani chiuse a pugno lungo i fianchi.
“N-nessuno, io…” deglutì. Era così difficile reggere quello sguardo angosciato e bellicoso allo stesso tempo. Era un uragano, Dean. Uno spettacolo della natura distruttivo e indomabile, incontenibile. Spazzava via qualsiasi cosa si fosse messo tra lui e la sua famiglia, riservando una ferocia che raramente si poteva vedere in altri uomini. Era la furia dei disperati, la sua. Di quelli a cui è rimasto pochissimo per cui valga la pena vivere e lo difende con le unghie e con i denti, con prepotenza. Dean non avrebbe mai permesso che alla sua famiglia succedesse niente.
“I-io… avrei dovuto chiamarti, lo so.”
Dean aggrottò le sopracciglia. Alle spalle del padre, Max notò la presenza di suo zio e Bobby, entrambi assonnati. Probabilmente stavano dormendo. Probabilmente gli aveva svegliati.
“A-a-a scuola… c’è stato u-un attacco,” deglutì di nuovo, gli occhi tremanti rivolti al padre, bisognosa di cogliere la minima espressione nel viso di quest’ultimo. Ma Dean si stava limitando solo ad ascoltarla.
“Un…un fantasma, papà. Siamo stati aggrediti da un fantasma.” Esalò veloce. il cacciatore sgranò gli occhi e si passò una mano sulla faccia.
“Cosa vuol dire, Max?” cominciò paziente.
“Che un fantasma ha aggredito un ragazzo… l’ho medicato e poi… poi, poi ho risolto il caso.”
“Tu che cosa?”
Eccolo, lo guardo che Max non avrebbe mai voluto vedere in tutta la sua vita: un misto di rabbia, delusione e paura. Il viso di suo padre – improvvisamente invecchiato di cinque anni dopo aver elaborato quella confessione; l’accenno di barba rossa, chiaro indizio che non si radeva da giorni; gli occhi che sembrava avessero perso tutta la loro luce, lasciando che il nero delle pupille ingoiasse il verde delle iridi – sbiancò.
“Ho cacciato, papà.”
“Da sola?”
“C’erano anche i miei amici, con me.”
Dean chiuse gli occhi, il petto che si alzava ed abbassava in maniera frenetica, come se si stesse impegnando a controllare il respiro.
“Quindi, come una perfetta incosciente, non solo hai messo in pericolo la tua vita, ma anche quella dei tuoi amici???” controllare la rabbia nella voce, risultò più difficile, invece. Gli uscì come l’esplosione di un tuono, con la forza dei temporali, un pugno volò contro il muro.
Max si ritirò di scatto, sebbene sapesse che, per quanto suo padre potesse essere arrabbiato, mai le avrebbe messo le mani addosso. Era frustrato, furioso, lo capiva se necessitava di sfogarsi contro qualche oggetto.
“M-mi dispiace, io…”
“Tu cosa, mh?”
Una mano si posò sulla spalla del cacciatore, che sussultò, voltandosi e incontrando gli occhi di Bobby.
“Forse dovresti ascoltarla, senza aggredirla.”
Dean si liberò da quella presa con un gesto brusco. I suoi occhi cominciarono a saettare su Bobby, mentre lo fissava con un espressione colma di tradimento. “Non dovrei sgridarla, secondo te? Hai idea di cosa ha fatto? Hai idea della fortuna che abbiamo avuto?”
Bobby reagì alzando la voce a sua volta. Era l’unico modo che aveva per rimettere Dean dentro i cardini e cercare di farlo ragionare, di fargli fare un passo indietro per ricominciare tutto da principio. “Pensi che si tratti di questo, fortuna? Non credi che tua figlia abbia le capacità per cavarsela da sola?”
“No che non le ha, è una bambina!” urlò, frustrazione e paura grondavano dalla sua voce roca. Si passò una mano sul viso angosciato. “È la mia bambina.” Disse in un sussurro, la rabbia che sciamava, lasciando spazio solo alla preoccupazione, a quella spiacevole sensazione paralizzante di perdita. Aver perso Abbie era stato terribile, ma l’idea di perdere Max era inimmaginabile.
“Non è più una bambina, Dean.” Disse Sam, guadagnandosi un’occhiata truce dal fratello.
“Sì che lo è. Lo sarà finché avrò vita. Non rinuncerà ad una vita normale solo perché ha il mio cognome.” Ringhiò e Sam sostenne il suo sguardo, leggendoci dentro tutte le atrocità che avevano passato. Tutto il dolore che avevano condiviso, dalla morte di Mary, ai natali passati a rubare i regali dalle case degli altri, alla sensazione di non essere mai veramente a casa da nessuna parte, all’assenza di una vera stabilità. Dean non voleva questo per Max, non l’aveva mai voluto. Si era impegnato affinché la sua bambina avesse una vita normale, dandole qualcosa che a lui era mancato. Ma non poteva continuare a fingere che Max non fosse cresciuta e non avesse delle domande che le frullavano nella testa.
“Dean…” cominciò quindi, cercando di far ragionare suo fratello, ma sua nipote lo interruppe, chiedendogli scusa con gli occhi.
“Papà…” si avvicinò al padre, prendendogli una mano tra le sue. Era grande e calda, callosa e ricoperta di ruvide cicatrici, ognuna delle quali rappresentava una battaglia vinta. “So che sei arrabbiato, ma ho dovuto farlo, capisci? Era la cosa giusta da fare. Se ti avessi chiamato, Kevin sarebbe morto nell’attesa. I miei amici sarebbero morti. Non potevo rischiare.” I suoi occhi lo stavano supplicando di comprenderla e Dean, incrociando il suo sguardo, così simile al suo, non poté fare a meno di annuire. Doveva accettare il fatto che Max non era più una bambina, che era cresciuta e riusciva a notare e capire cose al di là dei limiti umani, cose che non poteva più nasconderle, ormai. Avrebbe voluto farlo. Dio, se avrebbe voluto. L’unico suo desiderio era di tenerla al sicuro, lontana da quella vita, dal sangue e dalla morte. Dalla perdita.
Ma era una Winchester e, come aveva detto una volta Sam, loro erano dannati.
“Avresti dovuto chiamarmi comunque. Tu avresti iniziato, io avrei finito.”
“Non me l’avresti lasciato fare, e lo sai meglio di me.”
“Hai ragione. Ti avrei rinchiusa nell’Impala e avrei fatto il culo al figlio di puttana che ha ferito la mia bambina.” Serrò le mascelle, mentre guardava il livido scuro sul collo di Max.
La ragazza accennò un sorriso. “E lo capisco, ok? Anzi, forse te l’avrei persino lasciato fare. Ero così spaventata, papà. Ma… se non l’avessi fatto non mi sarei mai messa alla prova, non avrei mai capito chi sono, o cosa voglio, e saremmo rimasti ad un punto morto.”
Dean si prese del tempo per elaborare quelle parole e, deglutendo a fatica, le domandò: “E cosa vuoi, Max?”
La ragazza percepì il timore nel tono di voce di suo padre. Era raro vederlo o sentirlo spaventato, lui che si mostrava sempre sicuro di sé davanti a chi amava, in modo che potessero contare su di lui – appoggiarsi a lui. “Voglio rendermi utile. Voglio essere parte degli affari di famiglia, ma voglio anche avere una vita normale. E so che è impossibile, ma io…” lanciò un’occhiata a Castiel. «Il tuo dovere, Max Winchester, è vivere esattamente come Max Winchester vuole vivere.» “Io sono entrambe le cose, papà. Sono una Winchester, di conseguenza una cacciatrice, e ne tu ne io possiamo continuare a far finta che non sia così. Ma sono anche Max, solo Max, e non voglio che questa parte di me venga soverchiata dall’altra.”
Dean sospirò. Sentirla parlare in quel modo era più doloroso di quanto avrebbe mai ammesso perché significava che il tempo era inevitabilmente passato e la sua bambina era cresciuta. Era diventata una ragazza giudiziosa, in grado di prendere decisioni da sola – decisioni che lui, più nolente che volente, avrebbe dovuto rispettare. Non voleva certo continuare ad imporle le sue regole, perché aveva visto con i suoi occhi cosa succede quando un Winchester impone ad un altro Winchester uno stile di vita. Se suo padre fosse stato più elastico con Sam, forse suo fratello non li avrebbe mai lasciati. Forse anche Sam avrebbe scelto la strada di Max, quella via di mezzo che permette di camminare tra le due realtà.
“Non so se sarà mai possibile, Max.” le disse, sincero, perché comunque era ciò che pensava. Unire le due realtà era addirittura più difficile che sceglierne una in cui vivere. “Ma se vuoi farlo, ti aiuterò.”
Il viso di Max si illuminò, abbandonando quel cipiglio preoccupato. E a Dean ricordò così tanto sua madre, che quasi si pentì di aver acconsentito a quella richiesta. Abigail era morta proprio perché lui aveva creduto di poter camminare tra le due realtà. Aveva avuto la presunzione di poter essere sia un Winchester che Dean, solo Dean, il ragazzo che lavorava in officina e aggiustava le macchine, mentre la sua ragazza incinta lo aspettava a casa. Serrò la mascella, combattendo delle lacrime che sentiva sarebbero arrivate. Fu inutile: i suoi occhi si inumidirono ancora prima che riuscisse a combattere questa emozione.
“Papà? Stai bene?”
No, non che non stava bene. Aveva appena consentito alla condanna di sua figlia e non poteva tirarsi indietro.
“Sì, tesoro, sto bene.”
“No, invece.” La voce di Castiel, rimasto in silenzio fino a quel momento, riempì le mura di quella stanza. I presenti si voltarono verso di lui, Dean compreso, che lo guardò con un’espressione severa – come a suggerirgli di chiudere quella dannata bocca.
“Devi dirglielo, Dean.”
Il cacciatore si irrigidì. “No che non devo.”
“Sì, invece. Se vuoi che scelga coscienziosamente, deve sapere tutto.
E davvero, in quel momento, Dean lo odiò. Odiò la fastidiosa capacità che aveva Castiel di leggerlo dentro, di capire cosa passasse per la sua testa. Quell’angelo impertinente aveva percepito il filo dei suoi pensieri e adesso lo stava costringendo a tirare fuori una storia che era troppo dolorosa, che doveva rimanere sepolta in un angolo remoto del suo cuore sanguinante. Come poteva chiedergli una cosa simile? Proprio lui, che sapeva ogni cosa.
“Non lo farò, Cas.”
“Allora lo farò io. In un modo o nell’altro, deve sapere.”
I due uomini si guardarono per un attimo che parve infinito, sostenendo entrambi le loro tesi, silenziosamente. Erano testardi, tutti e due, e difendevano a spada tratta le loro convinzioni e i loro punti di vista. Sarebbero rimasti a fissarsi in silenzio, nell’attesa che uno si arrendesse, probabilmente per sempre, se Sam non fosse intervenuto.
“Cas ha ragione. Devi dirglielo.”
Dean lasciò gli occhi cobalto di Castiel per andare ad incontrare quelli di suo fratello. Il viso di Sam era attraversato da quel familiare lampo di dolore che ormai caratterizzava la sua persona, ogni volta che ricordava quel periodo. Era stato il periodo in cui aveva perso Jessica.
“Vuoi davvero che lo faccia? Vuoi davvero che riviva tutto?”
“Non hai mai smesso di riviverlo, Dean. Ti torturi da quattordici anni, ormai. Togliere le sue foto ed evitare di nominarla, non ti ha risparmiato nessuna sofferenza, perché hai continuato a maledirti giorno, dopo giorno, dopo giorno.”
“Cos’altro avrei dovuto fare?” ringhiò a denti stretti. “Non sono riuscito a salvarla.”
“Avresti dovuto perdonarti.” Gli rispose Bobby, nel suo tono paterno.
“Non ho bisogno di perdonarmi. Ho bisogno di lei, nella mia vita. Ma non posso, perché è morta, perché sono arrivato tardi.”
Max guardò suo padre con le lacrime agli occhi, vedendo una fragilità in lui che non pensava potesse avere. “È per lei che mi hai tenuta lontana da tutto questo?”
Dean guardò la figlia. “Ti ho tenuta lontana da tutto questo perché credevo di poter camminare tra le due realtà, Max. Ma ero condannato. Eravamo entrambi condannati,” lanciò uno sguardo a Sam. “Non ci avrebbero mai permesso di essere cacciatori e delle normali persone con vite normali. Dovevamo combattere una guerra che non avevamo voluto e ucciderci a vicenda. E avere una famiglia ce l’avrebbe impedito.”
“Lucifero e Michele?” chiese la ragazza con un filo di voce.
“Lucifero e Michele.” Confermò. 
“Devi raccontarmelo, papà.” Lo implorò e Dean, seppur riluttante a versare del sale su quella ferita aperta, annuì.




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Dopo mesi, letteralmente, sono tornata!
Ho lasciato ferma questa storia davvero per molto tempo, ma l'ispirazione se n'era andata e non sapevo davvero come impostarla. Non so esattamente cosa abbia fatto scattare il ritorno, fatto sta che da qualche tempo continuava a frullarmi in testa l'idea di riprendere questa storia e quindi, niente, l'ho fatto! 
Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate, se vi va! 
C'è ancora un capitolo, che sto già scrivendo, che sarà quello conclusivo, dove cercherò di spiegare la storia di Dean e Abigail. 
Ringrazio chiunque abbia deciso di riprendere, eventualmente, questa storia e chi ha letto i capitoli precedenti. Lo apprezzo moltissimo!
Alla prossima <3 
   
 
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