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Autore: The Custodian ofthe Doors    27/01/2018    3 recensioni
[Spin off di “Una pista che scotta”]
New York si tinge di bianco per Natale, la neve ricama ghirlande tra i fili del telefono e merletti sulle fronde degli alberi.
È un freddo piacevole quello che soffia per le vie, da' quella sensazione di pace che scaturisce solo dall'essere al caldo, in casa propria, con chi si ama ed osservare le strade ghiacciarsi ed i cumuli nevosi crescere ai lati delle scalinate.
E che sia solo per una notte o che sia da tutta la vita, che siano le persone con cui condividiamo gioie e dolori o quegli individui che si sono affacciati alle nostre giornate per caso. Che siano lontani o vicini, che sia qualcosa di nuovo o un tradizione vecchia più di noi, nulla cambierà una delle più grandi verità della vita:
Il Natale, che ci piaccia o no, rimarrà sempre il periodo più magico che ci sai.
Genere: Commedia, Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane, Un po' tutti
Note: AU, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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1- Christmas' Eve, Lightwood verse.

 

 



 

La Fifth Avenue si collegava ad un'infinità di viali minori che si diramavano per tutto l'Upper East Side. Un reticolo di strade alberate ospitavano quelle che erano reputate le case più belle e anche costose dell'intera città, palazzine singole di tre, quattro o anche cinque piani in cui albergavano famiglie di spicco nella comunità o semplici imprenditori e uomini di successo.
Alle porte di ogni casa erano appese ghirlande e festoni colorati, una strana eleganza che sbatteva se comparata all'opulenza festosa della street e dei grandi centri commerciali.
Il leggero strato di neve che aveva coperto l'asfalto quel Dicembre era macchiato dalla fanghiglia sciolta che le macchine si portavano dietro, tracciando le linee direttrici del traffico con trace scure e marcate della trama di centinai di copertoni. Ai bordi dei marciapiedi erano ammucchiati cumuli di neve spalata da davanti ai portoni lucidi di quelle case di lusso.
Dalle finestre del terzo piano, dove si trovava la sua camera, per tutta la vita Alec aveva potuto ammirare le cime frondose di Central Park imbiancarsi e rendere quel paesaggio quasi fiabesco.
Aveva sempre amato la neve, forse perché era bianca come lui, pensò divertito ricordando come da piccolo insistesse sempre per aver un berretto bianco e si mimetizzasse facilmente tra le siepi del parco, cogliendo di sorpresa i suoi fratelli che, in un modo o nell'altro, spiccavano sempre tra quella distesa candida. Ancora oggi aveva quel brutto vizio di infilarsi il cappello -toque Alec, chiama le cose con il loro nome!- di lana bianca e magari accucciarsi dietro ad una siepe che potesse nascondere i suoi giacconi scuri ma non la sua testa incappucciata, che sempre svettava sopra a tutto per colpa della sua altezza. Si nascondeva per prendere i suoi fratelli di sorpresa e lanciargli quelle micidiali palle di neve che arrivavano sempre al loro obbiettivo.
Giocare tra la neve era una delle cose che più amava dell'inverno, forse perché gli ricordava la sua infanzia, forse perché era una tradizione che era nata con una versione in miniatura di lui, di un anno circa, e suo padre che tenendolo in braccio lanciava palle di neve a sua madre per poi fare l'innocente e dirle che, con loro figlio in braccio – sempre lui quindi- non sarebbe riuscito ad ammucchiare la neve nel modo giusto neanche volendo.
Sorrise agli alberi bianchi che vedeva da lontano e si sfregò le mani prima di tirarsi le maniche del maglione sopra le nocche e sfregarle contro il vetro per togliere la condensa del suo stesso respiro.
Gli venne distrattamente in mente il fatto che sua madre odiava quando alitavano sulle superfici per poi disegnarci sopra, non che lui lo facesse spesso ma si prendeva comunque sempre le strillate assieme ai suoi fratelli, su questo non c'era dubbio.
Si spostò dalla grande vetrata della sua camera e allungò una mano per sfiorare le tende aperte, come se avesse voluto chiuderle per via di un semplice gesto automatico ma poi si fosse fermato. Tenne il braccio sospeso a mezz'aria, fissando il modo in cui cominciò a tremulare. La mano sinistra corse veloce a stringersi sotto il gomito per sostenerlo in quel poso. Aggrottò le sopracciglia e strinse le labbra, un misto di fastidio e rimprovero per sé stesso che lo accompagnava da mesi ormai.
Avanzò verso il letto che per ventidue anni lo aveva ospitato ogni sera e vi si sedette con attenzione, cercando di non spiegazzare troppo le coperte perfette e soprattutto di non far movimenti avventati.
Erano due settimane che non usava più le stampelle, le aveva sempre a portata certo, ma si stava impegnando per tornare alla stessa agilità di prima, preferendo far piccoli passi e poi riposarsi piuttosto che intraprendere grandi azioni con l'ausilio di qualche supporto.
Si domandò distrattamente quando avrebbe smesso di fargli male la ferita la braccio, quando avrebbe smesso quella al fianco di tirargli ad ogni movimento e quando se ne sarebbero andate tutte quelle piccole fitte che avvertiva dentro di sé in continuazione.
Gli avevano già sparato, al braccio sempre, ed era stato piuttosto fortunato quella volta perché avevano preso il sinistro e quindi aveva continuato a replicare al fuoco con la sua mano migliore, ma questo non aveva assolutamente nulla a che fare con i due proiettili che gli erano entrati in corpo quella notte d'Agosto.
Quello alla spalla era entrato ed uscito velocemente, lo avevano trovato incastrato nella libreria di Magnus quando avevano fatto i rilievi. Gli aveva rotto la clavicola e poi se n'era andato per affari suoi. Quello al costato era tutto un altro paio di maniche: il proiettile aveva impattato contro le costole, ne aveva rotte due -Dio solo sapeva come- aveva raggiunto il polmone bucandolo e lasciando che si riempisse di sangue e poi si era andato a bloccare sulla parte posteriore della costola sotto a quella che aveva rotto. E secondo i medici era anche stato fortunato che si fosse fermato lì e non avesse preso una vertebra, sennò invece di cinque mesi di degenza si sarebbe accaparrato una vita sulla sedia a rotelle e tanti saluti al suo lavoro.
Ed era stato anche fortunato che i soccorsi fossero arrivati in tempi brevi, anche se ciò non gli aveva risparmiato un rianimazione. Se non fosse stato per Magnus che aveva mandato quel messaggio a Simon prima ancora che Valentine li raggiungesse probabilmente sarebbe morto.

Sfregò la mano contro la cicatrice ancora ben in rilievo e si lasciò sfuggire una smorfia dolorante quando un polpastrello si impuntò sulla cresta di quel lungo taglio che i medici avevano dovuto allargare per frugare nel suo torace.
Prese un respiro profondo e tirò su il maglione, togliendo la camicia da dentro i pantaloni e anche la canotta, osservando dall'alto quello sfregio che gli aveva procurato tanti problemi.
Stava ancora passando la mano sulla pelle quando un rumore di passi attirò la sua attenzione.
Dalla forza e dal ritmo con cui erano scanditi i suoni Alec ne dedusse facilmente che suo fratello Jace stava salendo le scale per venire a chiamarlo, probabilmente per dirgli che il padre, che era andato a prendere la nonna Phoebe, era appena tornato o che qualcuno dei loro ospiti era arrivato.
Non si sforzò neanche di nascondere la ferita o il fatto che la stesse esaminando per l'ennesima volta, tornò semplicemente a farsi gli affari suoi e attese che il fratello bussasse con la sua solita grazie alla porta, chiedendo il permesso per entrare.
Permesso che in ogni caso si sarebbe preso da solo se gli fosse stato negato.
Tre colpi secchi e poi due veloci, Alec non alzò la testa ma mugugnò un “entra Ja” che fece immediatamente spalancare l'uscio della sua camera.
Qualunque cosa il biondo avesse voluto dire si bloccò sulle sue labbra quando individuò il fratello maggiore e i vari strati di vestiario alzati per dar bella mostra di quello sgarro orribile che gli segnava il costato.
<< Ti fa male? S'è arrossato? >> due rapide falcate e gli fu vicino, inginocchiandosi ai piedi del letto e poggiando le dita tiepide sulla pelle scoperta.
<< No, volevo solo vedere come stava.>> gli disse con semplicità.
<< Come se non la vedessi ogni singolo giorno.>>
<< Lo sai com'è.>> e si, Jace lo sapeva com'era, anche lui aveva una cicatrice simile sull'addome, solo molto più piccola e circolare e di certo più sbiadita. A Jace nessuno aveva dovuto infilare entrambe le mani nella pancia per estrarre frammenti d'osso, non avevano dovuto ricucire il polmone ma se l'era cavata con una pinza nel ventre, dieci punti di sutura interni e altri quattro per il foro d'entrata e quattro per quello d'uscita. Insomma, gli aveva preso l'intestino, ma a sentire il chirurgo che l'aveva operato non era nulla di così complicato e fuori dal mondo. Soprattutto per un poliziotto, aveva specificato, anche se di solito ferite del genere venivano salvate dal giubbotto antiproiettile. Alec gli aveva rinfacciato per mesi di non esserselo messo, per tutta la degenza in ospedale e per tutto il tempo che aveva dovuto passare a casa. Oh, si, e gli aveva rinfacciato anche le ore ed ore di sedute dallo psicologo che gli era costato andare a riprenderlo in quel casino in cui si era cacciato. Questo non glielo aveva mai perdonato, specie perché gli aveva fatto fare la conoscenza del dottor Lawson, da cui per altro era di nuovo in cura perché aveva ucciso il Vice Commissario della Polizia, una figura che invece avrebbe dovuto proteggerlo, perché aveva rischiato di perdere il suo protetto, cosa che sicuramente lo aveva segnato visto il suo rapporto con la sicurezza altrui -sempre parole del suo medico- e per ultima perché aveva rischiato di morire.
Era stato piuttosto inutile e controproducente dirgli che aveva rischiato di morire tantissime altre volte da quando aveva all'incirca quattordici anni, anche perché Lawson si era subito preoccupato e Alec era stato costretto a spiegargli che lui e Jace avevano rischiato l'avvelenamento per intossicazione alimentare da quando la sorella aveva deciso di voler imparare a cucinare.
Il dottore lo aveva guardato con un misto di incredulità e rimprovero, pareva chiedergli “ma fa sul serio?” e poi si era ritrovato a dirgli “Questo è il motivo per cui è in cura da uno psichiatra e non da uno psicologo, Alexander, lei spaccia per mortale un'azione quotidiana e per quotidianità un'azione mortale. La sua visione di pericolo è abbastanza fallata, ragazzo mio”.
E Amen, aveva ragione e basta.
<< Volevi qualcosa?>> domandò al fratello cominciando a rivestirsi.
Jace si animò, scappando da chissà quale pensiero lo avesse catturato in quel momento, annuendo con foga e trovando di nuovo il sorriso.
<< Sono arrivati Simon e Clary, Izzy e Max si stanno già preparando, andiamo al parco a fare a pelle di neve? Devo lanciarne una in faccia a Lewis e infilarne un altra nel cappotto ad Iz, fai squadra con me, vero?>> disse tutto esaltato rimettendosi in piedi e guardandolo dall'alto.
Alec sorrise e si alzò a sua volta, facendogli cenno di uscire dalla camera e scendere al piano terra.
<< Lo sai che Izzy si lamenterà, tirerà di nuovo fuori la storia che due poliziotti non possono stare in squadra assieme perché se no avranno la vittoria assicurata.>> gli spiegò con tranquillità scendendo le scale.
Il contrasto tra il fracasso che faceva Jace pestando ogni gradino come se stesse marciando ed i passi silenziosi di Alexander che pareva quasi volare sulla superficie di legno era qualcosa di estremamente divertente spesso. Come vedere un bambino saltellare e la sua ombra scivolargli dietro.
<< Si, ma di questo giro non sei al pieno della tua forma no? Anzi, credo che ci sarà anche una regola del tipo “niente colpi al fianco sinistro e alla spalla destra per Alec.>>
<< Se è per questo dovrebbe anche essercene una che dice “non fate correre Alec e non colpitelo in faccia perché non deve rischiare di avere neve nel naso”. >> continuò il moro divertito.
Superarono l'anticamera che univa il salone, la sala da pranzo, il corridoio e l'entrata di casa e si avviarono a passo sicuro verso quell'ultima.
L'ingresso della villetta era grande e arioso, luminoso grazie alle vetrate che incorniciavano il portone e alle grandi lampade che ne decoravano i muri. Sulla loro sinistra stava un'ennesima stanza che serviva da guardaroba e in cui erano riposti i loro cappotti.
Anni prima, quando tutti i ragazzi abitavano ancora quella casa, il guardaroba era sempre stato ingombro di mille oggetti: i giacconi, cappelli, sciarpe, guanti mischiati e spesso privi del loro compagno disperso in qualche cassetto, le borse della palestra, quelle di Maryse e di Izzy, le ventiquattr'ore di Robert, gli skate, i pattini, le protezioni ed i caschi. Le racchette da lacrosse, le mazze da baseball, i palloni dei vari sport e scarpe di ogni genere. D'inverno si arricchiva di slittini, d'estate di frisbee e pistole ad acqua, d'autunno di impermeabili, calosce e ombrelli, di primavera di tutti i fiori che Isabelle si ostinava a cogliere e lasciare dove gli capitava e dei foulard colorati che voleva mettersi a tutti costi come faceva la madre.
Adesso era decisamente più ordinato, con la fila di cappotti ben allineati ed il pavimento libero di tutte quelle calzature e quei giochi. Entro le mensole erano allineate le borse di Maryse e c'era anche quella di Izzy, più uno zaino decisamente di Simon ed una tracolla troppo colorata per essere di altri se non di Clary. Tutte le scarpe erano nel proprio ripiano e Alec ci mise un attimo per trovare il suo giaccone bianco in mezzo a quelli da montagna dei suoi genitori.
Tutto il caos che aveva animato quel luogo ora lasciava posto alla pace e se rimaneva troppo a fissarlo ad Alec dava una stretta allo stomaco, come la perdita di un'abitudine durata per anni e ora perduta per sempre.
Era uno dei tanti prezzi che si pagava crescendo, dopotutto.
Si prepararono nel pacifico silenzio del guardaroba, intaccato solo dal fruscio delle sciarpe e dallo scivolare delle zip che si confondevano con il ritmico frullare che proveniva dalla cucina dove la madre stava finendo di preparare la cena per quella sera.
Alec si avvolse la sciarpa candida attorno al collo e poi si calò ben in testa il berretto, nascondendo le ciocche nere dentro il bordo spesso e controllando che gli automatici del giaccone fossero ben chiusi.
<< Non credi che sia scorretto indossare un giaccone mimetico da neve solo per fare la guerra?>> gli domandò Jace divertito mentre s'annodava la sciarpa grigia e gialla con attenzione, Alec sorrise involontariamente quando si rese conto che era quella che gli aveva regalato lui stesso per il natale dei suoi diciassette anni, ancora reggeva ed era integra, da non crederci.
Si infilò i guanti e scosse la testa. << Dove dovrei andarci in mimetica se non in “guerra”?>> gli chiede di rimando, giocando sul tono vago della sua domanda.
Jace sogghignò e annuì. << Si, decisamente faremo squadra noi due, io sono quello con la mira migliore, non posso certo rischiare di beccarti e farti male no?>>
<< Questa sarà la tua posizione verso le proteste di Izzy?>>
<< Assolutamente si. E ti dirò di più, facciamo tutto in famiglia oggi, la formazione vincente sarà quella del BastBadBoy! >> affermò felice dandogli una pacca sulla spalla e uscendo di casa.
Alec alzò gli occhi al cielo ma sorrise anche lui. Si affacciò nel salone e avvertì sua madre che stavano uscendo tutti quanti, prima di prendere la porta anche lui e raggiungere Jace che fremeva sul vialetto, impaziente di raggiungere Central Park dove gli altri evidentemente li aspettavano.
<< Sono andati senza di noi gli infami, forza Alec, gambe in spalla.>> Gli fece calpestando lo strato di neve già in parte schiacciato che nascondeva le piastrelle levigate del viale che si ricongiungeva al marciapiede.
<< Ricordati che non devo correre e non mi devo affaticare. Non posso ancora- >>
<< Si, lo so, non puoi fare ancora un cazzo in pratica. Dio bro, mi ricordo ancora quando i medici dissero a me che non potevo fare “movimenti che comprendessero la contrazione della zona addominale.>> rabbrividì al pensiero ma moderò il passo a piacimento dell'altro.
<< Che fu un modo molto più elegante per dirti che non potevi fare sesso rispetto a quello che hanno usato con me.>>
<< Almeno sono stati diretti.>>
<< Almeno potevano non ripetermelo come se pensassero che mi sarei fiondato sul primo essere vivente che mi sarebbe passato sotto tiro.>> fece lui sarcastico infilando le mani nel giaccone.
<< Beh, visto che Magnus si è praticamente messo a battere i piedi perché voleva vederti ogni giorno, e visto anche che quel genio non ha mai smesso di fare battutine a infermieri vari e medici, credo che più che di te avevano paura di lui.>>
Alec sentì un vago tepore prendergli le guance ma fece finta di niente. << Non ce n'era bisogno.>>
Jace alzò un sopracciglio. << Vuoi farmi credere che non hai mai pensato di fare quattro salti con lui? Davvero Alec? No, perché credo che c'abbia pensato pure Izzy, giorni fa la sentivo parlottare con Clary su come doveva essere Bane a letto secondo loro.>> lo disse con finto fastidio, come se dovesse esserlo più perché era il fratello ed il fidanzato delle due interessate che per altro. << Da com'è messo fisicamente direi che non deve cavarsela così male comunque.>>
Jasi si voltò verso il fratello per sorridergli ma dovette voltare il capo perché Alec si era inchiodato sul marciapiede.
<< Che c'è?>> chiese allora il biondo.
<< Izzy e Clary hanno discusso sulla cosa ma non hanno fatto battute o altro?>> domandò stupito.
<< No, a parte che sei stato un coglione a perdere l'opportunità di sbattertelo quando eravate nella casa protetta.>> si strinse nelle spalle e Alec, ripresosi, gli si avvicinò a lunghe falcate.
<< Dimmi che Magnus non ha fatto uno dei commenti dei suoi- >>
<< Facendo credere alle ragazze che magari potete aver combinato qualcosa quando invece non è così? No, non l'ha fatto. Ma in ogni caso tranquillo, ho già detto ad entrambe di tenere la bocca chiusa e smetterla con quelle cretinate. Hai detto che non vuoi che ci infiliamo nella tua vita privata a meno che non sia tu a farci entrare no? Lo rispetto bro, giuro che non ti farò battute di nessun tipo.>> gli poggiò una mano sulla spalla e strinse leggermente, memore dei quel discorso fatto l'estate precedente che lo aveva colpito e fatto sentire in colpa più di quanto non volesse ammettere. Alec lo guardò per un lungo attimo e poi gli sorrise in maniera dolce e anche grata, un misto di emozioni che scaldò il cuore del biondo e gli gonfiò il petto d'orgoglio: Alec si fidava della sua parola ed avere la fiducia dei suoi fratelli era ciò che di più bello potesse esserci per Jace.
Il moro alzò lentamente la mano e prese quella dell'altro, togliendosela dalla spalla solo per stringerla.
<< Mi dai la tua parola da bro?>> Gli chiese con serietà pur continuando a sorridere, forse perché sapeva già la risposa.
<< Che Dio mi fulmini se mento.>> rispose prontamente Jace.
<< Non dirai nulla a nessuno?>>
<< Te lo giuro, una promessa è una promessa, come hai detto tu: parola di bro!>> disse raggiante restituendo la stretta al fratello.
Alec socchiuse gli occhi, brillanti di contagiosa allegria che derivava dal suo sorriso.
<< Mi fido allora. Non una parola, a nessuno. Neanche a papà, nulla al triunvirato, giusto?>> chiese comunque conferma.
Jace si portò una mano al petto. << Giuro. Che l'Angelo faccia di me ciò che vuole se non manterrò la mia parola.>>
<< Okay.>> concesse infine Alexander ridendo mesto. << E' piuttosto bravo in effetti.>> disse poi a tradimento.
Jace lo guardò per un attimo confuso, poi ricollegò la risposta al loro discorso e sgranò gli occhi.
<< Tu… ?>>
<< Sono ligio al dovere, non stupido. >> si strinse nelle spalle Alec.
<< Cazzo!>>
<< Oh si, puoi dirlo forte.>> ci pensò su. << Effettivamente l'ha detto spesso anche lui.>>
Sorrise ancora più divertito all'espressione del fratello.
<< Dannazione, non so se voglio saperne i dettagli o se preferisco rimanere all'oscuro di tutto. Non per niente, eh bro, è solo che mi fa male il culo a pensarci.>> rabbrividì il biondo facendo scoppiare in una sonora risata l'altro.
<< Certo che ti fa male, ma solo le prime volte o all'inizio. Se ti fa male anche dopo vuol dire solo che ti è andata di lusso.>> sogghignò al sussulto del fratello.
<< No, davvero, vorrei tanto chiederti com'è andata perché tu hai sempre sentito tutti i miei racconti anche nei dettagli più scabrosi, ma a differenza mia tu non hai una vagina con cui immedesimarti, io il culo per farlo ce l'ho. E poi sono abbastanza diviso tra il voler sapere che combina mio fratello e il non volerlo sapere perché, cazzo, sei mio fratello, sei il ragazzino che raccontava le favole, che mi ha spiegato la storia delle cicogne e che faceva la guardia ai camerini di Izzy quando lei era piccola e aveva paura che qualcuno entrasse mentre si cambiava! Facevi i lavoretti per la festa della mamma e hai fatto il disegno del distintivo a papà! E che cavolo, davi i baci sui graffi a Max quando cadeva non voglio davvero pensare cosa fai ora con quella bocca.>>
<< Anche tu facevi i disegni a mamma e papà, li faceva anche Iz e li faceva anche Max. Ricordati che anche tu fai “roba” con quella bocca e che la fanno anche gli altri. L'unica differenza è che io faccio le stesse cose che fa Izzy e tu quelle che fa Max.>> Poi si bloccò e trasalì. << Okay, non voglio immaginare Max che fa roba.>>
<< Ha diciassette anni.>> gli ricordò Jace. Poi trasalì anche lui. << Cazzo, spero che non faccia quello che facevo io a quell'età.>>
<< Certo non fa quello che facevo io.>> disse a bassa voce il moro.
<< Cosa?>>
<< Nulla!>> s'affrettò a dire.
Camminarono per un po' in silenzio, poi Jace non ce la fece più e sbottò:

<< Al diavolo! Adesso mi dici tutto quello che avete fatto e voglio anche i dettagli, sappilo!>>

 

Presentarsi in mimetica aveva avuto i suoi buoni risultati. Forse perché nessuno si aspettava di vederlo vestito così o forse perché li avevano confusi parlottando tutti concitati l'uno vicino all'altro, fatto sta che gli altri quattro avevano perso il momento giusto per mettere in pratica il loro agguato e Alec, dall'altro dei suoi due metri scarsi, aveva impiegato meno di niente a individuare il cappello con il pompon rosso di Isabelle e la massa altrettanto rossiccia dei capelli di Clary bloccati nello zuccotto azzurro con le renne.
Come avevano supposto le regole della partita erano state fatte soprattutto in base alle necessità del più grande, il che comprendeva niente colpi al suo fianco e alla sua spalla, niente colpi alla faccia per lui e per chiunque avesse gli occhiali e niente attacchi multipli, sempre per lui. Poi si erano formate le squadre e Max era stato di certo l'unico felice della scelta dei suoi fratelli, anche se c'era da dire che Clary aveva un buon lancio, così come Simon che era abituato alle bombe che lanciava loro Jonathan quando erano piccoli. E anche Izzy, temprata dal fuoco incrociato di Jace e Alec aveva sviluppato dei buoni riflessi.
Ciò non impedì ovviamente ai “BastBadBoys” di vincere.
E non impedì neanche a Jace di rifilare un colpo in faccia a Simon nella frazione di secondo in cui si era tolto gli occhiali per pulirli. Il viaggio di ritorno era stato un tripudio di urla di Izzy che ancora cercava di togliersi la neve dal cappotto, di Simon che piagnucolava convintissimo di essersi rotto il naso e di Jace che rideva come il deficiente che era. Una normale amministrazione che rese il petto di Alec più leggero e gli fece dimenticare per un paio di ore cos'era successo e anche perché si fosse fatto tutta la partita in versione stealt.

 

La porta di casa si aprì con un tonfo, sbattendo contro il muro come centinaia di volte Maryse gli aveva intimato di non fare. Alec fece entrare tutti prima di battere i piedi sullo zerbino e chiudersi delicatamente l'uscio alle spalle, abbozzando un sorriso mentre si toglieva i guanti umidi sentendo Max urlare il nome della nonna e marciare a passo spedito verso il soggiorno senza togliersi il giaccone.
Si spogliò senza riuscire a perdere quel sorriso storto che tanto lo caratterizzava e allungò anche un braccio ad Isabelle che cercava di spogliarsi in fretta per andare a salutare la nonna.
Arrivò in salone con tranquillità, aspettando che la fila per salutare la vecchia signora si disperdesse e godendosi la scena di Clary imbarazzatissima che rispondeva a monosillabi balbettanti alle sue domanda.
Phoebe Lightwood era una signora di ottant'anni dall'aria distinta e curata. Era piccola ma il suo portamento fiero la faceva sembrare un gigante, soprattutto per il modo che aveva di scrutarti alzando il mento verso l'alto, quasi ti stesse facendo il favore di posare gli occhi su di te. Aveva sempre i capelli ben acconciati, grigi come il ferro, tenuti di una media lunghezza come aveva sempre fatto per tutta la sua vita perché si rifiutava di farsi fare uno di quei tagli da vecchia che non servivano ad altro che farti guadagnare più anni di quanti già non ne avessi. Gli occhi di un grigio ghiaccio impenetrabili erano contornati da una ragnatela di rughe che la facevano sembrare una bambola di porcellana in procinto di sbriciolarsi. Alec l'aveva ripresa da lei la pelle pallida come la morte e la donna l'accentuava anche con la cipria con cui si imbellettava.
Era proprio quello il profumo che si portava dietro, da che i ragazzi ne avessero memoria la nonna aveva sempre profumato di cipria e di fiori, Alec aveva imparato ben presto che quel profumo era un bouquet particolare che la donna si faceva fare appositamente da un profumiere suo amico che aveva conosciuto quando era andata a studiare in Europa.
Le labbra fini erano colorate dello stesso rosso opaco che aveva portato da ragazza, come facesse a ritrovare sempre lo stesso tono per Izzy, e segretamente anche per Maryse, era un mistero e anche un motivo d'invidia.
Le mani piccole e grinzose erano contornate di anelli provenienti da epoche passate, un'eredità che si srotolava nei secoli e che era giunta sino a lei. Quando erano soli spesso la donna gli aveva detto che piuttosto che darli in eredità a sua sorella, che per lei si vestiva in modo sempre troppo appariscente e attirava troppo l'occhio, li avrebbe lasciati alla sua futura moglie. Alec l'aveva sempre ringraziata colpito da tanta fiducia.
Quando la nonna aveva scoperto che era gay lo aveva fissato per un lungo istante e poi gli aveva detto:
<< Allora li lascio a te e basta.>>
Alec non aveva avuto il coraggio di spiegare agli altri a cosa si stesse riferendo e nessuno glielo aveva più chiesto.
Il fatto che l'anno dopo, il giorno del suo compleanno, oltre ad una bellissima camicia blu marina la nonna gli avesse consegnato anche un paio di suoi orecchini di perla che aveva fatto riadattare come gemelli gli aveva fatto capire che non aveva scherzato quella volta. Dubitava l'avesse mai fatto.
Almeno però non lo tormentava più con la storia della fidanzata e del matrimonio, quello era un peso che ricadeva tutto sulle spalle di Jace e Max e di Izzy naturalmente, che ancora “volava libera come una lucciola e non si decideva a trovarsi un buon partito”. Spiegare a Izzy che “lucciola” era un modo un po' antiquato per indicare le donne non proprio fedeli non gli era passato neanche per l'anticamera del cervello.
Ascoltò di sfuggita la nonna chiedere a Clary se nella sua famiglia ci fossero precedenti di gemelli, perché sarebbe stato davvero impegnativo averne subito ma almeno si sarebbero tolti il pensiero al primo colpo, osservando come il volto della ragazza diventasse dello stesso colore dei suoi capelli e come Jace invece sbiancasse cercando di cambiare discorso.
<< Perché? Vuoi farmi credere che non facciate nulla? Spero almeno che abbiate la buona coscienza di non aver figli prima di sposarvi. È una tale noia burocratica dover riconoscere un bambino nato fuori dal matrimonio.>> disse con la sua voce forte ed imperiosa, malgrado l'età. Poi spostò lo sguardo su Izzy.
<< Mi auguro anche anche tu faccia lo stesso. Loro almeno sono fidanzati e sanno di chi sarebbe il bambino.>> continuò serafica come se stesse parlando del tempo.
<< Nonna!>> saltò su indignata Isabelle guardandola ad occhi sgranati. << Ma ti pare?>>
<< Che c'è? Anche tu vuoi farmi credere che non combini niente? Cos'altro?>> si voltò verso Max, << Vuoi farmi credere questo anche tu?>> Max balbettò qualcosa di incomprensibile lanciando sguardi allarmati ai genitori, a Maryse che voleva battere la testa contro il muro, imbarazzata quanto i figli, e Robert che invece teneva il suo sorriso bonario e non osava aprire bocca.
<< Alexander? Tu non vuoi darmi a bere una sciocchezza del genere, vero?>> chiese cercandolo con lo sguardo. Alec scosse la testa e si avvicinò a lei facendosi spazio tra i ragazzi, per la gioia di Clary che poté sfuggire allo sguardo da falco della vecchia signora. Si chinò per baciarle le guance e le strinse le mani.
<< Assolutamente no, nonna.>> rispose tranquillo e pronto alla battuta che gli avrebbe servito di rimando.
<< Bene. Almeno con te sono sicura che non metterai incinta nessuna. Si, molto bene Alexander, non come i tuoi fratelli.>> non mollò la presa sulle mani del giovane ma si girò per fulminare gli altri con lo sguardo.
<< Ehi!>> protestò Jace. << Non è mica colpa mia se le persone con cui va lui sono fornite dell'organo riproduttivo sbagliato per procreare!>>
<< Non sono una scommettitrice Jace Michael, ma sono più che sicura che sarebbe più attento di te anche se frequentasse persone “dotate dell'organo riproduttivo giusto per procreare”.>> gli fece il verso la vecchietta. << E sbrigati a chiederle di sposarti se è quella giusta, >> continuò imperterrita muovendo minacciosa il dito contro Jace, << ho una certa età io, vorrei andarmene da questo mondo dopo aver visto i miei bis-nipoti!>>
<< Ma se mi hai appena detto che non devo avere figli!>> fece quello confuso.
<< Ti ho detto che non devi averne prima del matrimonio perché se no poi li dovrai riconoscere e che spero per voi che non siano gemelli. Alexander, accompagnami a sedere.>>
<< Certo nonna.>>
Jace gli lanciò un'occhiataccia mimando con una faccia schifata le parole del maggiore.
<< Ti ho visto ragazzino.>> chiosò la donna lanciando al biondo al stessa identica occhiataccia che aveva mandato al fratello, << Lascia stare Alexander.>>
<< Ma nonna! Lo vedi che è lui il tuo preferito allora!>> sbuffò ritirando in ballo la sempiterna discussione sui favoritismi di sua nonna.
<< Certo che è lui. Non fa rumore, non vola di fiore in fiore, non si veste come se stesse partecipando ad una parata e non si brucia gli occhi davanti ad uno schermo.>> disse soddisfatta sedendosi sulla poltrona che di solito era di Robert e lasciando che Alec le sistemasse i cuscini dietro la schiena.
<< Suvvia nonna, sappiamo perfettamente che ci adori tutti.>> sorrise il moro sedendosi poi sul divano vicino. La donna annuì.
<< Ovvio che si. Ma i tuoi fratelli sono talmente straviziati, così abituati ad essere sempre elogiati e tenuti sul palmo di una mano che è fin troppo facile farli imbronciare come bambini e farli indispettire.>> disse come se stessa parlando solo ad Alec e gli altri non esistessero << Piuttosto Isabelle, mi sorprende che tu non ti sia ancora messa a battere i piedi.>> alzò un sopracciglio finissimo verso la nipote che incrociò le braccia al petto e gonfiò le guance proprio come la bambina che la nonna l'aveva appena accusata d'essere.
<< Io non sbatto i piedi!>> protestò subito per poi battere il piede con forza sul pavimento. L'occhiata scettica della donna passò in secondo piano solo perché contemporaneamente Jace e Max scoppiarono in lamentose affermazioni secondo le quali ormai erano adulti e non dei poppanti.
Phoebe scosse elegantemente la testa e poi sospirò. << E' meglio che non abbiano ancora figli, sai Alexander? Sono ancora immaturi per un bambino, malgrado abbiano tutti lavori rispettabili. Max ovviamente è da escludere perché se sarà lui a regalarmi il primo nipote ci rimarrò davvero male.>> guardò il ragazzino. << Tu devi studiare, non pensare a metter su famiglia, per quello ci sono i tuoi fratelli, sono stata chiara?>> lo minacciò ricevendo in risposta un veloce annuire e qualche borbottio che somigliava ad un “Ma chi lo vuole” che lei liquidò con un gesto della mano.
<< Quindi, Jace ha finalmente avuto il coraggio di presentarmi la sua fidanzata. Oh, aspetta, non ha ancora un anello al dito quindi non lo è vero? A meno che non sia quello il suo regalo di Natale. Sarebbe molto romantico chiederle di sposarti alla Vigilia, davanti a tutta la famiglia. Ricomincia a respirare ragazzina, mio nipote non ti ha regalato nessun anello per questa volta. Non rischierà di farmi assistere alla proposta e darmi l'opportunità di criticare il modo in cui l'ha fatto.>>
Alec si morse la lingua per non ridere, Max voltò la testa per nascondersi mentre Robert non ci provò minimamente, accomodandosi meglio sull'altra poltrona e assistendo quasi con piacere a quella scena. Era toccato a lui anni prima ricevere tutti quei commenti da sua madre, che ora se li prendessero i suoi figli. E dall'espressione esasperata ma vagamente divertita di sua moglie anche Maryse dovette trovare quel passaggio di testimone piuttosto gradito.
<< Quanto a te Isabelle, direi che è il momento di imparare a tenere le ginocchia unite e cercare qualche buon partito.>> Izzy si fece rossa come i capelli dell'amica e Alec le giunse in soccorso poggiando una mano sul quella della nonna.
<< Nonna, non ti pare di esagerare un poco? Izzy non è quel tipo di ragazza.>> le disse gentilmente.
Il verso sprezzante che lasciò le labbra dell'amabile vecchietta fu così simile a quello che sua sorella stessa faceva che Isabelle ebbe il buon gusto di tacere.
<< No che non esagero. È una ragazza bella ed ammirata da tutti, la gente si gira quando passa per strada, sarebbe davvero stupida se non ne approfittasse e non è certo il suo caso. Sia per gli studi che è riuscita a portare avanti con successo, sia perché i tuoi genitori non avrebbero potuto mai crescere un figlio stupido e ancora di più perché è mia nipote. E mio figlio è bello ed intelligente, lo è mia nuora, figurarsi se possono non esserlo i miei nipoti.>> sorrise al Alce ancora come se stesse parlando solo con lui e non ci fosse nessun altro nella sala.
Era questo il bello di nonna Phoebe: era un'arpia che non si faceva scrupoli nel dire alla nipote che la vedeva come una che apriva le gambe per troppe persone, a dire a suo nipote che non si fidava di lui e che era sicuro che avrebbe messo incinta la sua ragazza prima di essersi sistemato, poteva criticare tutti nel modo più diretto e brutale, ma aveva un amore ed un orgoglio incondizionato per la sua famiglia che ti rendeva impossibile non amarla a tua volta.
Tantissime volte si erano trovati scioccati dalle sue affermazioni e dai suoi pensieri eppure ogni qual volta ci fosse occasione di tessere le loro lodi davanti ad altri o di vantarsi delle loro scelte ed azioni, Phoebe era sempre la prima, sempre a capofila.
<< Max, tu invece signorino dovresti proprio toglierti le gonne delle ragazze di testa per lo meno fino al tuo secondo anno d'università. Dai vent'anni in poi ti concedo di pensare di avere una ragazza seria.>> lanciò un'occhiata significativa a Maryse. << E tu che volevi che Alexander trovasse una compagna già a diciotto anni. Assolutamente no Maryse, è troppo presto, i tempi sono cambiati, neanche tu e Robert avreste dovuto avere una relazione così impegnata a quell'età.>> puntualizzò come se avesse ripetuto quel discorso centinaia di volte.
Fece vagare lo sguardo per tutta la sale e poi lo puntò dritto su Simon, che si ritrovò a deglutire e a tirarsi indietro inconsciamente.
<< Dimmi Simon, tu sei fidanzato?>> chiese a bruciapelo.
Il ragazzo balbettò qualcosa, gli occhi sgranati ingigantiti ancora di più dagli occhiali e la nonna fece un gesto con la mano, come a scacciar una mosca.
<< Ne deduco che la risposta sia no. A meno che tu non abbia un ragazzo. Sta tranquillo, puoi dirmelo tranquillamente, bisogna essere fieri di ciò che si è.>> fece annuendo con vigore.
<< N-n- no...no s-si-signora Lightwood, io- io n-n-non sono gay.>> cominciò balbettando. Jace gli diede una manata sulla schiena e gli occhiali gli volarono quasi via dal colpo. Si schiarì la voce e continuò. << E non sono neanche fidanzato.>> finì arrossendo leggermente.
<< Bene.>> fece secca lei, tutti la guardarono perplessi. << Lavori al Dipartimento di Polizia con i ragazzi, è giusto?>>
<< Si signora.>> pigolò lui titubante.
<< E cosa fai di preciso? Ricordo che lavori in un laboratorio ma non so di che tipo.>>
<< Laboratorio Informatico, lavoro con i computer e con tutti gli apparecchi elettronici.>>
<< E' uno dei dottori che si occupano di reperire informazioni, di rintracciare persone, chiamate, dati, che creano sistemi di sicurezza per il Dipartimento e che ne proteggono i dati.>> spiegò Alec ricevendo in cambio un cenno di ringraziamento con la tesa.
<< Ma ora cambierà. >> s'intromise Max. << Ha fatto la richiesta per passare dal laboratorio al campo, deve sostenere l'esame ma lo supererà di certo e poi verrà assegnato alla squadra di Alec.>>
<< Beh, non è proprio così… >> provò piano Simon per bloccarsi sotto lo sguardo di ghiaccio della donna.
<< Vuol dire che non hai fatto richiesta per diventare un agente operativo e che non verrai assegnato alla squadra di Alexander?>>
<< No signora, è giusto.>>
<< Allora non dire sciocchezze. Se non hai nulla di intelligente da dire taci Simon. L'ho sempre detto anche ai miei nipoti, ma pare che solo il primo e l'ultimo abbiano accolto il mio insegnamento.>>
<< Scusi signora.>> fece allora abbassando la testa.
<< Non ti scusare e rispondi alle mie domande. Alexander, poi tu mi parlerai della tua promozione per bene. Devi anche dirmi il giorno in cui ti consegneranno la targa ed il nuovo grado, non ti vedo in divisa da Sergente da quando sei stato promosso.>> diede qualche colpetto sulla mano ad Alec e poi si voltò di nuovo verso Simon. << Diventerai un agente operativo, un detective se sarai nella squadra di Alexander, bene, è un buon posto e ti aprirà le porte per far carriera e salire di grado. Direi che è davvero una bella posizione, si. >> annuì a sé stessa e si girò con una velocità ed una fluidità sorprendente verso la nipote. << Perché non esci con lui che è un bravo ragazzo, invece di andare a cercarti gente per locali discutibili come quelli che frequenti tu? Sei una donna in carriera Isabelle, ti serve un uomo in carriera tanto quanto te al tuo fianco, non il primo omuncolo che trova il coraggio per dirti quello che sai già.>>
L'imbarazzo si allargò per tutta la sala, sembrava che l'unico che si stesso godendo lo spettacolo fosse Robert, il cui sorriso si allargava proprio come quel sentimento dilagante che stava avvolgendo tutti.
Dio, quanto si stava divertendo.
Ci fu un momento di balbettio scoordinato da parte di Simon, di proteste fatte di indignati suoni acuti di Izzy, si sbigottimento di Clary e di piagnucolii di Jace che già aveva Lewis come fratellastro della sua ragazza e non lo voleva anche come cognato.
Maryse trovò quel momento opportuno per defilarsi in cucina e continuare a preparare la cena, oltre che il tea per la suocera e chiunque lo volesse e diede anche una pacca sulla spalla al marito che però le fece cenno di lasciarlo in pace ad ammirare il magnifico putiferio che sua madre riusciva a tirar su anche dopo mezz'ora in una stanza.
<< In fin dei conti però, vista la vostra maturità, il fatto che non siate sistemati e tutto, spero di non ricevere la sorpresa di una gravidanza per quest'anno.>> Phoebe si fermò e poi strinse la mano ad Alec, la stessa che non aveva lasciato da quando il nipote più grande si era avvicinato a lei per salutarla.
<< Certo, a meno che Alexander non mi dica che questo Natale verrà a cena anche il suo compagno, che questo ipotetico giovane abbia un buon lavoro, che la vostra sia una relazione solida. In tal caso, mi sono informata per bene Alexander, esistono delle donne che accettano di portare avanti le gravidanze per coppie che non possono avere figli loro. Mi hanno detto che è importante che in una coppia almeno uno dei due sia un genitore biologico per le solite beghe burocratiche. Mi è capitato di incontrare una bella signora molto appariscente, certo più di te Isabelle, e per cui per altro mi sono sorpresa di riconoscere come un corpo maschile possa portare così bene abiti femminili- >>
<< Sta parlando di un trans o di una drag secondo te?>> domandò a voce bassissima Simon a Clary. Lei si strinse nelle spalle ma Max si sporse discreto verso di loro. << Non mi sorprenderebbe che mia nonna possa averlo fatto.>>
<< In ogni caso le ho chiesto se era ben informata sul matrimonio omosessuale e sulle eventuali possibili adozioni e lei si è mostrata disponibilissima a parlarmene non appena le ho detto che mi informavo per mio nipote. Ho trovato opportuno darle della donna ovviamente, era vestita così quindi credo proprio che volesse essere percepita come tale. Capisco perfettamente la sua iniziale reticenza a parlarmene, deve avermi scambiato con certe vecchie bigotte. Tsk, sono andata in guerra io, ho visto abbastanza di questo mondo per disinteressarmi completamente alle inclinazioni sessuali delle persone a patto che siano consenzienti. Ma non è questo il punto. Mi ha spiegato tutto non appena ha capito la situazione, è stata così gentile anche da darmi l'indirizzo di un'associazione a cui rivolgermi e ovviamente ci sono andata. Stavano preparando una manifestazione per questa primavera, ho detto loro di farmi sapere quando perché avrei partecipato, bisogna sempre battersi per i proprio ideali e la propria felicità, Alexander, mi accompagnerai ovviamente, tu ed il tuo ipotetico compagno. Il sunto del discorso comunque sta nel fatto che ora anche tu puoi sposarti, lo sapevi? E puoi avere dei figli anche se non saranno di entrambi e per te non sarei minimamente in ansia se mi dicessi che avrai un bambino.>> finì di esporre il suo discorso e fissò gli occhi chiari in quelli blu scuro di Alec che le sorrise con estrema dolcezza e gratitudine, malgrado fosse arrossito.
Sua nonna era stata probabilmente la sorpresa più grande di tutti, quando le aveva detto di essere gay. Inconsciamente aveva sempre saputo che suo padre gli sarebbe stato vicino per via di Michael, Robert non aveva mai fatto segreto dell'omosessualità del suo miglior amico, non se n'era mai vergognato, forse proprio perché lo aveva fatto a suo tempo quanto lui glielo aveva confessato e non voleva più che qualcuno pensasse che potesse dargli fastidio. Sua madre, d'altra parte, invece si era comportata su per giù come credeva avrebbe fatto. Non gli aveva parlato e lui non aveva parlato a lei. Sicuramente per Maryse erano stati una serie di fattori a portarla a quel mutismo da shock, il fatto che non lo avesse capito malgrado fosse sua madre, il fatto che lui non glielo avesse detto, che la società ancora non accettava completamente le persone come lui e che volesse intraprendere un lavoro che era per antonomasia covo di testosterone puro. Anche il semplice fatto che non comprendesse come si potesse amare una persona del proprio sesso, come si potesse rinunciare ad una famiglia composta da madre e padre, ma Alec non se l'era proprio scelta quella vita, non la rimpiangeva assolutamente, certo, eppure per anni si era sentito completamente sbagliato e la reazione di Maryse gli aveva solo dato la conferma della sua diversità.
A distanza di tempo aveva capito che non c'era nulla di sbagliato, che non era “diverso” ma aveva solo un gusto personale che si scostava da quello più comune. Come chi preferiva le bionde, come chi amava le ragazze cicciottelle, chi desiderava un compagno muscoloso ed alto, chi era fissato con le brasiliane e che invece era attratto dagli asiatici.
Asiatici… il pensiero gli volò a Magnus e arrossì ancora di più.
Non c'era nulla di sbagliato in lui, ora lo sapeva e il suo unico rimpianto era stato capirlo a diciannove anni e non prima, quando si sarebbe potuto godere meglio l'adolescenza.
Guardò quella vecchietta tanto compita che si era fermata a parlare con una drag o con un trans solo per chiedergli informazioni per lui, per sapere se i tempi erano migliorati e ora finalmente anche lui avrebbe potuto sposare il suo di amore ed essere riconosciuto come una famiglia davanti alla legge, la stessa vecchietta che gli regalava i suoi gioielli, che diceva a Izzy che si comportava da sgualdrina ma che la elogiava sempre per come stesse bene vestita in un dato modo, come le cadesse bene un abito indosso, la stessa che accusava Jace di essere un dongiovanni e che poi lo spronava a non scappare da una relazione che avrebbe potuto renderlo felice solo perché sarebbe potuta anche diventare seria. Quella che sgridava Max perché stava sempre appiccicato a fumetti e videogiochi e poi glieli comprava lei stessa, perché il suo nipotino era un genio ed era un peccato che non avesse l'ultimo ritrovato della tecnologia.
Le strinse le mani e annuì.
<< Grazie nonna, ma al momento non c'è nessuno nella mia vita.>>
Annuì anche lei. << Beh, dopo tutto quello che ti è successo in questi mesi. Mi devi anche aggiornare sulla riabilitazione, oltre che sulla tua promozione.>>
<< Certo. E sarò felice di andare a quella manifestazione con te.>> già se la immaginava sua nonna con una raimbow flag in mano. Magari avrebbe potuto chiedere a Magnus se voleva andare con loro…
<< E per la gravidanza... come l'aveva chiamata?>>
<< Utero in affitto, nonna. E no, non penso che potrei mai fare una cosa del genere.>> cominciò bloccando sul nascere le proteste della donna con un gesto compito della testa, << Ci sono migliaia di bambini al mondo che non hanno dei genitori, credo che la cosa migliore da fare, semmai avrò una famiglia ed il mio ipotetico compagno sarà d'accordo, sarà adottarne uno. Ma ti ringrazio tantissimo lo stesso.>>
Phoebe lo guardò con quei suoi impenetrabili occhi ghiacciati e poi annuì soddisfatta.
<< Questo è mio nipote, non potevo aspettarmi una risposta migliore.>> poi si rifece seria.
<< E allora questo ragazzo? Tuo padre dice che quello a cui hai salvato la vita persino Jace lo reputa un bel tipo, che mi dici di lui?>>
<< PAPA'!>>

 

La signora Lewis e Rebecca erano arrivate per le sette spaccate assieme ai coniugi Garroway e, con grande sorpresa di tutti e gioia di Clary, anche Jonathan. A quanto tutti i fratelli Lightwood erano giunti il ragazzo si era presentato unicamente per sua sorella, o forse anche per sua madre che non lo voleva solo a casa la vigilia di Natale.
Erano tutti riuniti in salone a chiacchierare, sui mobili addossati alla parete, che normalmente ospitavano solo il vaso di porcellana francese della nonna di Maryse e qualche cornice, erano allineati vassoi e piatti, bevande e bicchieri lucidi. Il chiacchiericcio piacevole che si era diffuso per la sala grande e luminosa era interrotto solo di tanto in tanto da qualche risata o dalle esclamazioni affilate di nonna Phoebe che riusciva a mettere in difficoltà persino Jocelyn e Lucian.
Alec diede un'occhiata a tutte le persone riunite a casa sua e si rese conto che una testa chiara mancava all'appello. S'avvicinò lentamente alla porta d'ingresso, spiando dalle vetrate smerigliate la figura di un giovane in piedi, poggiato contro la ringhiera. Sospirò ed entrò al volo nel guardaroba a prendere il proprio giaccone e quello dell'altro.
Uscì al freddo della sera del 24 Dicembre, affiancandosi a Jonathan che fumava in silenzio, tutto incurvato su sé stesso, chiuso nel maglione pesante che non riusciva comunque a fermare il vento gelido che soffiava quella notte.
Il biondo alzò di poco lo sguardo incontrando il suo e riabbassandolo subito la testa, coprendosi il volto con quei capelli privi di colore che parevano una tenda trasparente e traslucida sulla sua pelle rosata. Gli allungò il cappotto senza parlare e lui lo afferrò con un cenno del capo.
Rimasero in silenzio per un tempo indefinito, finché Jonathan non finì la sua sigaretta e la buttò a terra, infilando poi la mano nella tasca posteriore dei pantaloni per tirarne fuori un'altra.
Lo scatto dell'accendino ruppe la quiete della strada una, due, tre volte, una mezza imprecazione contro entrambi gli oggetti e Jonathan lanciò a terra l'accendino con un gesto stizzito.
Alec si mosse ad agio raccogliendolo e tornando indietro verso l'altro che si ostinava a non guardarlo. Allungò la mano togliendo delicatamente la sigaretta dalle labbra del biondo, attirando così la sua attenzione. Sotto lo sguardo prima confuso e poi sorpreso di Jonathan strinse il filtro tra le labbra screpolate dal freddo, mise una mano a coppa davanti alla punta e si fece riparo mentre faceva scattare la fiamma ed incendiò la carta catramata della sigaretta.
Jonathan fu tentato di fermarlo per un attimo, dirgli che le sigarette per essere accese dovevano essere aspirate ma Alec lo sorprese ancora e l'accese con facilità.
Fece scattare il coperchio dell'accendino e lo chiuse, prendendo una boccata di fumo e togliendosi la sigaretta di bocca tenendola con indice e pollice, abbassò il braccio girando il tizzone verso il palmo della mano, il gesto naturale di un fumatore consumato che nasconde la parte bruciata dalla vista degli altri e anche dalla possibilità che qualcuno la toccasse inavvertitamente e si facesse male.
<< Da quando fumi?>> gli chiese piano, riconoscendo i modi sicuri di fare come quelli di qualcuno che vi era abituato.
<< Ho smesso anni fa.>> gli rispose solo.
Jonathan lo scrutò con attenzione. << Non credevo che la riabilitazione per un polmone bucato fosse una sigaretta.>>
<< Non lo è, ma una non mi ucciderà. Era davvero tanto tempo, mi ero quasi dimenticato che consistenza avesse il fumo in bocca.>> parlò lasciando che la nube bianca riempisse le sue labbra e si liberasse in volteggi astratti verso un cielo che prometteva altra neve.
<< E lo hai deciso tu che non ti ucciderà o te l'hanno detto.>> fece sarcastico, il suo solito tono saccente e fastidioso che risaliva a galla e lo faceva tornare per un attimo lo stesso insopportabile stronzo di sempre.
Alec si strinse nelle spalle, deciso a parlare senza filtri, tanto cos'aveva da perderci?
<< Mi hanno tolto il sesso, che mi lasciassero la facoltà di scegliere se voglio fumarmi un sigaretta dopo cinque mesi dall'operazione e due anni da quando ho fumato l'ultima.>>
L'altro storse il naso. << Che c'è, Bane non ti ha soddisfatto quella volta?>> chiese cattivo.
<< Oh, no, Magnus mi ha più che soddisfatto. Ma sai com'è, mi hanno quasi ammazzato, non è che io abbia avuto tutta questa possibilità di divertirmi ultimamente.>>
Jonathan abbassò di nuovo il capo, colpito in pieno dalle parole del moro che con nonchalance prese un tiro e poi passò la sigaretta all'altro. La prese e tirò una boccata anche lui, si rigirò la sigaretta tra le dita, osservandola come se nascondesse la risposta a tutte le sue domande, poi gliela ripassò.
<< Senti, non pensare che io sia felice di stare qui. >> cominciò combattivo.
<< Allora vattene.>> disse secco Alec facendo voltare di scatto il biondo. Jonathan lo fissò allibito e poi annuì.
<< Si, so perfettamente che non hai voglia di avermi tra i piedi, specie a Natale poi… >>
<< Lo hai detto tutto.>> continuò senza guardarlo, o almeno fingendo di non farlo.
Alec teneva sotto controllo ogni minima mossa del giovane Morgenstern, attento anche al fremito più insignificante. Lo vide benissimo serrare i pugni e contrarre la mascella.
<< Non sono io a dirlo.>> finì.
Jonathan si voltò di nuovo verso di lui e lo fissò senza parlare.
<< Nessuno ti ha obbligato a venire qui, questa sera. Lo hai fatto per tua madre e per Luke, ma soprattutto per tua sorella. Non ne avevi voglia ma te lo sei imposto per loro. Che poi dimmi, cosa avresti fatto se no? Te ne saresti stato chiuso nel tuo appartamento a bere e ripeterti quanto faccia schifo il mondo?>> si voltò a fronteggiarlo, lo sguardo duro e sicuro. << Ti do una notizia sorprendente Jonathan, il mondo fa schifo. La legge non è giusta. La giustizia non è sempre legale. Le persone ti sputano addosso senza sapere nulla di te, credendo di conoscerti solo perché hanno trovato un aggettivo con cui definirti e so di cosa sto parlando. Io rimarrò sempre il gay, potrò essere un poliziotto, potrò essere il migliore, potrò prendere una promozione dopo l'altra ma esattamente come se fossi una donna verrò sempre messo in discussione, tutti continueranno a chiedersi come ci sia arrivato a quel punto, se sono abbastanza per fare il mio lavoro. Ma questo non mi impedirà di farlo, non mi impedirà di tenere la testa alta ed andare tutti i giorni in ufficio. Non mi impedirà di indagare su un omicidio e arrestare l'assassino. Non mi impedirà di dare giustizia alla vittima e alla sua famiglia. Non mi fermerà.
E tu, tu sarai sempre il figlio del Vice Commissario Morgenstern, quello corrotto, che ha cercato di uccidere un detective ed un informatore perché potevano dimostrare che era sul libro paga di un pericoloso criminale, lo stesso uomo che ha venduto i suoi compagni, che li ha uccisi e che ha coperto le tracce degli omicidi di altre persone innocenti. Continuerai a domandarti se tuo padre abbia mai risolto nel modo corretto un caso o se ha sempre insabbiato tutto. Ogni volta che penserai ad un suo arresto ti domanderai se è giusto o se è un povero innocente quello dietro le sbarre.>> Jonathan voltò ancora una volta il capo ma Alec lo afferrò per il bavero del giaccone e lo costrinse a girarsi e guardarlo in faccia, strattonandolo finché gli occhi verde scuro, quasi marroni, del giovane non incontrarono i suoi neri per colpa della poca illuminazione.
<< Ma. Ma questo non ti impedirà di alzarti ogni mattina e andare a lavorare. Non ti impedirà di entrare in ufficio e affrontare un altro caso, arrestare un altro criminale. Non ti impedirà di sgominare un traffico di droga, un giro di prostitute. Non ti impedirà di fare il tuo dovere, di fare te ciò che è giusto. Perché tu non sei tuo padre Jonathan, così come io non sono il mio. Così come non lo è Jace, così come non lo è Magnus. Nessuno è il proprio padre e io non so e non voglio immaginare cosa tu stia provando, cosa voglia dire perdere un genitore e vederlo morire sotto i propri occhi. E ti chiedo scusa, non ho avuto l'occasione per farlo ma ora si e ti prego, se mai ci riuscirai, di perdonarmi. Hai tutto il diritto di odiarmi, di vedermi come un mostro perché questo è ciò che è una persona che toglie la vita ad un'altra, ma non avevo scelta, non potevo rischiare che si alzasse e sparasse ancora a Magnus o a te.>>
Non finì neanche la frase prima di tirare uno spintone al biondo che aveva caricato un pugno, pronto per colpirlo in faccia.
Jonathan lo osservò ad occhi socchiusi, un'espressione di pura rabbia in viso.
<< Scusarti? Mi stia davvero chiedendo scusa?>> sibilò irato.
<< Si, ti chiedo davvero scusa, anche se capisco che sia una cosa difficilissima da chiedere, praticamente impossibile.>> continuò serio e calmo Alec.
<< Tu sei un grandissimo stronzo.>> cominciò quello avanzando di un passo. << Come credi che possa sentirmi ora, eh? Pensi davvero che io voglia le tue scuse? Lo pensi seriamente? Ti rendi anche solo vagamente conto del fatto che sono completamente inutili?>> aveva alzato la voce sempre un po' di più ma non aveva osato urlare per paura di attirare l'attenzione degli altri.
Alec prese un respiro profondo, pronto a replicare, quando Jonathan riprese a parlare.
<< Non serve a nulla. Non dovresti neanche farlo. Non dovrebbe neanche passarti in mente. Un mostro… >> lasciò la frase in sospeso e scosse la testa, fissando lo sguardo sulla sigaretta ancora accesa. << Mio padre era un mostro.>> continuò con voce tremante. << Tu non mi devi nessuna scusa, ti ha quasi ucciso, ha quasi ucciso Bane… lui- lui ha ucciso a sangue freddo due suoi compagni solo perché aveva paura di affrontare le conseguenze delle sue azioni. Non mi devi nulla, sono io che dovrei chiederti scusa, per colpa sua sei quasi morto. Dio- >> si mise le mani tra i capelli e fece un mezzo giro su sé stesso, tornando poi a sporgersi verso Alec. << tutto quel sangue. Hai perso così tanto sangue… e ogni volta che provavo a togliere una mano quello zampillava come una fottuta fontana ed era stato mio padre, mio padre cazzo!, a spararti. Mio padre.>>
<< Te l'ho detto, tu non sei tuo padre. Non devi colpevolizzarti per nulla… >>
<< Dovevo capirlo! Dovevo cazzo! Era mio padre, ero la persona che gli era più vicina. Mi ha insegnato i suoi trucchi per capire chi è colpevole, chi è innocente, chi nasconde qualcosa e io li uso sempre e se non fossero giusti? Se mi traessero in inganno anche quelli?>> domandò come un fiume in piena.
<< Ma hai anche gli insegnamenti di Lucian dalla tua, se fin ora non sei mai stato in dubbio, se Luke non ti ha mai ripreso vuol dire che hai lavorato bene- >>
<< Lo sapevo.>> soffiò sfinito, sedendosi sui gradini del porticato. << Io lo sapevo, sentivo che c'era qualcosa di sbagliato. Dal momento in cui mi ha chiesto cosa sapevo del caso Fell e se potevo interessarmene. Mi ha detto che era per Bane, che finalmente potevo metterlo dietro le sbarre… ed invece era solo per sé stesso.>>
Alec lo fissò per una manciata di minuti, poi gli si sedette vicino.
Poggiò i polsi sulle ginocchia divaricate, diede un altro tiro alla sigaretta che si stava consumando lentamente, aiutata dal freddo che toglieva calore alla combustione, poi si rimise nella stessa posizione.
<< Hai parlato con uno psicologo?>> chiede a bassa voce, ogni sillaba una nuvola di fumo.
Jonathan scosse la testa. << E tu? Tu hai parlato con uno psicologo visto che ti colpevolizzi per la morte di un bastardo senz'anima?>> gli chiese di rimando sarcastico, convinto di sapere già la risposta.
<< No, non ho parlato con uno psicologo.>> e prima che Jonathan trionfante gli dicesse di starsene zitto allora, << Sono in cura da uno psichiatra.>> continuò lasciando di sasso l'altro. Gli offrì di nuovo la sigaretta ed il biondo l'accettò volentieri, cercando di capire ciò che gli era appena stato detto.
<< Da uno psichiatra? Intendi proprio i medici che curano i disturbi mentali?>>
Alec annuì. << Si, ci vado da dopo la sparatoria di Jace. Quella notte non sarei dovuto essere lì. Ci furono due morti dalla nostra parte e quasi venti dall'altra. >> si bloccò e Jonathan gli ripassò la sigaretta, come se una boccata potesse dargli coraggio. << Undici di quelli li ho uccisi io.>> Sorrise all'espressione improvvisamente dura del collega, quello gli fece cenno con la testa.
<< Perché quando spari miri sempre alla testa.>> disse sovrappensiero, ricordando i centri terrificanti di Alec ai tempi dell'accademia, al poligono.
<< Addestramento da cecchino, impari a sparare per uccidere. Qualcuno credette che non avrei dormito con tutte quelle vite sulla coscienza, con la paura di perdere mio fratello… ma la verità è che cercavano solo una scusa per togliermi dal consulto psicologico e mandarmi a quello psichiatrico. Non so se lo sai o se ricordi, ma quell'anno ero appena… >>
<< Tornato dalla missione in Medi Oriente come riservista volontario, si, me lo ricordo. Qualcuno ti aveva proposto di fare il passaggio all'esercito, vero?>>
<< Si… quello che successe lì… sapevo a cosa andavo incontro quando mi sono proposto, non ho rimorsi se non che avrei voluto fare di più.>>
<< Avevi vent'anni, eri uscito dall'accademia di polizia da due e avevi sei mesi di addestramento militare alle spalle. Non sono pronti i veri militari, figurarsi se lo eri tu.>> gli fece notare sarcastico ed infastidito.
<< Rimane il fatto che io con qualcuno ci parlo. Non di buon grado, lo ammetto e spesso è solo terribilmente fastidioso. Ma se ti può consolare anche il mio medico mi dice che ho una versione distorta del pericolo quando si tratta di me stesso e che sono terribilmente legato agli ideali di bontà e giustizia. >>
<< Non mi consola per niente.>>
<< Beh, fattelo bastare comunque. Se ci vado io puoi andarci anche tu.>>
<< Ah si? E perché scusa?>> sputò con astio.
<< Perché io odio parlare quasi quanto tu ami aprire bocca e dargli fiato. Sei un rompi palle nato Jonathan, che sparla di tutto solo perché si sente superiore ad ogni singolo essere su questa terra e si sente in diritto di dire sempre la sua. Pensa un po', lo psicologo passerà tutto il tempo a pendere dalle tue labbra, prenderà persino appunti e non dovrai neanche sforzarti di trovare argomentazioni interessanti per mantenere vivo il suo interesse.>> fece lo lo stesso sarcasmo acido con cui gli aveva risposto il biondo.
<< Non ho la minima voglia di dire i fatti miei ad un estraneo.>> puntualizzò arrabbiato.
Alec lasciò lo sguardo perso sulla neve ammucchiata ai piedi della scalinata.
<< Ho scoperto a mie spese che è molto più facile raccontare la propria vita ad uno sconosciuto che a qualcuno di cui ti fidi. Lui non ti conosce, non sa come ti sei mostrato al mondo per tutta la vita, non lo sa… non ti giudica e non ti senti in dovere di giustificarti perché a lui, di te, sostanzialmente non interessa nulla come persona ma solo come caso clinico.>> prese una boccata lenta, schiudendo poi le labbra solo per lasciare che il fumo bianco e denso fuoriuscisse libero.
<< E poi se non superi il consulto psicologico non ti ridanno la pistola e non ti fanno uscire dall'ufficio.>>
Jonathan tenne lo sguardo diretto sullo stesso cumulo di neve. << Che ne sai che non l'ho già superato? >>
<< Perché non hai la pistola.>>
<< Non me la sarei mai portata qui.>>
<< Perché a differenza tua io appena ne ho avuto l'occasione sono tornato al Dipartimento e quando sono salito alla OCCB a cercarti non c'eri.>> lo stupì con la sua sincerità, senza vergognarsi minimamente di ammettere che era andato a cercarlo.
Jonathan era cresciuto con un padre che gli insegnava che non bisognava mai dire tutta la verità, che gli ripeteva quanto fosse importante usare parole abbastanza ambigue per lasciarsi sempre una via di fuga ma abbastanza chiare per intendere esattamente quello che si intendeva. Era cresciuto nell'omissione dei dettagli e nella riformulazione delle frasi, come un avvocato in erba, come un politico o un vile sibillatore e la schietta e diretta sincerità di Alexander lo aveva sempre frastornato, colpito come uno schiaffo, come una secchiata d'acqua dopo tanta afa, come la luce dopo aver passato troppo tempo al buio. Come l'aria dopo aver tenuto la testa in una camera a gas. Era scioccante e frustrante perché lo sapeva che lui non ne sarebbe mai stato capace, che non era nella sua natura. Che Alec non si nascondeva dalle sue idee e dalle sue opinioni, dall'essere . Forse proprio perché in passato lo aveva fatto fin troppo e ne era rimasto ferito. Ferite che ancora portava indosso come un'armatura graffiata e sbeccata a cui non sapeva rinunciare e che con gli anni aveva rattoppato rendendola più spessa a forza d'aggiungere placche su placche.
<< Mi hanno dato un congedo… per lutto e per… per me.>> bisbigliò come se fosse un segreto, cercando di restituirgli la stessa sincerità che gli aveva offerto.
Alec annuì. << Lo so. Per questo non sono venuto a disturbarti a casa tua.>>
<<< Perché volevi vedermi? >> chiese alla fine stanco, passandosi una mano sul volto.
<< Perché per quanto possa essere stato un bastardo Valentine era pur sempre tuo padre e io l'ho ucciso davanti ai tuoi occhi.>>
Ci fu silenzio.
<< Grazie.>>
Il moro si voltò con lentezza a guardarlo, la sigaretta dimenticata in bilico tra indice e medio.
<< Come?>>
<< Grazie. Lo so cosa hai fatto. No. Non intendo “grazie per aver ucciso mio padre” perché- perché si, hai ragione. Era un bastardo ma era pur sempre l'uomo che chiamavo papà. Però, grazie, perché magari non sembra ma so cos'hai fatto, so che ti sei macchiato le mani del sangue marcio di mio padre per togliere a me il peso di scegliere tra il soccorrere lui ed il lasciar morire te o fare il contrario. Quindi, grazie.>> disse in fine, alzando lo sguardo sul suo, sincero come poche volte lo aveva visto.
<< Non pensavo che avrei mai sentito quella parola lasciare la tua bocca.>> sorrise storto cercando di stemperare il clima denso che li aveva avvolti. Ci riuscì.
<< Cazzo, i tuoi fratelli hanno ragione quando dicono che sei socialmente disabile, tu si che sai come distruggere un momento serio.>> sbuffò però divertito, scuotendo la testa in una cascata di fili bianchi come il sale, forse uno dei pochi ricordi di suo padre che lo avrebbero seguito nella vita.
Alec spense il mozzicone sulla neve. << Probabile. Ma grazie anche a te. Per avermi tamponato l'emorragia finché non sono arrivati i paramedici.>>
<< Non ho fatto gran ché, se non fosse stato per Bane… non ho mai visto così tanto sangue in vita mia, Clary mi prende in giro perché le ho chiesto di togliere i barattoli di vernice rossa da casa sua.>>
<< E poi non avresti bisogno di uno psicologo? Poi ti do il numero del mio.>> si alzò in piedi spolverandosi i pantaloni e gli fece cenno di seguirlo.
<< Io non ci vado da uno strizzacervelli.>>
<< Si che lo farai, se no non verrai reintegrato.>> lo corresse subito.
<< Allora vado da uno normale, ma non da uno che tratta la gente malata, pazza o mentalmente instabile.>> fece di rimando alzandosi anche lui e battendo i piedi a terra per togliersi la neve compattata si sotto le suole.
<< Perché sai che saresti esattamente dove dovresti essere o perché vuoi conservare un minimo di dignità e non far sapere a tutti quelli che ancora non lo avessero notato che sei mentalmente instabile e con tendenze fobiche?>>
<< Mi fai anche del sarcasmo? Dio Lightwood è proprio Natale!>>
<< Oh, questa è solo al Vigilia, il meglio me lo tengo per il venticinque, uno spettacolo da non perdere.>>
<< Giuro che il prossimo anno mi compro i biglietti in prima fila.>> gli sorrise e lo bloccò sulla soglia di casa. Sotto la sua mano sentiva il bicipite destro gonfio per la contrazione dell'esser piegato, per una volta fermo e non tremante.
<< Sono serio però.>> puntualizzò senza dover specificare cosa.
Alec lo guardò per un lungo istante e poi gli sorrise, posando l'altra mano su quella del biondo.
<< Si, anche io.>>

 

 

<< Soprattutto quando dico che sei mentalmente instabile.>>
<< Fottiti Lightwood.>>
<< Scusa Morgenstern, ma non sei proprio il mio tipo.>>

 




















 

Salve.
Come sempre questa storia è collegata a Una pista che scotta e consiglio di leggere la long.
In ogni caso, se qualcuno non ha letto la long, non gli va di farlo, ma vuole comunque capirci qualcosa, chieda pure.
Questa volta abbiamo visto come passa il Natale il braccio della legge di New York City e spero di non aver deluso nessuno. Anche se in verità non c'è poi tanto Natale in questo capitolo, ma va bene lo stesso.
Grazie per aver letto.






| Dal prossimo capitolo, Bane verse.|

<< Che cazzo vuol dire “abbiamo finito il latte”?>> sibilò minaccioso.
<< Esattamente quello che ho detto mocoso, abbiamo finito il latte.>>
<< Non può essere finito a Natale, Madre de Dios!>>
<< Raphael, no jurar!>> gli urlò la madre dalla cucina.
<< No blasfemé, mamà!>> replicò a voce alta, << Chi è l'incompetente che ha fatto la spesa?>>domandò poi assottigliando lo sguardo.
Il fratello si strinse nelle spalle. << Esteban penso.>>
<< Perfecto.>>
[…]
<< Mags?>>
<< Mh?>>
<< Dimmi che quello che ho appena visto scendere le scale non è Raphael armato di mazza da baseball pronto ad uccidere il poveraccio che si è scordato di comprare il latte.>> fece Catarina con gli occhi chiusi, massaggiandosi le tempie.
<< Eh… non lo è?>> provò lui, il tono troppo titubante per essere sicuro.
<< Raphael! Por el amor de Dios,
no me ensucies el suelo de sangre, has hecho lustrar el mármol acecha por nativo. ¿Qué figura nos hacemos si dejas huellas por toda casa?>> urlò ancora la signora Santiago da lontano.
I due amici si guardarono per un lungo istante.
<< Non voglio neanche sapere come ha fatto a sentirci.>> disse Magnus.
<< Non voglio neanche sapere perché la cosa che la preoccupa di più sia il marmo.>>

   
 
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