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Autore: Ellery    27/01/2018    2 recensioni
Hanji si rialzò, spazzolandosi frettolosamente la divisa. Non sapeva che pensare: forse quell’arma era eccessiva; era ancora troppo presto per affidare le sorti dell’umanità ad una tecnologia simile. Era distruttiva, incontrollabile e spietata. Non avevano margine d’errore: un calcolo affrettato, una mira sbagliata e sarebbero saltati tutti in aria. Non era sicura che potesse essere affidata a dei soldati e, men che meno, trasportata in tutta sicurezza.
[Possibile spoiler per chi ha seguito solo l'anime]
La ff partecipa al COWT-8, indetto da Lande di Fandom.
Week 2, Missione 2, Prompt: Tecnologia
Parole: 3203
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Erwin Smith, Hanji Zoe, Moblit Berner
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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La Lancia Tuono


Nota: la ff partecipa al Cowt-8, indetto da Lande di Fandom
Week: 2
Missione 2 - Prompt: Tecnologia
Parole: 3203




Erwin scivolò oltre la soglia del laboratorio, ignorando l’odore di bruciato. Hanji si era chiusa lì dentro dal mattino, senza più uscirne. Si era offerta volontaria per terminare la Lancia Tuono che, a detta dei progettisti, avrebbe dovuto spazzare via il Corazzato e la sua pelle coriacea.
Aveva controllato di persona il nascere di quella tecnologia, convinto che potesse essere un’arma efficace, anche se di indubbia pericolosità per le truppe. Chi la scagliava doveva essere rapido a scappare, per evitare di finire coinvolto nell’esplosione. Non sapeva, in effetti, se darla in dotazione a tutti i soldati o soltanto ad un gruppo. Era un cruccio che non era ancora riuscito a risolvere.

Richiuse l’uscio alle proprie spalle, avvicinandosi silenziosamente alla scienziata. Non si era accorta del suo arrivo, intenta come era a saldare due pezzi di spesso metallo argentato. Le batté piano su una spalla.

«Sono io!» disse, cercando di sovrastare il rumore dell’officina.

Hanji si voltò, spegnendo la fiamma ossidrica e togliendosi gli occhiali. Appariva più stramba del solito, con il viso annerito e solo il contorno degli occhi ancora pulito. I capelli arruffati sembravano bruciacchiati sulle punte, quasi questa avessero subito un piccolo incidente di percorso.

«Mi hai spaventato.» chiocciò la donna.

Non era vero, ovvio. Nessun gesto lo aveva fatto supporre: non aveva sussultato, né gridato, né si era premuta il petto per controllare il battito accelerato. Era soltanto una frase di circostanza, quella. Un modo per farlo sentire in colpa, nonostante tutto.
“Come se di colpe non ne avessi già abbastanza” si sussurrò, spiando il tavolo da lavoro.

Il prototipo era ultimato. La lancia splendeva come un enorme tubo lucido, da riempire opportunamente con l’esplosivo. Avevano approntato una nuova miscela, simile a quella dei cannoni utilizzati dalla Guarnigione, aggiungendovi una generosa dose di polvere da sparo. Aveva dato fondo agli ultimi risparmi della Legione Esplorativa e non ne rimanevano altri: tutto ciò che possedevano era stato investito nello sviluppo di quell’arma. Doveva soltanto augurarsi che funzionasse.

«Accomodati, su.»

Hanji gli indicò uno sgabello e lui prese posto senza fiatare.
Si sentiva stanco, intorpidito: non aveva fatto altro che sedere alla scrivania tutto il giorno, macchinando piani e diversivi per la riuscita della spedizione. Almeno finché Levi non era giunto a punzecchiarlo, con la sua solita irriverenza. Possibile che non riuscisse a tenere la bocca chiusa? Con lui, il capitano era sempre particolarmente prolisso. Strano, per uno che snocciolava sì e no… cinque parole con il resto del mondo. Levi era riuscito, in una manciata di minuti, a farlo sentire ancora più inadeguato, sbagliato e scomodo; lo aveva immediatamente redarguito e ricacciato al suo posto: possibile che non avesse ancora imparato come rivolgersi ad un superiore?
Anche se, in effetti, quella chiacchierata era stato più un duello da cui era uscito amaramente vincitore. Aveva osservato Levi abbassare il capo, dargli la schiena ed andarsene con il peso della sconfitta a gravargli sulle spalle.

«Va tutto bene?»

Sollevò lo sguardo, distraendosi. Hanji lo stava fissando perplessa.
«Sì, sono solo… un po’ sovrappensiero.» tornando a spiare la Lancia Tuono «Credi che funzionerà?»

«Ne sono sicura.» l’ottimismo della donna era inarrestabile «D’altronde, è una nostra idea, no? Funzionerà come sempre.»

«Ultimamente faccio parecchi buchi nell’acqua, invece.» mormorò, sbuffando piano.

«Avevamo bisogno di questa nuova tecnologia, Erwin. Senza questa, non riusciremo mai a catturare il Corazzato. Ha la pelle più dura della tua zucca e di quella di Levi messe assieme. Io ne ho visti di testardi, credimi… ma voi due li battete.» quelle parole gli strapparono un leggero sorriso, che si spense un attimo dopo «L’hai incontrato, non è vero?»

«Già.» bofonchiò a denti stretti. Era sorprendente come Hanji sapesse sempre tutto. Non riusciva a capire se fossero soltanto brillanti intuizioni le sue… o se avesse delle spie sparse per la caserma. La seconda, ovviamente, era più probabile. Riusciva quasi ad immaginarsi Moblit vestito da tenda girare per i corridoi.

«è stato qui sta mattina… voleva parlarmi di una cosa e…»

«Immagino sia per lo stesso motivo, allora.» indicò un secondo sgabello, dove la scienziata si accomodò poco dopo «Scusa. Non sono abituato a parlare con qualcuno più alto di me.» sussurrò, sarcastico «Non da quando…»

«So che ti manca. Manca anche a me. Lui e molti altri, ma… se fosse qui ti direbbe di andare avanti. Sei arrivato fino a questo punto, Erwin. Non puoi farti prendere dallo sconforto proprio ora.»

«Già…» ripeté, affatto convinto. Fissò l’unica mano che gli rimaneva «Ho litigato con Levi, poco fa…» confessò, infine «Crede che non debba partecipare alla spedizione. È stato… parecchio sgarbato, sì. Più del solito. Ha detto che dovrei rimanere a casa, che non servirei a niente e sarei soltanto un peso. “Un’esca per titani”, per coniare le sue parole. Secondo lui, dovrei restarmene qui a pensare a cosa fare e aspettare il vostro ritorno… tanto, beh… con un braccio solo, dove vuoi che vada?» sbuffò, allungando piano le gambe intorpidite. Era stato seduto troppo a lungo, ma per qualche ragione non riusciva ad alzarsi da quello scomodo seggiolino. Fare due passi non gli avrebbe fatto male, ma rimanere accucciato era quasi confortante. «La pensi come lui?» domandò infine.

Hanji non rispose subito, ma poi annuì con decisione:
«Sì, scusami.» disse soltanto «Capisco il tuo desiderio di guidare la spedizione, credimi. È un tuo piano ed è giusto che sia tu a portarlo a termine. Tuttavia… a mia volta, sarei più felice di saperti qui che là fuori. Sei un soldato ferito, Erwin. Dovresti restare a casa; sarai al riparo e… noi saremo certi di ritrovarti qui, quando torneremo. Sono stanca di perdere le persone che amo, davvero. Non ti sto accusando, intendiamoci.» si affrettò ad aggiungere, notando l’affliggersi dello sguardo azzurro «Siamo tutti adulti e siamo consapevoli della posta in gioco. Ci saremmo arruolati nella Polizia Militare, se non avessimo voluto grane.» proseguì, acciuffando un bullone ed uno straccio unto, sfregandoli l’uno sull’altro «Sapevamo quello che rischiavamo, quando abbiamo scelto la Legione Esplorativa. Lo sapevi tu, lo sapevo io, lo sapeva Mike… Nessuno di noi ti ha mai rinfacciato nulla. Solo… sono stanca di vedervi morire e non puoi chiedermi di sostenere questa tua scelta, quando entrambi sappiamo che ti costerà la vita. Non fare quella faccia. Mi avevi preso per una scema che non l’aveva capito?»

«Hanji...»

«No, non cercare di rabbonirmi con qualche stupido giro di parole!» la scienziata scagliò via lo strofinaccio, rimirando da vicino il bullone appena lucidato. Buttò anche quello sul tavolo, poco dopo. «Vorrei saperti al sicuro, per una volta. Lo vorrei tanto, ma non sono una illusa. So benissimo quanto ci tieni ad arrivare in fondo a questa storia. A vedere i segreti di quella stupida cantina, per… cosa poi? Per pulirti la coscienza? Io credo di sì. Vuoi arrivare laggiù e scoprire se i sacrifici che hai fatto… che abbiamo fatto… sono davvero serviti a qualcosa. E se così non fosse? Se fosse stato soltanto l’ennesimo spreco di vite senza risultato?»

«Non so che dirti. Ormai è tardi per tornare indietro. Hai ragione… desidero scoprire la verità su questa maledetta storia. Voglio sapere se le teorie di mio padre erano giuste: se esiste un’altra civiltà oltre le mura; se la verità sia davvero questa e se valga le vite spese per scovarla. È per ciò che devo essere lì, capisci? Devo sapere… e se per farlo dovrò sacrificarmi, tanto meglio. In fondo, non credo d’avere altro da dare a questo mondo.» scrollò piano le spalle, come se il resto non avesse importanza.

Quel gesto, per quanto semplice, fece infuriare Hanji: quanto poteva essere idiota un ragionamento simile? Andare a morire soltanto per una questione d’orgoglio, per provare a riscattarsi, dimostrando che in fondo aveva sempre avuto ragione. Per sbattersi in faccia la realtà e consolarsi all’idea che tutti quei soldati non fossero morti davvero invano. Ma… per fare ciò, non occorreva rischiare in prima persona. Poteva anche restarsene nel suo ufficio a scribacchiare ed aspettare loro notizie. Perché Erwin non lo capiva? Non era necessario alla spedizione, anzi. Avrebbe potuto lasciare a lei i dettagli ed il comando. Avrebbe portato a termine il compito, senza protestare né perdersi d’animo.

Scosse il capo, mestamente. In realtà, nulla di tutto ciò sarebbe servito. La presenza di Erwin era, suo malgrado, vitale per quell’impresa. I soldati non gliel’avrebbero perdonato, se si fosse tirato indietro. Come sarebbe apparso, se non come un acciaccato generale, troppo pavido per poter affrontare una missione come quella? Come un egoista, disposto a rischiare la vita degli altri, ma mai la propria.  Non avrebbe potuto sopportarlo, no… sarebbe stato l’ennesima colpa da portare, l’onta della vergogna e il marchio indelebile della codardia. Lo avrebbero biasimato ancora e, questa volta, a ragion veduta: nessuno desidera essere guidato da un comandante perennemente seduto ad una scrivania.

Inoltre, non era neppure sicura che i soldati l’avrebbero seguita. Come si sarebbe posta ai loro occhi? Come la sostituta inviata allo sbaraglio. Non avrebbero creduto in lei, non in un frangente simile. L’avrebbero guardata soltanto con pietà e commiserazione: la poveretta mandata a morire, mentre il suo superiore se ne stava con il culo al caldo. E non avrebbero combattuto; non per lei, almeno. L’avrebbero fatto per cercare di scappare, di tornare alle mura, per salvarsi. Non sarebbe riuscita a spingerli fino alla maledetta cantina e la spedizione sarebbe stata l’ennesimo fallimento.

«Immagino sia impossibile cercare di convincerti.» si arrese, infine «Forse hai ragione. Devi essere presente, quanto meno per guidare la spedizione. Dopo tutto, è una tua idea. Cosa penserebbero i soldati, se non ti vedessero?» ricevette un sorriso gentile, che la spinse a proseguire «Non sto dicendo che sono d’accordo con te, non fraintendere! Sto solo sforzandomi di capire il tuo punto di vista. Posso accettarlo da soldato, ma non da amica. Vorrei soltanto saperti al sicuro, tutto qui.»

«Come io vorrei lo stesso per te, per Levi e tutti gli altri.»

«Non è la stessa cosa. Noi non siamo feriti. Tu si; e questo riduce al minimo le speranze che tu possa farcela.»

«Lo so. È la stessa cosa che mi ha detto Levi.»

«Sono stupita! Per una volta, io e lui la pensiamo allo stesso modo.» si lasciò sfuggire un ghigno sarcastico «Però, nessuno di noi due ha il potere di tenerti incollato ad una sedia. Ci piacerebbe, ma temo non sia fattibile.» una pausa e poi «Mike cosa ti direbbe, se fosse qui?»

Hanji si pentì immediatamente d’avergli posto quella domanda. Lo vide abbassare lo sguardo e piegare le labbra in un sorriso amaro. Era stata insensibile e precipitosa: aveva riaperto delle ferite ancora troppo fresche; dei tagli che forse non si sarebbero mai rimarginati. Ciondolò il capo, tentando di porre rimedio:
«Perdonami. Fingi che non abbia detto niente.»

«No, è un dubbio lecito.» si sentì rispondere, ritrovandosi ad incrociare nuovamente gli occhi azzurri, tinti di una indescrivibile malinconia. Eppure, oltre il dolore che li velava, riusciva a leggere una risolutezza incredibile, una fermezza d’intenti che mai sarebbe riuscita a scalfire «Mike mi direbbe di andare.»

Risposta esatta, naturalmente. Mike lo avrebbe sostenuto, ma sarebbe stato diverso; conoscendolo, gli sarebbe rimasto appiccicato per tutto il tempo. Senza di lui, invece…

Tacque, squadrando in silenzio la Lancia Tuono che giaceva sul banco da lavoro. Doveva soltanto finire di saldare un paio di parti e poi riempirla di esplosivo. Ne aveva create due: la gemella, già terminata, era accantonata in un angolo della stanza. Forse avrebbe potuto sacrificarne una, per valutare il risultato effettivo, prima di metterle in produzione. Non aveva idea di quanti esemplari servissero; al momento, avevano creato soltanto alcuni prototipi. Quella che aveva per le mani, comunque, era la migliore: equilibrata, leggera e maneggevole.

«Proviamola, ti va?» domandò all’improvviso, recuperando la fiamma ossidrica e sistemandosi nuovamente gli occhialoni sul viso. Non aveva senso continuare quell'assurdo discorso! Era come parlare ad un sordo. Avrebbe ritentato più tardi e, chissà... forse, alla fine lo avrebbe convinto. Al momento, però, tanto valeva rimanere concentrti sul lavoro. «Mi piacerebbe testarla, prima di presentare il progetto definitivo. Vorrei valutarne gli effetti sul campo e… beh, ho voglia di far esplodere qualcosa, al momento. Qualcosa che non sia la tua testa vuota» ammise, aggiungendo poco dopo «Anche se ne sarei tentata.»

«D’accordo.» ricevette un cenno d’assenso «C’è un granaio abbandonato a nord di Trost,  un paio di miglia oltre il villaggio Fedor. Pensi possa andare?»

«Sarà perfetto. Non disturberemo nessuno. Domani?»

«No, questa notte. Meno gente ci vedrà passare con la Lancia Tuono e meglio sarà.»

«Bene. Io, te e…?»

«Solo noi due. Moblit, al massimo.»

«Levi?»

Il comandante scosse il capo:
«Preferirei di no. Non ho voglia di sentire altre rimostranze e… temo si lamenterebbe per tutto il viaggio. Sicura di volertelo sorbire?»

Hanji ridacchiò:
«Neanche un po’.»
 

***

 
Raggiunsero Fedor poco dopo la mezzanotte. Il paesino era completamente inanimato. Nemmeno una luce filtrava dalle imposte ormai chiuse. I braccianti che lo abitavano si erano certamente coricati da parecchio. In fondo, era un villaggio contadino: si animava presto al mattino, ma col tramonto si spegneva altrettanto rapidamente.

Lo superarono senza difficoltà, piegando verso ovest dopo aver superato un vecchio ponte di legno. Si mossero rapidi, cavalcando con la sola compagnia della luna piena e delle stelle. Moblit aveva portato con sé delle lanterne, ma non le accesero finché non furono costretti a lasciare il sentiero. Rallentarono l’andatura in aperta campagna. Smontarono e condussero i cavalli a piedi, facendo attenzione ad evitare fossi e buchi del terreno. Quando avvistarono il vecchio granaio, l’aurora stava già tingendo di rosa la volta scura.

«Siamo arrivati.» sentenziò Hanji, recuperando la lancia dal carretto attaccato dietro il proprio destriero. La fece scivolare da sotto il pesante telo, stringendola tra le braccia con estrema cautela.
Forse, l'aveva riempita eccessivamente: l’esplosivo pesava sul fondo del lungo cilindro metallico, mentre la punta – triangolare ed affilata – minacciava di staccarsi. Gli scossoni del viaggio dovevano aver allentato la frettolosa saldatura con cui era stata fissata. Si appuntò di sistemare quel dettaglio, se il test fosse andato bene.

«Ce la fate, caposquadra?» Moblit si fece immediatamente avanti, offrendosi di aiutarla.

Scosse il capo.
«Sì, nessun problema.» sussurrò, mentre l’assistente compiva un passo indietro.

Moblit era davvero un caro ragazzo. Sempre pronto a dare una mano, ad assisterla nei suoi stravaganti esperimenti. Era attento, capace e particolarmente fedele. Meritava molto di più che essere un semplice aiutante alle sue strette dipendenze! Chissà, magari lo avrebbe proposto per una promozione a caposquadra, una volta tornati da Shiganshina.

«Come intendi equipaggiarla sui soldati?» la voce di Erwin interruppe quelle riflessioni.

Si indicò un braccio:
«Pensavo di fissarla qui, vedi? Tra gomito e polso. Potremmo utilizzare i grilletti del Movimento Tridimensionale per azionarla. Dovremo soltanto modificare un poco le impugnature, ma Moblit ci sta già lavorando.»

Ottenne un rapido cenno di conferma e si affrettò a proseguire:
«Naturalmente, non ho portato con me anche il prototipo della nuova manovra, ma… penso che potremo testarla comunque. Ho aggiunto un innesco. Una volta fatto scattare, la lancia dovrebbe saettare dritta in direzione del granaio.» terminò, recuperando un paio di pale dal retro del carretto «Mettiamoci all’opera. Sono certa che il risultato non ci lascerà delusi.»

 
***
 

Le operazioni erano durate più del previsto. A metà lavoro, la pala di Moblit si era rotta ed aveva dovuto continuare da sola. Aveva creato un avvallamento nel  suolo, a circa un centinaio di metri dalla costruzione fatiscente. Vi aveva posizionato la lancia, sfruttando la terra smossa come fosse una piccola rampa di lancio. Aveva poi svolto la miccia, lasciandola correre sulla superficie brulla e completamente priva di vegetazione. Il cavo era lungo a sufficienza per permetterle di rannicchiarsi dietro al carretto, che Moblit aveva opportunamente rovesciato.

«Avete legato i cavalli?» domandò, accucciandosi accanto ai due compagni che, incuriositi, spiavano da oltre l’improvvisata barricata.

Il suo assistente le regalò un cenno:
«Certamente, caposquadra. Sono laggiù, ben assicurati.» confermò, indicandole un albero solitario a circa duecento passi da loro.

«Bene…» Hanji frugò nella bisaccia, cavandone una coppia di pietre focaie. Le sfregò con forza, sino al veder nascere una scintilla. Incendiò l’innesco, osservando il bagliore correre rapido lungo la fine corda. «Partito!» annunciò, tornando a nascondersi dietro al carretto e tappandosi le orecchie con le mani. Contò i secondi, lentamente… trenta, quaranta e poi un fischio alto.

Tornò a sporgersi oltre il bordo di legno. La Lancia Tuono era partita. Con un sibilo, aveva lasciato il cunicolo in cui era stata riposta, saettando veloce nell’aria. Una scia luminosa segnava la sua coda, mentre la punta vibrava sempre di più, frangendo l’aria fresca del mattino. Un istante dopo, l’arma si schiantò contro il granaio con un sordo boato. Il cielo si dipinse nuovamente di rosso e di arancione, mentre una nuvola di polvere si alzava dalla costruzione ormai abbattuta. Un rumore assordante arrivò a ferirle le orecchie, mentre una vampata di fuoco avvolgeva il vecchio tetto di paglia secca.
Attese, mentre il rombo si disperdeva ed il pulviscolo tornava a calare. Osservò a lungo il paesaggio: dell’ edificio non rimaneva altro che le fondamenta. I muri erano crollati in un ammasso informe di calcinacci ed intonaco, mentre il legno delle porte e delle imposte ardeva ancora.

Hanji si rialzò, spazzolandosi frettolosamente la divisa. Non sapeva che pensare: forse quell’arma era eccessiva; era ancora troppo presto per affidare le sorti dell’umanità ad una tecnologia simile. Era distruttiva, incontrollabile e spietata. Non avevano margine d’errore: un calcolo affrettato, una mira sbagliata e sarebbero saltati tutti in aria. Non era sicura che potesse essere affidata a dei soldati e, men che meno, trasportata in tutta sicurezza.

Gettò uno sguardo agli altri: il volto di Moblit rifletteva un’espressione sconvolta e preoccupata. La Lancia poteva rivelarsi un’arma vincente oppure una disfatta completa. Sarebbe stato saggio sfruttarla? Oppure era meglio rivederla da capo, ricalibrare l’esplosivo ed ideare un nuovo sistema di sgancio dal Movimento Tridimensionale?

Viceversa, Erwin sembrava appagato. Era come se avesse trovato finalmente la vera chiave per sconfiggere il Corazzato ed il Colossale. Quella nuova scoperta li avrebbe portati al successo. I nemici non sarebbero sopravvissuti ad un attacco di tale portata. Rimaneva soltanto un dubbio da risolvere: quante lance produrre? Era davvero necessario imbottirle di esplosivo a tal punto? Andavano consegnate a tutti i soldati o solo ad un gruppetto scelto?

«Ti soddisfa?» chiese, rompendo infine il silenzio che si era creato.

Il superiore le annuì, senza distogliere lo sguardo dai ruderi fumanti:
«Sì. Funzionerà. Non so ancora a chi le affiderò, né se convenga ricontrollare la miscela di polvere da sparo, ma… sono convinto che siano la nostra migliore offesa contro quei mostri.»

«Sei proprio sicuro di voler venire?» era un affondo improvviso, il suo. Conosceva la risposta e sapeva anche che non era il momento per rimettersi a discutere. Eppure, cogliere Erwin di sorpresa poteva essere il suo unico vantaggio. Sperava di convincerlo a cambiare idea? In fondo, sì; sapeva, però, che quelle non erano altro che deboli illusioni, che l’altro avrebbe scacciato con il più affabile dei sorriso.

«Non ti arrendi mai, vero?» come da copione, il comandante piegò le labbra in un cenno caldo e affettuoso, sin troppo familiare e piacevole.

Si strinse nelle spalle, mimando noncuranza; sforzandosi di non pensare a quanto quel sorriso le sarebbe mancato:
«Mai.»
  
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