[Scritto da Claudia Piazza, Valentina Onufrio e Sofia Zaccaria.]
13
Agosto
1941.
«E
dai, Amy! Sbrigati o faremo tardi!» grida Rory.
«Arrivo,
arrivo!» urla Amy dall’altra parte della casa.
«Non
c’è bisogno di agghindarsi così.
È solo un incontro con l’agente
immobiliare.»
dice e continua sottovoce, «L’ultimo
spero.»
«Esatto
dev’essere l’ultimo.» si impone Amy, che
intanto ha raggiunto il marito
d’avanti l’entrata di casa.
«Questo
appartamento sta diventando troppo piccolo.» continua lei.
Arrivati
in un quartiere poco fuori Manhattan, Rory ed Amy percorrono una strada
piena
di villette.
Vicino
un grande albero li aspetta un signore alto e magro che indossa un
completo
grigio, degli occhiali e tiene nella mano destra una valigetta
ventiquattr’ore
di pelle.
I
tre entrano in casa, restano lì per delle ore.
Escono
dalla casa. Amy e Rory hanno un largo sorriso stampato sul volto.
«Arrivederci.
E ancora congratulazioni per l’acquisto!» si
congratula l’agente.
«Arrivederci.»
saluta Amy.
Aspetta
che l’uomo abbia percorso il vialetto e sia scomparso dalla
vista per
abbracciare euforicamente Rory.
Nei
mesi successivi, Amy e Rory si dividono tra il lavoro, gli amici e
l’arredare
casa nuova.
Hanno
portato con loro alcuni degli oggetti dell’appartamento di
Rory come:
stoviglie, arredi per la cucina, un tavolino in vetro per il salotto e
qualche
sedia.
La
casa è molto accogliente, si estende in larghezza.
Salendo
i tre gradini dell’ingresso, si entra da una porta in legno
chiaro. Si arriva a
un salotto dalle pareti rosse diviso in due parti dal piccolo atrio, da
cui
scendono delle scale che portano al piano superiore.
La
prima parte, alla sinistra della casa, ha delle finestre grandi da cui
è
possibile vedere la strada, poi ci sono un divano rosa con dei cuscini
verdi,
una poltrona bianca e al centro un tavolino in legno. Leggermente
più a destra,
in un angolino c’è un tavolo da pranzo con quattro
sedie.
Da
qui si nota che una penisola bianca separa il salotto dalla cucina.
Questa
ha le pareti gialle e gli arredamenti bianchi e grigi. A destra un
muro, in cui
ci sono tutti gli utensili, separa la cucina dal resto della casa.
Esattamente
di fronte la penisola c’è una finestra sotto la
quale un lavandino e gli elettrodomestici
utili per la cucina.
Dalla
finestra è possibile vedere il retro della casa, qui si
estende un piccolo
cortile raggiungibile da una piccola porta vicino il frigorifero. Rory
ha
deciso di trasformarlo in un giardino e Amy ha voluto aggiungere dei
divanetti
neri con cuscini bianchi.
La
parte a destra dell’entrata, è la zona preferita
di Amy: anche qui ci sono
delle poltrone di color rosa salmone, ma la particolarità
è la grande libreria
nel muro di fronte, ancora un po’ vuota.
Una
porta rossa separa questa stanza dallo studio di Amy. È un
po’ piccolino, ma
abbastanza capiente da contenere uno scrittoio con una sedia e diverse
mensole
con riviste, libri e una foto del loro matrimonio.
Al
piano superiore poi vi sono un’ampia stanza da letto, un
bagno in tinta azzurra
e un’altra stanza che ancora i Williams non hanno arredato.
Novembre
1941.
Amy
e Rory si sono trasferiti nella casa nuova da circa tre mesi.
È
di nuovo inverno e alla radio passano le notizie della guerra del
pacifico:
l'America, che inizialmente si era dichiarata neutrale, adesso deve
entrare in
guerra per fronteggiare l'attacco giapponese nella base di Pearl
Harbour.
Fuori
il cielo è grigio e una pioggerellina sta iniziando a
bagnare i vetri della
cucina.
Quel
pomeriggio, Amy è a casa insieme ad Alicia, stanno prendendo
il thè, dopo che
Amy ha fatto mostrato la casa nuova all’amica.
Rory,
invece, è al lavoro. I suoi turni sono aumentati da quando
ha deciso di
continuare gli studi per poter diventare medico. A volte, è
costretto a dormire
in ospedale per poter seguire meglio alcune visite e i post operatorio
dei
pazienti.
Alicia
sorseggia il suo thè caldo.
«Spero
solo che questa guerra non arrivi anche qui da
noi…» dice l’amica.
Amy,
che proviene da un’altra epoca, sa già come si
concluderà il conflitto, ma non
può certo dire nulla alla sua amica. Così,
annuisce e prende un sorso di the
dalla tazzina in ceramica.
Alicia
nota una cabina blu fatta di carta sul davanzale della finestra:
è quella che
ha costruito Rory il natale precedente.
«Com’è
carina!» esclama.
«Sì,
l’ha realizzata Rory.»
«Perché
è blu?» domanda Alicia guardando
l’oggetto, «Le cabine londinesi sono rosse,
no?»
Amy
non sa cosa rispondere, vorrebbe raccontare ad Alicia del Dottore, ma
non può.
«Da
piccola sognavo sempre un uomo con dei vestiti stropicciati che
viaggiava in
una cabina blu.» rivela una mezza verità, Amy.
Alicia
la guarda stupita.
«Suvvia!
Alicia non fare quella faccia! Anche tu avrai i tuoi sogni strani,
no?» domanda
Amy, cercando di sviare il discorso.
«Beh,
in realtà i miei sogni non hanno nulla di strano: una casa,
una famiglia,
salute e felicità.»
«Io
non parlo dei sogni che si fanno ad occhi aperti. Ma di quelli che
facevi
dormendo quando eri bambina.» aggiunge Amy.
Alicia
fa una smorfia, per poi scoppiare a ridere.
«Non
sei più ingannabile. Questo non va bene, Amelia.»
Amy
solleva le spalle, sorridendo inconsapevolmente.
«Ho
imparato a conoscerti.»
Prende
un biscotto alle ciliegie dal tavolino e lo morde.
Le
due ragazze finiscono il loro thè.
«Mi
ha fatto piacere passare un pomeriggio insieme, lontane dalle
scartoffie, ma
devo proprio andare. Tobey sarà a casa a momenti!»
dice Alicia davvero
rammaricata.
«Quando
vuoi possiamo rifarlo, se vuoi.» dice Amy accompagnandola
alla porta.
«La
prossima volta tu e Rory potreste venire a cena da noi. Che ne
dici?»
«Certamente!»
risponde Amy.
Le
due amiche si salutano, poi Amy inizia a preparare la cena per il
ritorno di
Rory dal lavoro.
Maggio
1942.
Un
altro anno si è concluso e nei mesi a seguire Rory passa
più tempo in ospedale
che a casa con Amy.
Amy
è preoccupata per lui, ma sa che è desiderio di
Rory diventare medico, quindi
decide di non assillarlo con le sue preoccupazioni.
Una
domenica pomeriggio Amy è a casa, non lavora. Quindi, ha
portato con se del lavoro
in più da sbrigare, non le piace restare con le mani in mano.
Si
prepara una tazza di caffè, poi si reca nel suo studio,
indossa gli occhiali
regalatigli dal suo amico Thomas, e inizia a sfogliare delle carte.
D’un
tratto sente un rumore nella serratura della porta, Amy guarda
l’orologio che
segna le 16:20.
“Non
può essere Rory” pensa Amy.
«Amy,
sono a casa!» urla Rory dall’ingresso.
Lei,
immediatamente, si dirige da lui.
«Rory!
È successo qualcosa? Come mai non sei in
ospedale?» gli chiede sorpresa.
«Oggi
mi hanno dato il permesso di andare via prima…»
Guarda
Amy che indossa ancora gli occhiali da lettura.
«Stavi
lavorando, vero?» aggiunge.
Amy
si toglie gli occhiali e gli sorride.
«Non
più, sono contenta che tu sia a casa.»
I
due si recano in salotto, Rory si siede sul divano, Amy resta in piedi.
«Vuoi
che ti prepari qualcosa?»
«No,
Amy. Siediti qui accanto a me.»
Lei
si siede accanto a suo marito. Lui le poggia il braccio attorno al
collo, lei
si rannicchia sul suo corpo. Mette la sua mano destra sul petto di
Rory, sente
il suo respiro, percepisce che qualcosa lo turba.
Si
scosta da lui e lo guarda negli occhi.
«Rory,
cos’è successo?»
Lui
mette la mano in tasca ed estrae una lettera con sopra il timbro
dell’ospedale,
la porge ad Amy.
«Che
cos’è?» mormora Amy in tono preoccupato.
Rory
si alza dal divano e inizia a passeggiare su tutto il salone
nervosamente.
«Vogliono
che vada in Africa insieme ad alcuni colleghi medici e infermieri per
aiutare i
paesi disastrati dalla guerra.»
Amy
resta a guardare la lettera, non l’ha ancora aperta,
né l’aprirà. Non vuole
leggere il contenuto, Rory ha già detto tutto ciò
che serviva.
“Rory…In
Africa? E per quanto tempo?” si domanda Amy.
Mille
pensieri invadono la sua mente e tutti contemporaneamente.
“E
se non dovesse più tornare?”.
Rory
si risiede sul divano accanto a lei, Amy lo fissa, come se stesse
guardando il
vuoto.
«Amy?»
la chiama, «Amy?»
«Io
verrò con te.» annuncia impulsivamente lei.
«Amy,
non puoi lasciare la redazione. I-io me la caverò,
andrà tutto bene.» dice e
aggiunge con il sorriso «Ti ho aspettata per duemila anni,
ricordi? Supereremo
anche questa.»
Gli
occhi di Amy improvvisamente si riempiono di lacrime.
Amy
abbraccia Rory, lo tiene stretto a sé. Le lacrime bagnano la
camicia di lui
all’altezza della spalla.
Le
accarezza i capelli per consolarla, per confortarla, ma anche lui ha
gli occhi
lucidi.
«Andrà
tutto bene.» mormora sottovoce, ma non si capisce se lo dice
per consolare lei
o se stesso.
Agosto
1942.
Rory
è partito da due mesi e l’unico modo per restare
in contatto con la sua Amy
sono le lettere. Purtroppo il periodo non è dei migliori e
per far recapitare
le lettere passerà del tempo.
Amy,
che è rimasta a Manhattan, si sommerge di lavoro, cerca ogni
scusa per
distrarsi e per non pensare ai pericoli che corre il marito.
Un
pomeriggio sente degli schiamazzi in giardino, sono alcuni bambini che
giocano
serenamente.
“E
se provassi a scrivere un nuovo libro?” pensa Amy. Si passa
tra le mani il
primo libro che ha pubblicato. Legge il suo nome stampato sopra e
sorride.
Prende i suoi occhiali da vista e inizia a battere le lettere sulla
macchina da
scrivere.
Era
come se tutto fosse già nella sua testa da tempo, non
impiega molto tempo a
buttar giù le prime pagine.
Poi
resasi conto dell’ora di cena, lascia il suo scrittoio, si
toglie gli occhiali
ed esce dalla stanza.
È
sua abitudine aggiungere un posto a tavola anche per suo marito, sa che
non
tornerà in quei momenti serali, ma questo suo gesto la fa
sentire più vicina a
lui.
Giorno
per giorno si domanda come potrebbe stare suo marito. Ogni giorno
osserva la
foto del loro matrimonio. Guarda la macchina da scrivere e le viene
un’idea:
scrivergli una lettera.
Senza
pensare alle mille cose che potrebbe chiedergli, prende carta e penna
dal suo
studio, va in giardino e si siede in uno dei divani.
Lascia
scorrere la mano sul foglio. L’inchiostro velocemente riempie
la pagina bianca.
«Caro
Rory, come stai? So che il periodo non è dei migliori, ma mi
manchi. La casa è
vuota senza di te. Sai, mi sto prendendo cura delle tue piante, alcuni
fiori
stanno germogliando. Io vorrei…»
Amy
si blocca, prende un profondo respiro e ritorna a scrivere.
«Io
vorrei solo averti qui, vorrei stringerti, vorrei parlarti,
vorrei…»
Una
lacrima scivola e bagna il foglio che tiene in mano,
l’inchiostro inizia a
colare e il foglio si rovina.
Amy,
con violenza lo accartoccia e lo lancia lontano.
Seduta
nel divano, Amy stringe le ginocchia a sé, si fa piccola. Ha
la testa piegata
in avanti e i suoi capelli lunghi e rossi le nascondono il volto in
lacrime.
Amy
non ha il tempo di asciugarsi il volto che qualcuno suona alla porta di
casa.
“Chi
sarà mai?” pensa.
Nel
raggiungere la porta di casa, Amy attraversa la cucina, prende un
tovagliolo e
si asciuga gli occhi.
Suonano
di nuovo il campanello, lei corre all’ingresso e guarda
attraverso lo
spioncino.
Non
riconosce subito la persona che sta dietro la porta in legno, vede solo
una
chioma di capelli ricci e biondi.
Il
cuore le inizia a battere fortissimo, sa che non può essere
lei.
«Non
può essere…» dice sottovoce.
Prende
un respiro profondo e spalanca la porta.
River,
sua figlia, sta adesso di fronte a lei che la osserva.
«Ciao
madre» dice la donna bionda. E le sorride.
Amy
guarda sua figlia, non crede ai suoi occhi.
«Ri...River,
come può essere? Cos…» balbetta.
«Madre,
calmati. Carina questa casetta.» dice con tono ironico.
Amy,
ancora incredula, fa accomodare la figlia in salotto.
«Sì,
è proprio bella questa casa.» dice River
guardandosi intorno.
«Ah!
Ho trovato questa per te, nella cassetta delle lettere.» dice
ed estrae dalla
tasca dei pantaloni una busta bianco sporco che riporta un timbro e un
francobollo datato. La porge alla madre.
Amy
fissa la busta, ma la voce di River la richiama alla realtà.
«Sei
da sola?» domanda River. Nota che ha uno sguardo triste.
Troppe
emozioni per Amy in un solo pomeriggio, la mancanza di Rory,
l’arrivo di sua
figlia, una lettera che potrebbe riportare qualunque cosa.
«La
apriamo insieme.» afferma decisa River. Con gentilezza mette
le mani sopra
quelle della madre, che stringe la lettera.
Amy
prende un respiro profondo.
«Rory
è stato mandato in africa, non so quanto tempo
resterà lì.» confessa alla
figlia.
River
stringe ancora le mani di Amy, la guarda, resta in silenzio.
«Siamo
nel ’42. La guerra non finirà che tra tre
anni.» aggiunge sconfitta Amy.
«Lui
sa cavarsela.» dice River che cerca di rincuorarla,
«E anche tu, sapevo che vi
sareste ritrovati e così sarà anche dopo che la
guerra sarà finita.»
Amy
ricambia il suo sorriso, sposta il suo sguardo sulla busta e si
convince ad
aprirla.
Inizia
a leggere:
«Cara
Amy, sono qui da poche ore e non so quando potrai leggere questa
lettera. Sai
dal nostro camion, durante il tragitto per arrivare al campo, ho visto
le
piramidi in lontananza. Sembra affascinante l’Egitto visto da
lì, penso che
dovremmo venirci insieme, quando tutto questo sarà finito.
Ci
hanno riferito che i bombardamenti non sono all’ordine del
giorno, ma ho
sentito dire dal comandante dei militari che se ne aspettano degli
altri.
Adesso
devo andare, hanno bisogno di me. Quest’esperienza
sarà utile per il mio futuro
da medico, quindi non preoccuparti, me la caverò.
E
tu come stai? Ti raccomando, prenditi cura delle mie piante.
Con
amore.
Il
tuo Rory.»
«Sta
bene.» pronunciano le labbra di Amy.
«Sì,
hai visto?»
River
le sorridendo e le stringe le spalle.
Amy,
tranquillizzatasi, si ricorda le parole del Dottore poco prima che gli
angeli
la prendessero: “Stai creando un
punto fisso del
tempo. Non riuscirò mai più a
rivederti”.
«Come
hai fatto ad arrivare qui, River? Lui aveva detto…»
«Ho
usato questo.»
River
mostra il braccio ad Amy: indossa un bracciale di pelle marrone scuro,
con un
cofanetto piccolo. Lo apre.
«È
un manipolatore del vortice del tempo. Permette dei viaggi temporali,
ma può
trasportare un solo corpo per volta.» spiega sua figlia,
«Mi ci è voluto del
tempo per trovarti, ma alla fine sono riuscita ad impostare le
coordinate
corrette.»
Amy
la guarda, sta per aprire la bocca per dire qualcosa.
«So
cosa stai pensando, lui non può venire.» la
precede River. Si alza dal divano e
inizia a camminare e gesticolare.
«Il
manipolatore permette di venire qui solo per una
volta...un’unica volta.»
«Dimmi
che non lo hai lasciato da solo.»
Amy
la ferma prendendola dal polso.
«Madre,
sono trascorsi solo alcuni giorni da quando tu e Rory siete andati
via.» dice
sorpresa River.
Amy
ha imparato a non stupirsi, i viaggi temporali sono sempre stati un
argomento
misterioso, inoltre sa che Rory è arrivato in
quell’epoca due anni prima di
lei, anche se gli Angeli l’hanno presa pochi attimi dopo di
lui.
«Sì,
il tempo scorre in maniera diversa qui.» mormora la rossa.
Amy
racconta alla figlia di come hanno passato quegli anni e di come si
è
ricongiunta al marito.
«Madre,
ti ricordi il libro che leggevate tu e il dottore quel giorno nel
parco?»
domanda River alla fine del racconto.
«Certo
che me ne ricordo. Non lo dimenticherò mai.»
«Bene,
perché devi pubblicarlo.»
Estrae
dalla sua borsa dei fogli e li porge alla madre.
«Ma
non prima dell’anno 1973. Dovrai conservarlo e solo allora
potrai leggerne il
contenuto.»
Amy
prende i fogli senza domandare il motivo della richiesta della figlia.
Poi
le due donne continuano a parlare.