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Autore: Ginevra1988    30/01/2018    5 recensioni
All'alba del tre maggio Harry, Ginny e gli altri reduci della Seconda Guerra Magica si ritrovano a fare i conti con... il ritorno alla normalità. Le ferite sono fresche, gli incubi li perseguiteranno ancora per anni e poco sembra essere come prima, ma la voglia di ricominciare è tanta. A passi lenti e incerti dovranno trovare la loro strada verso un futuro nel quale non potevano nemmeno sperare fino a qualche giorno prima.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: George Weasley, Ginny Weasley, Harry Potter, Hermione Granger, Ron Weasley | Coppie: Harry/Ginny, Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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Verde e Argento
 
 
 
Liberi com'eravamo ieri,
dei centimetri di libri sotto i piedi 
per tirare la maniglia della porta e andare fuori […]

Leggera leggera si bagna la fiamma 
rimane la cera e non ci sei più...

 
Giudizi universali – Samuele Bersani
 
 
12 settembre 1998 – Hogwarts
 
   “Tieni dritta quella schiena, sembri un Troll.”
   Astoria sospirò e drizzò le scapole all’unico scopo di far tacere Daphne – per i successivi dieci minuti, quanto meno, giusto il tempo di finire le uova e il succo di arancia. Blaise si sedette di fronte a loro, sfoggiando il suo consueto sorriso perfetto e misurato.
   “Buongiorno Astoria. E buongiorno Daphne. Sei incantevole questa mattina” aggiunse abbassando di un tono la voce già profonda. Daphne ricambiò con un sorriso appena accennato ma che trasudava malizia, sistemandosi una ciocca di capelli dietro un orecchio. Astoria si trattenne appena dall’alzare gli occhi al cielo: sua sorella flirtava con Blaise dall’inizio della scuola e forse c’era già anche andata a letto; una sera aveva provato ad affrontare l’argomento, ma Daphne aveva elegantemente svicolato in pieno stile Greengrass: buone maniere e sorrisi freddi. Non che fossero affari di Astoria, o che ci fosse qualcosa di male, ma Daphne non diceva più nulla di sé alla sorella: dalla caduta del Signore Oscuro la ignorava con velata insistenza, salvo quando si sentiva in obbligo di darle consigli – o degli ordini. Astoria si ritrovò ancora una volta a scrollare le spalle e a pensare che in fondo la vita privata di Daphne non era affar suo e che presto sarebbe tornata a raccontarle di quel ragazzo che le piaceva o di quella ragazza di Corvonero che le dava ai nervi.
   Al tavolo di Serpeverde si mangiava in rigoroso e perfetto silenzio; era sufficiente il chiacchiericcio di fondo che producevano i ragazzi delle altre Case a riempire le orecchie dei pochi commensali. I bambini del primo anno avevano imparato in fretta a non tentare di fare conversazione – e altrettanto in fretta avevano trovato amici nelle altre Case, i pochi che erano disposti a passare sopra al fatto che fossero stati smistati a Serpeverde. Il silenzio impediva di affrontare argomenti inappropriati, come per esempio il fatto che non arrivasse posta a quel tavolo, almeno non ai ragazzi del settimo anno. Astoria aveva smesso fin dai primi giorni di alzare lo sguardo quando arrivavano i gufi durante la colazione, ma a volte sbirciava in direzione di Luna giusto per vedere quel curioso uccello che le consegnava grosse buste verdi almeno un paio di volte a settimana. La ragazza le aveva detto che Rolf – che lei insisteva ad etichettare come semplice amico – usava un falco al posto dei gufi, per via di una qualche ricerca sulla magia e gli animali comuni di cui Astoria non aveva capito quasi nulla.
   Astoria accelerò di poco il ritmo del suo pasto, quel tanto che bastava a finire più in fretta la propria colazione senza che Daphne la riprendesse per il modo in cui mangiava, anche se era abbastanza sicura che la sorella fosse troppo impegnata nella gara di sorrisi silenziosi con Blaise per prestare attenzione a lei. Quando però Astoria si alzò, Daphne la imitò subito, piegando e riponendo il tovagliolo che aveva sulle gambe con un unico gesto elegante.
   “Buona giornata a tutti” disse Daphne in tono caldo a nessuno in particolare; Astoria si limitò a stirare le labbra nella maniera più delicata possibile, poi si avviò con la sorella verso l’uscita della Sala Grande. Incrociarono Pansy, spettinata e di corsa, che scendeva a colazione con il solito ritardo del sabato mattina; non si sapeva come ma dall’inizio dell’anno la Parkinson il venerdì sera trovava sempre qualcosa da fare… e con un ragazzo diverso, a quanto dicevano le voci in Sala Comune.
   Poco male, pensò Astoria, lei e Daphne avrebbero avuto il Dormitorio tutto per loro per almeno una ventina di minuti, giusto il tempo di preparare con calma la borsa con i libri per una mattinata di studio in Biblioteca. Doveva ancora dire a Daphne che non sarebbe andata con lei ma da sola; o almeno quella era la versione che avrebbe dato a sua sorella, contando sul fatto che Daphne non sarebbe rimasta in Biblioteca più di un quarto d’ora. Daphne non si era mai realmente applicata nello studio, data la sua intelligenza e la sua memoria spiccatamente oltre la media che le consentivano di imparare quasi tutto prendendo appunti a lezione e rileggendoli appena; senza contare il fatto che loro madre le aveva cresciute con l’idea che sarebbe stato sufficiente contrarre un buon matrimonio per vivere il resto delle loro esistenze senza un pensiero al mondo e che Hogwarts non rappresentasse altro che una buona occasione per stringere importanti amicizie con altri Purosangue. Quindi perché ammazzarsi di studio?
   A dirla tutta Astoria non era mai stata convinta che il matrimonio sarebbe stata la soluzione a tutti i suoi problemi, anzi, aveva sempre desiderato scrivere e viaggiare e… qualcos’altro, insomma, qualcos’altro che non fosse sorridere compostamente e sostenere una conversazione adeguata. Ma si era sempre ben guardata dall’esprimere ad alta voce quei pensieri, suo padre avrebbe dato letteralmente di matto sentendo quelle sciocchezze. Astoria strinse il piccolo orologio a cipolla che aveva in una tasca, poi decise di controllare l’ora anche se sapeva perfettamente che erano da poco passate le otto e trenta; era ormai diventato un gesto automatico, qualcosa che le ricordava chi era senza ferirla troppo: quello era l’orologio di papà, l’unica cosa che gli Auror non erano riusciti a sequestrare perché Astoria era riuscita a trovarlo prima che lo prendessero loro.
   Ripose l’orologio nella tasca con cura ed alzò lo sguardo, incrociando quello di Ginevra Weasley che entrava in quel momento in Sala Grande, seguita dall’immancabile Hermione Granger. Le ragazze si fermarono a pochi passi le une dalle altre, tutte con l’aria vagamente imbarazzata a parte Daphne, che non capiva che cosa avesse fatto fermare la sorella.
   “Ciao” salutò a mezza voce la Weasley; la Granger si limitò a fissare Astoria con gli occhi sgranati, come si guarda un animale particolarmente pericoloso che si incrocia per caso lungo un sentiero sperando che questi decida di andare per la sua strada senza toccarti.
   “Ciao” risposte Astoria con tutta la tranquillità che riuscì a racimolare.
   “Luna ha detto che l’appuntamento è per le dieci, in Biblioteca, giusto?” chiese la Weasley tentando un sorriso; Astoria annuì. “Allora… a più tardi.”
   “A dopo” anche Astoria accennò ad un sorriso; percepiva già le ondate di rabbia provenire da Daphne mentre le due ragazze Grifondoro si allontanavano verso il loro tavolo. Sapeva che la sorella non avrebbe aperto bocca fino al Dormitorio – non si facevano mai scenate in luogo pubblico, per nessun motivo, sono disdicevoli e volgari. Ma una volta arrivati in Dormitorio, Astoria sapeva che avrebbe passato un pessimo quarto d’ora.
 
   “Ginevra Weasley?!”
   Come da previsioni, Daphne aveva aspettato di chiudere la porta del Dormitorio prima di cominciare ad urlare; era così simile a loro padre, così sanguigna, bastava poco per farle perdere la calma. Astoria afferrò la propria borsa e cominciò a selezionare i libri da portare con una certa fretta, aveva l’intenzione di uscire da lì nel minor tempo possibile.
   “In un momento come questo per la nostra famiglia tu cominci a frequentare Traditori del loro Sangue?”
   Gli occhi di Astoria scattarono verso il cielo e lei aumentò la velocità dei movimenti, infilando nella borsa libri a caso.
   “Dovremmo stare unite! Siamo le ultime Greengrass e dobbiamo mantenere alta la dignità della nostra fam…”
   Astoria si voltò di scatto e fissò Daphne negli occhi.
   “La dignità della nostra famiglia? Pensi davvero che abbiamo ancora una dignità? E’ già molto se una volta uscite da Hogwarts non ci sputeranno in faccia in piena Diagon Alley!”
   “E’ proprio per questo che dobbiamo stare unite!”
   “Ma fammi il piacere, se nemmeno mi parli!”
   “Ti sto solo proteggendo, Astoria, tu hai bisogno di una guida! Vaghi come un’anima in pena per la Sala Comune, studi Babbanologia!” esclamò Daphne esasperata. “E adesso ti metti a frequentare questa… questa feccia! Qualcuno ti deve aiutare!”
   Astoria sbatté le palpebre, stupita di sé stessa: finalmente aveva colto qualcosa che le era sfuggito fino a quel momento.
   “Tu ti sei sostituita a lei” disse in un sussurro; Daphne si limitò a fissarla, lo stesso sguardo duro che aveva visto per anni sul volto di sua madre. Sua madre che non approvava, sua madre che le insegnava cosa era giusto e cosa sbagliato, chi doveva frequentare e chi no – per il suo bene, s’intende. “E Blaise…” aggiunse Astoria in un soffio.
   “Blaise ha un’ottima famiglia, che è uscita indenne dalla Caduta del…”
   Astoria alzò una mano, le labbra serrate, non voleva sentire un’altra parola.
   “Ci hanno cresciuto in una campana di vetro, Daphne” scandì le parole una ad una, con una certa difficoltà. “In una meravigliosa campana di vetro dove tutto era dorato, dove noi eravamo speciali e… superiori. Ma quella campana si frantumata. Non è rimasto nulla. Quelle idee… insomma, credo che ci sia altro là fuori. E io voglio andare a vedere cosa ci siamo perse.”
   Astoria si caricò in spalla la borsa piena di libri che probabilmente non le sarebbero serviti, percorse in fretta il Dormitorio e afferrò la maniglia della porta.
   “Astoria, non osare…!” sibilò Daphne a denti stretti.
   Non osare. Non aveva detto “Vorrei che tu non lo facessi” o “Rimani con me”. Non osare.
   Beh sai che c’è, sorella? Io oso, oso eccome.
   Astoria abbassò la maniglia ed uscì nella Sala Comune, sbattendosi la porta alle spalle.
 
 

 
Allora lascia che la pietà venga
E lavi via ciò che ho fatto
Affronterò me stesso
Per annullare quello che sono diventato
Cancellare me stesso
E lasciar andare quello che ho fatto
 
What I’ve done – Linkin Park
 
 
14 settembre 1998 – Ministero della Magia
 
   Harry attendeva con impazienza fuori dall’aula numero nove, nel corridoio di pietra scura illuminato fiocamente dalle rare fiaccole. C’era parecchio movimento: diversi maghi e streghe avvolti in vesti scure e carichi di pergamene andavano avanti e indietro con l’aria indaffarata; di quando in quando passavano Auror in uniforme e maghi della Squadra Speciale Magica con la mascella serrata. Diverse persone con il cartellino da visitatore attendevano di essere chiamati in un’aula, appiattiti contro le pareti per non intralciare il via vai, come Harry.
   La porta di legno scuro si aprì: una strega dai capelli neri raccolti sulla nuca e occhiali leggeri si allungò nel corridoio con una tavoletta in mano.
   “Signor Potter” non era una domanda, aveva riconosciuto il ragazzo – chiunque ormai conosceva il suo volto; allungò una mano sottile e fece un gesto incoraggiante. “Venga, da questa parte.”
   L’aula sembrava la copia esatta della numero dieci, dove anni prima Harry aveva rischiato di essere buttato fuori da Hogwarts; il freddo e la luce tremolante di altre torce lo misero a disagio più di quanto non si aspettasse. Una ventina di maghi e streghe in veste color prugna e con una W dorata appuntata sul petto erano seduti sulle gradinate a sinistra della porta, tutti impegnati a sfogliare carte o a scrivere appunti sulle pergamene sospese in Levitazione; qualcuno lanciò brevi occhiate furtive in direzione di Harry, ma nessuno gli rivolse gesti di saluto. In seconda fila, con gli occhiali squadrati e il cappello leggermente sulle ventitré, sedeva la professoressa McGranitt, che fissava Harry con aria preoccupata e severa allo stesso tempo; quando lo sguardo del ragazzo incrociò il suo, la Preside stese le labbra in un sorriso. Al centro della prima fila c’era Kingsley, la schiena dritta e l’espressione dura, che osservò Harry entrare e piegò appena il capo in un cenno di saluto prima di rivolgersi a Percy, seduto al suo posto di Segretario, bisbigliandogli qualcosa all’orecchio.
   Dal lato opposto dell’aula c’era un basso tavolino sul quale erano allineate una serie di ampolle piene di un liquido trasparente, sorvegliate da una strega dai boccoli biondi e la veste del Wizengamot.
   La strega dai capelli neri fece accomodare Harry di fianco al palco dell’accusa, su un’ampia sedia di legno scuro la cui seduta aveva una morbida imbottitura scarlatta. C’era una seconda sedia di fianco alla sua, dove stava prendendo posto una persona che Harry non si sarebbe mai aspettato di vedere in quel luogo.
   “Madama Chips!” sussurrò sporgendosi verso l’Infermiera di Hogwarts.
   “Buongiorno, Potter” rispose la donna nel consueto tono asciutto. “Fa uno strano effetto vederti tutto intero, una volta tanto.”
   Madama Chips si concentrò sullo spesso fascicolo di pergamene che teneva tra le braccia, controllando forse che l’ordine delle pagine fosse quello corretto.
   Harry si costrinse a spostare lo sguardo al centro della stanza, dove, come al solito, c’era la sedia con le catene sui braccioli, che in quel momento stringevano saldamente le braccia di Draco Malfoy. Come era successo a sua madre, la prigionia aveva cancellato qualunque traccia del portamento altezzoso: Malfoy sedeva come un sacco di patate, i sottili capelli biondi spettinati e lo sguardo spento fisso su un punto del pavimento. La manica sinistra della veste grigia e logora era stata strappata all’altezza della spalla e il braccio era stato girato a forza verso l’alto, in modo che il Marchio Nero fosse ben visibile sotto le catene.
   Harry sentì un nodo stringere leggermente la propria gola mentre fissava il suo vecchio compagno di scuola, il suo vecchio nemico; fin dai primi giorni ad Hogwarts loro due si erano odiati e qualche anno prima Harry avrebbe fatto carte false per vedere Malfoy davanti al Wizengamot, ma ora che si trovava davvero in quella situazione le cose non erano così semplici. Ricordava perfettamente l’espressione spaventata che Draco aveva a Villa Malfoy – o quella dannata sera, sulla Torre di Astronomia: un ragazzino terrorizzato che si era ritrovato in un gioco immensamente più grande di lui. Non molto diversa dalla posizione di Harry, a dire il vero; ma loro due avevano fatto scelte diverse, molto diverse.
   Di fianco alla sedia con le catene c’era un uomo, i capelli scuri e radi tirati all’indietro verso la nuca; indossava una veste nera come i maghi e le streghe che Harry aveva notato nei corridoi e stava leggendo una pergamena piuttosto lunga con l’aria corrucciata e un monocolo incastrato davanti all’occhio destro.
   “Draco Lucius Malfoy” la voce di Kingsley risuonò particolarmente profonda contro le pareti dell’aula tetra. “Compari per la seconda volta davanti al Wizengamot per ascoltare i Testimoni che l’Accusa ha portato contro di te.”
   Malfoy non diede alcun segno di aver sentito quello che aveva detto Kingsley, continuò semplicemente a fissare il pavimento in un punto imprecisato; fu l’uomo in veste nera a rispondere per lui, arrotolando velocemente la pergamena che aveva in mano e riponendo il monocolo in una tasca.
   “Lawson Morgan Moore come Difensore, signor Ministro.”
   “Tsk” sibilò Madama Chips. “Sono andati a raccattare un Difensore da New York.”
   “Così lontano?” chiese Harry.
   “Perché, chi pensi che vorrebbe difendere un moccioso Mangiamorte da queste parti?”
   Nella testa di Harry risuonarono le parole di Narcissa Malfoy, nel Ricordo del Pensatoio: Sai bene che nessun Difensore lavorerebbe per i Malfoy oggi. Né per i Goyle, o i Rockwood…
   Kingsley fissò per un lungo momento Malfoy, forse nella speranza che rispondesse, poi si voltò e fece un veloce cenno di assenso con la testa verso Percy. Il ragazzo si alzò e srotolò una breve pergamena, gonfiò il petto e lesse ad alta voce: “Il Wizengamot chiama a testimoniare Harry James Potter.”
   Una penna scarlatta davanti a Percy scriveva furiosamente su un foglio e rimase in vibrante attesa mentre Harry si alzava. La strega dai ricci biondi si portò davanti a Harry e gli fece cenno di sedersi; teneva tra le mani una delle ampolle con il liquido trasparente, in modo che fosse ben visibile a tutti.
   “Signor Potter, il Wizengamot le chiede di bere una dose di Veritaserum prima di cominciare la deposizione. L’effetto durerà circa un’ora.”
   Le sopracciglia di Harry scattarono verso la fronte, in una reazione istintiva: davvero stavano chiedendo proprio a lui una cosa del genere? Harry lanciò uno sguardo verso Kingsley, che lo osservava con le dita intrecciate sotto al mento.
   “Sono le nuove disposizioni del Ministero, signor Potter” continuò la donna. “Nessuno la costringe, ma se si dovesse rifiutare la cosa verrà messa agli atti e potrebbe inficiare la deposizione.”
   “Non ho problemi con il Veritaserum” rispose asciutto Harry; afferrò l’ampolla e ne trangugiò il contenuto. Il liquido scorse caldo lungo la gola e formò una pozza bollente nello stomaco del ragazzo, che si mosse a disagio sulla sedia mentre restituiva la fiala alla strega bionda.
   “Sia messo agli atti che il Testimone ha assunto il Veritaserum.”
   La piuma scarlatta sfrecciò sulla sua pergamena, annotando diligentemente quanto le era stato dettato. Harry sentì il calore risalire dallo stomaco verso le labbra e per un momento pensò che avrebbe vomitato davanti all’intero Wizengamot, ma la nausea scomparve velocemente come era arrivata. Le labbra continuarono però a bruciare, come se qualcuno vi avesse strofinato un peperoncino sopra. La strega bionda ripose la fiala vuota in una tasca della veste e prese a fissare Harry con una certa curiosità, come se si aspettasse che il ragazzo all’improvviso sarebbe diventato verde.
   “Signor Potter, era a conoscenza del fatto che il qui presente Imputato è un Mangiamorte?”
   Il calore sulle labbra aumentò di poco, mentre Harry rispondeva: “Sì.”
   “Da quanto lo sapeva?”
   “Ho avuto i primi sospetti all’inizio del mio sesto anno a Hogwarts” rispose Harry reprimendo il bisogno di grattarsi furiosamente le labbra. “Ma ne ho avuto la certezza solo al termine dello stesso anno.”
   “In che modo?”
   Le immagini di quanto accaduto sulla Torre di Astronomia scorsero vivide e particolarmente dolorose nella mente di Harry.
   “Ho sentito Malfoy… l’Imputato dichiarare di aver fatto entrare i Mangiamorte a Hogwarts, riparando una coppia di Armadi Svanitori.” Le labbra di Harry bruciarono come se stessero per prendere fuoco e il ragazzo seppe che doveva continuare, anche se davvero non avrebbe voluto. “E disse anche di aver ricevuto l’ordine di uccidere il professor Silente… da Voldemort in persona.”
   Con la coda dell’occhio Harry percepì qualche persona tremare: anche dopo molti mesi quel nome pronunciato ad alta voce faceva effetto. La bocca della strega bionda si piegò in un leggero sorriso compiaciuto.
   “Ha più rivisto l’Imputato dopo aver lasciato Hogwarts?”
   “Sì. Quando i Ghermidori catturarono me e i miei amici ci portarono a Villa Malfoy. L’Imputato si trovava lì con i suoi genitori.”
   Il sorriso della donna si allargò di poco.
   “Sia messo agli atti che l’Imputato è stato collocato nel Quartier Generale dei Mangiamorte” la voce della strega era di un tono più acuto mentre dettava alla piuma scarlatta.
   “Signor Ministro, mi permetto di sottolineare che Villa Malfoy era la residenza di famiglia del mio cliente” intervenne compostamente il Difensore Moore. “Era perfettamente normale che lui si trovasse lì, considerato anche che, a quanto mi risulta, il periodo fosse quello delle vacanze pasquali.”
   Kingsley scorse con gli occhi alcune pergamene che aveva davanti, poi annuì.
   “E’ così, Difensore.”
   Il sorriso della strega bionda si spense del tutto, poi la donna si rivolse di nuovo a Harry.
   “Ci può raccontare cosa è successo a Villa Malfoy, signor Potter?”
   Una sgradevole sensazione di calore risalì la gola del ragazzo e le sue labbra si schiusero quasi a forza.
   “Quando i Ghermidori hanno capito di aver catturato me e i miei compagni ci hanno presentati a Narcissa Malfoy. La chiamavano signora, con deferenza. Poi è arrivato anche Lucius Malfoy. Io avevo il volto deformato da una Fattura, quindi Narcissa ha chiesto all’Imputato se mi riconosceva.”
   “E lo ha fatto? L’ha riconosciuta davanti ai Ghermidori? Davanti ad altri Mangiamorte?” la strega bionda era ansiosa di risposte, affamata.
   “No” ammise Harry, le labbra che pungevano e bruciavano. “Ha detto che non era sicuro che fossi io.”
   “Non ho altre domande, grazie signor Potter.”
   La donna tornò al proprio posto dietro al tavolo con il suo Veritaserum; prese in mano un grosso rotolo di pergamene e cominciò a scartabellarle, forse alla ricerca di qualche informazione che le era sfuggita, l’espressione contrariata. Harry lanciò un breve sguardo a Malfoy, che non si era mosso di un millimetro: continuava a fissare il pavimento, la testa voltata con ostinazione in modo da non vedere il Marchio Nero sul proprio braccio – o quanto meno quella era l’impressione che aveva Harry. Il Difensore di Malfoy avanzò di qualche passo e si mise davanti a Harry, proprio come aveva fatto la strega bionda.
   “Signor Potter, che piacere incontrarla di persona!” esclamò Moore con le braccia dietro la schiena. “Pare che lei qui sia molto famoso.”
   Harry si strinse nelle spalle; il Difensore fece passare qualche momento carico di imbarazzo prima di proseguire con la sua prima domanda.
   “Dunque il mio cliente ha ricevuto l’ordine di uccidere Albus Silente da Voldemort in persona, giusto?”
   “Sì.”
   “Ma l’ha fatto?”
   Le labbra di Harry presero a bruciare in maniera insopportabile e il ragazzo non riuscì a trattenersi dal passarsi la mano sulla bocca per un attimo.
   “No” la sillaba uscì a forza.
   “E chi lo ha fatto?” Moore fece un altro passo verso Harry.
   “Severus Piton.”
   Tornò la nausea, la gola di Harry bruciava; aveva bevuto il Veritaserum a cuor leggero, convinto di non aver nulla da nascondere, ma non aveva fatto i conti con le verità dolorose di cui avrebbe preferito non parlare. Il Difensore sorrise soddisfatto.
   “E per quale motivo? Ce lo sa dire, signor Potter?”
   Harry trasse un profondo respiro, nel tentativo di placare la nausea.
   “Malfoy ha esitato. Non… io credo che non riuscisse a farlo. Così lo ha fatto il professor Piton.”
   Moore aveva la stessa espressione di un gatto che si crogiola al sole.
   “Che cosa ci può dire invece di Villa Malfoy?”
   “Che cosa vuole sapere?”
   La nausea finalmente allentò la presa sullo stomaco di Harry, lasciando solo un forte bruciore alla base della gola.
   “Come le sembrava il mio cliente? Tranquillo? Preoccupato?” si avvicinò di un altro passo e aggiunse: “Spaventato?”
   Il bruciore aumentò e Harry fu costretto a dire la verità.
   “Spaventato. Continuava a distogliere lo sguardo da me e dai miei amici. Ci dava le spalle, se poteva. Non ha mai detto di essere sicuro delle nostre identità, anche se Ron e Hermione erano perfettamente riconoscibili.”
   “E da cosa era spaventato, secondo lei?”
   “Non lo so” ammise Harry. “Suo padre ha detto qualcosa come… come se saremo noi a consegnare Potter, sarà tutto perdonato. Ma non sono sicuro che fossero queste le parole.”
   “Grazie, signor Potter. Non ho altre domande.”
   Mentre Moore tornava al suo posto vicino a Malfoy, lo stomaco di Harry finalmente si rilassò e il bruciore si ritirò di nuovo solo sulle labbra; il ragazzo si sentiva svuotato, sfinito e sperò di tutto cuore che le domande fossero davvero terminate, ma la strega bionda si alzò di nuovo. Stringeva in mano un foglio e si rivolse a Kinglesy con tono compassato.
   “Signor Ministro, permette un’altra domanda al signor Potter?”
   “Che sia breve. La giornata è ancora molto lunga.”
   La strega bionda avanzò velocemente verso Harry.
   “L’Imputato era presente anche durante la Battaglia di Hogwarts, è corretto signor Potter?”
   Harry sospirò.
   “Sì. E prima che me lo chieda, era tornato nel castello per prendermi e consegnarmi a Voldemort.”
   Il sorriso della donna era talmente largo che sembrava occuparle tutta la faccia; la strega lo ringraziò e tornò al proprio posto, come se quell’ultima affermazione mettesse un punto fermo a tutto il suo impianto accusatorio. Percy si alzò e annunciò il turno di testimoniare di Madama Chips; Harry si rilassò sulla propria sedia, cercando di ignorare le labbra che pulsavano, mentre l’infermiera trangugiava con sicurezza la propria dose di Veritaserum.
   “Vorrei sottoporre all’attenzione del Wizengamot questi documenti” disse Madama Chips senza aspettare che la strega bionda le rivolgesse una domanda. Estrasse la bacchetta e la puntò verso la pila di pergamene che teneva appoggiate sulle ginocchia: le moltiplicò con un semplice incantesimo di Geminazione e spedì una copia ad ognuno dei membri del Wizegamot nonché al Difensore di Malfoy. I plichi di fogli fluttuarono placidamente verso i rispettivi destinatari, che cominciarono ad esaminarli con attenzione.
   “Per chi non lo sapesse, io presto servizio come Infermiera a Hogwarts da circa vent’anni ed è mio obbligo tenere traccia di tutto quello che passa sotto le mie mani. Quello che avete in mano è il registro degli accessi all’Infermeria dell’anno scolastico 1997 – 1998; mi sono permessa di sottolineare quello che interessa in questo Processo.”
   “Vuole darcene lettura, Madama Chips? A beneficio dell’Imputato” aggiunse con un sorriso falso la strega bionda.
   “Con vero piacere.”
   Madama Chips si alzò; aveva un’espressione stranamente feroce, che Harry non le aveva mai visto.
   “Venerdì 12 settembre 1997: Neville Paciock – ferita da taglio al braccio. Afferma di essere stato colpito con un coltello da Draco Malfoy durante una lezione di Pozioni per non aver riso ad una battuta sulla purezza del sangue fatta da Malfoy stesso.
   “Lunedì 29 settembre 1997: Seamus Finningan – perdita di conoscenza. Viene portato in Infermeria da Neville Paciock, che riferisce di averlo trovato fuori dalla Sala Comune di Grifondoro. Finningan presenta sintomi di tortura prolungata a mezzo di Maledizione Cruciatus. Al risveglio ricorda che il primo a lanciare l’incantesimo in questione sia stato Draco Malfoy, ma non è in grado di dire se sia stato lui a portarlo a perdita di conoscenza.
   “Mercoledì 22 ottobre 1997: Ginevra Weasley”
   Il cuore di Harry si fermò per un attimo. Sentire i nomi dei suoi amici non era stato piacevole, anche se sapeva che era stato un anno difficile; ma il nome di Ginny chissà per quale motivo gli faceva tutto un altro effetto: lei non gli aveva parlato molto di quello che aveva passato a Hogwarts e lui non gli aveva mai fatto molte domande. Una parte di lui si chiese come mai, ma Harry sapeva perfettamente la risposta: non voleva sapere, aveva paura della risposta.
   “Ferite multiple da Incantesimo Tagliacarne. Afferma che le sono state inflitte da Vincent Tiger e Gregory Goyle su ordine e supervisione di Draco Malfoy.”
   Incantesimo Tagliacarne. Harry si sentì sbiancare, mentre la sua mente immaginava con chiarezza ferite profonde sulle braccia e le gambe di Ginny. E io non ero lì a proteggerla.
   Madama Chips proseguì nel suo elenco, spietata. Ogni volta che pronunciava il nome di Ginny, Harry si sentiva sprofondare sempre di più nella propria sedia; tutte le remore che si era fatto nei confronti di Malfoy, la pietà per un ragazzo spaventato e minacciato da Voldemort, tutti quei sentimenti stavano svanendo uno a uno, man mano che Harry sentiva cosa Draco aveva fatto, cosa aveva scelto di fare.
   A Harry parve che Madama Chips leggesse da ore quando finalmente quel terribile elencò terminò; Malfoy era ancora immobile. La strega bionda si voltò verso il Wizegamot.
   “Non ci sono domande da fare, in questo caso.”
   Non sorrideva, non sembrava soddisfatta come durante la testimonianza di Harry, piuttosto trapelava una certa angoscia dall’espressione leggermente tirata. Il Difensore di Malfoy fissava i fogli di Madama Chips come se dovessero prendere fuoco da un momento all’altro.
   “Se il signor Ministro permette, salterei il controinterrogatorio alla signora Chips. Vorrei invece che il Wizegamot ascoltasse direttamente il mio cliente.”
   Finalmente Malfoy alzò gli occhi verso il suo Difensore, occhi grigi e vuoti; Harry provò l’impulso di alzarsi e prenderlo a pugni: non riusciva a togliersi dalla mente l’immagine di Ginny coperta di sangue e di tagli. Ordinati da lui, fatti mentre lui guardava, lurido bastardo.
   Kingsley annuì cupamente.
   “Il Veritaserum” disse freddamente la strega bionda, avvicinandosi con una fiala. Il Difensore guardò Malfoy, che alzò la mano destra quel tanto che le catene gli permettevano e fece un gesto, incoraggiando Moore ad avvicinarsi. Il Difensore prese l’ampolla e l’avvicinò alle labbra di Draco, che bevve con calma; il senso di nausea doveva essere particolarmente forte, considerata l’espressione del ragazzo quando terminò il Veritaserum, ma Harry desiderò che fosse ancora di più, sperò che fosse un dolore fisico talmente intenso da farlo vomitare e tremare dalla testa ai piedi.
   Moore appoggiò una mano sulla spalla di Malfoy e gli sussurrò qualcosa, lui annuì e il Difensore si allontanò.
   “Signor Malfoy, lei è un Mangiamorte?”
   Draco alzò gli occhi verso il Difensore, poi li abbassò finalmente verso il Marchio Nero e ne rimase come incantato, come se fosse sorpreso lui stesso di trovare quel tatuaggio sul proprio braccio.
   “Sì. Sì, lo sono stato.”
   Aveva la voce roca, notò Harry, come di chi non parla da molto tempo.
   “Perché è diventato un Mangiamorte?”
   “Perché lo era mio padre. E perché ero convinto che il Signore Oscuro ci avrebbe portato un mondo migliore, in cui la mia famiglia sarebbe tornata ad essere rispettata e onorata come un tempo. Come mi aveva raccontato mio padre. All’inizio è stato… divertente. Il potere di fare ciò che volevo alle altre persone è stato inebriante. Mi rispettavano. Mi temevano.”
   Un brivido percorse Harry, come una scossa elettrica.
   “Ma mi sono accorto presto che non era un gioco. La faccenda non si concludeva a Hogwarts, dove era facile fare il buono e il cattivo tempo. Il Signore Oscuro pretendeva servigi e se non si era in grado di soddisfarlo… le punizioni erano terribili. Il fallimento non era tollerato.”
   “E’ stato torturato?”
   “Come tutti.”
   “Riconobbe il signor Potter, il giorno in cui i Ghermidori lo portarono a casa sua?”
   “Sì.”
   “E per quale motivo rifiutò di identificarlo?”
   Malfoy si voltò verso Harry e lo guardò negli occhi per un lungo istante; Harry sostenne il suo sguardo senza battere ciglio.
   “Sarebbero stati uccisi. Lui e gli altri due. E sarebbero stati uccisi per colpa mia.” Malfoy abbassò di nuovo gli occhi. “Non sono capace di uccidere. Sono debole e incapace di uccidere. Il Signore Oscuro lo sapeva.”
   “Per questo ha tentato di catturare il signor Potter durante la Battaglia di Hogwarts? Per riscattarsi agli occhi di Voldemort?”
   “E’ stato un ultimo disperato tentativo. Il Signore Oscuro avrebbe ucciso me e i miei genitori, una volta vinta la battaglia finale e ucciso Potter. A meno che non fossi stato io a consegnarglielo.”
   “Potter sarebbe stato ucciso per causa sua. Questo non le provocava problemi?”
   “Sì, ma non tanti quanti me ne provocava lo sterminio della mia famiglia.”
   Moore si voltò verso il Wizengamot.
   “Draco Malfoy è un Mangiamorte? Sì. Ha fatto cose terribili, ha seguito idee sbagliate, per sua stessa ammissione. E’ meritevole di punizione? Certamente. Ma è anche un ragazzo solo e spaventato, la cui famiglia è stata pesantemente minacciata e che ha ammesso di essere incapace di uccidere. Ricordino queste parole mentre decidono della sorte del signor Malfoy.”
 
   “Stai bene, Potter?”
   Madama Chips toccò il gomito di Harry con gentilezza, mentre uscivano dall’aula nove.
   “Sì, sto bene, grazie” mentì Harry stirando le labbra in un sorriso poco convincente. L’effetto del Veritaserum si era esaurito in fretta, prima dell’ora promessa dalla strega bionda e aveva lasciato Harry decisamente provato: si sentiva rivoltato come un calzino e non sapeva più cosa pensare. Odiava Malfoy molto più di quanto avesse fatto in vita sua e allo stesso tempo capiva il suo senso di solitudine e provava una certa pietà per lui; se Ron avesse saputo quello che gli passava per la testa, avrebbe preso a schiaffi Harry.
   Madama Chips si congedò consigliandogli una pozione contro gli effetti collaterali del Veritaserum, pozione che Harry dimenticò subito maledicendo la propria pessima memoria. Il ragazzo si avviò lungo il corridoio affollato del Ministero, rimuginando di prendersi anche il resto della giornata: aveva avvisato la Shacklebolt dell’udienza, ma le aveva anche detto che sarebbe stato presente alle lezioni del pomeriggio. In quel momento però aveva solo voglia di tornare a casa e scrivere a Ginny; non sapeva bene cosa le avrebbe detto, ma di sicuro le doveva delle scuse per non averle chiesto di più, per non averla ascoltata quando magari avrebbe voluto sfogarsi, per non essere stato lì a proteggerla, dannazione!
   Preso com’era nel trovare un sacco di colpe da addossarsi, si accorse solo all’ultimo momento che alla parete del corridoio era addossata una panca e inciampò nei piedi dell’occupante.
   “M-mi scusi” balbettò, prima di accorgersi che i piedi erano quelli di Theodore Nott. La tunica nera che indossava praticamente sempre lo faceva quasi confondere con le ombre incerte del corridoio.
   “Nott!” esclamò Harry vagamente imbarazzato.
   “Potter” rispose Theodore alzandosi di scatto; fissò il suo compagno di corso con aria stupita, era chiaro che l’ultima cosa che si aspettava era di vedere qualcuno che conosceva in quel posto. Spostò il suo peso da un piede all’altro, a disagio.
   “Strano posto per incontrarsi” disse evasivo.
   “Mi hanno convocato al processo contro Malfoy” spiegò Harry con un sospiro. “Draco, chiaramente” aggiunse subito.
   “Oh. Capisco.”
   Il disagio di Theodore sembrò aumentare ulteriormente: aveva di nuovo abbassato gli occhi e si umettava le labbra in continuazione, come se stesse decidendo se aggiungere qualcosa o meno.
   “Io sono qui per un’udienza preliminare” dichiarò infine al pavimento di pietra. “Di mio padre” aggiunse dopo un attimo, con uno sforzo evidente.
   “Per la Difesa, immagino” disse Harry con il tono più neutro che riuscì a trovare.
   “No” Theodore finalmente alzò gli occhi. “Per l’Accusa.”
   Tra i due ragazzi calò un breve momento di silenzio teso. E’ qui per l’Accusa, ripeté Harry mentalmente, contro suo padre. Era difficile anche solo pensarlo. Ricordava molto bene Theodore ai tempi in cui frequentavano Hogwarts: posato, mai arrogante, ma con l’atteggiamento di chi era convinto di essere migliore di molte persone e quel modo di guardare tutti dall’alto in basso tipico del Purosangue orgoglioso di essere tale. In quel momento, nel corridoio scuro del Ministero, non c’era più traccia di quel sentimento di superiorità; c’era solo un ragazzo spezzato e abbandonato in un angolo.
   “Senti, io stavo pensando di saltare anche la lezione del pomeriggio” disse Harry senza nemmeno sapere il perché. “Se vuoi ti aspetto e andiamo a berci qualcosa al Paiolo Magico. E a mangiare. Sto morendo di fame.”
   Theodore fissò Harry come se gli avesse appena dato il numero della sua camera blindata alla Gringott permettendogli prelievi illimitati.
   “Sì” mormorò. “Sì, mi farebbe piacere.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


Angolo di Gin
Uff.
Ho messo un sacco di carne al fuoco.
Ho completamente stravolto i punti di vista.
E ho fatto una roba che non faccio mai: mi sono messa nei panni dei Serpeverde. Mi sono resa conto che nel mio calderone di tragedie post belliche non potevano mancare. Spero di essere risultata credibile e che la cosa stia in piedi, ho scritto quasi tutto di getto e nonostante l’abbia riletto quel consueto milione di volte prima di pubblicare non sono tranquilla lo stesso…!
Mi sono incasinata talmente tanto con i Serpeverde che mi sono voluta sprecare e di citazioni ne ho messe due, perché le storie sono completamente diverse!
Tutto è partito da uno scritto della Rowling su Draco Malfoy, che mi ha affascinata da morire perché ripercorreva tutta la saga dal suo punto di vista, con l’evoluzione del personaggio fino alla svolta finale. C’erano anche due righe su Astoria – mi raccomando non di più, eh? Fatto sta che mi sono sparata sto viaggione. Questo capitolo è un cammeo dedicato a tutti i miei Serpeverde, anche se qualcuno lo rivedremo più chiaramente. Dal prossimo aggiornamento prometto che torno sulla carreggiata della storia principale!
Alcune specifiche (che forse si capiscono lo stesso ma nel mio delirio ho bisogno di fare un micro spiegone lo stesso):
  • il processo a Malfoy chiaramente non è per stabilire se sia stato un Mangiamorte o meno, ma ha la finalità di “quantificare” un’equa pena in base a quello che ha realmente commesso;
  • Astoria ha un rapporto di amore-odio con la propria famiglia di origine: si è sentita sì amata dai suoi genitori, ma nel modo freddo che immagino essere tipico delle famiglie Purosangue. Spero di non essere miseramente inciampata nella banalità.
Attendo pareri…!
 
Smack
Gin
 
PS: tra pochi giorni festeggio il mio primo anno su Efp! Tanti auguri ai miei deliri letterari <3 e grazie di cuore a tutti per aver reso quest’anno così speciale!
   
 
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