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Autore: summers001    08/02/2018    1 recensioni
Post-MJ, pre-epilogo | POV Peeta | "Io e Peeta ricominciamo a crescere insieme."
Dal secondo capitolo:
"Aspetta!" la chiamo e sento la mia voce venire fuori con una certa urgenza. "Vuoi restare? Puoi aiutarci a ricostruire la recinsione, tagliare via le erbacce o..." continuo elencando una serie di mansioni che potrebbe coprire senza stancarsi troppo dopo una mattinata di caccia.
Devo essere pazzo, mi ripeto per la milionesima volta in questi ultimi mesi. Hai continuato a provare a parlarle per anni prima della mietitura, per mesi dopo i primi giochi, per settimane dopo i secondi e dopo la guerra. Perché ti aspetti qualcosa di diverso? Perché dovrebbe voler rimanere qui con me questa volta? Tra i detriti, la polvere e i ricordi che tanto la tormentano per di più.
[...] D'altronde la follia non è ripetere gli stessi gesti aspettandosi ogni volta un risultato diverso?
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Haymitch Abernathy, Katniss Everdeen, Peeta Mellark, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 3




E' strano. Dopo la mietitura non facevo altro che pensare a tutto quello che avrei potuto o voluto fare con la mia vita. Ora invece le giornate sembrano lunghissime ed infinite. Una dopo l'altra, non cambia mai niente. Sono pieno di tempo che non so come usare. In questo Katniss se la cava meglio di me. Caccia, l'ha sempre fatto, non credo smetterà mai. Persino nel distretto tredici a quanto mi è stato detto, persino dopo i primi giochi, persino adesso.

"E se provassi a cercarti un lavoro?" mi propone un giorno il dottor Aurelius.

"Un lavoro?" domando scettico. Quando ero piccolo avevo dato per scontato che avrei continuato a lavorare in panetteria senza potermi permettere il lusso di cercarmi una mia strada. Durante i giochi, i primi ed i secondi immaginai di non aver mai più avuto anni per lavorare, guadagnare, una famiglia... E così per quanto sembra strano anche questo, accetto.

So che il vecchio Peeta avrebbe voluto dipingere o magari continuare la tradizione di famiglia, perché nonostante tutto gli piaceva la panetteria, ammirava suo padre e forse sperava di diventare come lui. Ma il nuovo Peeta? Così una mattina dopo colazione, dopo aver visto Katniss sorpassarmi senza rivolgermi la parola ed andare a caccia, vado in città. O dove la città sarebbe dovuta essere.
La paura che qualcosa possa provocarmi un flashback mi paralizza proprio all'inizio del grande viale principale che rappresentava la via commerciale, quella che portava dritta al palazzo di giustizia ed alla grande piazza antistante. Non so se è l'idea di rivedere la mia vecchia casa, la paura di scoprire di non distinguere i ricordi veri da quelli finti, di ritrovare i corpi della mia famiglia o il ricordo della mietitura a perseguitarmi. Qualunque cosa sia decido di andare oltre ed evitare i fantasmi.
Penso alle scuole che sono poco più lontane. Istintivamente mi dirigo lì, forse perché di quel posto e dell'infanzia ricordo ancora tutto. Lì trovo Thom, tornato al distretto da prima di me, lo stesso Thom che ho visto aiutare Katniss più e più volte mentre lavorava alla ricostruzione del distretto, quello di cui Sae non smette mai di parlare. Insieme a lui ci sono tanti altri giovani, poco più grandi di me, tutti con i tratti indimenticabili del giacimento: gli occhi grigi, la pelle olivastra e sudata. Non sono scheletrici come una volta però. Nella mia mente è sempre stato questo che li distingueva, più dei colori. Il distretto tredici deve aver giovato a tutti per un po'.

Nessuno di loro si accorge della mia presenza, presi come sono a sollevare pietre grandi quanto muri, ammassandole tutte lungo la rete metallica, frantumandole quando possono, cercando di liberare il liberabile per pulire il distretto dalle macerie. I ragazzi si dispongono a cerchio attorno a quello che sembra essere un vecchio pezzo di muro, con tanto di venice colorata annebbiata dalla polvere. Per esperienza personale, quando una volta provai a tirarci contro un pugno per sorprendere Delly ed un gruppetto di ragazze, so che è fatto di calce durissima, quasi indistruttibile.
"Al mio tre. Uno, due..." sento dire da Thom mentre mi sorprendo di tutto quello che riesco a ricordare qui. "Tre!" Le loro braccia si tendono, i loro tendini guizzano sotto la pelle dei loro polsi, tutti stringono i denti, provano a muoversi, fin quando uno di loro cede, avvisa gli altri e tutti lasciano andare il peso a terra, spostandosi velocemente perché quello non cada sui piedi. "Così non funziona." esordisce sempre Thom.

Istintivamente mi avvicino a loro, mi spoglio del maglione della pregiata lana grigia di Capitol City rimanendo con addosso una sottile canotta bianca del distretto Tredici. I ragazzi mi guardano, mi riconoscono, mi studiano per un momento cercando di capire se sia uno di loro oppure no. Lancio via il maglione e quelli mi fanno spazio. Non sono più né un panettiere, né un vincitore. Sono uno di loro, un sopravvissuto del distretto dodici.

Un senso di appartenenza mi pervade.

Raggiungo gli altri, dove si è aperto un piccolo spazio per me. Thom mi guarda come se volesse farmi una qualche domanda. Annuisco e basta ed in qualche modo, anche se non abbiamo mai davvero parlato io e lui, ci capiamo. Quello che abbiamo perso ci ricorda del legame che abbiamo con gli altri. Quelle pietre, quelle macerie, la polvere, i corpi mutilanti dei nostri compatrioti, sono come la colla che ci tiene uniti adesso, che ci ricorda che dobbiamo essere uniti per un futuro migliore.
"Di nuovo, al tre." riprende lui "uno, due, tre!"
Dopo metà giornata la maggior parte del posto sembra più in ordine. Sotto i nostri piedi abbiamo trovato fogli di carta, vecchi disegni di qualche bambino che aveva frequentato quelle aule, che forse non c'è più. Decidiamo di conservarli, tenerli da parte per quelli che forse torneranno, per quelli che conoscevano Noah, Adeline, Brayson, Emma o Madison.
Piano piano tra la polvere riusciamo a riconoscere il vecchio campo da giochi, la liberia, l'aula grande adibita a mensa, quella più piccola con le lavagne dove ci facevano lezione. Miriade di ricordi mi invadono e non mi sento minimamente sul punto di avere uno dei tanti flashback. Non so quale dei due Peeta questo sia, se il vecchio Peeta di prima dei giochi o l'ibrido di Capitol City, ma ammetto con una certa soddisfazione che si sente bene! Devo ringraziare il dottor Aurelius per questo.

Quando il sole è alto ed il caldo insostenibile ci prendiamo la pausa, sperando che intanto i vestiti si asciughino del nostro stesso sudore. Micah mi allunga una mano, l'afferro al volo e la scuoto. Lui mi da una pacca sulla spalla e poi mi supera per complimentarsi anche con Oliver e Thom. Duane mi allunga una bottiglia d'acqua piena a metà e per abitudine, non so se dei giochi o dell'infanzia, decido di non sprecarne neanche una goccia e farmela scendere tutta in gola. Butto via il recipiente vuoto e quando alzo gli occhi vedo una figura lontana.

E' più alta e magra di quanto sembri da vicino. La sagomatura del suo corpo mi ricorda il giorno della mietitura quando scheletrica s'era dimenata per prendere il posto della sorella. Tiene in mano un tacchino stecchito per le zampe, una freccia gli attraversa il corpo da parte a parte. L'ha già spennato ed è pronto per la cottura. Thom mi sorpassa e la raggiunge. Raccoglie la fiera e la alza trionfante verso i suoi compagni, che lanciano un urlo di giubilo da dietro di me. Li sento trafficare per accendere un fuoco mentre io ancora immobile guardo lei.
Si preoccupa ancora di saziare la fame degli altri, sembra stanca con le spalle curve ed un'espressione indecifrabile che a stento riesco a scorgere da quaggiù, ma soddisfatta. Prova piacere nell'aiutare chiunque. Indossa ancora la vecchia giacca di suo padre, i soliti stivali marroni e porta l'arco in spalla che ha smesso di nascondere nei boschi. I suoi capelli sono in ordine questa volta. Porta di nuovo la sua treccia, il suo marchio di fabbrica, anche se un po' più corta delle altre volte, i capelli ancora non le sono ricresciuti del tutto.
Katniss è diversa, persino diversa da quanto non fosse questa mattina. E' ancora più bella. Nonostante tutto, nonostante ogni aspettativa, nonostante sia caduta e si sia rotta più e più volte negli ultimi due anni, ha trovato non so dove la forza di rialzarsi, di ricominciare da qualche parte in qualche modo. Indossa fiera quelle cicatrici che sembrano fatte d'oro, come un bellissimo vaso cinese, è ancora più preziosa e bella di quanto non fosse prima della guerra, prima di tutto.
La sua fierezza la rende quasi irragiungibile e resto così a guardarla, mentre lei in piedi guarda me, mi fissa. Forse non s'aspettava di trovarmi qui, forse ho invaso il suo territorio troppe volte, prima a casa sua ora tra i ragazzi che le somigliano, o forse vorrebbe parlarmi ma non sa che dire.

Imbarazzato, sono io ad avvicinarmi per primo. Non voleva parlarmi questa mattina, perché dovrebbe farlo adesso?
Mi ritrovo a camminare verso di lei senza neanche pensarci due volte, con un sorriso scemo stampato sulla faccia, semplicemente felice di vederla fuori casa e davanti a me, come se fossi sorpreso che abbiamo altri interessi in comune. "Non sapevo che portassi carne fresca a tutto il distretto." dice allegro un Peeta che non riconosco.

Katniss sussulta come se non sentisse la mia voce da secoli e poi risponde. "Thom mi ha aiutato qualche giorno fa."

Non so a cosa si riferisca, ma ricordo quanto lei odi sentirsi in debito con qualcun altro e penso: ecco un'altra cosa che ricordo di Katniss. E' riconoscente ed onesta. Fino a che non si tratta di mentire in diretta nazionale per salvarsi il culo. No, no, no, era per tornare dalla sua famiglia e per proteggere anche me, l'abbiamo già chiarito. Ed ecco il Peeta allegro che se ne va.
Quando alzo gli occhi Katniss mi sta fissando. "Tutto ok?" mi chiede indicandomi con un cenno del mento i miei pugni chiusi.

Da quando sono tornato non facciamo altro che questo: guardarci. Katniss mi guarda come io guardo lei: ci cerchiamo le cicatrici a vicenda, anche se alcune possono essere più difficili da trovare. Io noto quant'è magra, lei che non riesco a tenere gli occhi aperti quando quel Peeta nella mia testa parla; io vedo quella treccia più corta di prima, i capelli bruciati, le patch di pelle sintetica sul collo e lei mi fissa quella linee di pelle bianca sui polsi. E' come se ci stessimo riadattando ai nuovi Katniss e Peeta, è come se sapessimo entrambi che ci siamo ancora noi qua sotto, ma non possiamo non trovare le differenze.

Prima o poi dovremmo smetterla di cercare quelle vecchie persone, io dovrò smetterla di sentire un vecchio Peeta ed un nuovo Peeta ed accettare quello di oggi. Così come in lei dovrò smettere di cercare la Katniss di Capitol City, quella dei giochi e la Ghiandaia Imititatrice. Smettila di fare il pazzo. O il traumatizzato, come dice il dottor Aurelius. "Hai subito un trauma, è normale!" scimmiotta il Peeta deviato. Argh, maledizione!

La conversazione per lei deve essere finita lì perché mi guarda, abbassa la testa e si volta per andare via.

"Aspetta!" la chiamo e sento la mia voce venire fuori con una certa urgenza. "Vuoi restare? Puoi aiutarci a ricostruire la recinsione, tagliare via le erbacce o..." continuo elencando una serie di mansioni che potrebbe coprire senza stancarsi troppo dopo una mattinata di caccia.
Devo essere pazzo, mi ripeto per la milionesima volta in questi ultimi mesi. Hai continuato a provare a parlarle per anni prima della mietitura, per mesi dopo i primi giochi, per settimane dopo i secondi e dopo la guerra. Perché ti aspetti qualcosa di diverso? Perché dovrebbe voler rimanere qui con me con questa volta? Tra i detriti, la polvere e i ricordi che tanto la tormentano per di più.

"No," mi interrompe lei con voce fioca "scusa," aggiunge e quasi non credo alle mie orecchie "ci vediamo stasera." dice alla fine e se ne va, mentre io resto a guardarla camminare via e girare per il villaggio dei vincitori.
Più tardi torno a lavoro tra i sorrisi complici degli altri ragazzi. Sorrido imbarazzato scuotendo le mani, sperando che capiscano che invece non c'è niente. Siamo solo amici. 

 

**



Di recente io ed Haymitch ci siamo aggiunti alle cene di Sae e Katniss a casa di lei. Mangiamo alle sette in punto, non un minuto in più né uno di meno. L'anziana donna è molto precisa su queste cose. Immagino che come ognuno di noi abbia bisogno di una qualche certezza, che sia l'orario della cena o la pace tra i distetti.
Alle sette di sera sono preciso davanti alla porta stringendo una bustina di carta marrone. Per la verità sono un po' in anticipo, non lo neanch'io perché. Sae sarà in cucina affaccendata e raramente parla quando è di là, Katniss sarà invece davanti al fuoco da sola.
Quando apro la porta mi accoglie il solito odore di piatto caldo. Il tepore del fuoco nel camino si è diffuso in tutto l'ambiente e la finestra è leggermente aperta, lasciando un piccolo spiraglio che rende l'aria ancora respirabile. Manca il solito rumore di stoviglie e piatti dalla cucina. La camera da pranzo è deserta se non fosse per Ranuncolo che se ne sta seduto sul tavolo ad aspettare, come se sapesse che è quasi ora di cena. Dal salotto sento invece un ronzio continuo sopra il fuoco che scoppietta. Me lo ricordo bene, è il rumore che fa la penna sulla carta, un graffiare continuo di una calligrafia piccola, discontinua e veloce.

Katniss è seduta per terra di fronte al fuoco, piegata sul tavolino. Indossa vestiti pesanti, sebbene fuori non faccia così freddo, che la nascondono completamente. Dal maglione di lana nera escono solo i capelli intrecciati e due mani sottili, di cui noto subito il pollice sporco di inchiostro mentre muove le dita freneticamente per scrivere.

"Ehi!" la saluto.

Katniss sobbalza. E' strano che non mi abbia sentito, ha l'udito di un cacciatore ed un orecchio bionico perfettamente funzionante. Deve essere presa da qualunque cosa ci sia su quei fogli.
"Ehi." risponde girandosi verso di me.

"Haymitch non c'è?" le chiedo tanto per fare conversazione. So che sono in anticipo e so che lui non è mai stato puntuale, neanche davanti alle regole che Sae ci ha imposto.

"L'ho svegliato poco fa e Sae non viene." risponde giocherellando con la penna che tiene tesa tra il pollice e l'indice di entrambe le mani "La nipote ha la febbre." mi spiega.

"Oh, mi dispiace." dico avvicinandomi e prendendo posto sul divano dietro di lei. Katniss si accuccia di nuovo sul tavolino e quel graffiare della punta della penna ricomincia. Non tiene niente sotto al foglio che sta usando e la carta si piega sotto il suo tratto pesante. Vorrei suggerirle di usare una carta più spessa o un tratto più leggero e mi sorprendo di quanta praticità abbia ancora per queste cose. Sorrido per aver recuperato un piccolo pezzo del vecchio me. "Scrivi qualcosa?" le chiedo allora per distrarmi e seriamente interessato.

"Sì." risponde solo e non dice altro.

Immagino che sia una cosa che voglia tenersi per sé ed allora lascio perdere. "Ti ho portato una cosa." le faccio allora allungandole la bustina di carta.

Katniss aggrotta le sopracciglia. Le si forma una fossetta in mezzo agli occhi quando lo fa, sembra una bambina curiosa ed è così carina che mi fa sorridere. Mi tira via la confezione da mano con fare deciso e per niente aggrazziato, la scarta e quando vede cosa c'è dentro si addolcisce. "Panini al formaggio." dice con sorpresa, più a sé stessa che a me, ma mi ritrovo ad annuire comunque ed allora mi guarda come se cercasse qualcosa.

So cosa vuole sapere: se è una coincidenza o mi sono ricordato. E' quello che vogliono sapere sempre tutti quando faccio una cosa che il vecchio Peeta (il vecchio me, mi correggo) farebbe. "Sono i tuoi preferiti, vero o falso?" le chiedo, anche se lo so già. Forse sto cercando solo una connessione con lei con questo giochino.

"Vero." mi risponde dolce ed abbassa la testa. Poi sorride, ne prende uno e lo mangia tutto ed io rimango a guardare a bocca aperta Katniss che finalmente sembra mangiare di gusto qualcosa, senza allungarla al gatto o lasciarla nel piatto. Ne prende un altro e lo finisce quasi le fosse venuta fame tutta in una volta. Ma perché non ci ho pensato prima?
"Che c'è?" chiede scontrosa quando mi nota, come se fosse davvero stupida della mia reazione.

"Niente, niente." le rispondo alzando le mani, proclamandomi innocente, ma non riesco a smettere di sorridere quando appallottola la busta di carta vuota e la lancia nel fuoco.
Il calduccio del focolare, Katniss che mangia e sorride, il suo viso nuovamente espressivo ed i ricordi che aleggiano ancora tra di noi creano un atmosfera comfortevole in cui ci troviamo bene io e lei. Riusciamo ad interagire di nuovo senza quel fastidioso imbarazzo e lontani dalle aspettative di tutti. Anche Ranuncolo deve aver fiutato la tranquillità ed il ritrovato dinamismo tra noi due, perché lo vediamo arrivare e mettersi in mezzo facendo le fusa prima a lei e poi a me. Pare fare avanti ed indietro, indeciso tra noi due e stranito dalla possibilità di avere così tante attenzioni, fino a che si decide ed allunga le zampe sulle mie ginocchia. Mi abbasso e lo prendo in braccio e lui si acciambella continuando a ronfare e strisciandomi il pelo arruffato sui pantaloni. Katniss sembra cogliere qualcosa che io non vedo, ricomincia a scrivere veloce e poi quando finisce fissa il gatto. "Gli piaci." dice solo, continuando a guardare lui con gli occhi lucidi ed allora la vedo anch'io. Prim.

"Ho ancora un certo fascino." scherzo sperando di destarla dal ricordo della sorella che persino io riesco a sentire in questo momento.

Katniss alza lo sguardo, mi studia per un attimo e poi si sforza di non sorridere combattendo con le guance le labbra che si stirano, mentre le cade una lacrima che le cola fino al mento. Vorrei dirle che non c'è niente di male a sorridere, che Prim lo farebbe e lo vorrebbe per lei, che anche se questo dovesse farla sentire in colpa può cercare dei ricordi felici di lei e sorridere per quelli.

Sfortunatamente non ne ho né il coraggio, né il tempo. Haymitch entra dalla porta principale in modo burbero e lasciandola sbattere. Non deve essersi svegliato col piede giusto. Guardo Katniss sospettando che lei centri qualcosa. Lei centra sempre qualcosa.
Ci avviamo verso la sala da pranzo, Katniss di nuovo muta e triste, Haymitch che sta bevendo qualcosa ed io che mi sento di troppo e so già che dovrò cercare di mettere pace tra i due.
"Che buon odore!" dico complimentandomi con lo chef, perché il silenzio mi ricorda l'ospedale del distretto tredici e quei ricordi mi danno fastidio come un prurito. Haymitch si siede a capo tavola e sospira davanti alle mie smancerie, o buona educazione. Si sistema un fazzoletto nel colletto della camicia e pare quasi un bambino educato di Capitol City. Ne prendo nota per la prossima volta che vorrà prendermi in giro.

Katniss ci riempie i piatti. Un pezzo grande di carne cade, mentre del brodo cola e schizza ovunque sulla tovaglia già martoriata dalla colazione. "L'ha cucinato Sae." ci spiega solo lei, rifiutando il mio complimento e mettendosi a sedere di fronte a me, come ogni sera. Recupera il pane di questa mattina, ne strappa un'ampia fetta irregolare ed a pezzi più piccoli lo immerge nel brodo.

"Buon appetito." dico prima di cominciare a mangiare, ma nessuno mi risponde. Che tipini per niente facili!
Per molto tempo si sentono solo rumori umidi di bocche che succhiano il brodo dai cucchiai, metallici tintinnii delle posate e silenzi imbarazzanti. E' tutto così strano, noi tre dopo tutto ancora qui e da soli. Senza Sae sembriamo gli ultimi pezzi di una vecchia epoca ormai in rottamazione.

"Uno di voi due deve andare alla stazione per me domani" è Haymitch a rompere il silenzio, mentre si sfila via con la lingua un pezzo di carne dai denti. "e portarmi il solito carico." conclude e recupera una fiaschetta dalla tasca del giacca, riempe il bicchiere e manda giù tutto d'un fiato.

"E perché dovremmo?" chiede Katniss parlando scontrosa per entrambi senza alzare minimamente gli occhi dal piatto. Mangia di nuovo lenta, come al solito, e ricomincia a giocare con la cena. Le quantità di cibo che mangia però sono gradualmente aumentate e presto sono sicuro che riuscirà a rimettere un po' di peso.

L'imbarazzo di prima è completamente scomparso, rimpiazzato da vecchie abitudini che non moriranno mai, non per noi almeno. Mi compiaccio nel ricordarlo, questa sembra una di quelle tante cene sul treno o nel centro di addestramento. E' una vecchia abitudine che ci fa bene. I miei occhi saltano da lei a lui e da lui a lei come prendono la parola e si colpiscono con frasi taglienti, proprio come facevano una volta.

"Perché ti ho salvato il culo due volte, dolcezza, ecco perché." le risponde Haymitch.

"Non mi sembrava che ci fossi anche tu lì dentro." risponde lei riferendosi alle due arene, ma so che sa benissimo che senza di lui nessuno di noi due ne sarebbe uscito vivo.

"Ci vado io." mi intrometto alla fine per farli smettere ed anche questo ha il sapore di qualcosa già fatto.

"Vedi?" fa Haymitch sollevando di nuovo il bicchiere ed indicando me "Questa si chiama riconoscenza." manda di nuovo tutto giù nell'esofago e ride col suo solito fare da ubriaco. "Impara!". L'ultimo sorso lo prende direttamente dalla fiaschetta, che cade a terra e non riesce più a recuperare. Ci siamo, ha raggiunto il limite.

Prima che Katniss possa rispondere e finire a tirarci piatti in faccia, mi alzo e mi infilo tra i due. "Andiamo," gli dico "ti porto a casa." e lo sprono allungandogli le mani. Haymitch le rifiuta, si tira su, barcolla e poi mi cade addosso. Sbuffo e mi sforzo perché quasi mi buttava a terra: devono avergli dato da mangiare sassi nel distretto Tredici per quanto pesa adesso. Gli giro un braccio sulle mie spalle e faccio per trascinarmelo via.

"Ce la fai?" mi chiede Katniss preoccupata, che in un lampo è giunta vicino a me. Lo prende dall'altro lato e lo tira su così che non dobbiamo trascinarlo del tutto.

"Certo." le dico issandolo con un braccio attorno alla vita. Nel farlo la sfioro appena lungo un fianco e lei si blocca. Cerco di ignorare la forma del contorno del suo corpo e mi carico Haytmich addosso, scrollando lei del suo peso, anche se mi sta uccidendo una spalla e la gamba buona sta cominciando a fare i capricci. "Ce la faccio." la rassicuro, ma la mia faccia non deve essere tanto convincente.

Mi accompagna alla porta, la apre e veniamo accolti nel giardino dal canto dei grilli e dall'aria fresca della sera. Sembra tutto così pacifico qua fuori: il cielo scuro fa calare una pace surreale e le lucciole regalano un'atmosfera magica che mi fa dimenticare per un attimo della polvere e delle macerie a pochi passi da casa nostra. Inspiro e mi godo di nuovo l'odore di libertà, ricordandomi per un momento di quando ho aperto per l'ultima volta la porta dello studio del dottor Aurelius e sono andato via. Sarebbe tutto perfetto adesso se non fosse per la puzza di alcol e sudore che mi vien su dal peso sulla mia spalla. Raddrizzo Haytmich e mi giro verso Katniss. "Grazie della cena." le dico sforzandomi di sorriderle.

"Figurati." mi risponde lei e mi sembra di scorgere qualcosa di diverso nel suo viso. Disappunto forse? Non voleva che finisse così? Mi chiedo se si renda conto di quanto sia facile leggerla guardando solo la luce nei suoi occhi e la piega delle sue sopracciglia. "A domani." mi dice alla fine.

"A domani." rispondo, mentre lei socchiude la porta e si nasconde in quello spiraglio di luce che rimane e che piano piano si fa sempre più sottile fino a scomparire del tutto e ci troviamo io fuori e lei dentro. Quando sono al buio finalmente caccio fuori quel respiro che non mi ero reso conto di trattenere.

Mi sento strano solo perché lei non c'è più, solo perché mi sembrava finalmente di nuovo giusto e normale che lei ci fosse. Rimango qua fuori impalato come un baccalà, come se lei potesse uscire di nuovo da un momento all'altro, come se...
"Ehi, ragazzo innamorato!" mi pungola Haymitch, facendomi saltare per aria, ed urla quasi e deve averlo sentito tutto il distretto e sicuramente Katniss da dietro alla porta e questo sicuramente l'avrà messa a disagio ed avrà rovinato ancora di più la serata.

"Shh!" lo zittisco con le guance in fiamme e mi allontano, ma in fondo in fondo sorrido e sorride anche l'altro me stesso. Insieme guardiamo per un'ultima volta la porta e speriamo che nessun altro abbia sentito i vaneggi di questo vecchio ubriaco per poterci tenere il segreto tutto per noi.

Haymitch ha sempre avuto ragione su di noi.

 




Angolo dell'autrice 
Salve a tutti, come va? 
​Terzo capitolo: stiamo piano piano uscendo dal baratro e risalendo già verso la montagna. Che ve ne pare? Troppi progressi? Troppi pochi? Poche interazioni? Non so, fatemi sapere davvero tutte le criticità su cui devo lavorare! 
​Scrivendo mi sto rendendo conto di quanto sia difficile inquadrare un personaggio usando la prima persona. Ho paura di come stia venendo fuori Katniss, dovendo mischiare contemporaneamente quello che sappiamo di lei con "non sa l'effetto che fa", quindi mostrarla uguale e diversa se mi capite. E' una sfida. 
​Chiudo con un grandissimo grazie per le recensioni, preferiti, seguiti, letture, tutto tutto tutto. Vi invito a lasciarmi un commentino se la storia vi piace (per dirmi qualunque cosa davvero!) e vi aspetto la prossima settimana, probabilmente sempre di giovedì ;)  
​Al prossimo capitolo xoxo
  
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