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Autore: time_wings    12/02/2018    1 recensioni
[High School!AU]
La scuola è appena ricominciata e, numerose e spiazzanti novità, non tardano a palesarsi. Il cammino di un adolescente, si sa, può essere tortuoso e pieno di pericoli. Un anno scolastico servirà a mettere a posto antichi conflitti? L’amore tanto atteso sboccerà per tutti? I sette della profezia che avete tanto amato trapiantati nell’impresa più difficile di sempre: la vita di tutti i giorni fino all’estate successiva. Mettetevi comodi e buona lettura.
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Esperanza Valdez, I sette della Profezia, Nico di Angelo, Sally Jackson, Will Solace
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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UN’AVVENTURA NOTTURNA
 
Percy sapeva avrebbe fatto tardi, ma non poteva farci assolutamente nulla. Sua madre aveva deciso di fargli un discorso piuttosto importante proprio mentre era sull’uscio della porta, pronto a regalare ad i suoi amici una serata indimenticabile. Non che ciò che sua madre aveva da dirgli non gli interessasse, ma andava di fretta ed aveva un’altra tappa immancabile da raggiungere prima di recarsi all’officina della madre di Leo. Con un sospiro Percy lasciò cadere lo zaino dalle sue spalle e si accasciò sulla sedia più vicina che riuscì a trovare.
“Be’…” Iniziò Sally Jackson in imbarazzo: “Non so se hai notato che ultimamente sono un po’… ecco di buonumore.” Iniziò. Percy si limitò ad annuire, mentre la curiosità, mista ad una strana paura, si stringeva lentamente a formargli un nodo allo stomaco: “Ecco, tu sai quello che Gabe ci ha fatto…”
Percy alzò un sopracciglio. Anche solo sentire quelle quattro lettere messe vicine gli procurava ogni volta un senso di disgusto terribile: “E che continua a fare.” Puntualizzò, la rabbia che lentamente si univa alla paura ed alla curiosità.
“Be’, sì, ma non è questo il punto. Il fatto è che per la prima volta vedo una speranza, una possibilità!” Continuò con gli occhi che le brillavano. Percy notò come il nome di Gabe non le riempisse più gli occhi di lacrime: “Qualche settimana fa un vecchio amico dell’università è venuto a comprare dei biscotti nel mio negozio. Quando mi ha riconosciuta ha iniziato a scherzare come ai vecchi tempi e… be’, poi mi ha chiesto di uscire.” Percy stava ascoltando il racconto di sua madre con uno sguardo indecifrabile. L’espressione felice sul viso di Sally si trasformò in un attimo in una leggera preoccupazione ed insicurezza: “Percy, se non vuoi che…”
“Ma no, davvero, sono felice di vederti così… serena.” L’interruppe rendendosi conto di quanto quelle parole fossero incredibilmente vere. Percy era solo un po’ confuso, o forse sorpreso e, in più, aveva davvero paura che quest’uomo non fosse diverso da Gabe.
“Ti andrebbe di conoscerlo, una sera?” La felicità sul viso di sua madre non poté che convincerlo: erano anni che non la vedeva così; a dire il vero, ricordava a stento l’ultima volta che il suo viso si era illuminato in quel modo ed era stato quando lei gli aveva parlato di suo padre.
 
“Non m’importa: devi darmi venti.”
“Ma non mi hai mai chiesto così tanto! Che amico sei?” Domandò Percy alzando le mani. Venti dollari per dell’erba neanche così buona? Poteva scordarselo.
“Amici? Quando mai siamo stati amici io e te? Non appena hai conosciuto quel gruppo di sfigati non hai esitato a dimenticarci.”
“Ma dai, siamo stati tutto il tempo insieme alla festa di Drew,”
“Zitto, Jackson.”
“nonostante il fastidio che hai dato alla mia amica.” Continuò Percy imperterrito. Su una cosa quel ragazzo aveva ragione: loro due non erano mai stati amici.
“Piper? Per la puttana che è si meritava di peggio. Non ha esitato a mettersi col capitano dopo…” Il moro strinse i pugni guardando con odio il biondo che aveva davanti a sé. Sapeva dove voleva arrivare, ma non gli avrebbe permesso di vincere così facilmente. Pensò ad Annabeth, a quanto si sarebbe arrabbiata se fosse andato da loro con uno zigomo viola ed il naso coperto di sangue rappreso. Pensò a sua madre, al fatto che adesso era felice e che non voleva rovinarle quel bel momento perché costretta a rimediare alle sue stronzate. Abbassò lo sguardo, mentre un sorrisetto strafottente gli si dipingeva in viso. Frugò nelle tasche tirandone fuori una banconota accartocciata.
“Solo per questa volta.” Concesse porgendo al suo interlocutore il pezzo di carta. Il biondo l’afferrò velocemente con il suo atteggiamento viscido e depose nelle mani del moro un sacchetto trasparente che Percy infilò velocemente nella tasca posteriore dei suoi jeans.
“A mai più!” Esclamò uscendo dall’oscurità e sentendo appena la risata fastidiosa del biondo.
“Certo.”
Doveva decisamente trovarsi un nuovo spacciatore.
 
Il furgoncino era un porcile: in condizioni normali Leo avrebbe raccomandato ai suoi amici di essere più cauti visto che avrebbero dovuto riportarlo integro all’officina entro la mattina successiva, ma il più casinista ed impacciato dei sette si rivelò essere proprio lui.
“Bene, Sapientona,” Disse Percy con la bocca piena lanciando ciò che restava del suo tramezzino sul cruscotto. Annabeth lo guardò disgustata per poi riportare lo sguardo sulla strada: “Come mi hai chiamata?” Domandò alzando un sopracciglio. Percy non avrebbe saputo dire se fosse offesa o divertita: “Gira a destra e poi vai dritto finché… be’, finché non puoi più.” Disse evitando accuratamente di rispondere alla sua domanda.
“Non ci farai cadere in un burrone, vero?” Percy non rispose, limitandosi a sorridere appena.
Pochi minuti dopo, Annabeth vide gli alberi aprirsi e sentì il terreno sotto le gomme cambiare consistenza: “Ma che…” Iniziò confusa: “Oh, no… Percy, non posso crederci. Tu hai una seria fissazione per il mare.” Disse alludendo al loro primo (ed unico, a dire il vero) appuntamento.
“Cosa? Questa non è una spiaggia qualunque! Le acque di questa spiaggia hanno il fondale ricco di Klamath e non è così comune, qui in America, si trovano solo nell’Oregon… e qui.”
“Percy… fammi capire bene…” Iniziò Jason accigliato dal sedile posteriore.
“Tu hai scelto questa spiaggia perché ci sono alghe rare?” Domandò Hazel al posto suo, quasi sul punto di scoppiare a ridere.
“Non sono alghe, ragazzi, sono, a dire il vero, una specie particolare di alghe. Meglio dire microalghe…”
“NO!” Sentenziò Piper categorica: “Risparmiaci la spiegazione scientifica.”
“Dai, ragazzi, secondo me è interessante!” Esclamò Leo entusiasta aprendo la portiera del furgoncino ed avviandosi verso il portabagagli per prendere i restanti tramezzini.
“Testa d’Alghe…” Commentò a voce bassa Annabeth seguendo Leo fuori dal furgoncino.
“Come mi hai chiamato?” Domandò Percy fingendo risentimento e riferendosi chiaramente alla domanda della ragazza di qualche minuto prima. Annabeth lo guardò sorridendo appena: “E comunque non sono alghe, sono Kla…” Iniziò di nuovo il ragazzo. L’espressione sul volto della bionda divenne annoiata in un momento, quindi si limitò a sbattere la portiera del furgone attutendo e poi annullando totalmente la voce del moro.
 
Ad intervalli regolari, un fascio di luce bianca illuminava la porzione di spiaggia su cui i ragazzi stavano mangiando i restanti tramezzini. Hazel si scostò appena dal suo ragazzo per girarsi indietro a guardare la fonte di quel fascio: “Qualcuno sa dirmi cosa sia?”
“Una discoteca, credo. Non ci sono mai stato di sera, qui; non l’avevo mai vista aperta.” Rivelò Percy seguendo lo sguardo della sua amica.
“Già, è anche piuttosto irritante, a mio parere.” Disse Annabeth alzandosi e dirigendosi verso il bosco dal quale erano arrivati. La bionda tornò indietro con qualche pezzo di legno, che depose al centro del cerchio che i ragazzi avevano formato sedendosi sulla sabbia: “Avanti, Leo: sei tu il piromane, qui.”
Leo alzò gli occhi e le braccia al cielo: “Ho appiccato un incendio solo una volta!” Si difese riferendosi alla festa di Halloween di Drew Tanaka.
“Ah si? Una sola volta? La mia cucina la pensa diversamente.”
“Oh no! Qui ti sbagli, Superman.” Ribatté Leo, sicuro: “Quella è stata colpa di Percy”
“Mia?” Domandò il moro: “Sei stato tu a mandare a fuoco una pentola impossibile da bruciare!”
“L’acqua bollente sulla mano è caduta per colpa tua.”
“Ragazzi, ma io dov’ero in tutto ciò?” Domandò Frank piuttosto confuso dai racconti dei suoi amici.
“Eri con tua nonna. Dovevi aiutarla al negozio.”
“Leo. Il fuoco.” Ricordò Annabeth gelando il messicano con lo sguardo. Leo si lasciò scappare una risata veloce e si alzò controvoglia prendendo un accendino dalla tasca posteriore dei suoi pantaloni neri e mettendosi al lavoro.
Qualche minuto e parecchie imprecazioni dopo una fiammella insicura sgusciava fuori dai pezzi di legno sottili ma efficaci che Annabeth aveva trovato. Tra un morso di tramezzino e l’altro il tempo sembrò volare incurante su di loro, mentre il suono della risacca dava a tutti una sensazione di calma e tranquillità. Opinioni e battute su professori insopportabili, nonne troppo loquaci e ragazze che si davano decisamente troppe arie riempirono gli spazi vuoti tra una risata e l’altra. L’aria pulita che si respirava e la musica appena udibile dalla discoteca parecchi metri più avanti non facevano che rendere la situazione ancora più intima. A Leo sfuggì un impercettibile eppure vero sorriso. Non avrebbe mai immaginato di rivedere la bellezza in una macchina rotta senza sentire il bisogno di metterla a posto o di notare il calore in un luogo desolato e dimenticato da Dio. Non aveva assolutamente idea di quale sentimento fortissimo provasse per i sei ragazzi con cui stava condividendo quei momenti indimenticabili, ma gli sembrava impossibile che dopo soli quattro mesi dal suo arrivo a New York avesse già conosciuto delle persone fantastiche con cui condividere momenti del genere. Leo alzò lo sguardo verso il cielo. L’assenza di inquinamento luminoso aveva reso possibile vedere almeno un centinaio di stelle in più del normale. Gli venne in mente il Messico: lì poteva ammirare le stelle molto più spesso. Era un peccato che le cose avessero costretto lui e sua madre ad andarsene da lì, ma Leo non poteva fare a meno di pensare al fatto che esattamente quelle cose l’avevano portato su quella spiaggia, con quelle persone che non capiva assolutamente ed in nessun modo, come le altre milioni che aveva incontrato nella sua vita, ma che, al contrario, sembravano capirlo alla perfezione. Con un sospiro si alzò annunciando che avrebbe preso da bere e si avviò al furgoncino, aprendone la portiera. Si allungò verso il sedile posteriore cercando di non fare danni al furgone per raggiungere la busta bianca che cercava, quando il gomito cedette ed il ragazzo scivolò con un braccio sul cruscotto. Prima che potesse anche solo pensare ai possibili danni, il CD si azionò facendo partire Father and Son di Cat Stevens. Il testo lo pietrificò sul posto e gli occhi gli si gonfiarono inevitabilmente di lacrime. ‘All the times that I cried, keeping all the things I knew inside…’ Una sola lacrima solitaria si fece strada sulla guancia del ragazzo. Piper aprì il portello col viso ancora rivolto verso gli altri ridendo: “Leo, ma cosa stai facendo con… Ehi, che c'è?” Disse facendosi improvvisamente seria e prendendo posto accanto a lui richiudendo la portiera. Piper non aveva mai visto Leo in un modo che non fosse allegro o sereno. Il messicano, dal canto suo, fu sorpreso dalla dolcezza del tono di Piper, che era solita essere sarcastica e tagliente in pieno contrasto con i tratti dolci del suo viso.
“Oh… ehm, nulla.” Replicò Leo lasciandosi scappare una risatina imbarazzata e asciugandosi la guancia dalla lacrima che gli era sfuggita: “Sto benissimo. Mh, prendo le bottiglie e…”
“Aspetta, io… voglio aiutarti. T-tuo padre, insomma, hai avuto…” Iniziò Piper decisa a rendersi utile e ricordando il testo della canzone.
“È morto.” Sentenziò il ragazzo lanciando quella frase come una bomba in una piazza affollata. Aveva il tipico tono di chi cerca di ammettere verità dolorose fingendo di averle superate da molto: “So che ti dispiace,” Riprese un attimo prima che Piper iniziasse a parlare: “dite tutti così, ma non è colpa tua.”
“In realtà volevo chiederti se avessi lasciato il Messico per questo.” Rispose Piper con un mezzo sorriso che fece sorridere anche Leo, che la guardò stupito: “Mh, più o meno… No, in realtà no, è successo più di due anni fa, mia madre ha passato gli ultimi due anni a mettere da parte i soldi lavorando il doppio per trasferirci qui. La situazione, lì, era diventata…” Lo sguardo del messicano si perse nel vuoto per qualche secondo, come se davanti ai suoi occhi i ricordi stessero passando come le scene di un film: “insostenibile.” Concluse come se avesse finalmente trovato la parola adatta. Piper capì al volo che sotto doveva esserci qualcosa di più, ma se Leo non voleva parlarne lei non l’avrebbe certo costretto. Il ragazzo girò lo sguardo verso di lei, che sembrava persa nel racconto dell’amico. Era esattamente questo che voleva evitare con le persone: non voleva che lo vedessero triste, fragile; non voleva credessero che aveva bisogno di aiuto: “E tu, reginetta? La ricchezza ti è mai andata stretta?” Merda! Pensò il ragazzo nell’istante stesso in cui pronunciò l’ultima parola della frase che aveva appena detto. Voleva solo rendere di nuovo l’ambiente allegro in quell’abitacolo, non voleva offendere la sua amica. L’occhiata che Piper gli riservò non fece che preoccuparlo di più. “Se un padre assente ed una madre che ti vuole esattamente come lei non ti pesano non dovrebbe essere un problema.” Rispose la ragazza con un’alzata di spalle ed un mezzo sorriso.
“Scusa.” Si limitò a rispondere il ragazzo. Perché non poteva imparare ad usare anche solo un minimo del tatto che sembrava mancargli?
“Non preoccuparti. Comunque basta scappare dai commenti di mia madre sulle mie felpe poco femminili ed il gioco è fatto!” Commentò Piper ironica, che sembrava aver capito le difficoltà del suo amico nel capire le persone. Leo gliene fu immensamente grato: “Fa storie anche per una felpa?” Domandò Leo incredulo un po’ per diminuire la tensione, un po’ mosso dalla leggerezza che parlare di sè con qualcuno gli aveva fatto provare.
“E per molto meno. Non puoi capire l’imbarazzo che provo quando mi fa la ramanzina per le mutande che giudica troppo poco sexy. Non mi risparmia neanche il commento su un’eventuale vita sessuale.”
“Deve metterti a disagio.” Commentò il ragazzo.
“Infatti è così.” Rispose Piper riempiendo l’abitacolo della sua debole risata. Leo si girò verso di lei puntando i suoi occhi scurissimi in quelli della ragazza, che ricambiò lo sguardo con l’accenno di un sorriso dovuto alla confusione che quella situazione improvvisamente seria le stava procurando.
“Grazie.” Sussurrò il messicano. Piper allargò il suo sorriso e, prima che Leo potesse rendersi conto della situazione, si ritrovò le braccia della ragazza allacciate al collo, esortandolo a fare lo stesso. Leo ricambio l’abbraccio sciogliendolo appena i suoi occhi si posarono sulla busta bianca abbandonata sul sedile posteriore: “Ci sfondiamo?”
Piper annuì e, con un movimento agile e veloce, agguantò la busta e scese dal furgoncino con un balzo. Leo non poté fare altro che seguirla.
 
“Perché?” Domandò Jason sedendosi accanto a Percy, che fissava il mare fino al punto in cui la luce del fuoco che aveva alle spalle gli permetteva di distinguerlo dal cielo nero.
“Perché cosa?”
“Perché proprio qui?” Domandò Jason ancora, deciso ad avvicinarsi di più al ragazzo, a rendere la loro amicizia più sicura e non sempre a metà tra l’invidia e la simpatia.
“È importante.”
Jason non era sicuro se quello fosse un modo particolare per dire che portare delle persone in un posto importante le rendesse automaticamente altrettanto importanti, ma decise di non fare troppe domande per non rischiare che Percy smettesse di rispondere, così si limitò a respirare l’aria fresca della leggera brezza serale. Con grande sorpresa del biondo, fu Percy stesso a continuare: “Mio padre si occupava di queste Klamath e si batteva affinché venissero protette. Passavamo interi pomeriggi qui. È stato lui a farmi appassionare alla biologia marina.” Ci fu un solo attimo di silenzio prima che Percy iniziasse a ridere di gusto: “Si faceva chiamare Poseidone.” Jason gli fu grato per aver alleggerito l’aria con quella notizia: non sapeva mai come rispondere quando la situazione si faceva così tesa: “Poseidone? Come il dio?” Rise appena.
“Sì, era un grande… prima che abbandonasse me e mia madre.” Sentenziò atono lanciando un pugno di sabbia verso il mare: “E con Piper? Come va?” Si affrettò a cambiare discorso. La penultima cosa che voleva era la pietà. L’ultima era la pietà di Jason. Continuava a sentirsi irrimediabilmente inferiore al fascino ed alla sicurezza che mostrava il biondo.
“Oh bene, ieri abbiamo… Ehm, sai…” Jason sapeva che si sarebbe imbarazzato a parlarne. Avrebbe davvero voluto essere come Percy, che sembrava prendere le cose così come venivano, con leggerezza. Il moro lo guardò complimentandosi con lo sguardo e rifilandogli una gomitata nello stomaco amichevole, ma non per questo meno forte: “Ma non mi dire, avete fatto sesso?” Nonostante il buio Jason poté comunque intravedere un sorriso obliquo sul volto del suo amico.
“Non ancora ma… be’, sai…” Jason avrebbe voluto prendersi a calci per l’imbarazzo che stava dimostrando. Percy annuì come se la sapesse lunga: “Oooh, capisco. Com’è stato?”
Jason rise appena, guardandosi attorno per essere sicuro che Piper non fosse nei paraggi. Dietro di lui, però, c’erano solo Hazel e Frank che parlavano: “Bello, davvero.” Commentò.
Percy annuì appena, prima di rifilare al suo amico una pacca sulla spalla per raggiungere Annabeth, seduta a riscaldarsi vicino al fuoco: “Sei forte, amico.” Commentò congedandosi. Prima che Percy potesse allontanarsi del tutto, però, Jason lasciò scivolare nella tasca dell’amico un oggetto di piccole dimensioni. Il sorriso che Percy gli riservò sembrava dire qualcosa come: ‘ma dai, non lo crederai davvero’ e fu il turno di Jason di ribattere con un’espressione di uno che sembrava saperla lunga.
 
“Da qualche parte in Asia.” Disse Frank senza distogliere lo sguardo dal fuoco a qualche metro da lui. Hazel lo guardò accigliata: sembrava che il suo ragazzo stesse rispondendo ad una domanda che lei, però, non aveva fatto. Frank ricambiò il suo sguardo confuso con uno triste: “Non ne abbiamo mai parlato, no? O meglio, sono io che non ho mai voluto approfondire la faccenda. I miei genitori.” Spiegò in risposta alla confusione della sua ragazza: “Sono da qualche parte in Asia.”
Hazel sgranò gli occhi cercando di non mostrarsi troppo sorpresa dall’improvvisa apertura del ragazzo. Aveva provato a chiedergli una sola volta perché vivesse con la nonna, quando il loro rapporto si limitava ad una sofferta amicizia, ma Frank le era parso così disperato dalla semplice domanda, che Hazel capì che doveva essere qualcosa che lo faceva soffrire molto e che sarebbe stato disposto a rivelare solo al momento giusto. Finalmente quel momento era arrivato.
“Sono nell’esercito. Ogni tanto tornano. Succede raramente e per poco tempo, ma è per questo motivo che, in quei giorni, sono praticamente assente. Cerco…”
“Di aggrapparti ad ogni secondo.” Concluse Hazel, stringendosi un po’ di più a lui. Frank annuì.
“Vorrei riuscire a farti stare bene davvero.” Commentò la ragazza. Frank sentì il viso andare a fuoco. Quelle semplici parole fecero più effetto di qualunque smanceria schifosamente dolce che di solito le coppiette si scambiavano. Frank sentiva un legame più profondo ed intimo con Hazel; sapeva che forse dipendeva enormemente dall’atmosfera che la luce della fiamma ed il rumore della risacca del mare producevano, ma questo non cambiava il modo in cui si sentiva.
“Chissà cosa staranno tramando quei due.” Commentò Hazel, riferendosi a Jason e Percy, seduti di fronte a loro. La mente di Frank, però, vagava per altri mari e gli sembrò che tutto attorno sparisse quando trovò il coraggio per dire ciò che pensava davvero.
“Ti amo.” Sussurrò il ragazzo nell’orecchio di Hazel, prima che lei alzasse il viso per coinvolgerlo in un dolce bacio. Frank notò, con un pizzico d’insicurezza, che Hazel non aveva replicato.
 
“Benissimo, il momento delle confessioni è finito!” Gridò Piper staccando in malo modo Hazel e Frank: “Tutti attorno al fuoco!” Ordinò un attimo prima di sedersi sulla sabbia accanto ad Annabeth ed invitando gli altri ragazzi a fare lo stesso. Percy alzò gli occhi al cielo per un solo secondo, prima di regalare un sorriso ironicamente complice a Piper: un po’ di tempo da solo con Annabeth non gli sarebbe certo dispiaciuto e, dato che si era appena seduto accanto alla bionda, gli era sembrato quasi che il mondo remasse del tutto contro. Frank sembrò intercettare i suoi pensieri, perché gli rifilò una pacca sulla spalla mentre si sedeva accanto a lui invitando con un gesto Hazel a fare lo stesso. Jason li seguì e Leo, che sembrava felice come un bambino a Natale, non ci pensò due volte a fare lo stesso.
Mezz’ora e qualche bicchiere dopo, il silenzio notturno della spiaggia sembrava esser stato del tutto mandato al diavolo da sette ragazzi qualunque. Tra una chiacchiera e qualche risata nessuno era davvero ubriaco. L’alcol era servito solo a rendere le risate più facili e gli argomenti più scorrevoli.
“Ho preso qualcosa per voi…” Iniziò Percy con un sorriso sghembo: “Adesso potete giustificare il mio ritardo.” Il sussurro al quale la sua voce si era ridotta arrivò comunque limpido e chiaro alle orecchie di tutti mentre estraeva dalle tasche una bustina ripiegata più volte su se stessa.
“Cristo, Percy.” Disse Frank guardandosi attorno: conosceva le abitudini del suo amico e aveva già capito di cosa si trattava. A Percy sfuggì una risata: “Non c’è nessuno attorno, non verrai arrestato, tranquillo.” Disse scartando la bustina che aveva tra le mani. Annabeth si accigliò: “Davvero? Vuoi davvero farci fumare?” Domandò inarcando un sopracciglio.
Percy non rispose, ma si limitò a comporre la canna come meglio poteva nella semi-oscurità che il fuoco gli concedeva; poi l’accese e fece un tiro. L’aria attorno a lui si riempì di un odore che Annabeth conosceva, ma al quale non era mai stata troppo interessata. Percy ricambiò lo sguardo accusatore che sentiva su di sé aggrottando le sopracciglia: “Che c’è, Sapientona? Muori dalla voglia di provare?” Le chiese porgendole l’oggetto incriminato. Annabeth studiò la canna per qualche secondo, prima di prenderla tra le dita e fare un tiro. Una nuvola di fumo le si disegnò attorno mentre tossiva.
“È normale.” Si limitò a commentare Percy sorridendo. Annabeth porse disgustata la canna a Piper, che l’accettò con una scrollata di spalle sotto gli occhi attenti di Jason. Leo sembrò, invece, essere piuttosto soddisfatto della sua esperienza, perché non sembrava intenzionato a regalarla anche a Jason che, dopo un minuto che sembrò interminabile, provò con gli stessi risultati di Annabeth. Hazel, invece, decise di lasciar stare e passarla al suo ragazzo, che sembrò avere i risultati peggiori. Quando il cerchio si richiuse, a Percy non restò che qualche tiro.
“Penso proprio andrò a vedere quella discoteca. È arrivato il momento.” Annunciò sfiorandosi la tasca del jeans che indossava e puntando i suoi occhi in quelli azzurro elettrico di Jason. Sembrava un gesto qualunque, ma il biondo afferrò al volo il concetto e cercò di intavolare un discorso qualunque per attirare l’attenzione degli altri, cosa che non era del tutto sicuro di riuscire a fare.
“Bene, Leo, dato che hai bruciato la mia pentola potresti almeno degnarti di riempirmi il bicchiere.” Aveva optato per l’unica soluzione efficace: lasciare che quello più casinista del gruppo gli reggesse indirettamente il gioco.
“Ancora con questa storia? Non è colpa mia!”
“Oh, lo è eccome.”
“Ti assicuro di no!”
“Quello che mi chiedo è come tu abbia fatto a bruciare una pentola. È impossibile.”
“È perché non l’ho fatto!”
“Ti andrebbe di accompagnarmi?” Sussurrò Percy nell’orecchio di Annabeth. Non aveva usato un tono particolarmente convincente e l’odore d’erba non lo rendeva certo irresistibile. Ciononostante un brivido percorse inarrestabile la schiena della ragazza, che si ritrovò costretta ad annuire. Non che il teatrino di Jason e Leo fosse servito a qualcosa. Hazel li guardò alzarsi ed allontanarsi sorpresa, mentre Frank alzava gli occhi al cielo per la mancanza di fantasia e Piper inarcava un sopracciglio mente un sorrisetto si faceva strada sul suo viso. L’unico a non essersi accorto di nulla sembrò proprio Leo.
 
“Hai davvero preso una pallonata sul naso per colpa di Jason? Questo ti rovina il curriculum!” Scherzò Annabeth. La strada per la discoteca sembrava molta di meno, vista dal lato della spiaggia su cui avevano improvvisato quell’avventura.
“Sì, continuavo a sanguinare.”
“Immagino quell’imbarazzante voce nasale.” Rispose la bionda prendendolo in giro. Lui le riservò uno sguardo di sfida: “Io imbarazzante?” Domandò avvicinandosi al mare. La ragazza annuì sorridendo.
“Non quanto te adesso.” Sentenziò lanciandole addosso una Klamath e guardandola gridare dalla sorpresa.
“È viscida!” Commentò disgustata, mentre si scrollava la Klamath di dosso.
“È rara!” Ribatté Percy pronto a tutto pur di difendere il suo onore.
“Ma vaffan…” Iniziò la ragazza pronta a rifilargli un pugno. Percy, però, si scostò appena in tempo facendo sbilanciare Annabeth. Il moro l’afferrò al volo, prima che potesse cadere in acqua: “Ti ho presa.” Sussurrò.
Annabeth alzò gli occhi al cielo: “Cliché.” Commentò facendogli scivolare il piede d’appoggio e facendo cadere entrambi rovinosamente sulla sabbia dato che Percy, deciso a non mollare la presa, l’aveva trascinata giù con sé. Annabeth iniziò a ridere, mentre lo sguardo di Percy si faceva più serio: “Che c’è?” Domandò lei, l’ombra di un sorriso ancora sul suo viso. Il ragazzo, però, invece di rispondere alla domanda, incatenò le sue labbra a quelle della ragazza sistemandola meglio su di sé. Annabeth, dal canto suo, non oppose resistenza: era chiaro dove volesse arrivare con tutta la storia di Jason che parlava con lui davanti al mare e gli sguardi d’intesa prima che avesse improvvisamente la brillante idea di farsi un giro nella discoteca che non aveva mai visto fino ad allora e che probabilmente non avrebbe visto neanche quella sera. Quel bacio non aveva assolutamente nulla di dolce: il temperamento impaziente di Percy lo portava a non voler certo fare le cose con calma. Poi accadde tutto in un attimo, come se entrambi avessero sempre saputo cosa fare: Percy le alzò la maglietta fino alle costole prima che lei alzasse le braccia per aiutarlo a liberarsi di quell’indumento inutile e poi lo costrinse a fare lo stesso con la sua, mentre si strusciava appena sul cavallo dei pantaloni di lui, concentrato sul suo collo. Annabeth si fermò un attimo a guardarlo e notò distrattamente quanto fosse bello: la bocca semiaperta, gli occhi chiusi e le sopracciglia aggrottate dal piacere. Adorava il modo con cui le sue mani cercavano febbrilmente il gancetto del suo reggiseno facendole venire la pelle d’oca.
“Che aggeggio infernale è questo?” Domandò staccando appena le labbra dal suo collo. Il fiato caldo sulla sua pelle rischiava di farla impazzire.
“Be’, se non ti piace liberatene.” Disse Annabeth ridendo piano. Percy non se lo fece ripetere due volte e si concentrò sul gancetto. Dopo un paio di tentativi riuscì nel suo intento e lanciò il reggiseno della ragazza sulla sabbia per poi prendere a succhiare un suo capezzolo facendola gemere piano.
Annabeth portò le mani alla cintura di Percy slacciandola velocemente per poi abbassargli insieme jeans e biancheria e prendendo in mano qualcosa che gli apparteneva facendolo gemere di sollievo. I suoni che riusciva a strappargli non facevano che farle venir voglia di continuare a sentirlo gemere a causa sua.
“Okay, aspetta, ferma.” Iniziò Percy aprendo di scatto gli occhi ed inchiodandoli a quelli della ragazza: “Qui decido io.” Continuò con tono autoritario e, prima che Annabeth potesse rendersi conto di cosa stesse succedendo o trovare il tempo per protestare, si ritrovò schiacciata sotto il peso di Percy, che aveva già portato una mano alla zip dei suoi pantaloni. Il moro non perse tempo a finire di spogliarla ammirando il suo corpo nudo sotto di lui come se non avesse mai visto nulla di più bello. Si posizionò tra le sue gambe facendo scivolare un dito nella sua intimità e facendola fremere dal piacere. Percy non aveva idea del perché Jason avesse quel preservativo, né perché avesse pensato di darglielo, ma gli fu enormemente grato.
Il moro incatenò il suo sguardo a quello di Annabeth, quasi a chiederle il permesso, un misto di preoccupazione e desiderio nei suoi occhi, ma bastò che la bionda annuisse appena perché la preoccupazione svanisse via mentre la baciava. Percy si rese conto di come il suo nome, pronunciato da lei, in quel momento, fosse perfetto. Le preoccupazioni di Annabeth sulla fiducia che riponeva in Percy momentaneamente dimenticate.
Quello fu il loro momento perfetto.
 
Nessuno fece molto caso ai visi sconvolti dei due ragazzi di ritorno da quella che ufficialmente era “la visita alla discoteca”, ma che ufficiosamente era stata ben altro, anche se i capelli di Percy sparati in mille direzioni dovevano essere un chiaro segno. Il problema era che ai cinque ragazzi rimasti era dispiaciuto davvero tanto lasciare quelle bottiglie mezze piene e, all’assurda serata con alcolici assunti responsabilmente, bastò davvero poco per cambiare in assurda serata con alcolici presto volatilizzati. Per la prima volta Percy poteva dirsi il più sobrio del gruppo… era una sensazione nuova. Non che gli dispiacesse. Assolutamente. Aveva chiaramente avuto di meglio da fare.
“Va bene, smontiamo l’accampamento.” Scherzò il moro riprendendo dalle mani di Leo una bottiglia di sambuca quasi finita.
“Già, adesso che hai finito siamo tutti pronti!” Scherzò Leo biascicando ed alzando le braccia in aria.
“Esatto.” Ripose Percy aiutandolo ad alzarsi: “Ce la fai a camminare fino al furgoncino, si?” Domandò sicuro un attimo prima che Leo cadesse rovinosamente col viso sulla sabbia: “Immagino di no.” Constatò riprendendolo ed aiutandolo ad arrivare al furgoncino.
Una manciata di minuti e qualche sudata dopo erano tutti nel furgoncino.
“Percy, che fine ha fatto la storia del ‘non ho la patente, non posso guidare, soprattutto un furgone rubato’?” Domandò Piper, che si era seduta davanti dichiarando di non volersi sporcare gli abiti del probabile vomito che gli altri sembravano pronti ad espellere: “È andato a farsi fottere nel momento in cui avete pensato di sfondarvi.” Rispose Percy tenendo gli occhi sulla strada. Leo, intanto, sembrava il più esaltato dei sette e continuava a parlare a Frank di, più o meno, tutte le cose di cui non gli importava un accidente, vista la situazione mezzo-consapevole in cui riversava.
“P-Percy, accosta un attimo.” Disse Frank con voce stanca.
“Non posso, siamo sull’autostrada.” Commentò quasi sollevato: quello sterrato era diventato insopportabile.
“Sì, lo so, ma io…” Non ebbe il tempo di finire la frase, per fortuna il finestrino era aperto.
“PORCA TROIA, FRANK!” Gridò Leo in preda al panico: “La fiancata, cosa dico a mia madre, secondo te?”
“Cosa sta succedendo?” Domandò Hazel alzando appena la testa dal sediolino: le urla di Leo l’avevano svegliata.
“Frank sbratta dal finestrino.” Rispose Jason con un’alzata di spalle.
“Ah, okay.” Si limitò a replicare Hazel, tornando a rannicchiarsi sul sediolino.
Percy sospirò: sarebbe stato un lunghissimo viaggio.
 
“Grazie, amico.” Disse Leo dando una pacca sulla spalla a Percy e richiudendo l’officina. Pulire l’esterno del furgoncino era stato un gioco da ragazzi, ma la puzza all’interno non era ancora andata via del tutto.
“Grazie a te per aver trovato il mezzo di trasporto perfetto.” Rispose il moro salutando Leo con un cenno e dirigendosi verso casa, il sole che iniziava a fare capolino tra i palazzi inondando la città di una calda luce arancione.
 
Note di El: Eeeeed eccomi qui! In ritardo come al solito. Mi avete abbandonata, ma io non demordo!
Prima di tutto devo assolutamente dire che il titolo di questo capitolo, per quanto poco azzeccato, era inevitabile ed è un chiarissimo riferimento al mio amico G. Bene, adesso basta smancerie.
GIURO, BASTA ALCOL PER QUESTI POVERI RAGAZZI!
Il capitolo di oggi è mooolto più lungo del solito per due semplici motivi: il primo è che volevo farmi perdonare per i continui ritardi ed il secondo è che non potevo far durare questa gita per tre capitoli.
L’obiettivo principale era, chiaramente, far raccontare parte delle storie dei ragazzi. So benissimo che mancano quelle di Hazel, Annabeth e Jason, ma non potevo certo far passare le loro conversazioni per semplici scambi di storie. Su Hazel, poi, già sapete qualcosa e Jason ed Annabeth non hanno storie particolarmente drammatiche.
“Father and Son” è una delle canzoni più importanti e belle, per me, e doveva assolutamente fare la sua parte.
Annabeth e Percy… bricconcelli. Spero che la scena vi sia piaciuta, conoscete la mia totale incapacità. Da notare il fatto che cadono insieme… Coff coff, nessun riferimento…
Comuuuuuunque volevo la giusta dose si umorismo e dramma e spero di esserci riuscita. Nuovi indizi sullo spacciatore. E, ODDIO ASSURDO, nel prossimo capitolo ci saranno finalmente Nico e Will.
La scena tra Hazel e Frank, per quanto corta, sappiate che è molto importante, così come quella tra Jason e Percy. Che ne dite? Sono sulla giusta strada per essere amici o qualcosa andrà storto? Volevo, poi, che fosse chiaro quanto la loro amicizia sia diventata importante per tutti. Lentamente saprete i segreti e le storie di tutti.
Le alghe… (scusa, Percy, se le ho chiamate così) non avete idea di quanto ci abbia messo a trovarne di non molto comuni in America.
E nuuuuulla. Oh, mi raccomando, non mi abbandonate proprio adesso che ho in serbo tanta roba per voi. Per chi volesse lascio qui il link alla mia nuova raccolta di one-shots. Fateci un salto e fatemi sapere.
Alla prossima!
Adieu,
 
El.
   
 
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