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Autore: valepina    24/02/2018    0 recensioni
La guerra è finita, ma le battaglie contro i propri demoni sono ancora in corso e ciascuno cerca di adattarsi ai cambiamenti per sopravvivere come meglio riesce. Come Draco, costretto ad affrontare le conseguenze delle proprie azioni, per la prima volta completamente solo. O come Hermione, che sta imparando come una verità non detta possa essere peggiore di cento menzogne.
Tra compagni di Casa che si comportano da vere serpi, Caposcuola dall'ambizione sconfinata, amici di sempre che però non sono più gli stessi, amori appesi ad un filo e inquietudini difficili da eradicare, la prospettiva di un soggiorno-studio a Durmstrang di qualche mese può sembrare un’opportunità irrinunciabile per molti … anche a prezzo di una sgradita compagnia.
Ma i posti sono solo due e la Preside McGrannitt indice una gara, servendosi di un curioso stratagemma per promuovere l'unione tra Case e insegnare ai suoi studenti che spesso le apparenze... ingannano.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Blaise Zabini, Draco Malfoy, Il Secondo Trio (Neville, Ginny, Luna), Il trio protagonista, Pansy Parkinson | Coppie: Draco/Hermione
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Un freddo pungente accolse l’arrivo del treno alla stazione di Hogsmeade, uno di quei freddi che ti penetrano fin nelle ossa e di cui non ti liberi per parecchie ore. Il sole era rimasto del tutto schermato dalla coltre di nuvole grigie che si erano imposte per tutta la giornata, e la nebbiolina che si sollevava dai prati intorno infradiciava impietosamente il tessuto lanuginoso dei mantelli. Hermione si maledisse per non aver preso con sé almeno il cappello, invece di lasciarlo ben riposto nel baule. Pensò di lanciare un Impervius su di sé, ma poi ricordò che i ragazzetti dei primi anni non ne sarebbero stati in grado e l’idea di dover incantare i mantelli di ciascuno di loro la fece desistere immediatamente.

La fila di gente in attesa per le carrozze non era lunga come gli altri anni: evidentemente in parecchi avevano scelto di abbandonare gli studi o di trasferirsi altrove, e dopo tutto quello che era successo non si potevano certo biasimare. Un coro di ovazioni si levò quando dal folto del bosco comparve una delle vetture; Hermione stessa non poté non meravigliarsi nel vedere per la prima volta l’enorme bestia che la trainava, posizionandosi davanti a loro ed emettendo uno sbuffo di vapore dalle narici. Neville si offrì con galanteria di occuparsi del suo baule, ma Hermione declinò garbatamente e fece cenno agli amici di proseguire senza di lei: dopotutto era stata nominata Caposcuola, e riteneva suo preciso dovere assicurarsi che tutto filasse liscio sin dal primo giorno. Dispensò sorrisi tirati mentre raggruppava gli studenti più giovani e si sincerava che non avessero dimenticato nulla sul treno, finché giunse l’ultima carrozza e seppe che non avrebbe più potuto attardarsi oltre. Non che non volesse rientrare a Hogwarts, semmai tutto il contrario: aveva trascorso l’estate intera a immaginarsi come sarebbe stato. Ma nessuna delle sue fantasticherie avrebbe potuto prepararla al miscuglio di sentimenti che stava provando in quel momento.

Il profilo del castello si delineava sempre più nitidamente man mano che si avvicinavano, completamente riportato al suo antico splendore. Tutto pareva uguale a prima: uguali i pinnacoli e le torri maestose, uguali le luci delle lanterne che tremolavano dietro alle finestre, uguali gli spalti colorati del campo da Quidditch. Eppure era tutto così diverso: diverso lo stuolo di lapidi bianche che punteggiava la collina di fronte, diversi i suoi compagni di viaggio, diversa lei. Il pensiero le mozzò il fiato in gola, costringendola ad inspirare bruscamente.

Il Thestral fendeva l’aria greve di umidità con le ali membranose, mantenendosi in quota, mentre i Tassorosso del secondo anno che erano con lei osservavano rapiti la sagoma della carrozza riflessa sulla superficie del Lago Nero che stavano sorvolando. Vedere la meraviglia sui loro volti la rimandò indietro con i ricordi, al suo secondo anno e alla sua prima volta sulle carrozze: Harry e Ron anche allora l'avevano lasciata sola, sebbene non volontariamente. Aveva il terrore di volare, e in un momento del genere, in cui avrebbe avuto bisogno che i suoi migliori amici le stringessero la mano e la rassicurassero, loro avevano pensato bene di fare la loro entrata spettacolare a bordo della Ford Anglia del signor Weasley. Erano stati puniti severamente, ma nonostante ciò lei li aveva profondamente invidiati. I due ragazzi avevano tra loro un legame speciale, che lei nonostante gli sforzi non sarebbe mai riuscita a condividere; sarebbe sempre rimasta in disparte. Non era solo una questione di nutrire gli stessi interessi, era qualcosa di più. Un rapporto fraterno che andava oltre i legami di sangue. Lei, per quanto avesse sperato, sarebbe sempre e solo rimasta alla stregua di una sorellastra, ma mai una sorella a pieno titolo. Perché era una ragazza, o forse perché preferiva un buon libro ad un manico di scopa, o forse per mille altre ragioni. Loro due sarebbero andati avanti con la loro vita anche senza di lei, perché potevano sempre contare l'uno sull'altro. Erano fratelli nell'anima. Ma lei, su chi avrebbe potuto contare ora? Avrebbe potuto affidarsi a qualcuno oltre a se stessa?

 

Era così persa nei propri pensieri che non si avvide dell’atterraggio imminente, e per poco non venne sbalzata dal sedile quando toccarono terra. Si scostò dal viso i capelli bagnati – per l’umidità o per le lacrime, o forse per entrambe – e dopo un’ultima occhiata alla bizzarra cavalcatura che li aveva trasportati si avviò con passo deciso verso il castello.

La mano di Ginny si posò all’improvviso sulla sua spalla, facendola trasalire.

‹‹ Tutto bene? Sei un po’ pallida. ››

Annuì, sforzandosi di sorridere all’amica e al resto del gruppetto di Grifondoro che l’aveva attesa all’ingresso. ‹‹ Non capirò mai come alle persone possa piacere volare. ››

‹‹ E noi non capiremo mai come a te possa piacere studiare. ›› ribatté Ginny con una risatina.

Hermione fu sul punto di precisare che tra l’amore per lo studio e quello per la conoscenza vi fosse una notevole differenza, ma prima che potesse aprire bocca Seamus le interruppe indicando la Sala Grande che si andava riempiendo. ‹‹ Sarà meglio andare a prenderci dei posti, prima che i nanerottoli ci spodestino. ››

‹‹ Ci devono solo provare! ›› tuonò Neville con aria divertita, guidandoli verso il loro tavolo.
 

***

Come alla stazione, così anche in quell’occasione molte teste si voltavano continuamente nella loro direzione e il brusìo era cresciuto di intensità da quando avevano fatto il loro ingresso. Hermione, a disagio, teneva lo sguardo fisso davanti a sé, impegnandosi ad aiutare con la forchetta i crostini  a circumnavigare la salsa di ceci.

‹‹ Non li mangi quelli? ››

La stessa frase pronunciata con la bocca ancora mezza piena, lo stesso tono, la stessa zazzera rosso Weasley la fecero piombare nuovamente nel mare di nostalgia da cui era appena riemersa con fatica. Solo che quello a cui pensava lei era un altro Weasley. Allungò il piatto verso Ginny, lievemente nauseata, e l'amica lo accolse con l'entusiasmo di un naufrago che abbia patito la fame per mesi.

‹‹ Chi è quello? ››

Neville richiamò la loro attenzione, gesticolando verso il tavolo dei professori. Hermione notò che al posto di Hagrid c'era di nuovo la professoressa Grubbly-Planck, e che nel posto accanto a lei un uomo barbuto che non aveva mai visto conversava sottovoce con Lumacorno, tenendo la mano davanti alla bocca per non farsi notare.

Ginny si drizzò sulla panca mentre masticava, per osservare meglio. ‹‹ Un ex-Auror in pensione, Moore qualcosa. ››

Hermione strabuzzò gli occhi. Edgar Moore era una leggenda vivente. Esponente di spicco del Wizengamot, ex-Auror in pensione, sette volte campione della gara tra Duellanti interni al Ministero in categoria iuniores, e quindici in quella seniores. E, cosa nient'affatto trascurabile, co-autore di infinite pubblicazioni magiche, tra cui il manuale che lei stessa stava studiando.

‹‹ Lo conosci? ›› domandò Ginny senza guardarla, inforcando alcune salsicce dal vassoio e intingendole nella salsa di ceci avanzata nel proprio piatto.

‹‹ Ne ho sentito parlare, credo ›› rispose vaga.

‹‹ Come diamine fai a mangiare così tanto, Ginny? ›› domandò Seamus, osservando incuriosito la piccola Weasley ingurgitare un boccone che avrebbe fatto impallidire perfino Hagrid.

‹‹ Il Quidditch fa bruciare molte energie ›› rispose per lei Demelza, che pur essendo di corporatura esile si stava anche lei rimpinzando a dovere. ‹‹ Dovresti provare Seamus, abbiamo un posto vacante da Portiere quest'anno. ›› rispose con entusiasmo.

Ginny, ancora intenta a fissare il nuovo professore, fece una smorfia. ‹‹ Sicuramente mio fratello e quell’altro idiota avranno un suo poster dietro la porta della camerata, ora. Magari con i cuoricini intorno. ››

Hermione sospirò. Da quando Harry e Ron erano entrati ufficialmente all’Accademia Auror inglese, Ginny aveva smesso di nominarli, preferendo  in luogo dei nomi altri epiteti decisamente poco nobilitanti. Aveva vissuto la separazione volontaria di Harry come un imperdonabile affronto personale e lo aveva piantato in tronco, suscitando un pandemonio mediatico. Il Profeta del Mattino aveva macinato sulla notizia per settimane. Rabbrividì al ricordo delle sfuriate isteriche dell'amica a cui aveva assistito impotente, e delle decine di gufi inviati da Harry per supplicarla di fare da paciere tra di loro.

Ma la cosa peggiore in assoluto era che, per tutto il tempo trascorso a consolare i pianti di Ginevra, si era sentita un' autentica ipocrita. Perché all'Accademia Auror, in realtà, era iscritta anche lei.

Il suo era stato un caso eccezionale, più unico che raro: l'influenza di Kingsley sul Ministro e i meriti di guerra le avevano garantito un permesso speciale per iscriversi all'Accademia da non frequentante, a patto che la questione venisse mantenuta sotto assoluta segretezza. Solo Harry, Ron e gli altri futuri Auror ne erano a conoscenza, e anche loro erano stati costretti a tacere sull’eccezionale strappo alla regola dell’Accademia, perfino con le proprie famiglie. Il Ministero non voleva che trapelasse la notizia che per Hermione Granger, e per lei sola, si era venuti meno a uno dei capisaldi caratterizzanti la ferrea disciplina dell’istituto, mai violati dall’anno della Fondazione: la frequentazione delle lezioni. Era l'unico modo per poter terminare contemporaneamente i M.A.G.O., e lei non si era nemmeno lontanamente sognata di rifiutare. Ora però si chiese se quel silenzio obbligato non le sarebbe costato caro, specie con la sua migliore amica.

La osservò rasserenarsi di nuovo un poco, richiamata dalla conversazione di Demelza e Seamus.

‹‹ Davvero ›› stava spiegando la ragazza ‹‹ A noi serve un Portiere e poi ti aiuterebbe a buttare giù un po’ di pancetta! ››

Ginny esplose in una risata argentina di fronte all'espressione scocciata di Seamus, ed Hermione comprese che in fondo una risposta alla sua domanda già l'aveva. Ginny non l'avrebbe mai perdonata.
 

***

La cena terminò ed Hermione si premurò di ottemperare ai propri doveri di Caposcuola: radunare gli studenti del primo anno per condurli al dormitorio e riunire i Prefetti per la ripartizione delle ronde. Si stupì, varcando la soglia della Sala Prefetti, di trovarla già al completo. Perfino i Serpeverde erano tutti presenti.

‹‹ Bene, ci siamo tutti direi ›› esordì Anthony Goldstein, l’altro Caposcuola. ‹‹ Qui ci sono i turni che la McGrannitt mi ha assegnato, dovremo ripartirceli a gruppi in modo da coprire tutte le date del mese. Ho preparato un bozzetto con dei gruppi ipotetici, guardatelo e ditemi se ci sono problemi. ››

Hermione tentò di celare il proprio fastidio per non essere stata consultata sulla questione, ma finse di essere al corrente di tutto mettendosi a distribuire le pergamene agli altri. Non poté tuttavia impedirsi di arrossire di fronte all’espressione di puro disgusto della Parkinson, che rifiutò di prendere la pergamena dalle sue mani e scostò rumorosamente la sedia all’indietro per allontanarsi.

‹‹ Parkinson, i turni. ›› la incalzò seccata, maledicendosi per la reazione involontaria delle proprie guance, che ormai dovevano essere color ciliegia. La Serpeverde non si mosse e acuì ulteriormente la smorfia sul proprio viso. Pareva proprio un carlino, con quella faccia schiacciata e il naso sdegnosamente arricciato. Avvertì gli occhi di tutti su di loro e iniziò freneticamente a riflettere su come mettere fine a quell’insubordinazione, ma poi Goldstein si schiarì provocatoriamente la voce e Zabini dovette cogliere la subliminale minaccia, perché si allungò dalla propria sedia e le strappò il foglio di mano con malagrazia.

Il resto della riunione filò liscio e stranamente non vi furono lamentele da parte di alcuno. Goldstein congedò tutti con atteggiamento da presidente e ciascuno si incamminò verso il proprio dormitorio. Hermione tentennò: avrebbe dovuto sicuramente parlargli per ricordargli di non metterla da parte in quel modo, ma le sembrò un peccato intavolare delle discussioni già la prima sera dell’anno scolastico. Notò Calì e Neville che la attendevano sulla soglia con un sorriso stampato in volto e decise di rimandare la chiacchierata con Goldstein ai giorni seguenti. Fecero la strada insieme fino alla torre di Grifondoro, e durante tutto il tragitto Calì riempì l’aria di chiacchiere e pettegolezzi. Hermione sospirò: Harry e Ron le mancavano da morire. Ed era solo il primo giorno.

 

***

Draco

La pendola sopra al camino batté le undici, e l’eco dei suoi rintocchi fu l’unico suono a diffondersi nel maniero, rimbalzando da una parete all’altra e avvolgendo la casa in un’aura cupa e tenebrosa. Draco rise amaramente, continuando a fissare il liquido ambrato che rigirava nel bicchiere ormai da parecchie ore e domandandosi intimamente se ridere di se stesso fosse più indice di autoironia o più di follia. Perché dopo un’estate del genere, barricato in quell’enorme villa con la sola sgradevole compagnia di un manipolo di elfi impiccioni e disgustosamente solerti, anche il più sano di mente dei maghi avrebbe dubitato delle condizioni del proprio senno.

Ruotò un poco il polso, facendo luccicare i gemelli della camicia, e osservò distrattamente il liquore colare giù, goccia dopo goccia, imbevendo il tappeto. Neanche tutto l’idromele in barrique della cantina di Madame Rosmerta sarebbe bastato ad alleviare le sue preoccupazioni. Inutile eccedere con gli stravizi, dunque: di recente aveva sperimentato che l’unica cosa che ci guadagnava la mattina seguente era un saporaccio in bocca e un dopo-sbronza da manuale.

‹‹ Padrone, il baule è pronto. ››

La vocetta stridula dell’elfo alle sue spalle lo colse di sorpresa, e il bicchiere gli sfuggì di mano, infrangendosi sul pavimento.

‹‹ Dannazione! Bussare non è più nelle tue corde, per caso? ››

L’elfo accorse prontamente e si gettò ai suoi piedi, incurante delle schegge di vetro che gli ferivano le ginocchia scarne. ‹‹ Perdono, Padrone! Perdono! ››

Draco si alzò rimuginando sul fatto che la tradizione della cara prozia Elladora di fare fuori un paio di elfi ogni trimestre non dovesse essere nata per caso.

‹‹ Pulisci tutto, idiota. ››

Si diresse al piano superiore, dove il baule di scuola, accuratamente lucidato e riempito, faceva bella mostra di sé ai piedi del letto, accanto alla gabbia vuota del suo barbagianni e a un tavolino con la sua divisa pulita e perfettamente piegata. Pur essendosi fatto preparare tutto l’occorrente, l’idea di tornare continuava a risultargli disgustosa quanto una Gelatina Tutti i Gusti + 1 al sapore di puzzalinfa.

Si stese sul letto con le mani intrecciate dietro la nuca, fissando un’ultima volta le pareti della sua stanza. Vi sarebbe ritornato cambiato, in un modo o nell’altro. Scorse la sua bacchetta sul comodino, e la afferrò per rigirarsela tra le dita. Biancospino e corda di cuore di drago. Non era come la sua prima bacchetta: il crine di unicorno dopo le stragi perpetrate dal Signore Oscuro qualche anno prima era diventato praticamente introvabile e Olivander si era dovuto arrangiare diversamente. Alla fine, comunque, aveva fatto un buon lavoro. Con notevole astio, certo, ma come biasimarlo: aveva passato settimane rinchiuso nella cantina di villa Malfoy aspettando la morte. Non si poteva pretendere che sprizzasse gratitudine nei suoi confronti.

Si assopì ancora vestito, mentre le urla del vecchio fabbricante di bacchette gli tornavano alla mente, mischiandosi con altre urla più acute fastidiosamente familiari.

   
 
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