Quindi dove eravamo rimasti? Ah già.
«Non ho mai pensato che la ragazza dietro a cui muoio mi baciasse salvo poi scoprire che non era davvero lei, perché lei non mi bacerebbe mai invece.»
CAPITOLO 30.
Il
silenzio assoluto e improvviso che si è
abbattuto sulla Sala avvolge in modo quasi asfissiante ogni scambio di
occhiate
all’interno del cerchio.
C’è
lo sguardo castano di Philips proprio
davanti a me, intriso di sfida e trionfo, così ostentatamente
determinato da
risultare in realtà abbastanza insicuro, mentre non si stacca dalla mia
destra,
da James.
Ci
sono gli occhi verdi di Lily aggrottati
dalla confusione, che cercano una risposta accanto a lei e, ignorati,
seguono
la traiettoria di quelli del suo ragazzo fino a quel punto alla mia
destra, di
nuovo.
C’è
lo sguardo teso di Frank, che ha sfiorato
James solo per un secondo prima di spostarsi da tutt’altra parte,
impassibile.
Peter
si è riscosso dal suo stordimento quel
tanto che basta per afferrare la situazione, ma non abbastanza da non
tenere
insistentemente gli occhi spalancati e lucidi fissi su James.
Sono
due tuttavia gli sguardi che colgo con
la coda dell’occhio e che attirano la mia attenzione, andando a
posizionarsi
come tasselli di un puzzle da qualche parte nella mia mente: quello
sconvolto e
indignato di Lizzie, che si è voltata di scatto verso la sua amica di
fianco a
lei, e quello colpevole di Allison, che fissa a disagio un punto
indefinito di
fronte a sé.
Sono
l’unico a farci caso e dura tutto pochi
secondi durante i quali le occhiate interrogative di Alice, Mary e
tutti gli
altri rimbalzano esitanti da Philips a James.
Il
fatto è, nessuno sta guardando Sirius, che
dopo un momento di congelamento ha fatto il gesto di alzarsi ed è per
questo
motivo che Peter non potrà avercela con me per quello che ho fatto. Lui
non
regge molto bene l’alcool e ha già bevuto parecchio, voglio dire,
probabilmente
ad un certo punto sarebbe successo comunque; solo che la mia bacchetta
si è
mossa impercettibilmente verso di lui e allora quel momento è stato
adesso.
James è ancora congelato e la pozza di vomito che si allarga sul
pavimento in
mezzo al cerchio, dritta dallo stomaco di Peter, non pare avere alcuna
rilevanza per lui, ma tutti gli altri iniziano ad emettere versi
disgustati e
ad alzarsi di scatto, allontanandosi.
-
Sirius, aiutami, - dico mentre afferro
Peter per un braccio e cerco di tirarlo su, allontanandolo dalla sua
cena di
oggi. – Sirius.
C’è
ancora questo interminabile momento in
cui gli occhi grigi del mio amico indugiano su Philips con una calma
glaciale,
poi io lo chiamo di nuovo, Peter emette un mugugno dolorante e Sirius
si
avvicina a noi con un sospiro, afferrandolo per l’altro braccio.
E
questo è come Remus Lupin ha salvato la
situazione.
Probabilmente
non c’è scritto nel manuale del
perfetto Prefetto che far rimettere colazione, pranzo e cena ad un
amico è il
modo appropriato di scongiurare situazioni ancora più inappropriate, ma
la
verità è che era l’unica mossa possibile ed è stata, indipendentemente
dalle
apparenze e dall’odore disgustoso, una mossa molto astuta, perché ora
Sirius
non ha fatto niente di stupido e soprattutto ora gli occhi di tutti non
sono
più incollati su James nell’unico momento della sua vita in cui non
desidera,
in effetti, essere guardato.
*
Remus
è convinto di aver salvato la
situazione, glielo leggo negli occhi.
È
teso e controllato, mentre sistemiamo Peter
su una panca contro il muro fresco, ma è anche palesemente soddisfatto
di se
stesso.
È
stato effettivamente molto astuto e
sottile, glielo concedo, nel suo costringermi a non fare quello che ero
sul
punto di fare senza nemmeno dovermi dire esplicitamente di non farlo.
È
una delle qualità che apprezzo di più in
Remus, il suo essere così silenziosamente vigile e scaltro, sempre
efficace nei
suoi propositi.
Un’altra
cosa che apprezzo, di Remus, è il
modo in cui abbassa la guardia subito dopo la vittoria.
Qualcuno
grida di sorpresa mentre il naso di
Philips si rompe con un crack appagante
contro il mio pugno.
*********
Sono
il suo migliore amico da sei anni e so
che non mi dirà mai ti voglio bene né
nulla di anche solo vagamente affettuoso, e che non me lo direbbe
nemmeno se mi
trovassi in punto di morte, ma so anche che a volte Sirius farà cose
come
rompere il naso di Dean Philips davanti a tutti con un colpo solo e
questo è il
suo modo di dirlo.
È
successo in un batter d’occhio, un attimo
prima stava aiutando Remus a sistemare Peter su una panca, quello dopo
ha
coperto in poche fulminee falcate la distanza tra lui e Philips e gli
ha
mollato un pugno dritto in faccia, facendo esplodere il caos.
Philips
non ha ancora allontanato le mani dal
viso sanguinante e si è subito formato un cospicuo gruppetto attorno a
lui.
Mike, che professa di voler diventare un Medimago sin dal primo anno,
dice ‘Credo che sia rotto’ con lo stesso tono
con cui annuncerebbe di aver vinto un milione di galeoni, ed ha un’aria
particolarmente eccitata mentre estrae la bacchetta. Sembra persino più
felice
di me di tutto quel sangue.
L’occhiataccia
che Evans lancia a Sirius
mentre aiuta Philips a sedersi con la testa rivolta verso l’alto in
quanto a
biasimo è seconda solo a quella di Remus.
-
Sei soddisfatto ora? – Lo sento sibilare stizzito
mentre raggiunge Sirius, che al di là della sua espressione
apparentemente
impassibile puntata sul gruppetto indaffarato sembra soddisfatto.
-
Sì, - risponde infatti e poi smetto di
prestare loro attenzione, perché se sia Remus che Sirius sono là,
allora Peter
è probabilmente sul pavimento.
Peter
è effettivamente sul pavimento,
constato voltandomi.
Continua
a russare pacifico anche mentre lo
sollevo prendendolo da sotto le ascelle e il suo unico problema al
mondo, una
volta che l’ho sistemato sulla panca, è che la sua schiena continua a
scivolare
tutta da una parte non appena provo a lasciarlo.
Così
resto qui e basta, a sorreggerlo, perché
non è come se avessi altro da fare. Sono in realtà per qualche motivo
molto
felice di poter stare qui con le mani sulle sue spalle, con uno scopo e
un
proposito attorno a cui rivolgere ogni mio pensiero.
-
Evanesco, - pronuncio tranquillo, facendo
sparire ogni traccia di vomito giallognolo e maleodorante dal mento di
Peter.
Mi
chiedo se Remus negherà di averlo fatto.
-
Mbrsv, - mugugna Peter, strizzando le
palpebre. Lo fisso in attesa per qualche secondo e rilasso
impercettibilmente la
mascella quando lui continua a tenere gli occhi chiusi. Sono felice che
non si
sia svegliato togliendomi il compito di reggergli le spalle, cosa che
mi
avrebbe costretto a voltarmi di nuovo e trovare qualcos’altro da fare o
a cui
pensare.
Una
delle voci alle mie spalle è quella di
Evans. È abbastanza alta e credo che stia litigando con Sirius. La voce
di
Remus è più calma invece, ma da qui non riesco a distinguere cosa stia
dicendo
e se stia dalla parte di lei o di lui.
Peter
mugugna di nuovo.
-
James.
La
voce di Lizzie invece è proprio accanto a
me e per poco non lascio scivolare nuovamente Peter a terra per la
sorpresa.
Continuando a reggerlo con una mano, mi volto verso di lei, fermando
gli occhi
sul suo viso e cogliendo comunque con la coda dell’occhio la scena alle
sue
spalle: Sirius e Remus da una parte, Evans e Philips di fronte a loro,
parecchio agitati, e Alice e Frank in mezzo come a fare da mediatori.
Gli altri
guardano tutti l’acceso scambio di opinioni al centro della Sala e
nessuno fa
caso a noi.
A
parte Lizzie, che continua a fissarmi in
attesa.
-
Se lo lascio cade, guarda, - decido di
informarla, dandole subito una dimostrazione pratica. Prima che il
busto di
Peter si sbilanci troppo lo raddrizzo di nuovo e ora Lizzie sa che non
sono qui
a fare finta di nulla o a perdere tempo, ma che sto svolgendo un
compito.
-
Emm, è vero, - Annuisce lei e forse avrei
dovuto darle una dimostrazione più approfondita, perché suona
perplessa. - Fai
bene a tenerlo.
-
Già.
-
Senti, - mi incalza poi e il suo tono non
mi piace per niente, perché è il tono di chi parla per comunicare cose
e non è
come se io volessi ascoltare cose ora. Non starei qui a reggere le
spalle di
Peter come se ne andasse del destino dell’universo se avessi voglia di
ascoltare le cose che le persone dicono.
-
Probabilmente dovrei restare concentrato,
sai, - la interrompo, indicando Peter con un cenno della testa. – Senza
rumori
di sottofondo.
Lei
mi guarda spiazzata.
-
Non intendevo darti del rumore di
sottofondo, - aggiungo subito, perché nella mia testa suonava in modo
meno
offensivo. – Loro sono rumori di
sottofondo, - spiego, accennando alla lite alle mie spalle. - Tu sei un
rumore
in primo piano. Niente, continua a venire fuori in modo offensivo, non
so che
fare.
-
Non importa, tu non puoi offendermi, - mi
liquida in fretta ed io aggrotto le sopracciglia perplesso, incerto di
che cosa
intenda dire. Non posso? – Ascolta,
non ti distrarrò per molto, e nel frattempo posso aiutarti a reggere il
tuo
amico, ecco.
E
prima che io possa assicurarle che non ho
assolutamente bisogno dell’aiuto di nessuno, che reggere il mio amico è
anzi
tutto quello che desidero dalla vita, lei allunga una mano e la stringe
sul
braccio di Peter, prima di piazzarmi di nuovo gli occhi in faccia.
-
Okay, senza tanti giri di parole: voglio
solo che tu sappia che non ho mentito quando ti ho detto che non lo
avrei detto
a nessuno, - inizia ed io apro la bocca per fermarla, ma lei continua
senza
prendere fiato. – Il fatto è, ci sono delle eccezioni al nessuno
e credo sia una cosa universale. Per esempio, la tua
eccezione sarebbero i tuoi amici. E non per motivi loschi, ma solo
perché
ognuno ha quella persona che non conta,
perché è come dirlo a se stessi. E quindi la mia eccezione è stata
Allison,
perché davvero non contava e dovevo parlarne
con qualcuno quella notte.
Fantastico.
Reggere Peter non è servito
assolutamente a nulla: ne stiamo
parlando.
-
Ok, non preoccuparti, dimentica... - cerco
per la seconda volta di fermarla e per la seconda volta lei mi ignora.
-
E ti giuro che gliel’ho detto che doveva restare tra
noi e lei davvero non intendeva dirlo a nessuno, -
continua sottovoce, lanciandosi un’occhiata circospetta alle spalle. –
È che io
non avevo considerato che anche lei ha un’eccezione al nessuno, e lei
davvero
pensava che non contasse perché era il suo ragazzo e non voleva fare
nulla di
male. È solo che il suo ragazzo è un
Corvonero ed è in squadra con Philips. E pare che anche lui abbia
un’eccezione
al nessuno e che questa siano i suoi compagni di squadra.
- I
suoi? Plurale?
-
No, no, lo ha detto solo a Philips, probabilmente
quando lui ha iniziato ad uscire con Evans, - Sto cercando di non
ascoltarla,
ma le mie orecchie non collaborano e la mia testa neppure. E
Philips lo sapeva da
settimane. È in questo momento che mi accorgo che non tutti gli
sguardi
sono fissi sulla discussione tra Evans e Sirius: Allison è esattamente
dall’altra parte della Sala, ma continua a guardare verso di me con
aria
colpevole. – Non lo sapevamo, né io né Allison, lei lo ha capito solo
questa
sera.
-
Ok, ho detto di non preoccuparti.
-
E se ti può far stare meglio, domattina
gliene dirà quattro.
-
Lizzie, sto alla grande, - la informo
deciso. - Meglio di chiunque sulla faccia della terra, quindi non
pensarci più.
Anche la tua amica, dille di non pensarci. Se smetteste tutti
di pensarci sarebbe perfetto, davvero.
Le
sue labbra si schiudono ma la voce che
segue è quella di Peter.
-
James? Che succede?
Probabilmente
si domanda come mai io e Lizzie
siamo qui di fronte a lui con le mani sulle sue spalle.
-
Ok, allora io vado, - dice lei lasciandolo.
Peter questa volta non si sbilancia nemmeno: il mio unico compito al
mondo è
ufficialmente svanito.
-
Perfetto, - concordo e lei se ne va.
Peter
mi sta ancora guardando perplesso ed io
sto per dirgli qualcosa, quando la sento di nuovo.
-
James.
Si
è allontanata solo di qualche passo e
quando mi volto verso di lei trovo uno sguardo diverso da quello di
poco fa.
-
Se tu potessi iniziare a pensarci, credo che sarebbe
meglio, sai.
Sbatto
le palpebre e resto a guardarla mentre
raggiunge la sua amica, poi mi volto verso Peter.
-
Hai vomitato e poi sei svenuto, - lo
informo.
-
È stato Remus, vero? Perché fa cose del
genere?
***
-
Scusa se te lo dico, Lily, ma i tuoi
compagni di Casa sono uno più stronzo dell’altro.
Mike
ha aggiustato il naso di Dean, ma c’è
ancora una nota vagamente nasale nella sua voce, oltre al dolore
trattenuto. Lo
renderebbe divertente, se non fosse che non posso ridergli in faccia e
che ha
appena detto una cosa non proprio carina, per quanto veritiera. Frank,
che sta
sollevando per aria con la bacchetta le briciole dal pavimento attorno
al
tavolo dei professori qui accanto, gli lancia un’occhiata corrucciata.
-
Non ce l’ha con te, Frank, - sospiro
esausta, prendendo un’ultima patatina
dal vassoio davanti a me prima di farlo sparire. Mi secca parecchio far
evanescere muffin e patatine che potremmo portarci in Sala Comune, ma
Lupin
dice che nel tragitto di qui alla Torre è più sicuro non essere
impacciati da nulla
e questa serata ha già preso una piega abbastanza imprevista senza
aggiungervi
le eventuali catastrofi che deriverebbero dal non dare retta a Remus
Lupin.
-
Certo che no, è palese a chi mi riferisco,
- aggiunge Dean, sorridendo conciliante a Frank. Le labbra di Frank si
piegano
in qualcosa di molto bizzarro e forzato, che forse doveva essere un
sorriso o
forse no, poi lui riprende la sua perlustrazione in cerca di briciole
con la
bacchetta alzata.
-
Cos’era quello?
Dean
mi lancia un’occhiata perplessa.
-
L’ultima fetta del muffin, - risponde
osservando lo spazio del tavolo ora vuoto. – Mi dispiace, la volevi?
-
No, intendevo, - E in realtà sì, me la
sarei anche mangiata l’ultima fetta della mia torta muffin. – Quello. Prima, con Potter.
-
Oh. Intendi la parte in cui lui mi provoca
per tutta la sera, o meglio, per settimane, o quella in cui io alla
fine
rispondo?
-
Quella cosa che gli hai detto, - specifico.
- La cosa per cui Black ti ha preso a pugni.
-
Black mi ha preso a pugni perché è un
idiota, - replica con una punta di stizza, lanciando un’occhiataccia
dall’altra
parte della Sala, dove il soggetto in questione sta aiutando Mike a
sciogliere
gli incantesimi insonorizzanti dalla Sala.
-
E questo è assodato, - annuisco. - Ma c’era
chiaramente un motivo ed è quella
cosa assurda che hai detto alla fine del gioco.
Dean
mi soppesa dubbioso e resta a fissarmi
in silenzio così a lungo che inizio a pensare che non risponderà e
basta, ma
alla fine sospira e inizia, abbassando la voce.
-
Chiunque altro lo avrebbe tirato fuori
molto prima, certamente lui me lo
sarebbe venuto a sbattere in faccia senza aspettare mezzo secondo, - E
sarebbe
stato carino se avesse deciso di evitare tutti questi giri di parole e
optare
per una spiegazione chiara ed immediata, del tipo “Ho detto cosa X
riferendomi
al fatto X per il motivo X”, il genere di capacità di sintesi che ti
aspetteresti
da un Corvonero alle quattro del mattino, ma non pare questo il caso.
Non pare
nemmeno il caso di avere un soggetto. - Ma non l’ho fatto perché non sono come lui. Tutta questa storia, le
continue frecciate e le battutine, trovo il tutto ridicolo e infantile
ed ero
onestamente convinto di essere superiore e perfettamente in grado di
ignorarlo,
ma sa come trascinare la gente al suo
livello, devo concederglielo.
-
Stiamo parlando di Potter, giusto?
Voglio
dire, nella mia testa è evidente che stiamo parlando
di Potter,
ma è anche vero che nella mia testa è sempre
evidente che il soggetto è Potter quando qualcuno parla male di
qualcun
altro senza specificarne il nome, come quella volta che la Tassorosso
seduta al
tavolo vicino al mio in Biblioteca continuava a lamentarsi di come
quella
sgualdrina le avesse soffiato il ragazzo e la mia testa continuava ad
associare
in automatico sgualdrina e Potter,
perché se una parola ha
un’accezione negativa allora dev’essere perfetta per Potter, anche
quando
chiaramente non lo è.
Non
è questo il caso comunque, perché Dean
annuisce e i suoi occhi aggiungono ‘non
era ovvio?’ e i miei occhi non sanno bene come rispondergli che
per me è
sempre troppo ovvio, così gli dicono solo ‘continua
che ho sonno’, o almeno è quello che mi piacerebbe che i miei occhi
comunicassero, se solo io sapessi comunicare con gli occhi.
-
Ok, quindi, Potter. Certo. Potter, -
ricapitolo quando noto che Dean è troppo impegnato a lanciare occhiate
risentite in direzione dei Malandrini per continuare a fare luce sulla
bizzarra
situazione che ha portato le nocche di Black a scontrarsi con il suo
naso.
- Cosa significa che ha pensato
che una ragazza lo baciasse? Te
ne accorgi no, se qualcuno ti sta baciando? Come fai a scambiarlo per
qualcun
altro?
È
una cosa così stupida da fare. Solo Potter
potrebbe farsi baciare da qualcuno e poi scoprire di aver baciato
qualcun
altro. Come se poi fosse normale farsi baciare così, dalla prima che
passa,
senza prima scambiare almeno due parole per accertarsi dell’identità
altrui.
-
Pozione Polisucco, - dice Dean. – La sera
del ballo del LumaClub.
-
Pozione Polisucco? Ma perché mai qualcuno
dovrebbe, - La sera del ballo, lo stesso a cui Potter si è fatto
accompagnare
da... – Aspetta, Lizzie Carson? È lei che ha preso la pozione? – Dean
annuisce
ed io subito la cerco con lo sguardo, localizzandola dall’altra parte
della
Sala con la sua amica Allison. Dopotutto Alice aveva ragione: era successo qualcosa. – L’ha presa e
poi ci ha provato con Potter per avere la conferma che a lui non
fregava nulla
di lei, è andata così? – continuo sottovoce, sentendomi molto intuitiva
e molto
cospiratoria al tempo stesso. Se solo Alice sapesse che ora io so una cosa che lei non sa… Resta
l’interrogativo su come Lizzie si sia procurata la pozione Polisucco,
che poi
non le serviva nemmeno per scoprire l’ovvietà del secolo: non è come se
a
Potter fregasse di qualcosa o qualcuno al di là di se stesso e dei suoi
amici.
– Ma tu perché sai una cosa del genere?
-
Sono in squadra e in stanza con Daniel, -
Dean sembra convinto che questo spieghi tutto e subito inizio a
riflettere su
chi possa essere questo Daniel e che ruolo possa ricoprire nella
vicenda. Sono
quasi giunta alla conclusione che si tratti di un Alice al maschile,
colui che
si occupa di sapere tutto e far circolare le notizie all’interno della
Torre di
Corvonero, quando Dean aggiunge: - Il ragazzo della migliore amica di
Lizzie.
-
Oh, - dico, riflettendo sulla faccenda. - Beh,
avresti potuto evitare di dirlo davanti a tutti.
-
Prego? – Dean sgrana gli occhi. - Ora non
dirmi che non se l’è meritato.
-
Ma chi, Potter? – Ed è il mio turno di
sgranare gli occhi ora. - Certo che sì, ma non è a lui che hai fatto un
torto.
Credo che tu abbia messo in imbarazzo Lizzie più che altro, voglio
dire, dubito
che fosse Potter tra i due a non volere che si sapesse.
Dean
mi soppesa scettico, inarcando un
sopracciglio.
-
E Black mi ha rotto il naso per Lizzie,
giusto?
-
Black si sentirebbe legittimato a prenderti
a pugni anche solo se lanciassi un’occhiata di traverso a Potter,
figurati, -
sbuffo con un’alzata di spalle. - E tu hai osato tenergli testa invece
di
subire e basta.
È
tutto molto chiaro e semplice, ma Dean mi
guarda come se in realtà nulla lo fosse e continua a guardarmi così per
diversi
secondi, in silenzio, prima di sospirare.
-
Lily.
-
Mh?
-
In chi credi che si sia trasformata Lizzie
Carson prima di baciarlo?
-
Non lo so, - rispondo perplessa. - Una
qualsiasi bella ragazza di Hogwarts o...
-
Eri tu.
Le
parole mi muoiono sulle labbra ed io lo
guardo spiazzata, realizzando.
Lizzie
Carson ha usato le mie labbra per
baciare quelle di James Potter e questo è così
sbagliato in ogni modo in cui la si guardi. Si sono baciati usando
la mia bocca ed improvvisamente sento
l’urgenza di prenderli a pugni tutti e due.
-
La ragazza dietro a cui Potter muore, -
continua Dean ed io mi distolgo dalle sensazioni violente che stanno
pervadendo
il mio stomaco per concentrarmi su di lui. - Sei tu.
Sono
ancora frastornata dalla notizia e
dall’immagine di Lizzie Carson che si avvicina alla faccia di James
Potter con
la mia faccia e ci metto un po’ a
cogliere del tutto il significato delle sue ultime parole. E quando lo
colgo,
la mia risata incredula risuona per la Sala, attirandomi l’occhiata
ammonitrice
di Alice, ora che gli incantesimi insonorizzanti sono cessati.
Dean
mi guarda spiazzato.
-
No, scusa, scusa, mi dispiace, - Quando
noto una punta d’esasperazione nei suoi occhi, mi sforzo di smettere di
ridere
e gli poso una mano sul braccio, conciliante. - Voglio dire, capisco perché lo pensi. È
perfettamente
logico dal tuo punto di vista, hai ragione.
-
Il mio punto di vista, - ripete atono Dean,
che chiaramente non afferra la situazione.
-
Sì, insomma, tu non conosci Potter e lui
non ha fatto che prenderti di mira da quando abbiamo iniziato ad
uscire, oltre
a tutta la storia dell’invitarmi ogni volta che ci sono le uscite ad
Hogsmeade,
sempre avendo cura che tutti sentano, quindi davvero, lo capisco:
chiunque penserebbe
che è geloso.
-
Chiunque tranne te.
-
Chiunque tranne me, il resto della Casa di
Grifondoro e in generale chiunque conosca Potter, - lo correggo. –
Ascolta, se
fosse un ragazzo qualsiasi, allora avresti ragione. Ma lui non funziona
in modo
normale, non puoi leggere le sue azioni come interpreteresti quelle di
un
normale essere umano.
Il
sopracciglio di Dean si inarca
interrogativo.
-
Potter non è un essere umano?
-
Esatto, - annuisco convinta, prima di
aggrottare la fronte. - Beh, è un essere
umano ovviamente, letteralmente parlando, ma tu non puoi aspettarti che
agisca
come tale.
Quando
Dean apre la bocca, mi basta il suo
sguardo per capire che qualunque cosa stia per dire non sarà utile alla
mia
causa e così lo precedo.
-
Ok, ok, aspetta, è come con i manici di
scopa, no? – Non sono sicura di dove voglio andare a parare con questo,
ma Dean
è un Corvonero e i Corvonero amano le metafore, giusto? No, chi voglio
prendere
in giro, sono io che amo le metafore. - Ne esistono diversi modelli e
ciascuno
con le sue caratteristiche specifiche, ma da ognuno puoi comunque
aspettarti un
certo comportamento di base, comune a tutti: il fatto che siano scope
per
esempio, e che rispondano ai tuoi comandi e servano fondamentalmente
per volare.
Le classiche cose da scopa, no? E queste sono le persone normali,
mentre Potter
non è solo un modello di scopa diverso, no, lui è proprio tutta
un’altra cosa,
lui è, lui è… - Mi porto una mano al mento pensosa, lanciando
un’occhiata al
soggetto in questione dall’altra parte della sala. E poi
l’illuminazione. - È
un aspirapolvere.
-
Potter è un aspirapolvere?
Dean
ha l’aria perplessa, ma io annuisco con
convinzione.
-
Esatto, - confermo. – Un aspirapolvere.
-
Che cos’è un aspirapolvere, Lily?
-
È un apparecchio babbano che serve ad
aspirare la polvere dai pavimenti e dai tappeti, - spiego pratica. -
Una sorta
di scopa elettrica che si crede migliore e più evoluta delle altre
scope quando
in realtà non ci vuole nulla a staccarle la spina e farle abbassare la
cresta,
e voglio vedere poi quanto è talentuosa e funzionale senza corrente.
-
Non ti seguo, - dice Dean e lo dice anche
la sua espressione.
-
È proprio questo il punto: non puoi, perché non sai
nulla di
tecnologia babbana o di cosa sia una spina o la corrente e Potter è
esattamente
questo, qualcosa di a te sconosciuto e di cui non capisci il
funzionamento, -
concludo.
-
Lily, - Dean sospira, portandosi
stancamente una mano alla tempia. - Ti chiede continuamente di uscire e
ce l’ha
con me da quando siamo andati ad Hogsmeade insieme: gli piaci e la
tecnologia
babbana non può cambiarlo.
Ed
ora sono io a sospirare frustrata, perché
ho appena usato così tante parole per rendere chiaro e sensato anche
per Dean
quello che per me lo è già, quando è proprio a questo che servono le
parole,
rendere sensate nelle teste degli altri le cose che nella tua lo sono
già, e
apparentemente è stato tutto inutile, perché c’è come una barriera tra
le sue
orecchie e le mie labbra contro cui ogni mio ragionamento continua ad
infrangersi.
-
No, non funziona così, ok? – Insisto,
determinata a fargli capire la portata del suo errore. - So perché lo
pensi e
lo penserei anch’io se non lo conoscessi, ma non è così che funziona
Potter:
lui non dice quello che pensa e non pensa quello che dice. E la sua, al
di là
di quello che può sembrare, non è gelosia, è competitività.
Competitività
è
la
parola che riassume l’essenza di Potter meglio di ogni altra e quando
la
pronuncio quasi mi aspetto che Dean si illumini di comprensione, ma lui
continua ad avere quello sguardo a metà tra l’accondiscendente e lo
scettico
che è l’ultimo che una persona che sta cercando di spiegare qualcosa di
basilare vorrebbe vedersi rivolgere.
-
Non mi chiede di uscire perché ha
sinceramente voglia di passare una giornata ad Hogsmeade con me, vuole
semplicemente che io gli dica di sì, perché nel suo egocentrismo non
concepisce
come qualcuno possa rifiutarlo.
E
mentre cerco di far capire a Dean con che
soggetto sono costretta ad avere a che fare da sei anni, mi ritrovo a
dover
scacciare il pensiero dell’ultima volta che qualcuno vicino a me è
arrivato a
questa conclusione sbagliata. Tu gli
piaci, tu piaci a James Potter!
-
È come quando da bambino vai al parco con
gli amici, - inizio cauta, questa volta più lentamente. Ed è l’ultima
metafora
ponderata che intendo sprecare sulla questione, dopodiché Dean sarà
lasciato
alle sue convinzioni, perché questo è peggio di quella volta che ho
dovuto
spiegare otto volte a quella ragazzina del secondo anno come pestare le
radici
di valeriana per la pozione rasserenante. - Vai sull’altalena e giochi
con gli
altri giochi e ignori lo scivolo, perché non ti piace. Ma se qualcuno
ci sale,
allora improvvisamente vuoi a tutti i costi salirci anche tu e ti senti
frustrato se resta occupato per troppo tempo, perché lo vorresti vuoto,
lì a
tua disposizione.
-
Probabilmente tu eri un bambino maturo e
responsabile e non ti succedeva, - aggiungo. - Ma è abbastanza comune.
E a
qualcuno succede anche da adulto, e non solo con i giochi, ma con le
persone. Ed
è così, semplicemente, a Potter non piace
lo scivolo, ma, da bambino viziato quale è, vuole sapere che se
volesse, avrebbe
campo libero. Se arriva al parco e scopre che c’è un cartello con
scritto
‘vietato salire’ appeso allo scivolo, allora ecco che fa di tutto per
cercare
di staccarlo e salirci lo stesso, solo per dimostrare a se stesso e
agli altri che
può, che nessun gioco gli è precluso.
È
mentre rifletto se sottolineare come un
aspirapolvere non potrebbe tuttavia mai riuscire a salire la scaletta
dello
scivolo confonderebbe Dean ulteriormente, che lui emette un suono a
metà strada
tra uno sbuffo e una risata trattenuta e scuote lievemente la testa.
-
Davvero, Lily, apprezzo i tuoi paragoni
fantasiosi, ma fidati di me quando ti dico che a Potter piace
da impazzire lo scivolo.
E
quindi è così, non importa quanto io possa
impegnarmi nel rendere la verità sempre più chiara ed elementare, Dean
resterà
semplicemente convinto che Potter ha una cotta per me, perché è così
che ha
deciso. E poi dicono di noi Grifondoro che siamo testardi.
Non
mi resta che lasciarglielo credere, se
proprio ci tiene, eccetto che noi Grifondoro siamo testardi
proprio come dicono e così ci provo un’ultima volta.
-
Chi l’ha detto che è cotto di me, Lizzie? –
Ed ora sono io a rivolgergli lo stesso sguardo scettico che mi ha
tenuto
puntato addosso fino ad ora. - Non lo ha mai frequentato prima di
quest’anno,
non sa nulla che io non sappia. E suppongo che sia più facile per lei
credere
che il ragazzo per cui ha sempre avuto una cotta non l’abbia voluta
perché
perso di un’altra, piuttosto che accettare che è solo perché si è presa
una
cotta per un egocentrico presuntuoso che non vede nessuno oltre a se
stesso.
E
mi sento un po’ in colpa ora, perché in
realtà mi dispiace per Lizzie, che prendersi una cotta per Potter non
lo
augurerei al mio peggior nemico, eccetto che il mio peggior nemico ha
in
effetti già una cotta per Potter, essendo egli stesso Potter. Non che
Potter
sia davvero il mio peggior nemico, quando troverei stupido e ridicolo
avere
nemici a diciassette anni appena compiuti, ma se avessi un peggior
nemico,
allora quello sarebbe sicuramente Potter. Potter e quel Grifondoro non
ancora
identificato che finisce sempre tutto lo sciroppo d’acero a colazione.
E per
quello che ne so, potrebbero anche essere la stessa persona.
-
Nessuno ama i ragionamenti astrusi e cervellotici
più di me, Lily, parola di Corvonero, - Dean sorride. - Ma nonostante
questo,
se c’è una cosa che Aritmanzia mi ha insegnato, è che la spiegazione
più
semplice è di solito quella giusta. E se un ragazzo si comporta come se
fosse
geloso, probabilmente è geloso. E se ti chiede di uscire, è perché
vuole uscire
con te.
-
Un ragazzo, esatto, - concordo. - Ma tu
continui a dimenticare il fattore James Potter. Non è un
ragazzo e basta. È un aspirapolvere. È pazzo. Ed è il modo in
cui opera, il fatto di dover piacere a tutti, di non sopportare di
perdere. È la
cosa più semplice del mondo.
Davvero,
so che non sei convinto, ma è così,
fidati di me. Il mio seme, quello che ho vinto a pozioni, ha l’effetto
del
Veritaserum. Salirei a prenderlo e lo darei a Potter per fartelo dire
direttamente
da lui che non prova assolutamente nulla nei miei confronti se non
dispetto
perché non riesce a piacermi. Ma sarebbe un modo idiota di sprecare il
mio
premio, ascoltare qualcosa che già so, senza contare che poi Potter mi
prenderebbe in giro a vita se gli facessi domande sui suoi inesistenti
sentimenti per me.
Dean
mi soppesa per qualche secondo, prima di
spostare lo sguardo su Potter, che armeggia con i dischi di Mike vicino
alla
porta d’ingresso della Sala. Poi torna a incrociare i miei occhi e
accenna un
sorriso.
-
C’è un motivo se non sei a Corvonero.
Le
mie nocche colpiscono il suo braccio con
prontezza, ma ora sto sorridendo anch’io.
-
Comunque, Lily, - aggiunge piano,
avvicinandomi a sé. - Mi bastava solo che dicessi che è a te che non
interessa
Potter.
-
Ora questa
è una cosa che non avrò mai bisogno di specificare, - commento con una
risata,
rigirandomi tra le sue braccia. - Ma se proprio ci tieni, - aggiungo in
un
sussurro, avvicinando le labbra al suo orecchio. - Non mi piace e mai
potrebbe
piacermi James Potter.
Dean
sorride, prima di baciarmi.
-
È tutto quello che volevo sentire.
La
Sala è quasi tornata al suo ordine
originario e quando io e Alice, seguite da Dean, ci avviciniamo al
gruppetto
formato dai Malandrini ancora in piedi, pare che tutti facciano
particolare
attenzione a dove posare gli occhi. Potter non li stacca da Alice, come
se si
fosse avvicinata da sola, mentre Dean sembra deciso a riconoscere
l’esistenza
di Lupin soltanto tra i Malandrini ed è il solo su cui si permette di
posare
gli occhi. Il modo in cui Black invece continua a fissare proprio lui,
come a
sfidarlo a rendergli il colpo, spinge me a riservargli un’occhiataccia.
-
Quindi, dato che abbiamo quasi finito di
ripulire tutto, mi chiedevo...- inizia Alice, lievemente in imbarazzo.
Per
quanto possa essere in imbarazzo Alice,
che è in realtà molto poco. - Se
volessimo tornare nella Sala Comune, questo sarebbe un buon momento?
Strategicamente
parlando intendo.
-
Beh, dovremmo controll-pensarci, dovremmo pensarci, -
Potter si volta verso i suoi amici.
- Chi ha la...voglio dire, chi ha la disposizione d’animo migliore per
pensarci? Remus? O...Sirius?
-
Ce l’ho io, - risponde Lupin pacato. - Ora la
uso, la mia disposizione, e poi vi faccio sapere.
-
Ok. Riesci a pensarci meglio da solo, vero?
– chiede Potter.
-
Sì, mi concentro meglio quando nessuno mi
guarda, - Lupin annuisce. - Credo che andrò a pensarci nella Sala
Trofei.
Lupin
si allontana e un silenzio teso piomba
tra noi.
Dopo
qualche secondo Alice si schiarisce la
voce.
-
La...disposizione d’animo di Remus, o come
vogliamo chiamarla, qualunque cosa sia, è un metodo sicuro, giusto?
Senza
possibilità di errori, del tipo ‘la strada è sicura’ e invece non era
sicura?
-
Nessun margine di errore, - assicura
Potter. – La disposizione d’animo di Remus è...molto precisa.
-
Questa conversazione è ridicola, -
constato.
-
Tante cose sono ridicole, - ribatte subito Black
e per qualche motivo ha tutta l’aria di essere una frecciata, così mi
volto
verso di lui pronta a rispondergli, ma nello stesso momento la porta
della Sala
Trofei si spalanca e Remus ne esce di fretta, chiamando tutti a voce
alta.
-
Abbiamo un problema, tutti quanti,
ascoltate: la McGranitt sta venendo qui.
-
Come lo sai? – Alice spalanca gli occhi,
mentre io mi irrigidisco al suo fianco.
La McGranitt sta venendo qui e sta portando la sua accetta con sé. La lama striscia sul pavimento di pietra affilandosi ulteriormente ed emette un rumore metallico che posso udire al di là del mormorio concitato diffusosi attraverso la Sala alle parole di Lupin.
La McGranitt sta venendo qui e sta portando la sua accetta con sé. La lama striscia sul pavimento di pietra affilandosi ulteriormente ed emette un rumore metallico che posso udire al di là del mormorio concitato diffusosi attraverso la Sala alle parole di Lupin.
-
Non ha importanza, lo so e basta, - taglia
corto Lupin, con tono grave ma controllato, mentre io riesco già a
sentire la
mia testa meno attaccata al collo ogni secondo che passa. - Sta venendo
dritta qui e c’è un Prefetto di
Serpeverde con lei, quindi sa che
siamo qui: non dobbiamo lasciarle nessuna traccia a cui appigliarsi.
Non
lasciare nessuna traccia, mi ripeto
automaticamente. Non è il piano che avrei escogitato io per far fronte
alla
situazione, quello sarebbe stato qualcosa di più simile a correre il
più
lontano possibile da qui senza guardarmi indietro, ma se c’è una
persona che sa
come tenere le teste degli altri attaccate al loro collo quella è Lupin
e il
fatto che i suoi amici hanno ancora tutti e tre delle teste ne è la
prova.
Osserva Lupin, Lily, da brava, osservalo mentre si tiene la testa sul
collo e
cerca di imitarlo.
Spero
solo di non finire come Nick-quasi-senza-testa, non
mi sono mai piaciute le vie di mezzo.
-
Mantenete la calma, tutti quanti, smettete,
no, fermi, fermi! – Non sono l’unica ad aver eletto Lupin come nuova
guida
spirituale e quando la Sala precipita nel caos gli bastano poche parole
per
riportare la calma. - Ok, ora, non rifatelo più, quella cosa del
correre ognuno
da una parte all’altra in preda al panico, non è così che funziona
tutta la
storia dell’infrangere le regole e non essere espulsi. Ognuno faccia
evanescere
più cose che può, presto.
Tutti
riprendono a sistemare la Sala questa
volta con molta più fretta ed osservando
la calma ed il controllo di Lupin mi concedo per un attimo di credere
davvero
nell’eventualità che la mia testa resti attaccata al collo. Poi Lupin
si volta
verso i suoi amici e sempre con la massima calma dice:
-
È troppo vicina, non esiste nessun
possibile scenario in cui non verremo colti tutti in flagrante ed
espulsi.
Mi
sento così
tradita ora.
-
Ma ci siamo quasi, - protesta Alice. - Due
minuti appena e avremo fatto sparire tutto!
Remus
scuote la testa.
-
Non è quello il problema: non ci stiamo
tutti sotto il mantello e la McGranitt sta venendo dritta qui: se non
usciamo immediatamente
resteremo bloccati.
Osservando
Lupin, anche il mio cervello
decide infine di attivarsi, e solo per confermare quello che ha già
detto lui:
siamo bloccati. Non c’è modo di uscirne. La McGranitt è con il Prefetto
di
Serpeverde, quindi sa e se ce ne
andiamo lasciando anche solo una sedia fuori posto sarà l’unica prova
di cui
avrà bisogno in aggiunta alla soffiata del Serpeverde. E se non
ce ne andiamo subito, lasciando ben
più di una sedia fuori posto, allora non le servirà alcuna prova,
perché ci
coglierà sul fatto.
È
finita, non esiste più alcun ipotetico finale
di questa serata in cui la mia testa continuerà ad essere attaccata al
collo.
-
Prendi la tu-sai-cosa e portali via, -
interviene improvvisamente Potter, rivolto a Lupin. - Resto io a
finire.
-
Ti aiuto, - dice subito Black.
-
Sirius, ho il mantello, - replica Potter
ragionevole. - Remus non può riportare metà Casa di Grifondoro alla
Torre da
solo con Peter ancora mezzo stordito.
Black
pare sul punto di dire qualcosa, ma
Lupin lo precede sbrigativo.
-
Ha ragione, Sirius, mi servi per i passaggi
e possiamo sempre avvisarlo dallo specchietto quando la McGranitt starà
per
entrare, - Poi si gira verso Potter. - Ma tu non puoi comunque ripulire
tutto
da solo in tempo, qualcuno...
-
Resto io, è la mia festa, - dicono le mie
labbra prima che io possa fermarle e quando tutti mi guardano spiazzati
è come
se la mia testa si fosse già staccata dal collo.
Quando
l’alta porta di quercia si chiude alle
spalle del gruppetto sussurrante, il silenzio avvolge la Sala,
interrotto solo
dal veloce strisciare delle sedie che vengono raddrizzate e rimesse al
loro
posto.
-
Sono troppi, - mormoro preoccupata. – Come
faranno ad arrivare alla Torre senza che nessuno li veda?
Una
parte di me ci terrebbe a ricordare a
tutte le altre parti di me che la preoccupazione più imminente al
momento
dovrebbe essere come farò io ad
arrivare alla Torre, che almeno i miei compagni ci stanno andando
proprio ora,
mentre io resto qui come un’idiota sul luogo del delitto. Le altre
parti di me
tuttavia sono già troppo in preda al senso di colpa per potersi
concentrare
sulla possibilità della mia disfatta piuttosto che su quella dei miei
invitati:
d’altro canto è il mio compleanno e se ci dev’essere una decapitazione
è solo
logico che sia la mia.
C’è
anche il fatto che non mi sento più così
agitata, in realtà.
È
ridicolo, certo, sono nella Sala Grande nel
bel mezzo della notte ricoperta e circondata da segni di evidente
colpevolezza,
con una furiosa McGranitt diretta qui insieme alla spia Serpeverde e
invece di
prepararmi al peggio come ogni persona dotata di buonsenso farebbe, mi
sto
lasciando sopraffare da un insolito senso di calma.
È
del tutto irrazionale, ma ora c’è una
piccola e tuttavia prepotente parte di me convinta che ne uscirò
indenne.
-
Ci arriveranno, - Potter scrolla le spalle,
facendo evanescere i bicchierini di carta abbandonati sul pavimento. -
Sirius e
Remus sanno come fare. E anche la metà sobria di Peter.
I
suoi capelli sono particolarmente ridicoli
in questo momento, con le ciocche che non prendono la stessa direzione
nemmeno
per errore e quella che sembra una sostanza appiccicosa a incollargli
le punte
da una parte. C’è stata una battaglia di cibo ad un certo punto e non
fingerò
di non essere consapevole della possibilità che ci siano liquidi e
corpi
estranei anche tra i miei capelli, ma resta il fatto che in nessun
mondo
dovrebbe aver senso trarre calma da una persona con dei capelli del
genere,
specie se quella persona è Potter. Eppure è esattamente quello che sta
succedendo, perché la sicurezza e la totale nonchalance di Potter
stanno
lentamente filtrando dai suoi capelli ai miei, andando a nutrire la
convinzione
che in qualche modo ne usciremo sani e salvi.
Deve
avere a che fare con la sua arroganza
che ha raggiunto livelli tali da diventare contagiosa e con il fatto
che Lupin
non è l’unica persona ad eccellere nell’arte del non essere decapitato
dai
professori. È anzi possibile che Potter sia persino più abile di lui in
essa,
perché senz’altro la voglia e le occasioni che offre ai professori di
decapitarlo sono infinite, e nonostante tutto eccola lì la sua testa,
gonfia e
pomposa e galleggiante a mille metri dal suolo, ma ancora attaccata al
collo.
-
Sicuramente tu hai fatto cose peggiori di
questa, sì? – Cerco di convincermi, chinandomi a far evanescere una
patatina
spiaccicata a terra. – Senza essere espulso o decapitato.
Potter
sta perlustrando la Sala con lo
sguardo, alla ricerca di qualcosa fuori posto, e quando si volta infine
verso
di me c’è qualcosa di stonato e quasi teso nei suoi occhi, in pieno
contrasto
col tono tranquillo.
-
Abbiamo il mantello, Evans. Quando la McGranitt
sarà qua fuori ci avviseranno e ci nasconderemo: nessuna decapitazione
o
punizione in vista, - C’è qualcosa di losco nel modo in cui è così
sicuro che
gli altri Malandrini sapranno indicargli l’esatto momento in cui la
McGranitt
starà per fare il suo ingresso, qualcosa di losco e che ha certamente a
che
fare con la cosiddetta disposizione d’animo di Remus, ma prima che io
possa
decidere se indagare ulteriormente o meno qualcos’altro di ancora più
stonato
passa come un lampo negli occhi di Potter ed improvvisamente ecco la
sensazione
di calma e tregua momentanea sparire dal mio corpo, mentre qualunque
cosa i
suoi capelli stessero trasmettendo ai miei si rompe con un crack e
precipita al
suolo. - Certo, il mantello ci avrebbe coperto meglio in due, ma il tuo
ragazzo
non sa proprio capire quando la festa è finita a quanto pare.
Dean,
che ha insistito per restare con me, è
intento a far sparire le ultime briciole dal tavolo dei professori,
troppo
lontano per aver sentito, ed io alzo gli occhi al cielo esasperata:
neppure
l’ultima trovata di Black ha soddisfatto il suo animo da bambino
capriccioso,
deve ancora infierire. Sono lì lì per chiedergli scocciata quando
compirà
almeno dodici anni, ma i miei occhi captano qualcosa di anomalo sul
soffitto
della Sala ed è un’altra la domanda che mi esce dalle labbra.
-
È una cravatta quella?
Potter
segue la direzione del mio sguardo
fino al pezzo di stoffa rosso e oro penzolante dal braccio di uno dei
grandi
candelabri dorati che volteggiano contro il cielo stellato e subito
annuisce.
-
È la cravatta di Remus.
-
E che ci fa lassù? Anzi, non importa: come
la tiriamo giù?
-
La appelliamo, - Potter estrae deciso la
bacchetta, prima di aggrottare la fronte. – Oh, aspetta. Perché è
legata? Io
non l’avevo legata.
-
Beh, qualcuno
l’ha legata, - constato fissando la stoffa arrotolata strettamente
al
candelabro. – Non possiamo appellarla, rischiamo che si porti dietro il
candeliere e allora sì che siamo finiti.
-
Evanesco? – propone incerto e probabilmente
lo stesso spiacevole scenario sta attraversando sia la mia che la sua
mente:
l’ultima cosa che ci serve è far scomparire per sbaglio un intero
candelabro.
-
Da quaggiù? – chiedo scettica, guardandomi
attorno alla ricerca di una soluzione. Ci serve solo un oggetto da far
volare
lassù che possa appigliarsi alla cravatta, oppure... – Dean! Lo
sgabuzzino di
fianco alla Sala Trofei, presto! – Dean, che stava venendo verso di
noi, si
blocca perplesso, la porta della Sala Trofei proprio alle sue spalle. –
Gazza
ci tiene delle vecchie Scopalinde mezze rotte, prendine una!
Continua
ad avere un’aria spiazzata, ma la
fretta nella mia voce lo spinge a fiondarsi nella Sala Trofei senza
fare
domande.
-
Ci sali tu, - informo subito Potter, che quelle
scope hanno più anni di tutti noi messi insieme e se la decapitazione è
perfetta per me, la morte tramite caduta è tutta sua.
-
Ok, - accetta subito, perché probabilmente
è così che ha sempre sognato di morire, oppure perché, checché ne dica,
l’ha effettivamente
legata lui così stretta quella stupida cravatta.
Il
silenzio aleggia nella Sala per qualche
secondo, poi qualcosa dentro di me scatta.
-
Devi lasciarlo in pace, Potter, - sbotto
all’improvviso, attirandomi un’occhiata sorpresa. – Battutine e
frecciatine?
Ok, fa’ pure il bambino se vuoi, ma rompergli il naso è oltre il limite.
Probabilmente
non è il momento migliore per
affrontarlo e ogni parte di me se ne rende conto, ma
vedere la sua ridicola espressione
innocente e quasi indignata non fa che istigare la mia voglia di dargli
una
testata dritta in faccia, giusto per rendere pari il numero di nasi
rotti.
-
Fammi capire, sarebbe colpa mia se il tuo
ragazzo si fa prendere a pugni da qualcun altro?
Ed
ecco che rigira tutto per uscirsene pulito.
Tipico di Potter.
-
Non si è fatto prendere a pugni, Potter, - lo
correggo irritata. - E non è
qualcun altro, è Black, quindi certo
che è colpa tua.
- Wow,
Evans, - Potter mi guarda beffardo. - Devi avere un udito eccezionale
per essere
riuscita a sentirmi dire Sirius, per
favore, colpiresti Philips? dall’universo alternativo lontano anni luce in cui è accaduto.
-
Oh, come se avessi bisogno di chiederglielo,
- ribatto scettica. – E hai iniziato comunque tu, con le tue frecciate
sul
Quidditch. Non ce la facevi proprio a goderti la serata senza fare lo
stronzo
per una volta, vero?
-
Era un gioco, Evans, - Potter sbuffa
spazientito, come se avesse qualche diritto di essere lui quello
scocciato qui.
- Se il tuo ragazzo è troppo delicato e sensibile per affrontare
qualche
battuta forse dovrebbe chiudersi nella Sala Comune di Corvonero e non
uscire
più.
James,
avete finito? È quasi arrivata.
-
Per te è tutto un gioco, vero? – Non è il momento,
continua a ripetere
una vocina dentro di me, una vocina completamente inutile, perché tutto
quello
che riesco a vedere ora è l’espressione risentita di Potter, la sua
faccia
tosta che non fa che infiammarmi di più. - Beh, sei pregato di
lasciarne me e
il mio ragazzo fuori e di risolvere qualunque problema ti causi il
vederci
insieme per conto tuo. E in silenzio possibilmente, grazie.
C’è
un che di soddisfacente nel modo in cui
le labbra di Potter si schiudono stizzite solo per non emettere alcun
suono,
mentre una volta tanto il proprietario resta senza nulla da ribattere.
È
questione di pochi secondi naturalmente e subito Potter fa per tornare
all’attacco, ma di nuovo si blocca e questa volta non perché è senza
parole.
James,
cazzo, hai sentito?! Mettetevi il dannato mantello!
C’è
questo momento, in cui lo strano rumore
di sottofondo che il mio cervello sta registrando già da un po’ senza
prestarci
vera attenzione acquista improvvisamente un senso e lo vedo nel lampo
di
comprensione che spalanca gli occhi nocciola di Potter che vale lo
stesso per
lui. Li abbassa sulla sua felpa, sul punto da cui sembra essere venuta
la voce
di Black, poi li rialza di scatto a incrociare i miei, nell’esatto
momento in
cui il grosso portone di quercia della Sala Grande scricchiola
aprendosi.
Ho
il cuore in gola e gli occhi ancora fissi
in quelli di Potter, solo che all’improvviso c’è una specie di velo
argenteo
tra noi e quando la voce della McGranitt risuona per la Sala capisco
cos’è
appena successo.
-
Signor Potter.
*
L’attimo
in cui la voce di Sirius smette di
fuoriuscire dai miei vestiti è anche l’attimo in cui realizzo che la
voce di
Sirius stava effettivamente fuoriuscendo dai miei vestiti e che avrei
dovuto
farci caso prima, perché se ora non lo sta più facendo vuol dire che la
McGranitt è qui.
Evans
ha ancora gli occhi spalancati in quello
sguardo furente, con la differenza che ora sono allo stesso tempo
terrorizzati e
quando sento la porta aprirsi lo faccio prima ancora di averlo deciso:
estraggo
con uno scatto repentino il mantello dal tascone interno e lo lancio
davanti a
me, sopra di lei.
Per
una frazione di secondo, voltandomi verso
la porta, ho paura che l’abbia vista sparire, ma è solo me che chiama.
-
Signor Potter, - ripete la McGranitt, la
voce vibrante di rabbia trattenuta. – Si spieghi. Che cosa ci fa qui?
C’è
il Prefetto di Serpeverde di fianco a
lei, il volto ricoperto di orribili pustole gialle, le stesse che
dovevano
essere la nostra garanzia che avrebbero rispettato l’accordo. Sono
disgustose
proprio come Remus gliele aveva descritte, enormi e rigonfie di pus, e
hanno
tutta l’aria di essere parecchio dolorose, ma Lynch continua a
sorridere
trionfante e la verità è che è stato idiota da parte nostra
sottovalutare la
portata dell’odio che i Serpeverde nutrono per noi.
In
realtà è tutta questa situazione ad essere
parecchio idiota, a partire dal fatto che sono in piedi nel bel mezzo
della
Sala Grande alle quattro di mattina con la mia Capocasa di fronte e
tutto
perché la mia cotta per Evans mi ha distratto.
-
Non ne ho idea, professoressa. Si direbbe,
- Mi guardo attorno circospetto. – Che io non stia facendo nulla. Un
episodio
di sonnambulismo probabilmente.
Il
silenzio segue le mie parole e la
McGranitt non muove un muscolo, continuando a inchiodarmi con lo
sguardo
gelido.
-
Lo
sente l’odore di Whiskey Incendiario?
Il
suo tono di voce è di qualche ottava più
basso del normale ed io registro distrattamente il lieve tremolio del
labbro
superiore. Pessima situazione, James, pessima.
-
Oh, è Whiskey Incendiario questo strano odore
dolciastro? – Spalanco gli occhi fingendomi sorpreso. - Mai sentito
prima. La
burrobirra è già troppo forte per me.
È
il modo in cui la McGranitt chiude gli
occhi per appena un secondo prima di riprendere a parlare. È il
segnale.
-
Che cosa le passa per la testa, signor
Potter, - Le scosse nel suo tono basso e vibrante aumentano lentamente
di
intensità ed io devo zittire con forza il mio istinto che sta ora
insistendo perché
io mi metta a correre. - Per concepire anche solo l’idea di organizzare
una
festa a scuola? In Sala Grande?
Il
segreto, quando tutto attorno a te
suggerisce che è il momento di andare nel panico, è non
andare nel panico. Alzare le spalle invece di portarsi le mani
ai capelli e strapparli. Le labbra piegate in una smorfia annoiata
invece che
spalancate in un silenzioso grido d’orrore. Come se ci fosse un motivo
chiaro
solo a te per cui non hai nulla di cui preoccuparti, quando in realtà
non c’è
nulla a parte la merda in cui annaspare.
-
Questa? - Lascio correre gli occhi sulla Sala immacolata, evitando con
cura di
posarli sulla cravatta che penzola proprio sopra le nostre teste. - Non
mi
sembra un granché come festa.
Le
labbra della McGranitt ora sono così
pressate l’una contro l’altra da non avere più alcuna traccia di
colore.
-
Il signor Lynch viene da me avvisandomi di
una festa in Sala Grande ad opera di diversi Grifondoro e recandomi qui
trovo
lei, Signor Potter, - Il Serpeverde al suo fianco arriccia un angolo
della
bocca in un sorrisetto vittorioso, salvo poi contorcersi in una smorfia
di
dolore quando una pustola pulsa vistosamente. Magari
esplodesse e morissi soffocato nel pus, figlio di Morgana. –
Vorrebbe farmi credere che si tratta di una coincidenza?
-
Beh, ringrazio il signor Lynch per l’alta
considerazione, ma non chiamerei la mia sola presenza qui festa.
-
In trent’anni, - L’improvvisa impennata nel
tono della McGranitt mi fa quasi sobbalzare. - Non ho assistito a nulla
del
genere. E mai me lo sarei aspettata, neppure da lei, - Ricordo
perfettamente di
averle sentito dire qualcosa come ‘Mi
aspetto qualunque cosa e qualunque colore da lei, signor Potter’
appena
qualche mese fa, quando stavo cercando di convincerla che quella
stupida
puffola pigmea rosa non era il frutto di un traffico illegale di mia
gestione,
ma non sarebbe saggio farglielo presente ora.
-
Signor Lynch, torni immediatamente nel suo
dormitorio, - aggiunge secca e lui non se lo fa ripetere. Poi torna a
guardarmi
ed io posso quasi sentire i punti che escono uno dopo l’altro dal mio
corpo
come dalla clessidra di Grifondoro. - Dove posso trovare gli altri? Il
signor
Black?
-
Sirius? - E tutto l’impegno che ci metto
nel suonare stupito e confuso non fa che tramutarsi in una nota di
panico nella
mia voce. Errore da principianti. – Non saprei, suppongo stia dormendo.
Va
leggermente meglio ora, la faccia di
bronzo è di nuovo al suo posto e ho riacquistato il controllo della mia
voce,
ma qualcosa nell’espressione della McGranitt si scurisce all’improvviso
ed è
come se mille punizioni mi stessero colpendo contemporaneamente dritto
in
faccia.
-
Signor Potter, - Ed ecco un’altra punizione
tagliente proprio contro il mio naso. – La sua situazione è già
abbastanza
grave così, la avverto, non tollererò ulteriori mancanze di rispetto, -
Due
punizioni mi finiscono dritte nell’occhio sinistro, mentre il fiotto di
punti
persi continua a colarmi copiosamente dal naso, rendendomi difficoltoso
mantenere un’espressione impassibile. - Voglio la verità.
La
verità è che per un attimo ogni cellula
del mio corpo preme affinché io mi volti ed indichi con entrambe le
mani la
porta socchiusa della Sala Trofei alle mie spalle, che trascinare
Philips a
fondo con me renderebbe questo momento così
tanto più godibile.
Ma
se c’è qualcosa che trovo persino più
irritante di Philips e della sua stupida faccia, quelle sono le spie e
così
continuo a dare le spalle alla Sala Trofei.
-
D’accordo, conosco l’odore del Whiskey Incendiario,
ha ragione.
Tra
le labbra sottili della McGranitt,
proprio al di sotto della sua occhiata spazientita, riesco a
intravedere la
sagoma scura e fumosa dell’espulsione e così mi affretto a precederla:
-
Ed ho organizzato una festa in Sala Grande,
- Sospiro sconfitto con la giusta dose di sincerità, regolando
contemporaneamente
il pentimento negli occhi. - Ma Sirius non c’entra, davvero. Se va a
controllare lo troverà a letto.
Lo
scetticismo le ricopre tutta la faccia, ma
la sagoma dell’espulsione sfuma lentamente. Uno a zero per me.
-
Chi altri è coinvolto allora?
-
Nessuno, - E questo è invece un autogol
perché è così palese che sto mentendo che impegnarmici troppo la
farebbe
infuriare solamente di più. - Era una festa altamente esclusiva, c’ero
solo io.
-
Signor Potter.
E
la sagoma nebulosa dell’espulsione
riaffiora lentamente dalle sue labbra sottili.
Lo
fa apposta, sa che riesco a vederla fare capolino e
spera che mi spinga a
cedere, ma non è come se non sapessi che non uscirà comunque da là
dentro. Lo
scherzo a Piton resta ad oggi il momento più buio nella storia dei
Malandrini e
farei qualunque cosa se potessi in qualche modo cancellarlo del tutto,
ma se
non altro costituisce un precedente: ha tracciato il limite, quello
fino a cui ora
sappiamo di poterci spingere senza che nessuno si becchi il cartellino
rosso. Perché
se Silente ha graziato Sirius quella volta, io devo impegnarmi molto
più di così
per guadagnarmi l’espulsione.
-
Lei è già abbastanza nei guai, signor
Potter, non aggravi la sua situazione non collaborando, - Ma il fatto
è,
l’espulsione non è mai stata la cosa peggiore che la McGranitt potesse
farmi. –
Credevo che volesse rifarsi quest’anno.
Il
suo tono è molto meno adirato ora, quasi
sconfitto, ma la saliva nella mia bocca è appena diventata
particolarmente densa
e difficile da deglutire. No, no, no. Non
di nuovo.
-
Non traggo alcun piacere all’idea di
privarmi per la seconda volta del mio miglior giocatore, ma se non mi
viene
incontro è esattamente quello che sarò costretta a fare. Per il resto
dell’anno, - Non sta succedendo, non sta
succedendo, e invece sta succedendo. – Le sto dando la scelta,
signor Potter:
chi altri è coinvolto?
Il
silenzio che segue mi pesa addosso come un
macigno ed io sono solo vagamente consapevole di aver smesso di
controllare la
mia espressione.
Non
posso credere di essere stato così idiota
da farlo succedere di nuovo.
Philips
ha fottutamente ragione ed io non
potrò guardare la mia squadra in faccia mai più. Non potrò guardare me stesso in faccia mai più.
-
Non c’è nessun altro, - ripeto sconfitto,
ma fermo, piantandomi ben a fondo il coltello al centro del petto. Ahi. - Solo io.
Qualcosa
di indecifrabile attraversa lo
sguardo della McGranitt, qualcosa che soffia via in un sospiro stanco.
-
La sua spilla, signor Potter.
Un
cenno della mano verso il mio petto e il coltello affonda di colpo di
altri
dieci centimetri, trapassando il cuore da parte a parte. Il sangue che
schizza
fuori a mo’ di fontanella dev’essere particolarmente vistoso, perché le
labbra
della McGranitt si stringono di nuovo l’una contro l’altra mentre mi
guarda
negli occhi, come se dovesse ritrovare la fermezza prima di darmi il
colpo di
grazia.
-
La spilla o un nome, signor Potter, -
conclude inflessibile. - Avanti.
La
C dorata di Capitano se ne sta sul mio
petto come sempre dal quinto anno ed ogni parte di me cerca di spingere
lontana
la mano che vi si avvicina, ma non sono un traditore e quando la voce
di Evans
spezza il silenzio la spilla è già sul mio palmo teso verso la
McGranitt.
-
Professoressa, l’ho organizzata io la
festa: è il mio compleanno, - La porta della Sala Trofei si chiude alle
sue
spalle mentre Evans avanza decisa verso di noi. - Potter mi ha aiutato,
ma solo
perché gliel’ho chiesto io.
Gli
occhi della McGranitt sono allargati in
un’espressione di stupore che le fa ignorare la mia mano tesa verso di
lei, ma
suppongo che sia nulla in confronto allo shock sulla mia faccia. Dopo
qualche
secondo la mia mano si ritira automaticamente, le dita che si chiudono
protettive
attorno alla spilla, ma chiudere la bocca non si rivela altrettanto
facile e
sono contento che Evans non mi stia considerando di striscio al
momento, gli
occhi fissi in quelli della McGranitt.
-
Ed è stata un fallimento perché nessuno a
parte noi è così stupido da rischiare di farsi trovare in Sala Grande
oltre il
coprifuoco, - Prosegue Evans spedita, mentre io continuo a guardarla
incredulo.
È davvero appena successo quello che sembra sia appena successo? - Ed è
per
questo che ci siamo solo noi, può controllare. Se ha intenzione di
togliermi la
spilla da Prefetto perché non mi crede, allora gliela consegnerò,
perché non
posso darle i nomi di persone che erano e sono tuttora nei loro letti.
Il
tempo si è come dilatato nella mia testa e
non saprei quantificare la durata del silenzio che segue, mentre
avverto gli
occhi della McGranitt sostare anche su di me e non sono assolutamente
in grado
di ricambiarla con uno sguardo brillante o pentito o qualunque tipo di
sguardo
dovrei rivolgere alla mia Capocasa che mi becca con le mani nel sacco,
gli
occhi incollati ad Evans.
Non
c’è traccia dell’agitazione di prima né
della paura di essere decapitata a cui ha dato voce tutt’oggi mentre
sostiene
senza esitazione lo sguardo severo della McGranitt. Se non fosse che in
realtà
riconosco perfettamente la determinazione nei suoi occhi, considererei
l’ipotesi che Evans non sia affatto Evans, perché ho imparato a mie
spese che a
volte quando fa cose che normalmente non farebbe, è perché in effetti
non è
lei.
Ma
Lizzie è partita per la Torre con tutti
gli altri e quella di fianco a me che si è appena apparentemente
immolata alla
McGranitt per togliermi dai guai sembra essere, contro ogni logica,
Evans in
persona.
Non
sono l’unico ad essere sconcertato.
-
Signorina Evans, - dice infatti la
McGranitt. - Lei mi sta chiedendo di credere che è stata qui tutta la
notte da
sola con il signor Potter?
Evans
sospira.
-
È per questo che sente odore di alcool,
professoressa.
**********
-
Alice, vieni su dai, - Mary mi lancia
un’occhiata dalla cima delle scale. - Hai sentito Remus, è meglio se
aspettiamo
in camera, nel caso la McGranitt venisse a controllare anche quassù.
-
Arrivo, - annuisco. Gli altri, su
insistenza dei Malandrini, sono già spariti tutti nei dormitori e nella
Sala
silenziosa restiamo solo io e Frank.
-
Frank.
-
Mh?
-
Mi sa che l’ho capita anch’io quella cosa,
- dico. – Quella cosa che hai capito tu, intendo.
Frank
smette di studiare corrucciato la
macchia sulla sua cravatta per lanciarmi un’occhiata indagatoria, prima
di
alzare le spalle, vago.
-
Oh, io non me la ricordo nemmeno più.
-
Giusto.
Restiamo
in silenzio un altro po’, poi io gli
stampo un bacio sulle labbra e mi avvio verso la scala del dormitorio
femminile, mentre lui prende la direzione opposta.
-
Sarebbero una bella coppia, - aggiungo
imboccando il primo scalino.
-
Già, - concorda Frank.
**********
Ho
diciassette anni da poche ore e ne ho già
passata quasi mezza in piedi in Sala Grande di fianco a James Potter ad
ascoltare la mia Capocasa illustrarmi per filo e per segno come sia
sopraffatta
dall’indignazione e dalla delusione per il nostro comportamento
inaccettabile. Non
è probabilmente in nessuna top ten di modi brillanti con cui iniziare
la
propria vita da adulti, ma è sicuramente sopra a decapitazione
o ancora espulsione
di massa e dopotutto si tratta solo di stare qui ferma ad annuire
contrita,
non è come se le parole della McGranitt potessero farmi fisicamente del
male o
compromettere in qualche modo la mia tranquillità interiore, se io non
glielo
permetto. È quello che mi piacerebbe credere, ma naturalmente possono,
possono
e lo stanno facendo.
Sto
cercando di non darlo a vedere, ma il
modo in cui le sue labbra stanno sparendo l’una contro l’altra, sempre
più
bianche e sempre più silenziosamente feroci, mi terrorizza: se urlasse
e basta
sarebbe meglio, ma quella vena vibrante di rabbia trattenuta alimenta
la mia
voglia di sprofondare nel pavimento e precipitare nelle cucine, dove i
visetti
amichevoli degli elfi domestici mi conforterebbero con qualunque cosa
stiano
preparando per colazione. Pensare agli elfi che cucinano sotto di noi
mi
infonde una nuova sicurezza, che Hogwarts va avanti e non si ferma solo
perché
la McGranitt mi sta guardando in quel modo, e prima o poi dovrà per
forza
smettere di parlare e lasciarci uscire da qui.
Che
non può tenerci qui per sempre pare
ricordarselo anche la McGranitt a un certo punto e si zittisce,
iniziando a
studiarci attentamente, come a quantificare l’effetto della sua
ramanzina sui
nostri volti.
-
Signor Potter, se nelle prossime settimane
la trovo anche solo con la cravatta annodata male, lei non toccherà la
scopa
per il resto dell’anno, no, per il
resto della sua permanenza ad Hogwarts, ci siamo intesi?
Potter
annuisce concitato, portandosi
nervosamente una mano al colletto della felpa a sistemarsi una cravatta
invisibile.
-
In quanto a lei, signorina Evans, alla
prossima infrazione del regolamento perderà la sua spilla da Prefetto,
è
chiaro?
-
Non accadrà, professoressa.
Mi
esce un tono molto sicuro, ma il modo troppo
rumoroso in cui deglutisco subito dopo rovina tutto.
La
McGranitt ci squadra in silenzio per
qualche altro secondo e pare infine soddisfatta del sottile stato di
tensione
nervosa e supplicante in cui ci ha gettato.
-
Settanta punti in meno a Grifondoro, -
Decreta. Ouch. - E vi voglio entrambi nel mio ufficio domani mattina
alle nove
in punto per discutere i termini della vostra punizione, - Le occhiaie,
riesco
già a sentire le occhiaie che mi scaveranno la faccia domani. - Ora
tornate
immediatamente nel vostro dormitorio. Fate una deviazione, una sola,
per andare
in bagno o qualunque altra cosa, e vi do la mia parola che sarete
espulsi.
Subito
scuoto decisa la testa, a sottolineare
la totale impensabilità di un tale atto da parte nostra, mentre con la
coda
dell’occhio scopro che Potter sta invece annuendo vistosamente, a
sottolineare
la sua idiozia e la nostra mancanza di coordinazione.
La
palpebra sinistra della McGranitt trema
leggermente ed è il momento di congedarsi.
Schiudo
le labbra solo per bloccarmi poi a
riflettere se sia il caso di dire effettivamente qualcosa e se sì cosa,
e se la
mia punizione sarà resa più grave dall’augurarle o meno una buonanotte
piuttosto che scusarmi o buttare lì un’osservazione sul sole che sta
sorgendo
al di là delle ampie vetrate della Sala, poi Potter si schiarisce la
gola e
scappa e così lo seguo.
È
solo quando ci sono diversi corridoi e due
piani a separarci dalla Sala Grande che mi permetto di rallentare il
passo e il
respiro, sospirando di sollievo. Bene, non è stato così disastroso. Tra
qualche
settimana forse riuscirò anche a guardare di nuovo in faccia la mia
Capocasa
senza sentirmi un insetto che sta per essere schiacciato.
-
Mi stupisci, Evans, - Potter armeggia con
la sua spilla per riattaccarsela al petto, come se da qui alla Sala
Comune
potessimo incontrare qualcuno a cui sfoggiarla. Mi chiedo se la lasci
sul
comodino almeno quando si fa la doccia o se se la appunti a sangue
sulla carne
nuda. – Sai mentire.
-
Non mi ha creduto nemmeno per mezzo
secondo, - Preciso, incerta se nell’ottica di Potter saper mentire sia
un
complimento o cosa. - Era solo una questione di fatti: io le ho fornito
una
versione palesemente falsa, ma tecnicamente plausibile.
E lì c’eravamo solo noi, nella Sala perfettamente pulita. Solo la mia
parola
contro quella di Lynch, - Alzo le spalle. - E la mia parola è un po’
più
credibile della tua.
Potter
non ha nulla da obiettare e fino al
quarto piano nessuno dice più nulla, poi lui spezza di nuovo il
silenzio.
-
Perché non sei rimasta sotto il mantello,
Evans?
- E tu
perché me l’hai lanciato sopra?
Potter
mi guarda corrucciato.
-
Te l’ho chiesto prima io.
Dato
che ha ragione, decido di ignorarlo e di
nuovo fino al piano successivo nessuno dice più nulla. Questa volta
sono io a
spezzare il silenzio.
-
Perché non sono una stronza totale.
Sento
il suo sguardo su di me per diversi
secondi.
-
Neanch’io sono uno stronzo totale.
-
Eccetto che tu lo sei, - Lo correggo dopo
un po’. - Uno stronzo totale.
-
Ah sì?
-
Sì.
-
Mh.
Potter
rimugina tra sé e non ha l’aria di
voler aggiungere altro a qualunque cosa significhi quel mh
e così procediamo in silenzio. Siamo quasi arrivati al settimo
piano quando pare rendersi improvvisamente conto di qualcosa.
-
Evans.
-
Mh?
-
Dov’è il mio mantello?
-
L’ho dato a Dean.
Continuo
a camminare per un altro po’ prima
di rendermi conto che non ci sono più i passi di Potter accanto a me.
Quando mi
volto lo trovo fermo diversi metri più indietro, un’espressione
attonita in
viso.
-
Cosa hai detto?
-
L’ho dato a Dean, - ripeto, perplessa dalla
sua reazione. Voglio dire, non era palese?
-
Stai scherzando.
A
quanto pare non era palese.
-
No che non sto scherzando, Potter,
cos’avrei dovuto fare, lasciarlo intrappolato nella Sala Trofei senza
vie di
fuga e nessuna protezione? – provo ragionevole.
-
Sì! - L’esclamazione esasperata di Potter
riecheggia nel corridoio vuoto, risvegliando i borbotti infastiditi di
alcuni
ritratti. - Se avesse seguito me e Remus quando abbiamo accompagnato
gli altri Corvonero
alla Torre non sarebbe rimasto intrappolato da nessuna parte!
Io
lo guardo sconcertata dalla sua reazione
eccessiva.
-
Ma si può sapere che problema hai?
-
Il mio problema, - Potter chiude per un
attimo gli occhi, come a invocare la calma. - È che tu hai dato il mio mantello a quel coglione del tuo
ragazzo.
Il
suo tono di voce è di nuovo ad un livello
tale da non farci rischiare l’espulsione, in compenso ora è il mio a
salire di
qualche ottava.
-
E tra un paio d’ore a colazione lo riavrai
come nuovo, santo cielo. Non è mica infetto, - sbuffo irritata. Non
posso
credere che stia facendo una scenata per una cosa così stupida. -
Avresti
preferito che me lo togliessi lì davanti alla McGranitt, così da
fartelo
sequestrare?
-
Sì, avrei preferito che te lo facessi
sequestrare piuttosto che darlo a Philips, - Potter pare deciso ad
ostentare
fino in fondo la maturità di un bambino di otto anni ed è il mio turno
di
evocare la calma ora. - E avrei preferito ancora di più che non te lo
togliessi
proprio.
-
Beh, sai cosa? - Solo che non mi funziona
mai questa storia dell’evocare la calma ed ora è contro di me che
stanno
borbottando infastiditi i dipinti. - Anch’io. Anch’io vorrei non
essermelo
tolta, e se potessi tornare indietro resterei lì sotto a guardare la
McGranitt
sbatterti fuori dalla squadra e ci godrei da matti, Potter, perché è
quello che
ti meriti. Sono stata un’idiota a volerti aiutare.
I
cani che giocano a poker continuano ad
abbaiarci contro dalla loro tela ed io ne afferrerei volentieri uno e
lo
strattonerei fuori dalla cornice, prendendo il suo posto, perché se
dovessi
giocare per il resto della mia vita a poker con un gruppo di cani di
tempera
allora vorrebbe dire che avrei comunque a che fare con soggetti più
maturi e
intellettualmente stimolanti di Potter.
-
Esattamente, perché nessuno te lo aveva
chiesto, - Sta appunto dicendo Potter, che oggi muore evidentemente
dalla
voglia di essere colpito in faccia da qualcosa di duro. - La prossima
volta
fatti gli affari tuoi.
-
Godric,
quanto non ti sopporto, - sbotto esasperata. - Non so come hai potuto
pensare
che fossi io a baciarti.
Potter
sussulta spiazzato, perché
evidentemente non si aspettava che lo sapessi, ma subito si riprende e
alza le
spalle indifferente.
-
Beh, se ci avessi pensato ci sarei
arrivato, - ribatte distaccato. - Ma non penso alle cose di cui mi
importa meno
di zero, Evans.
-
Buon per te, Potter, perché per la cronaca,
io non ti bacerei mai, - lo informo aumentando
furiosamente il passo. - Prima che togliessi le mutande al mio migliore
amico
di fronte a tutta la scuola, ti ho detto che mi dai la nausea e se la
mia
intera vita è cambiata da quel momento, quella resta l’unica costante:
tu,
James Potter, continui a darmi la nausea e non potrei mai, mai
baciarti.
-
E te ne sono solo grato! E non pensare che
io non abbia tratto un sospiro di sollievo quando ho scoperto che non
eri tu,
perché l’ho fatto eccome.
Tu
gli piaci, tu piaci a James Potter.
Vorrei
che Severus, Dean e chiunque altro nel
pieno delle sue capacità sosterrebbe un’assurdità del genere fossero
qui ora,
per vedere coi loro occhi quanto
James Potter è follemente innamorato di me. Come no.
Cammina
a passi veloci al mio fianco ed è palesemente
convinto di essere lui quello col diritto di essere arrabbiato, è
palese. Arrogante, viziato e insopportabile Potter.
Stiamo
quasi correndo e quando lui si ferma
di scatto per poco non gli vado a sbattere contro. Poi, senza degnarmi
di uno
sguardo, si volta dalla parte opposta e inizia a camminare spedito
nella
direzione da cui siamo appena venuti.
-
Che diavolo fai ora? – lo blocco perplessa
afferrandolo per la manica della felpa.
-
Vado a riprendermi il mio mantello, -
replica freddo, sfilandosi deciso da sotto la mia presa.
-
Ma sei impazzito? – gli sibilo contro. Solo
questa ci mancava. - L’hai sentita la McGranitt, vuoi farti espellere?
E
il fatto è, essere ignorata da James
Potter, che si allontana come se la mia voce fosse un irrilevante
rumore di
sottofondo, è in realtà sempre stato uno dei miei sogni
impronunciabili, quelli
troppo belli da essere anche solo immaginati, ma nel momento in cui
succede e
lo vedo procedere come se niente fosse, senza neanche degnarmi di una
risposta,
mi fa semplicemente perdere le staffe, più di qualunque altra cosa
abbia mai
fatto.
-
Lo sai, cosa, Potter, - gli grido dietro
infervorata, mentre la sua schiena si avvicina sempre più alla fine del
corridoio. - Dean aveva ragione: sei un
dannato egoista, e quella spilla non ti servirà comunque a nulla,
perché
troverai sempre un altro modo per farti squalificare dalla prossima
partita o
da quella dopo ancora!
E
questa volta si gira a guardarmi.
-
Esattamente, Evans. Il tuo stupido ragazzo
ha ragione, quindi torna alla torre e lasciami in pace.
-
È esattamente quello che intendo fare, -
replico subito, il calore che mi infiamma le guance per la rabbia.
-
E spero che tu venga espulso! – aggiungo in
un grido stizzito mentre lui svolta oltre l’angolo alla fine del
corridoio.
Con
uno scatto do le spalle al punto in cui è
sparito e riprendo spedita dalla parte opposta, il respiro leggermente
affannato.
Lo
odio, lo odio, lo odio.
Perché
deve farmi dire cose del genere,
perché nella stessa sera deve coprire me col mantello invece di se
stesso, come
se fosse in qualche modo consapevole dell’esistenza di altre persone
oltre a
lui sul pianeta terra, e poi rovinare tutto due secondi dopo?
Non
ne sono mai stata così convinta come ora,
James Potter è un dannato aspirapolvere ed io raccoglierei la polvere
manualmente granello per granello piuttosto che avvicinarmici di nuovo.
******
Sento
l’impulso irrefrenabile di prendere a
pugni il muro, ma non sono un idiota che si mette a litigare con un
muro di pietra
centenario per poi stupirsi di essersi fatto male e così non lo faccio.
Ho
il bisogno quasi fisico di prendere a pugni quel
fottuto muro, ma non sono un idiota
e non farò a pugni col muro.
Sono
un idiota.
**********
-
Sei sicuro? – chiedo per l’ennesima volta a
Sirius, prima di dare una piccola scrollata a Peter. – Pete, sveglia.
Bevi un
altro po’ d’acqua prima di dormire, fidati.
-
Sto bene, mh, ho solo sonno, - sbiascica
flebile contro il cuscino.
-
La tua testa domattina mi ringrazierà,
forza, - insisto aiutandolo a mettersi seduto e porgendogli l’ennesimo
bicchiere colmo fino all’orlo d’acqua fresca. Al momento sembrava la
cosa
migliore da fare e sono ancora convinto che sia stata una mossa molto
astuta,
affatturare Peter per indurlo a vomitare e distrarre così tutti, ma
trovandomi
di fronte il colorito pallido del suo viso ora mi sento terribilmente
in colpa:
non è probabilmente una di quelle cose che un amico dovrebbe fare.
-
Sicuro, - conferma Sirius.
Un
altro dei miei amici per cui mi sto
attualmente sentendo terribilmente in colpa è James, che a detta di
Sirius è
stato colto in flagrante dalla McGranitt. Di nuovo, al momento sembrava
la cosa
migliore da fare, convincere Sirius ad aiutarmi a portare tutti i
nostri
compagni in salvo alla Torre e lasciare James col mantello e la
certezza
matematica che non sarebbe stato preso, che bastava controllare sulla
Mappa
quando la McGranitt sarebbe stata in dirittura d’arrivo e avvisarlo
tramite
specchietto. È quello che abbiamo fatto, ma James non ha risposto e
Sirius è
ora sicuro che sia stato scoperto, che il puntino suo e di Evans sono
stati
immobili sulla Mappa di fronte a quello altrettanto immobile della
McGranitt
troppo a lungo per non essere entrati in comunicazione.
Non è tecnicamente colpa mia, che tutto quello che doveva fare James era rispondere allo specchietto e infilarsi sotto il mantello per tempo, come concordato, ma allo stesso tempo è naturalmente colpa mia, perché se avessi lasciato Sirius con lui allora questo non sarebbe successo.
Non è tecnicamente colpa mia, che tutto quello che doveva fare James era rispondere allo specchietto e infilarsi sotto il mantello per tempo, come concordato, ma allo stesso tempo è naturalmente colpa mia, perché se avessi lasciato Sirius con lui allora questo non sarebbe successo.
Sirius
ha un’aria scocciata per l’appunto, ma
non ha detto nulla riguardo a come l’ho convinto a non restare con
James,
quindi non mi è chiaro con chi ce l’abbia, o se anche solo ce l’abbia
con
qualcuno in particolare o in generale con tutti.
-
Ti fa male la mano? – Chiedo notandolo
mentre si massaggia distrattamente le nocche della mano destra. - Beh,
forse
dovresti pensarci prima di usarla per colpire la faccia delle persone.
Peter,
che non è ancora evidentemente tornato
nei ranghi di noi sobri, ridacchia di gusto e dato che sta bevendo
emette un
suono come di pernacchia e schizza acqua ovunque. Qualche goccia arriva
ad
aggrapparsi anche al cotone del mio pigiama ed io le accolgo senza
nemmeno
provare a spostarmi, che è esattamente quello che merito, gocce d’acqua
sul mio
pigiama.
-
O forse le persone dovrebbero evitare di
avere il grugno così duro, - sbuffa Sirius. - E perché dici le
persone come se fossero una lista
infinita: Dean Philips. Ho colpito Dean Philips e se l’è meritato.
Nonostante
il peso dei diversi sensi di colpa
che mi affliggono al momento, le mie sopracciglia riescono comunque a
inarcarsi
con grande prontezza.
-
Ed esattamente perché se lo sarebbe
meritato? Perché non ha incassato senza ribattere?
-
Scusa, Moony, forse sei rientrato alla
Torre sbagliata? – Sirius mi lancia un’occhiata ironica ed io alzo gli
occhi al
cielo. - Perché quella di Corvonero sta dalla parte opposta, la trovi
sulla
Mappa, guarda.
-
Ora non essere ridicolo, lo sai benissimo
da che parte sto, - sospiro. - Ma questo non mi impedisce di essere
ragionevole
e ammettere che James non ha fatto che provocarlo per settimane, -
aggiungo
pacato. - E se prendere a pugni Philips potesse essere d’aiuto a James,
stai
certo che lo avrei fatto io, sbagliato o no, ma non risolve nulla.
Non
so se Sirius abbia o meno qualcosa da
ribattere a questo, perché come finisco di parlare qualcuno bussa alla
porta e
noi ci guardiamo perplessi: l’ultima volta che abbiamo controllato la
Mappa
James stava tornando alla Torre e dovrebbe proprio essere lui, eccetto
che se
fosse lui non busserebbe.
Circospetto
mi avvicino alla porta, gli occhi
guardinghi di Sirius e Peter ad accompagnarmi.
-
Potter è un idiota, - mi informa Lily Evans
dall’altra parte non appena apro cautamente.
-
Emm, - mormoro incerto su come reagire.
Voglio dire, non è una notizia così sconvolgente, ma non è qualcosa che
le
persone si scomodano solitamente a venire in camera nostra per
comunicarci. –
Ok...?
-
E si farà espellere, - prosegue spedita. - E
sarei la persona più felice sulla faccia della terra se accadesse, ma
se volete
fare quello che fate, con quel vostro specchietto, e convincerlo a
tornare,
ecco, ora lo sapete e potete, perché io ve l’ho detto. Buonanotte.
Sto
ancora processando le sue parole quando
mi rendo conto che lei non è già più qui.
Questa
giornata è così strana.
-
Giuro solennemente di non avere buone
intenzioni, - dice Sirius, mentre io mi avvicino per vedere coi miei
occhi dove
e come James ha deciso di farsi espellere. Non sono veloce come Sirius
a
sondare interi piani in pochi secondi e a districarmi tra le folle di
puntini
in movimento, ma essendo l’alba i corridoi del castello sono
praticamente
deserti e quando Sirius decreta che James non c’è smetto immediatamente
di
cercare.
-
James? – Lo chiamo afferrando lo
specchietto di Sirius dal comodino. La sua faccia questa volta compare
dopo
pochi secondi. - Sei sparito dalla mappa, sei nella stanza delle
necessità?
-
Sì, - annuisce.
-
E cosa stai facendo?
-
Niente.
Ripeto,
questa giornata è così strana.
-
E perché?
-
Evans ha dato il mio mantello a Philips, -
annuncia e di nuovo l’acqua che Peter dovrebbe bere trova la via per il
mio
pigiama. - Stavo andando a riprendermelo, ma mi sono ricordato che non
posso
trovare Philips mentre è sotto il mio mantello.
-
Giusto, - concordo. Quello e tutta la
storia di come nessuno abbia davvero bisogno di un altro faccia a
faccia tra
James Potter e Dean Philips prima che sorga il sole. - Potremmo
cercarlo sulla mappa,
ma ormai sarà sicuramente alla Torre.
-
Già.
-
Già, - ripeto e nessuno dice più nulla per
un po’.
-
Gli ha dato il mio mantello! – James sbotta
indignato ed io avrei sobbalzato, se non fosse che stavo aspettando
esattamente
questo momento.
-
Probabilmente era la cosa logica da fare,
ma resta inconcepibile, certo, - annuisco condiscendente.
-
Dovemmo fargliela pagare, - si infervora
Peter. – Con delle caccabombe.
-
No, non dovremmo, - replico subito. - Bevi
l’acqua, Pete.
-
Tra un po’ se la fa sotto, Moony, -
commenta Sirius.
-
Probabilmente è il suo piano, - aggiunge
James dallo specchietto ed io torno a guardarlo. – Non gli è bastato
farlo
vomitare.
-
È venuta a chiederci di usare lo
specchietto, sai, - lo informo, ignorando la battuta. - Era preoccupata
che ti
facessi espellere.
James
mi guarda.
Io
lo guardo.
-
O era preoccupata che trovassi Philips, -
decreta infine ed io trattengo un sospiro.
-
Beh, comunque la strada è libera, - dico. -
Torna qua.
-
Arrivo.
La
sua faccia scompare dallo specchietto ed
io alzo gli occhi al cielo.
**********
Sono
appena entrato in camera e la faccia di
Remus sta già cercando di dirmi così
tante cose senza nemmeno aprire bocca che subito sposto
stancamente lo
sguardo su Sirius, che di solito usa le parole quando vuole dirmi
qualcosa.
Beh, non è vero, anche la sua faccia dice spesso un sacco di cose senza
coinvolgere le labbra, ma di solito non sono cose che non voglio
sentirmi dire.
Se
ne sta sdraiato sulle coperte del suo
baldacchino, una mano a reggergli la testa e un’aria scocciata,
annoiata e
assonnata in viso. Mi guarda impassibile e non cerca di dirmi nulla con
gli
occhi, che è esattamente quello che voglio dai miei amici in questo
momento.
-
Che hai fatto alla mano? – dice Remus
mentre mi chiudo la porta alle spalle. Quando torno a guardarlo sposta
gli
occhi dalle mie nocche arrossate e spellate per inarcare un
sopracciglio,
divertito. - Sirius fa a pugni e la tua mano somatizza?
Peter,
che pare tornato di un colore umano,
ridacchia e anch’io sogghigno.
-
Sono stato attaccato da un muro, - spiego
poi.
-
I muri solitamente non attaccano gli
studenti, - replica subito Remus come se fosse un qualche esperto di
muri.
-
Beh, quel muro ha attaccato me, - sbuffo. -
E che ne sai? L’entrata della Sala Comune di Serpeverde è un muro: come
minimo
starà aizzando i suoi amici contro di noi.
-
Perché non hai risposto allo specchietto? –
chiede all’improvviso Peter dal suo letto.
C’è
un che di accusatorio nel suo tono. Bizzarro.
– Sirius dice che Evans ti ha distratto.
Sirius
dice che Evans mi ha distratto e così
mi volto verso Sirius.
Non
sembra particolarmente interessato.
-
Evans non mi ha distratto, - nego tornando
a Peter. – Sono stato distratto da...altre cose. Cose come la cravatta
di
Remus.
Remus
spalanca gli occhi.
-
Oh Godric, la mia cravatta, - geme. - È
ancora sul soffitto!
-
È ancora sul soffitto, - confermo. – Ma non
c’è scritto il tuo nome, potrebbe essere di chiunque.
-
C’è il mio odore!
-
Non annuseranno
la cravatta, Moony, non essere ridicolo.
-
Un muro
ti ha attaccato, James.
E
scandisce le parole con forza, come se
questo compromettesse in qualche modo la mia credibilità.
-
Possiamo spegnere la luce?
La
voce assonnata è quella di Peter, ma potrebbe
essere quella del mio subconscio e così la spengo subito, prima ancora
di
spogliarmi. La stanza resta buia e silenziosa per cinque secondi circa,
poi la
luce si riaccende.
-
Cerco la cravatta di riserva nel baule, -
ci informa Remus, mentre Peter risolleva la testa dal cuscino, perché a
quanto
pare è necessario che supervisioni il suo operato. Sirius è ancora
immobile
nella stessa posizione di prima e forse il suo cervello si è
semplicemente
addormentato dimenticando di dare alle palpebre il comando di chiudere
bottega.
Mi domando se sia normale avere quell’aria contrariata anche nel sonno.
-
James.
Remus
continua a frugare nel suo baule e non mi sta guardando, ma
sono abbastanza sicuro che sia stato lui a chiamarmi.
-
Mh? – Tento cauto, abbastanza forte da farmi sentire, ma non
abbastanza da non poter fingere che mi stessi solo schiarendo la gola
nel caso
avessi iniziato a sentire le voci e nessuno mi avesse chiamato.
-
Hai dato a Lily il tuo regalo?
Mi
blocco a metà nell’atto di sfilarmi la felpa.
-
Sei impazzito, Moony? Non ho fatto nessun regalo ad Evans.
-
Sì, invece, l’ho visto.
-
Quello non è...non era per darglielo,
ok? È una cosa simbolica, l’ho fatto per bruciarlo.
-
Quindi non glielo hai dato.
-
No, certo. Non sono pazzo.
- James, - Remus riemerge dal suo baule, un’espressione eloquente in viso e una cravatta nella mano. – È passato più di un mese.
- James, - Remus riemerge dal suo baule, un’espressione eloquente in viso e una cravatta nella mano. – È passato più di un mese.
Un
verso incredulo mi esce dalle labbra.
-
Ne stiamo davvero parlando? Di
nuovo?
-
No, io ne sto
parlando. Tu stai evitando l’argomento, di nuovo.
Le
labbra di Remus hanno assunto quella piega particolare all’angolo
della bocca, quella che assumono sempre quando lui vuole comunicare
maturità,
ma si è appena infilato la cravatta e se la sta allacciando ed
indossa il pigiama e quanto può
essere maturo questo?
-
Perché non c’è niente da dire evidentemente, - concludo. - Sirius,
di’ a Remus di lasciarmi in pace.
Resto
in attesa dei rinforzi per diversi secondi, ma quando il
silenzio continua a seguire le mie parole mi volto perplesso verso il
mio
migliore amico.
-
Sirius, - lo chiamo di nuovo.
-
Sono d’accordo con Remus.
I
miei occhi si spalancano e persino Remus sembra sorpreso.
Questo
non è normale.
Sirius
è d’accordo con me, non con Remus.
Essere
d’accordo con me è quello che Sirius fa.
James
e Sirius stanno dalla stessa parte, sempre, è una delle
grandi certezze dell’universo e ora
Sirius è d’accordo con Remus.
-
Su, - boccheggio incredulo. - Su cosa, sul fatto che dobbiamo
avere a cadenza settimanale una conversazione su quello?
-
No, non su quello, - Sirius scuote la testa spazientito. - Non
siamo i tuoi fottuti psicologi, Prongs, ed Evans è l’ultima cosa di cui
mi
diverta parlare.
-
Perfetto, - annuisco sollevato e un po’ confuso. - E allora perché
ne stiamo parlando?
Sirius
lascia scivolare il palmo da dietro la nuca e si raddrizza,
mettendosi a sedere, gli occhi di ogni persona nella stanza su di lui.
-
Perché, - Inizia col suo tono un po’ distaccato. - Se c’è una
cosa che mi secca più dell’assecondare Remus nei suoi momenti di condividi i tuoi sentimenti, è vedere il
mio migliore amico rendersi ridicolo per una ragazza.
Doccia.
Gelata.
-
Ridicolo, - ripeto attonito.
-
Patetico rende meglio l’idea.
I
miei occhi si sgranano lievemente, fissi nel vuoto.
-
Patetico?
- Sì, penoso alla vista.
-
Sirius, non credo che...
-
Sta’ zitto, Moony. Sto condividendo i miei sentimenti con James,
rallegrati.
Remus
tace ed io passo i successivi secondi di silenzio tentando
di processare.
-
Okay, no, non capisco, - Scuoto la testa. - Rendermi patetico è
esattamente quello che non sto
facendo, evitando di correrle dietro e parlare di lei tutto il tempo,
lagnarmi
perché mi odia e tutte quelle cose patetiche che la gente patetica fa
quando
non è corrisposta. Io non lo sto
facendo, io non sto facendo assolutamente nulla.
-
Appunto, - Sirius alza le spalle. - Non stai facendo nulla. Hai
ammesso di essere innamorato di lei e ora, - Sbuffa. - Non fai nulla.
Fai finta
di niente perché te la fai sotto all’idea di essere rifiutato davvero.
Quanto
incredibilmente patetico e poco Grifondoro è questo da uno a dieci?
-
Sette e mezzo, - risponde Peter.
Remus
gli fa cenno di star zitto, mentre i miei occhi sono ancora
spalancati.
Se
fosse stato chiunque altro a parlare, la quota di nasi rotti
sarebbe appena salita a due. Ma è Sirius ed io lo fisso sconvolto.
-
Okay, quindi, - inizio lentamente, dopo un po’. – Preferiresti
che iniziassi a lagnarmi quotidianamente perché Evans mi odia? Questa
sarebbe
una reazione più da Grifondoro ai tuoi occhi?
-
Ti prenderei a pugni, - mi informa Sirius pacifico e c’è un che
di rassicurante in questo. - Tutti e tre ti prenderemmo a pugni: Remus
ama le
sedute di condivisione solo quando sono organizzate da lui.
-
E allora che cosa vorresti che...
-
Chissenefrega di quello
che io vorrei che tu facessi, - sbotta, lasciando per un attimo da
parte il
tono indifferente. - Fa’ quello che vuoi, ma fallo.
Falla
innamorare di te, dice
subito una voce forte e chiara dentro di me.
Sta’
zitta,
replica il mio cervello, e Sirius ha ragione, perché è questo
che sto facendo. Perché potrei provarci e invece mi sto ritirando dalla
partita
prima ancora che sia iniziata, perché non posso accettare di perdere.
E
non posso perdere se non gioco.
Resto
a fissare gli occhi chiari di Sirius per un tempo
indefinito, mentre un ronzio ipnotizzante romba sempre più alto nella
mia testa
e forse, e dico forse, farmela passare non
è stata l’idea del secolo.
-
Incredibile, - mormora Remus. - Peter, guardalo. Ci sta pensando.
Glielo dico da
settimane e mi ignora ed ora basta che Sirius gli dica ‘a’ e lui subito
si
mette a pensarci.
-
Non ci sto pensando, - dico riscuotendomi. - Vado a farmi una
doccia.
-
Non ci posso credere, - continua Remus a metà tra lo sbalordito
e l’indignato mentre io mi allontano verso il bagno. - Ci va a pensare sotto la doccia. Tu apri bocca e lui si
fa addirittura una doccia di riflessione.
-
Non è una doccia di riflessione, è una doccia igienica, -
insisto prima di chiudere la porta. - Andate a dormire e lasciatemi in
pace!
-
E togliti la cravatta, Remus! – Aggiungo con un grido prima di aprire
il getto dell’acqua. - È notte! Indossi un pigiama! Chi si mette la
cravatta
per andare a dormire?
*********
Ho
dormito un paio d’ore appena, mi fa male la testa e la porta di
fronte a me continua ad essere chiusa. Questo è così
diverso dal modo in cui volevo iniziare la giornata.
-
Evans?
Dopo
l’ennesima bussata, la porta si apre
finalmente con un cigolio, a svelare la camera buia dietro di sé e la
figura
assonnata di Potter. Si stropiccia gli occhi privi di occhiali e mi
guarda
confuso, l’aria di chi è stato spinto giù dal letto e i soli boxer e
maglietta
a provarlo.
Chiaramente
non ha idea del perché io sia
qui. Estremamente prevedibile.
-
Sono le nove meno dieci, Potter, - lo
informo fredda, sbattendogli il suo stupido mantello sul petto. –
Vestiti e
muoviti, ti proibisco di far infuriare la McGranitt un attimo prima che
decida
anche la mia punizione.
Potter
sta chiaramente funzionando a
rallentatore e le sue dita si stringono incerte attorno alla stoffa del
mantello, mentre anche le mie parole sembrano arrivargli in ritardo. Mi
fissa
con gli occhi socchiusi per qualche secondo, mentre io cerco di non
fissare i
suoi capelli che hanno un che di ipnotizzante nel modo in cui sono
ancora più
strani e ribelli del solito, poi un lampo di comprensione gli illumina
il viso
provato.
-
Arrivo, - dice e mi sbatte la porta in
faccia.
Godric,
questo è così diverso dal modo in cui volevo iniziare
la giornata.
Resto
qui davanti alla porta chiusa per
qualche altro secondo, impassibile, poi quella si riapre.
-
Ciao, Lily, - Remus, anche lui in pigiama e
con i capelli chiari scombinati come non glieli ho mai visti, mi
sorride
gentile. Ed è notevole il modo in cui riesca a farlo, sorridere così,
anche con
gli occhi, quando ogni centimetro di lui grida palesemente che è stanco
morto e
che era nel mondo dei sogni fino ad un secondo fa.
-
Buongiorno, Remus, - Sorrido anch’io, anche
se le mie labbra stanno ancora dormendo e non credo che il mio sorriso
sia
venuto bene quanto il suo. – Scusa se ti ho svegliato.
-
Oh, non preoccuparti, non avevo comunque
più sonno.
Il
mio sopracciglio si inarca vistosamente.
-
Voglio dire, sto morendo dal sonno naturalmente
e non appena James sarà pronto mi ributterò nel letto e non posso
giurare che ad
un certo punto prima di cena mi alzerò di nuovo, ma non fa nulla, -
Remus alza
le spalle ed io mi chiedo come faccia a farlo quando ci mette tutto il
peso del
mondo lì sopra. – Volevo dirti che mi dispiace che la McGranitt ti
abbia
scoperta. È molto ingiusto, dovremmo essere tutti in punizione.
-
Ti dispiace che solo due dei tuoi compagni
verranno puniti e non tutti? – commento divertita.
-
No, non in quel senso, certo, - Scuote la
testa, mesto. - È solo che la festa non è nemmeno stata una tua idea e
ora sei
in punizione.
-
Remus, - Gli lancio un’occhiata eloquente.
- Non so che impressione posso averti dato in questi anni, ma se non
avessi
voluto dare una festa, stai certo che non l’avrei data. E comunque,
sono felice
di averlo fatto, - aggiungo decisa. - È stato divertente. Beh, io mi
sono
divertita. Tu ti sei divertito?
-
Io? Sì.
-
E allora va bene così, una punizione non ha
mai ucciso nessuno.
Spero
solo che la McGranitt non sappia mai
che l’ho detto.
-
Puoi tornare a dormire comunque, davvero, -
lo rassicuro, perché non vedo il motivo per cui privare del sonno più
gente del
necessario. – Non c’è bisogno che aspetti con me.
-
Beh, allora credo che accetterò il
consiglio, - annuisce pacato. – Buona fortuna con la McGranitt e se
cerca di
spaventarti tirando in ballo la tua spilla da Prefetto, cerca solo di
ricordare
che è la stessa persona che ne lascia ancora una in mio possesso.
-
Lo terrò a mente, - Ed evito di specificare
che lo avrei fatto a priori, anche senza che me lo dicesse lui.
-
Ah, Remus? – lo richiamo quando fa per
andarsene.
-
Sì?
-
Ho visto Lynch a colazione, - ghigno. - Le
tue pustole sono molto carine.
-
Grazie, - sorride malandrino. - Il pus
esplode quando qualcuno gli rivolge la parola, - aggiunge con una punta
di
fierezza prima di sparire di nuovo nell’oscurità della camera.
Devo
assolutamente ricordarmi di scambiare
quattro chiacchiere con Lynch prima che Madama Chips riesca a curarlo.
E di non
fare mai arrabbiare Remus, anche.
-
Eccomi, - Potter riemerge dal buio e si
chiude la porta della camera alle spalle, senza far rumore. Ha un’aria
un po’
più sveglia di prima e i ciuffetti all’attaccatura dei capelli
visibilmente
bagnati, oltre qualche goccia d’acqua a impregnargli il colletto della
camicia
che spunta dal maglione della divisa. Mi segue in silenzio quando io
parto
spedita verso le scale, lanciando un’occhiata all’orologio: nove meno
cinque.
Non
ce la faremo mai.
-
Siamo in ritardo, - constato accelerando,
troppo agitata per rinfacciargli che è colpa sua. Questa volta non
sfuggiremo
all’accetta della McGranitt.
Anche
Potter controlla il suo orologio,
tenendo il passo.
-
Abbiamo ancora cinque minuti.
-
Appunto, - insisto. - Non ci si arriva in
cinque minuti da qui all’ufficio della McGranitt.
-
In cinque minuti si arriva dappertutto ad
Hogwarts, Evans, basta sapere dove andare.
E
con questa affermazione criptica Potter
esce dalla Sala Comune e svolta spedito nella direzione opposta a
quella che
dobbiamo prendere.
-
Le scale sono di là, Potter! – protesto, ma
correndogli dietro.
-
Lo so, - dice svoltando di nuovo in fondo
al corridoio ed estraendo la bacchetta. Resto a guardarlo stranita
mentre la
picchietta contro determinati punti in cui il muro pare leggermente
rovinato,
poi spalanco gli occhi quando dal nulla si apre un passaggio scavato
nella
pietra. Questo spiega così tante cose
su Potter e i suoi amici e il modo in cui riescono a farla franca la
maggior
parte delle volte. È anche assurdo, in un certo senso, perché non vedo
proprio
come qualcuno possa casualmente scoprire qualcosa del genere, o anche
partendo
già con l’intenzione di trovare passaggi segreti e altre amenità
simili, come
fai a individuare il corridoio giusto su centinaia di corridoi, la
giusta
porzione di muro su metri e metri di muro perfettamente identici e i
giusti
punti di detta porzione da colpire per far accadere qualcosa? Qual è il
piano
dietro a tutto ciò? Ci si affida alla sorte oppure si va in giro tutto
il tempo
a colpire i muri per ore e ore? Sarebbe una conversazione interessante
da
intraprendere, ma non mi piace parlare con Potter in generale e
particolarmente
non mi piace parlare con Potter ora,
senza contare che sono troppo occupata ad avanzare a passo svelto
attraverso il
cunicolo oscuro senza inciampare, dietro a suddetto Potter che procede
spedito
come se vedesse nel buio come i gatti o, più verosimilmente, come se
conoscesse
a memoria ogni centimetro, svolta o discesa. Quando infine sbuchiamo da
dietro
un arazzo scarlatto mi porto una mano a coprire gli occhi, abbagliati
dalla
chiara luce mattutina che filtra dalle ampie vetrate di fronte a noi e
inonda
il corridoio che ora riconosco come quello che porta all’aula di
Trasfigurazione al quarto piano. L’ufficio della McGranitt, a qualche
aula di
distanza, è visibile anche da qui ed il mio orologio segna le nove meno
due
minuti. Ce l’abbiamo fatta: non siamo
in ritardo.
Prima
di partire in direzione dell’ufficio mi
volto un’ultima volta verso l’arazzo, posandoci la mano sopra e
premendo forte,
ma tutto quello che sento è la durezza della pietra al di là del
tessuto
rigido, come se io non fossi appena uscita proprio da qui. Forse si può
entrare
nel passaggio solo dall’altra parte, al settimo piano, oppure, proprio
come per
il muro, c’è qualcosa da fare anche qui perché il varco si sveli.
Improvvisamente vorrei aver osservato con più attenzione gli esatti
movimenti
di Potter poco fa.
Certo,
c’è chi sa fare delle cose e chi
altre.
-
La cravatta, Potter.
Siamo
proprio davanti al legno scuro
dell’ufficio della McGranitt quando glielo faccio notare.
-
La cravatta? – Abbassa lo sguardo perplesso
e finalmente nota il modo in cui gli penzola dal collo quasi
completamente
sciolta. – Oh.
Voglio
dire, è stato appena poche ore fa che
gli ha giurato di non fargli più toccare una scopa se lo avesse beccato
anche
solo con la cravatta allacciata male e lui si presenta qui con la
cravatta
praticamente slacciata? Tipico di Potter.
-
Non ti fanno proprio alcun effetto gli
avvertimenti dei professori?
-
Se dovessi ricordare tutti i loro ultimatum
non vivrei più, Evans, - Potter alza le spalle, finendo di sistemarsi
la
cravatta, questa volta stretta in un nodo perfetto. - Ne ricevo un po’
più di
te, sai.
E
c’è un motivo per questo, che ha a che fare
col fatto che la mia pelle non è impermeabile come la sua alle parole
dei
professori e che le ascolto davvero, aggiungendovi accette e
decapitazioni a
piacimento, ma poi non è come se non fossi in punizione anch’io ora e
così
busso alla porta e basta.
-
Accomodatevi.
La
voce della McGranitt è gelida come
raramente l’ho sentita e mentre mi infilo dentro la piccola stanza
zeppa di
scaffali e sprofondo in una delle due poltroncine cremisi davanti alla
scrivania mi trovo a rabbrividire involontariamente. Potter ha la
stessa aria
rilassata di sempre invece e il suo sguardo vola subito oltre i vetri
dell’ampia finestra nella parete di fronte a noi, dove il cielo
azzurrino la fa
da padrone.
Per
quanto riguarda la McGranitt, giurerei
che prima dell’inizio della sua tagliente ramanzina i suoi occhi si
siano
fermati diversi secondi a sondare la cravatta di Potter.
La
squadra di Quidditch di Grifondoro è così in debito
con me.
È
ridicolo a un livello così ridicolo che non
riesco nemmeno a trovarlo effettivamente ridicolo.
Senza
fraintendimenti, sono la persona più
felice sulla faccia della terra che la McGranitt non ci abbia assegnato
la
stessa punizione, magari da svolgere insieme –probabilmente l’avrebbe
fatto se
avesse saputo quanto questo mi avrebbe punito più di qualunque altra
cosa, ma
questa notte deve averla confusa parecchio sulla mia relazione con
Potter
–chissà, forse ora pensa persino che siamo amici,
come se non ci fossero un miliardo di circostanze diverse che possono
portarti
a finire intrappolata in Sala Comune in piena notte con qualcuno che
odi. Sta
di fatto che la fortuna sfacciata di Potter e il modo in cui la sorte
gli
sorride sempre e comunque ha un che di beffardo, un po’ come quei film
in cui
il protagonista se la cava sempre e comunque solo perché è il
protagonista, e
non per qualche suo merito particolare. È frustrante che il
protagonista della
mia vita debba essere Potter, quando potrei essere, per dire, io. Ma non è così, io sono la comparsa
sfigata che si becca la punizione
vera e propria, mentre tutto quello che deve fare lui è dare
ripetizioni di
Trasfigurazione a un paio di ragazzini del primo anno.
La
sua punizione consiste in qualcosa che io
faccio spontaneamente con lui e questa è probabilmente la norma nella
sua vita
da favorito dal fato.
Una
parte di me ha preso in considerazione
l’idea di informare la McGranitt, non dell’ingiustizia cosmica che
circonda
Potter, ma del fatto che ehy,
professoressa, quindi dare ripetizioni è una punizione? Allora io sono
già in
punizione, perché do ripetizioni a Potter! Allora siamo a posto, sì?
Continuo
semplicemente a farlo e via. Che fortuna che abbiamo risolto così in
fretta,
grazie e buona giornata! Naturalmente
a considerare questa opzione è stata la parte di me che considera
sempre e solo
le azioni più inattuabili, quelle che potrebbero farmi finire senza un
arto o
senza la testa –come quella volta al secondo anno, con quella pianta
carnivora
– e quella parte io la ignoro la maggior parte del tempo, quindi ora ho
una
vera punizione: catalogare e mettere a scaffale la donazione di un anziano Purosangue alla biblioteca di
Hogwarts, un certo Rufus Qualcosa, membro di spicco del Dipartimento
Qualcosa
al Ministero della Magia. Non so cosa la McGranitt stia cercando di
dirmi,
assegnandomi alla biblioteca per ogni singola punizione, se mi stia
suggerendo
un futuro sbocco professionale o cosa, fatto sta che almeno mi ha dato
campo
libero: essendo la donazione a sua detta parecchio cospicua - e qui
devo subito
controllare sul vocabolario qual è il limite massimo di libri che può
indicare
la parola cospicua, perché sono sicura che debba esserci un limite
oltre cui
diventa obbligatorio sostituirla con, ad esempio, abnorme
– non ho una data prestabilita entro cui ultimare il lavoro
e posso dedicarmici ogni qualvolta riesca a ritagliare del tempo dallo
studio.
Ha detto proprio così, come se d’ora in poi la mia vita qui ad Hogwarts
dovesse
dividersi tra studio e biblioteca e nient’altro, e lì sono andata un
po’ nel
panico, lo ammetto, ma è proprio in quel momento che ho pensato a Remus
che ha
ancora la sua spilla e al fatto che io posso quindi ribellarmi al
sistema.
Potter
continua a lanciarmi delle occhiate indecifrabili
mentre torniamo alla Sala Comune.
Non
abbiamo preso la sua scorciatoia questa
volta, anche se io l’avrei presa, perché non vedo l’ora di
ricongiungermi al
mio letto, ma Potter non l’ha presa e non credo che quell’arazzo mi
avrebbe
fatto passare da sola.
È
ancora arrabbiato per ieri sera, credo,
perché a un certo punto mi lancia un’occhiata di evidente ostilità ed
io mi
trattengo dall’estrarre la bacchetta e sbattergliela sul naso come un
bastone,
perché la mia bacchetta è molto sottile e forse si spezzerebbe e perché
sono
letteralmente appena stata messa in punizione, ma trovo veramente
ridicolo che
Potter si permetta di essere ancora arrabbiato da questa notte, anche
ora che
si è ricongiunto al suo stupido mantello, quando a dirla tutta è
ridicolo già
che si sia arrabbiato così tanto da principio. Ero già arrabbiata con
lui,
perché lo sono in linea di massima e questa mattina in particolare, ma
subito
la rabbia di primo grado si evolve in rabbia di secondo grado e gli
lancio
un’occhiata di fuoco.
*
Non
sono arrabbiato con Evans, ma lei
continua a non rivolgermi la parola e a lanciarmi occhiate di sbieco
con
estrema stizza, quindi lei è
arrabbiata, quindi anch’io sono arrabbiato ora.
Non
mi piace quando la gente resta arrabbiata
con me troppo a lungo, soprattutto quando non vedo perché la gente
dovrebbe
arrabbiarsi con me in primo luogo.
Può
darsi che la storia del mio mantello in
mano a Philips non sia l’unico motivo per cui mi sono arrabbiato ieri
sera, d’accordo,
e forse la mia frustrazione era più rivolta al fatto che ha dato il mio
mantello a Philips perché chiaramente lo conosce, sono amici, sono
amici che si
baciano, stanno insieme nel modo in cui le persone stanno insieme
quando si
piacciono ed è tutto molto irritante e sì, forse è stato più per quello
che per
il mantello in sé, per quello e perché in generale la sorte che mi
sorride
sempre ieri notte ha deciso di sputarmi in un occhio, e lei questo non
lo può
sapere, ma non è comunque sensato che lei si arrabbi con me perché io
mi sono
arrabbiato con lei. Non è una cosa che le persone possono fare questa,
lo dico
sempre a Sirius, che invece lo fa in continuazione, costringendomi a
chiedergli
scusa ogni volta che mi arrabbio con lui, ed è così ridicolo dover dire
a voce
alta mi dispiace essermi arrabbiato con
te perché hai messo un rospo vivo nelle mie mutande, scusami. Non
dirò
nulla del genere ad Evans e non solo perché lei non mi ha mai messo un
rospo
vivo nelle mutande. Se vuole arrabbiarsi con me perché mi sono
arrabbiato con
lei allora anch’io mi arrabbierò di nuovo con lei per essersi
arrabbiata con me
per essermi arrabbiato con lei, e così quando arriviamo in Sala Comune
le
lancio un’occhiata piena di ostentata ostilità, così ora le è chiaro
che non
riconosco la legittimità della sua rabbia e ribatto invece con altra
rabbia.
Questa
mattina quando mi è venuta a chiamare
ero ad un livello zero di rabbia, ma ora sono ad un livello uno.
L’occhiataccia
che mi lancia lei prima di
darmi le spalle diretta al dormitorio femminile è chiaramente di
livello due e
così un grumo di indignazione e sorpresa inizia ad agitarsi dentro il
mio
stomaco, perché non esiste che mi riservi della rabbia di livello due
quando
nessuno è nemmeno finito appeso a testa in giù. Una reazione immediata
è
d’obbligo, o penserà di aver vinto, e così anche se non provo nemmeno
lontanamente una rabbia di livello tre mi ci impegno con tutte le mie
forze e
mentre sale le scale la fulmino da sotto con uno sguardo che brucia
delle
fiamme dell’inferno della rabbia del livello tre. Lei sente il calore
bruciante
dei miei occhi e si blocca all’improvviso, voltandosi e venendo
investita in
pieno dal fascio di finta rabbia con cui la sto colpendo ostinatamente.
Spalanca
gli occhi presa alla sprovvista, perché sono un attore dalle doti
eccezionali
ed ora lei pensa davvero che io abbia raggiunto il livello tre senza
che
neppure mi rivolgesse la parola. È in difficoltà, lo vedo chiaramente,
esita a
metà delle scale perché ora non può più andarsene e basta, o sarà
finita così,
sarò io quello arrabbiato con lei e non il contrario. Non credo sia in
grado di
raggiungere davvero o fingere una rabbia del livello quattro in questo
momento,
anche io che sono così bravo in tutto avrei delle difficoltà, ma poi
torna di
colpo indietro a piazzarsi di fronte a me e forse vuole cimentarsi
anche lei in
quella del tipo tre, per finirla in parità.
Solo
che Evans in realtà vuole solo
strapparmi dal petto con uno scatto fulmineo la mia spilla da Capitano
per poi
correre sulle scale alle sue spalle, lasciandomi imbambolato per
diversi
secondi. Le mie gambe realizzano cos’è appena successo molto prima del
mio
cervello e così scatto dietro di lei e poi le mie natiche realizzano
che non
posso salire le scale del dormitorio femminile molto prima del mio
cervello,
che a quanto pare è sempre l’ultimo a capire le cose, e così ora mi
trovo a
terra in fondo allo scivolo che ha preso il posto delle scale,
dolorante e
ancora più perplesso di prima.
Evans
mi guarda trionfante dall’alto, un
sorrisetto soddisfatto sulle labbra e la mia spilla da Capitano
appuntata sul
maglione.
-
Che ti serva da lezione, Potter, - dice e se
ne va.
Ha
appena e senza alcun motivo rubato la mia preziosissima
spilla da Capitano e se la sta portando in camera ed ora io dovrei
arrivare
senza fatica ad una rabbia del tipo cinque, ma qui sul duro pavimento
di pietra
in fondo a queste dannate scale sessiste l’unica cosa che riesco a
percepire
aumentare silenziosamente di livello è la voglia di andare ad Hogsmeade
con lei
il prossimo sabato e quello dopo ancora.
-
Ciao James, - mi saluta Alice passandomi
davanti e salendo tranquilla i gradini ricomparsi.
-
Ciao, - la saluto restando seduto per
terra.
*
Quella
parte di me, quella che mi suggerisce
sempre le cose più inadeguate da fare e a cui non do mai ascolto, beh,
non è
vero che non le do proprio mai ascolto.
È
che dovevo agire subito, ribaltare la
situazione e togliere a Potter quello sguardo furioso ridicolo ed
esagerato
dalla faccia e non riuscivo proprio a pensare a nessuna mossa astuta da
fare e
la sua spilla dorata era proprio lì sul suo petto, in bella vista, e
quella
parte di me semplicemente non se ne stava zitta.
Alice
non mi chiede come mai c’è una C dorata
sul mio comodino ora.
*********
Quando
apro gli occhi, James è di nuovo nel
suo letto e sembra morto.
Anche
Sirius non dà segni di vita.
Peter
è in piedi e sta finendo di allacciarsi
la camicia.
-
Buongiorno, Remus, - mi dice. – Credo che
dovreste alzarvi, è quasi ora di pranzo.
-
Dovremmo, - concordo, restando immobile a
fissare la parte superiore del mio baldacchino, avvolto dal piacevole
tepore
delle coperte. – Come stai, Pete? Mi sembri in forma.
-
Oh sì, sto benissimo, - annuisce vivace. -
Quell’acqua che mi hai dato ieri sera è miracolosa. Dove l’hai presa?
-
Dal rubinetto del bagno.
**********
-
Ciao, James.
-
Ciao, Alice.
Alice
mi supera di nuovo diretta al
dormitorio femminile, anche se questa volta sono su un divanetto a
rilassarmi
dopo il pranzo e non per terra, ma prima che arrivi in cima la richiamo.
-
Sai dov’è Frank?
-
Non lo vedo da questa notte.
Busso
un’altra volta, ma non ottenendo
risposta spalanco la porta e basta.
La
stanza è immersa nella penombra e c’è un
rigonfiamento sospetto sotto le coperte del baldacchino più vicino alla
finestra.
-
Frank! Ma stai ancora dormendo? Sono le
due!
Il
rigonfiamento ha un sussulto.
-
Cos...James?
-
Le due, Frank, sono quasi le due, -
insisto.
Il
rigonfiamento ha un altro sussulto e la
testa di Frank spunta finalmente da lì sotto, mentre si mette seduto.
Ha le
palpebre quasi incollate tra loro e non credo che mi veda.
-
Beh, è domenica e ho pensato di non mettere
la sveglia dopo l’ora che abbiamo fatto ieri, - spiega. -
Ma il mio corpo è progettato per non
svegliarsi se non dopo almeno dieci ore consecutive di sonno.
-
Appunto: è domenica, - Lo guardo eloquente,
ma col fatto che non mi vede è inutile e devo dirglielo e basta. - Tra
mezz’ora
inizia la partita.
Un
occhio di Frank è aperto ora e lo vedo
sbattere la palpebra.
-
Oh, giusto, - Alza le spalle. - Beh, non è
come se giocassimo noi, - Ed ora ci vede di nuovo, perché la mia
espressione
sembra recepirla forte e chiara. - Ma non
è come se stessi pensando di saltarla, naturalmente. Mi faccio una
doccia,
rubo qualcosa nelle cucine e vi raggiungo alle tribune. Puntuale.
-
Prima che inizi, Frank.
-
Prima che inizi.
Frank
ci raggiunge effettivamente prima del
fischio d’inizio, con una delle ultime ondate di studenti provenienti
dal
castello.
Le
tribune di Serpeverde e Corvonero, le
squadre sfidanti, erano gremite già quando sono arrivato dieci minuti
fa,
mentre la nostra e quella di Tassorosso si stanno popolando con più
flemma.
Dalla tribuna verde e argento partono ogni tanto cori agguerriti a cui
i
Corvonero replicano con altrettanta foga, occasionalmente accompagnati
da
diversi Grifondoro per il semplice piacere di andare contro ai
Serpeverde.
Nessuno della squadra è tra loro tuttavia: per quanto dare contro ai
Serpeverde
sia una delle gioie della vita, quando si parla di Quidditch Corvonero
è un
nemico esattamente come loro, nonché l’attuale favorita per vincere la
Coppa.
-
Quindi per chi tifiamo? – mi chiede per la
seconda volta Remus, che va pazzo per Aritmanzia e i numeri e tutte
quelle cose
ma di punteggi e tornei di Quidditch non ci capisce nulla. La squadra
nel
frattempo accoglie tra risate e pacche sulle spalle Frank, ribattezzato
per
l’occasione bella addormentata.
-
Serpeverde, - Peter mi toglie il dolore di
doverlo dire ad alta voce, rispondendo al mio posto. – La vittoria di
Serpeverde è la meno peggio.
-
Sì, - sospiro combattuto. – Hanno perso
contro Tassorosso, quindi sarebbe meglio per noi se vincessero loro
piuttosto
che Corvonero. Ma non dire tifiamo,
Moony, noi non tifiamo nessuno, - preciso indispettito. Tifare
i Serpeverde, solo a lui potrebbe venire in mente
un’assurdità del genere. - Speriamo
solo che i Corvonero perdano.
-
Giusto, - Remus annuisce, ma i suoi occhi
aggiungono chiaramente che è la stessa cosa, quando c’è tutta la
differenza del
mondo tra tifare per qualcuno e tifare contro qualcun altro. Tutti noi
tifiamo
contro Corvonero, e questo vuol dire che è preferibile che vinca
Serpeverde, certo,
ma nessun Grifondoro si sognerebbe mai di tifare per loro.
A
parte forse Sirius, che si è allontanato
poco fa per raggiungere la sua postazione da cronista e che potrebbe
avere un altro motivo per
tifare per Serpeverde e non
semplicemente contro Corvonero, ma non è come se ne fossi sicuro e non
è come
se lui non mi strapperebbe la lingua a morsi se sapesse che l’ho anche
solo
pensato.
-
Beh, i Serpeverde hanno Black, - sta
dicendo Alexis, l’unica a ritenere probabile una loro vittoria. – Non
c’è
paragone tra lui e la Cercatrice di Corvonero.
-
Sì, ma per quanto riguarda il resto della
squadra Corvonero è nettamente superiore quest’anno, - replica Mike, e
purtroppo ha ragione. Serpeverde ha da poco guadagnato l’unico
Cercatore che mi
abbia mai battuto qui ad Hogwarts, ma in compenso ha perso troppi
giocatori
tutti insieme quando si sono diplomati alla fine dell’anno scorso e non
regge
il confronto con la formazione stabile e dall’inarrestabile forza
sistematica di
Corvonero: non c’è tra loro un giocatore in particolare che spicchi per
talento,
sono tutti validi, ma nessuno è quello che più eccelle rispetto a
chiunque
altro ad Hogwarts in un determinato ruolo, eppure l’insieme di tutti
loro li
rende una squadra quasi perfetta.
Madama
Bumb ha raggiunto il centro del campo
e Sirius sta facendo il solito discorsetto iniziale, questa volta più
imparziale del solito, prima che le squadre facciano il loro ingresso,
e Frank
sta fissando il mio petto.
-
James.
-
Mh?
-
Dov’è la
tua spilla?
La
squadra
si zittisce e tutti iniziano a lanciare occhiate indagatrici alla mia
maglia.
Anche Remus e Peter, al mio fianco, si sporgono per constatare
l’assenza della
spilla.
La
mia
bocca resta aperta senza emettere alcun suono un po’ troppo a lungo
perché
quello che ne esce dopo possa essere preso sul serio.
-
Io l’ho...l’ho messa a lavare, - dico dopo
un po’.
-
A lavare?
-
Sì.
-
Dove?
-
Nel lavandino.
-
Hai lasciato la tua spilla nel lavandino?
-
No, no, certo che no. Ce l’ho lasciata di
fianco, per farla asciugare.
-
Ma è una spilla, quanto ci mette ad
asciugarsi?
- C’è
una perdita nel nostro bagno. Piove. Dal soffitto. Proprio sulla
spilla, - E mi
ritrovo a fare con una mano il gesto delle gocce che cadono in linea
retta, per
poi mimarne il suono. - Plic plic plic.
Tutta
la squadra mi sta fissando in silenzio
ora.
-
Evans me l’ha rubata, - dico.
C’è
chi è perplesso e chi ridacchia.
Io
sono tra quelli perplessi, perché non ho
ancora ben processato l’informazione. Evans mi ha davvero rubato la
spilla
quindi? Non è stato tutto un sogno?
-
Evans ti ha rubato la spilla? – Mike trattiene una risata,
mentre Alexis
no.
-
Sì, - confermo impassibile. - E non è
argomento di discussione. Ora concentratevi, sta per iniziare.
Il
fischio d’inizio tarda ancora una decina
di minuti, durante i quali Alice ed Evans ci raggiungono e prendono
posto
vicino a Frank, che le saluta rispettivamente con un bacio ed un ‘Ehy’ per Alice e con un cenno del capo
ed un ‘Capitano’ per Evans. La
squadra lo trova esilarante ed ora la chiamano tutti così. Evans non mi
guarda.
Remus continua a guardarmi. Peter ha dei popcorn e non so dove li abbia
presi,
ma non lascia che nessuno glieli tocchi.
Quando
la partita inizia smettiamo tutti di
cercare di rubarglieli e cominciamo a seguire con il suo crunch
crunch nelle orecchie.
La
principale speranza di Serpeverde è che Black prenda il boccino a pochi
minuti
dal fischio d’inizio, chiudendo così la partita prima che i Cacciatori
di
Corvonero riescano a sovrastare gli avversari e creare un divario netto
nel
punteggio. Black è l’unica loro speranza e i Corvonero sembrano saperlo
bene,
tant’è che da subito entrambi i Battitori avversari gli stanno addosso
come se
fosse l’unico giocatore in campo: il loro solo compito è chiaramente
quello di
non dargli un attimo di respiro, impedendogli così di concentrarsi
sulla
ricerca del boccino. I Battitori di Serpeverde, d’altro canto, oltre ad
essere
meno abili sono anche degli idioti, e mentre Black perde per un soffio
il
boccino perché costretto a sterzare per evitare un bolide, Rosier
lancia
l’altro contro uno dei Cacciatori avversari, quando avrebbe potuto
usarlo per
deviare il bolide diretto a Black e a quel punto forse Serpeverde
avrebbe già
chiuso la partita. Bersagliare di continuo un solo giocatore, che è
quasi
sempre il Cercatore, e prenderlo per sfinimento è una tattica prevista
dal
regolamento del Quidditch e non c’è nulla di veramente scorretto
nell’usarla,
ma essendo un Cercatore a mia volta e avendola provata sulla mia pelle
conosco la
frustrazione del non poter giocare perché impegnato per tutta la durata
della
partita a evitare uno o due bolidi sui denti e automaticamente vedere
Philips
stoico nel suo non dare tregua a Black neppure per un secondo me lo fa
scendere
ancora più a fondo nella mia scala di gradimento personale. L’intero
stadio
trattiene il fiato quando lui e l’altra battitrice mettono in atto
un’azione
combinata contro Black che riesce per miracolo ad evitare entrambi i
bolidi con
una capriola azzardata. Istintivamente so che nella scala di Sirius
Philips ha
appena iniziato a scavare.
La
partita si chiude dopo mezz’ora circa con
la vittoria schiacciante di Corvonero 290 a 40 e nessuno è davvero
stupito del
risultato.
I
Corvonero, incuranti dei nuvoloni densi che
hanno rabbuiato il cielo a metà partita e sembrano doversi bucare da un
momento
all’altro, si riversano festosi al centro del campo, mentre il resto
delle
tribune inizia frettolosamente a svuotarsi e la squadra di Serpeverde
si ritira
afflitta negli spogliatoi. Remus e Peter raggiungono Sirius all’uscita
dello
stadio e si uniscono alla fiumana di studenti che si affretta verso il
castello, mentre io resto dove sono anche quando la prima sottile
goccia di
pioggia mi solletica una guancia.
- Ok,
allora, - Quando nella
tribuna rosso e oro rimaniamo solo io e la squadra, salgo deciso sulla
panca e
mi staglio in maniera poetica contro il cielo in tempesta, guardandoli
dall’alto. Subito gli occhi di tutti sono su di me in religioso
silenzio. -
Dopo la scorsa sconfitta contro Tassorosso e dopo questa, Serpeverde è
ufficialmente fuori dalla corsa per la Coppa, - annuncio deciso mentre
un tuono
rimbomba in lontananza e anche i Corvonero rimasti iniziano a
disperdersi velocemente.
Un'altra goccia mi tocca il naso e la squadra sorride trionfante. - E
per
quanto vorrei abbandonarmi al godimento che questa notizia mi provoca,
devo
invitarvi a soffermarvi sulla profondità della merda maleodorante in
cui stiamo
sguazzando: come ogni abitante dei sotterranei non vedrà sicuramente
l’ora di
rinfacciarci, siamo comunque sotto di loro col punteggio. – I sorrisi
trionfanti svaniscono in un lampo. - Siamo sotto anche a Tassorosso,
perché,
beh, siamo a zero. Zero, - Mentre ripeto quel numero così
insopportabile e
fuori posto sulle mie labbra, la squadra si affloscia e così qualcosa
dentro di
me. - Come dicevo, siamo così tanto a fondo nella merda che nemmeno
Frank che è
il più alto di tutti noi riesce a vedere o sentire più nulla, perché ha
la
merda fin dentro gli occhi e le orecchie. Ora come ora, potremmo dire
che
l’anima stessa di Frank è fatta di
merda.
La
frase finale riecheggia in silenzio su tutta la squadra, afflosciando
le spalle
e ammosciando gli sguardi.
- Capitano, - Alexis mi rivolge dal basso
un’occhiata scoraggiata. - Quando arriva la parte motivazionale del
discorso?
-
Quando sarete abbastanza
demotivati.
Li
scruto attentamente,
sistemandomi meglio gli occhiali sul naso.
-
Siete abbastanza
demotivati ora?
-
La mia anima è fatta di
merda, - dice Frank ed è una risposta sufficiente.
-
Okay, ora, - Con un salto deciso passo al gradino successivo e poi
sulla panca
di quello, per essere ancora più in alto. Una goccia mi finisce in un
occhio ed
io alzo la voce. - Il motivo per cui è comunque preferibile essere noi
piuttosto che i Serpeverde è, oltre a beh, tutti i motivi del mondo,
che se
anche loro sono messi molto meglio di noi a punteggio, hanno finito, -
E lo
sottolineo con un gesto secco delle mani. - Niente più partite, nessuna
possibilità di raggiungerli e rubare la coppa a Corvonero, - Lascio
qualche
secondo per sedimentare l’informazione, poi continuo. - Mentre noi, dal profondo abisso melmoso in cui
siamo sprofondati, con due partite ancora da giocare possiamo comunque intravedere la coppa, - Gli
sguardi si riaccendono, Mike annuisce convinto. - Anche Frank, -
continuo
infervorato, stringendo i pugni. - Anche con i suoi occhi ricoperti di
merda,
riesce comunque a vedere la coppa!
La
squadra esulta agguerrita, Frank alza il pugno.
-
Sì, la vedo! – grida esaltato. - Al di là di tutta la merda che c’è
dentro e
attorno a me, io vedo la coppa!
Tutti
gioiscono e iniziano a dare a Frank energici spintoni camerateschi e
pacche
sulle spalle, incitandosi a vicenda. Poi Frank finisce a terra e gli
occhi tornano
a me, carichi di aspettativa.
-
Quindi, prima Tassorosso e poi Corvonero: se le vinciamo entrambe, il
secondo
posto è nostro di diritto, - riepilogo deciso. - E se arriviamo
secondi, allora
saremo risaliti dalle profondità della merda contro ogni aspettativa, e
secondi
è così tanto meglio di terzi o quarti, soprattutto quando terzi o
quarti sono i
Serpeverde. E se arriviamo secondi, -
Il mio tono si infervora sempre di più mentre parlo e gli occhi dei
miei
compagni con esso, incuranti della pioggerella che sta iniziando a
bagnarci. -
Allora i Serpeverde smetteranno di gongolare per averci battuto alla
prima
partita, e se arriviamo secondi, - La
squadra esulta entusiasta, il sorriso sulle labbra e negli occhi già le
facce
stizzite dei Serpeverde, mentre la mia voce è sempre più infiammata. -
Allora
tanto vale annegarci direttamente nella merda in cui siamo, - concludo
granitico.
Tutti si azzittiscono perplessi, le bocche ancora spalancate in grida
di
esultanza che non emettono più alcun suono. - Perché mi rifiuto
di giocare con l’obiettivo del secondo posto. Non ci siamo
allenati tutto quest’anno per puntare a perdere con dignità. Il nostro
obiettivo, - Li osservo lentamente uno ad uno. – È la coppa.
Un
tuono rimbomba nuovamente, questa volta più vicino, e anche se ora non
ci sono
più grida trionfanti, gli occhi che scorgo attraverso le lenti
appannate e rigate
d’acqua sono più consapevoli e determinati.
-
Ora, Corvonero è in vantaggio di un mare di punti e se vincerà contro
Tassorosso aumenterà ancora di più lo stacco, - Riprendo pratico,
passandomi
una mano tra i capelli. - Quindi se vogliamo arrivare primi non basta
vincere
le prossime partite. Non basta che io prenda il boccino.
Tutti
mi guardano e l’unico rumore è quello della pioggia che ticchetta lieve
sugli
spalti e sui nostri vestiti.
-
Dobbiamo stracciarli, - dice Frank annuendo lentamente.
-
Dobbiamo annientarli.
Il
silenzio segue le mie parole, ma gli occhi di ognuno parlano forte e
chiaro e
dicono qualcosa che i Corvonero saranno costretti ad ascoltare loro
malgrado.
Evans ha ancora la mia spilla da Capitano, ma io li guardo negli occhi
e me la
sento proprio qui sul petto, e non ho dubbi che questa, qui davanti a
me, è la
squadra che si porterà a casa la Coppa quest’anno e quello dopo ancora.
È la
mia squadra e spazzerà via qualunque vantaggio altrui come un tornado,
dimostrando a tutta la scuola che i Grifondoro sono ancora nella
competizione.
Poi la pioggerella si trasforma di botto in un acquazzone violento e tutti scappano imprecando.
Poi la pioggerella si trasforma di botto in un acquazzone violento e tutti scappano imprecando.
**********
Lunedì 2 Febbraio 1976.
-
Ma perché
proprio sette?
-
Sirius, ne abbiamo già parlato.
-
E non mi hai dato una spiegazione nemmeno
l’ultima volta, Moony. Innanzitutto voglio sapere chi lo ha deciso che
i giorni
della settimana devono essere sette e non otto.
-
Sono le otto di lunedì mattina, Sirius.
Dobbiamo davvero discuterne adesso?
-
Quando, più di ora, posso farti capire
l’esigenza di inserire un altro giorno tra la domenica e il lunedì? Per
riposarsi prima di trovarsi Pozioni alla prima ora?
-
Ma c’è
già il giorno per riposarsi. È la domenica.
-
La domenica non basta. Inizia e finisce e
per tutto il tempo non puoi davvero rilassarti perché sai
che il giorno dopo sarà lunedì. Se invece il giorno dopo fosse,
mettiamo, Siriodì, allora...
-
Ora spiegami perché dovrebbe chiamarsi come
te.
-
...allora la domenica potremmo riposarci davvero,
senza lo stress del lunedì
incombente, perché il giorno dopo sarebbe Siriodì e non lunedì, e il
Siriodì
non c’è lezione.
-
Non avevo dubbi. Si fa qualcosa il Siriodì
a parte mangiare e dormire?
-
Non dire idiozie, Moony, è vietato fare cose il
Siriodì. In
particolare, è vietato studiare.
-
Ok, quindi la domenica dovremmo fare comunque tutti i compiti per il
lunedì che
non potremmo fare il Siriodì. Non mi sembra un gran piano, Sirius.
-
James, amico, diresti a Remus qui che sono più astuto e brillante di
lui e che
ho ragione?
James,
che si sta trascinando stancamente pochi passi dietro di noi, finisce
lo
spropositato sbadiglio in cui era impegnato e guarda Sirius ancora
mezzo
assonnato.
-
Sei la stella più brillante in un cielo di stelle brillanti, -
annuncia,
facendo ridacchiare Peter.
-
E ho ragione.
-
E hai ragione.
-
Grazie.
-
Non stava nemmeno ascoltando.
-
Impara a perdere, Moony.
-
Perché c’è la porta chiusa? Siamo in ritardo? Non eravamo in ritardo. Perché siamo in ritardo?
-
Non siamo in ritardo, sono le otto meno cinque. È Lumacorno che è in
anticipo.
-
Esatto, che nessuno si scusi per il ritardo inesistente o passeremo
dalla parte
del torto.
Sirius
spalanca la porta.
-
Buongiorno, professore.
-
Ci scusi per il ritardo, - aggiungo.
**********
-
Per oggi è tutto, potete andare, - Con un colpo di bacchetta Lumacorno
cancella
due ore di inutili blabla sulle
pozioni dalla lavagna e anche dalla mia mente ed io scatto in piedi. -
Ricordatevi
solo i due rotoli di pergamena sulle proprietà curative delle lacrime
di fenice
per mercoledì.
-
Le due ore più noiose della mia vita, - annuncio lanciando con violenza
il
libro di Pozioni nella borsa a tracolla. Se c’è una cosa peggiore di fare pozioni, è ascoltare come si
fanno le pozioni.
-
Lo dici ogni volta, James, - sospira Remus, visibilmente provato anche
lui. Lì
per lì non me ne accorgo, perché non ci vedo nulla di strano nel
sembrare così
distrutti dopo due ore di Pozioni, poi noto la sottile patina di sudore
freddo
che gli ricopre il viso e ricordo che Remus non si lascia mai scalfire
dalle
lezioni mattutine solitamente.
-
Tutto bene, Moony? – chiedo preoccupato, abbassando la voce. – È già
iniziata?
-
Non lo so, non, - Remus si lancia un’occhiata tesa attorno. – Non è
detto che
sia per quello. Magari è solo stanchezza.
Non
sembra solo stanchezza, ma non credo
che Remus abbia voglia di rinchiudersi in Infermeria già da ora quando
la luna
piena non sarà prima di domani notte, così finisco di preparare la
borsa senza
aggiungere altro, frustrato perché non c’è nulla che posso fare. Quando
me la
lancio su una spalla e mi volto per raggiungere l’uscita, Evans mi si
piazza di
fronte, uno sguardo particolarmente ostile e deciso proprio su di me.
-
Oggi pomeriggio alle tre e mezza faccio il tema di Pozioni, - mi
informa con il
tono di chi mi sta insultando.
-
Emm. Ok?
Sono
molto perplesso e lei chiude gli occhi per un attimo come a invocare la
pazienza e non mi è chiaro se stiamo ancora litigando o cosa.
-
Se hai bisogno di aiuto, - dice lentamente, come se ogni parola le
costasse uno
sforzo. - Per fare il tuo, - E mi guarda. – Tema, - Continua a
fermarsi, come
se volesse che dicessi qualcosa io prima di lasciarla arrivare alla
fine della
frase e il fatto che non lo sto facendo la irritasse sempre più. - Di
pozioni...
-
Vuoi. Oh, - E all’improvviso capisco.
- Credevo
fossi
arrabbiata, - E non so perché sto facendo tutte queste pause anch’io
ora. - Per
ieri.
-
Sono furiosa, -
E mentre lo dice gli occhi le lampeggiano in maniera pericolosa. - Ma
ho detto
che ti avrei aiutato.
-
Ok, - annuisco
incerto, perché in tutto questo mi sono dimenticato se anch’io dovrei
essere
arrabbiato oppure no. Nel dubbio opto per un educato distacco. – Alle
tre e
mezza allora. Ci sarò.
-
In Biblioteca,
- aggiunge e se ne va.
La
osservo
allontanarsi e uscire dall’aula a passo deciso e una strana eccitazione
mi
pervade al pensiero di passare altre due ore in un luogo che odio chino
sulla
noiosissima teoria di Pozioni.
-
Sei stato
bravo.
Remus
è rimasto
qui tutto il tempo e mi sta guardando soddisfatto.
-
Come?
-
Con Lily, sei
stato bravo, - ripete tranquillo, precedendomi verso l’uscita, dove
Sirius e
Peter ci stanno aspettando.
-
Ma non ho
praticamente parlato, - protesto confuso.
-
Appunto, -
sorride pacato. - Continua così.
Non
credo che sia
leale da parte di Remus essere offensivo con me mentre sto portando
anche i
suoi libri.
**********
Potter
è arrivato in orario e ha portato il libro, che come ho imparato
l’ultima volta
non è così scontato. Stiamo lavorando in silenzio da circa cinque
minuti, ad un
ampio tavolo di quercia alla cui estremità c’è solo un Corvonero del
nostro
anno chino sull’enorme tomo di Storia della Magia, e l’unico rumore che
mi
arriva alle orecchie è quello del lieve grattare delle piume sulle
pergamene e
degli occasionali mormorii degli studenti, questo fino a quando la voce
di
Potter non mi fa alzare perplessa gli occhi dal libro.
-
Ti perdono, Evans.
Ha
posato la piuma d’oca accanto alla sua pergamena ancora vuota e mi
guarda
apparentemente molto sicuro di sé.
-
Per che cosa, - chiedo, ma il mio tono non assume alcuna inclinazione
interrogativa.
- Per ieri, - Potter alza le spalle, pacifico.
- Per aver dato il mio mantello a Philips.
- Tu perdoni me, - ripeto senza alcuna
intonazione.
-
Già.
Sbatto
le
palpebre.
Anche
Potter
sbatte le palpebre.
-
Sei un fottuto
aspirapolvere, Potter, - concludo dopo diversi secondi di riflessione,
riabbassando lo sguardo e riprendendo a leggere. Dalla sua parte non
provengono
rumori per diversi secondi, e lo so che mi sta ancora fissando e
probabilmente
si sta chiedendo cosa sia un aspirapolvere, poi le pagine del suo libro
ricominciano a frusciare ed io riprendo a leggere per davvero e non
solo con
gli occhi.
Il
silenzio
questa volta dura diversi minuti.
-
Mi dispiace che
il mio essermi arrabbiato a pieno diritto ti abbia fatto arrabbiare.
Di
nuovo alzo gli
occhi su Potter, estremamente perplessa.
-
Sono delle
scuse, Potter? – indago cautamente.
Lui
sembra
spiazzato.
-
Vuoi delle scuse?
Mi
raddrizzo
sulla sedia, presa in contropiede.
- Tu vuoi
farmele?
-
Mi stai chiedendo delle scuse?
-
Me le stai facendo?
-
Sì, vuole delle scuse, - sbotta
all’improvviso il Corvonero dall’altra parte del tavolo staccando la
testa dal
libro e fissando Potter. Poi si volta verso di me. - E sì, ti sta facendo delle scuse. Ora potete per
favore fare silenzio? Grazie.
E
si rimette a
leggere senza più degnarci di uno sguardo, anche se noi lo stiamo
ancora
guardando spiazzati.
-
Ma chi si crede
di essere, - sbuffa Potter a bassa voce dopo diversi secondi di
silenzio. – Non
ti stavo facendo delle scuse.
-
Infatti io non
le voglio le tue scuse, Potter, - lo informo stizzita.
-
Bene, perché
non te le farò.
Questa
volta il
silenzio dura quasi un minuto.
-
A meno che tu
non me le chieda esplicitamente.
-
Non le voglio
le tue scuse, - ripeto. - Le tue scuse sembrano
come se mi stessi facendo un favore dall’alto della tua perfezione.
-
Tu non puoi
sapere come sono le mie scuse, Evans, - replica Potter indispettito. -
Perché
non te le ho mai fatte.
Questa
volta lo
vedo con la coda dell’occhio alzare la testa dal libro prima ancora di
sentire
la sua voce.
-
Ma certo che
sì, - Il Corvonero mi lancia un’occhiata esasperata. - Te le stava facendo. Era il suo modo stupido di
chiederti scusa, - Poi si volta verso Potter. - E lei te le stava chiedendo, in modo altrettanto stupido.
Di
nuovo
riabbassa lo sguardo tra le pagine del libro, incurante delle due paia
d’occhi
indignati fissi su di lui.
-
Pensa di essere
più intelligente di noi solo perché siamo Grifondoro, - osserva Potter
oltraggiato.
-
Esatto! –
concordo risentita. – Come se avessimo bisogno di un traduttore!
Io
e Potter ci
scambiamo un’altra occhiata scandalizzata, poi il silenzio torna a
reclamare il
suo posto. Gli occhi mi cadono sul Corvonero.
-
Sta facendo il
tema di Storia della Magia, - noto all’improvviso. - Forse lui l’ha
capita
quella cosa sulla trentaquattresima clausola del Trattato dei Goblin, -
rifletto pensosa, prima di alzarmi. - Senti, scusa, non è che mi
spiegheresti...
**********
Il
soffitto della
Sala Comune, coi suoi arazzi scarlatti e fitti di ghirigori dorati, ha
un
effetto abbastanza ipnotizzante di suo, ma il modo in cui la mia testa
abbandonata contro lo schienale del divanetto sembra galleggiare e
roteare tra gli
arabeschi ricamati mentre resto fermo a fissare verso l’alto non può
dipendere
interamente dai disegni.
Mi
sento le
guance accaldate e sono abbastanza sicuro che qualche Grifondoro si
stia
chiedendo perché continuo ad occupare la poltroncina più vicina al
caminetto se
mi sto palesemente arrostendo, le guance arrossate e il viso coperto di
sudore,
ma la verità è che mi sto forzando per non tremare ad ogni brivido che
mi
percorre la schiena.
Ora passa, mi
ripeto per l’ennesima volta,
chiudendo gli occhi solo per scoprire che è peggio e che la mia testa
sembra
vorticare anche di più al buio. È il pomeriggio del giorno prima, non è
nemmeno
ora di cena ancora, ora passa. Non
vedo perché non dovrebbe passare, quando la maggior parte delle volte
non
inizio a stare male davvero prima della mattina stessa. Devo solo
smettere di
pensarci.
Peter
ha
insistito per scendere nelle cucine a prendermi un tè freddo, segno che
non
sono riuscito a nascondere decentemente il mio malessere. Ho le guance
accaldate e le mani gelide e continuo a sudare, e non sono sicuro se
dovrei
bere qualcosa di freddo o caldo al momento, così gli ho chiesto di
portarmelo
tiepido. Lui è sembrato molto felice di avere un compito preciso a cui
adempiere per aiutarmi e se ci sta mettendo così tanto è perché
probabilmente
sta scegliendo anche quale dolce sfizioso portare in aggiunta al tè,
nonostante
sappia benissimo che non riesco mai a mangiare nulla quando sono in
queste
condizioni. Gliene sono grato, ma la verità è che sono felice che ci
stia
mettendo tanto, perché l’unico dei miei amici con cui riesco a
rilassarmi
totalmente quando sono in queste condizioni è Sirius.
Peter
è sempre
così ansioso di aiutarmi, come se ad ogni contrazione sofferente del
mio viso
dovesse seguire un suo intervento tempestivo per migliorare la
situazione in
qualche modo, e James, anche se è più discreto, a volte non riesce a
nascondere
la preoccupazione nelle occhiate di sbieco che mi lancia, e anche
quando riesce
ad evitarle mi resta comunque perfettamente chiara la sua frustrazione
malcelata
nel sentirsi impotente. Sono i miei amici, sono diventati Animagus per
me e non
si danno pace per quello a cui non possono arrivare, perché vorrebbero
superare
il limite e fare l’impossibile anche qui, alleviando il dolore fisico
che
precede e accompagna la trasformazione: è qualcosa di bello e puro a
pensarci
lucidamente, qualcosa che mi fa sentire fortunato, ma quando la febbre
mi
annebbia la mente l’unica conseguenza della loro inquietudine è che una
parte
di me si sente in dovere di non dare segni di sconforto, così che la
luna non riesca
a toccare almeno loro: nelle notti in cui è piena sono i miei amici che
mi
afferrano e mi tirano forte lontano dalla sua presa, allentando il suo
giogo su
di me, ma nei giorni che precedono il plenilunio sono io con i miei
cedimenti
che rischio di trascinarli nella morsa della maledizione ed è l’ultima
cosa che
voglio.
Sirius
è tra
tutti l’unico di fronte a cui riesco ad abbandonarmi senza freni
all’influenza
lunare, senza il pensiero di non rendere visibile la sofferenza: non ha
la
stessa ansia di Peter nell’offrirsi subito di portarmi questo o quello
per
farmi stare meglio non appena mi vede in difficoltà e non mostra la
stessa
frustrazione di James nel non potermi aiutare in alcun modo; ha quella
muta
consapevolezza che è così e basta, che ci sono dei momenti in cui il
mio corpo
si rivolta contro di me ed è destino che io perda, e che cercare di
interferire
sarebbe proprio come provare a impedire al sole di tramontare e
lasciare il
posto alla luna. È stato il primo a completare la sua trasformazione in
Animagus, ma probabilmente è anche sempre stato il solo dei miei amici
a non
illudersi di poter vincere completamente la mia maledizione.
Se
ne sta sul
divanetto davanti a me e fissa corrucciato il tappeto persiano ai
nostri piedi,
assorto. Ha la stessa espressione vagamente contrariata e infastidita
che ha
sempre da un po’ di tempo a questa parte, quella furia in attesa appena
visibile oltre il velo grigio dell’iride, la stessa che forse a un
certo punto
si deciderà a riversare in blocco contro chiunque ne sia la causa
invece che
offrirne un assaggio mitigato a tutti.
Mi
chiedo se James
sappia quale sia il problema e se sia una scelta consapevole il suo
ignorare
completamente le stranezze di Sirius.
-
Ehy, Remus, -
La voce allegra di Lizzie si distingue improvvisamente dal sottofondo
di
chiacchiere e risate che riempie la Sala ed io volto la testa verso di
lei, trattenendo
poi una smorfia per la fitta improvvisa all’altezza della fronte. – Oh
Godric,
sei orribile.
-
Oh, - dico. – Ah.
Beh, mi dispiace.
Lizzie
sgrana gli
occhi.
-
Oh Godric no,
non intendevo che sei orribile, volevo dire, hai, hai
un aspetto orribile, non so perché ho detto sei orribile,
chiaramente non lo sei,
sei molto, - Lizzie sta parlando in modo parecchio veloce, come sempre,
ed il
mio cervello appannato fatica a seguirla, ma all’improvviso si blocca e
si zittisce
per qualche secondo. - Sei nella norma, sì, sei normale. Volevo solo
sapere se
stai bene, perché sembra di no.
-
Sì, sto bene,
beh no, credo che mi stia venendo l’influenza, già, -
Probabilmente ora pensa che io stia
delirando, così le riservo il mio sguardo più lucido. - Se continua
domattina
andrò in Infermeria.
-
Di nuovo? –
Lizzie mi guarda sorpresa. - Non è passato molto dall’ultima volta che
sei
stato male.
-
Sì, sono sempre
stato un po’ cagionevole, l’ho preso da mia madre, - spiego con un
sorriso
pacato. Non sembra nemmeno più mentire ormai.
-
Oh, capisco, mi
dispiace. Brutta storia le madri, la mia mi ha passato dei baffetti che
ricrescono alla velocità della luce, vedi? - Si china appena verso di
me,
indicandosi un punto al di sopra del labbro.- In realtà non li puoi
vedere
perché ogni settimana li faccio evanescere con la bacchetta. Uno ad
uno, è un
compito lunghissimo e noioso, ma so che le babbane se la passano
peggio, - Ho
sentito diverse cose a riguardo, anche se non ho idea di quanto di vero
ci sia
nelle storie che girano: probabilmente alcune parti sono vere, ma
altre, come
la storia della cera bollente, sono una sorta di scherzo comune
architettato
dalle nate babbane delle diverse Case per prendersi gioco
dell’ignoranza della
maggior parte dei maghi sulle usanze babbane. - Beh, se sparisci di
nuovo
magari faccio un salto in infermeria questa volta, per farti compagnia.
- No! No, non, - Me ne rendo conto solo
incrociando i suoi occhi che la risposta mi è uscita un po’ troppo di
getto, un
po’ troppo sospetta e un po’ troppo brusca. Se solo la mia testa non
continuasse a pulsare in questo modo, allora forse il mio cervello
potrebbe
concentrarsi meglio sulla collaborazione con le labbra, ma non è così e
ognuno
va per la sua strada. - Non è il caso, davvero. Non mi piace molto
ricevere
visite quando sono malato.
–
Oh. Ok. Certo,
- Nonostante la confusione nel mio cervello, quello che resta delle mie
abilità
sociali registra comunque che sono stato maleducato e che lei ci è
rimasta
male. Dovrei informarla che la mia testa sta pulsando e che è per
questo che
non sono più in grado di usare tatto o frasi complesse, ma ora non mi
va di
informare nessuno delle pulsazioni della mia testa.
-
Non intendevo,
- sospiro. - Voglio dire, mi farebbe piacere ricevere una tua visita. È
solo
che non sopporto il dolore molto bene e anche quando ho solo un po’ di
febbre
ho la forza solo di stare nel letto con gli occhi chiusi a fingere di
essere
già morto.
–
No, certo, è
ok.
–
E non vorrei
farmi vedere così, mentre fingo di essere morto.
–
È tutto ok,
Remus, davvero, - mi rassicura Lizzie. - A me, quando sto male, piace
avere
gente al mio capezzale che mi serve e riverisce e mi permette di
fingere di
essere in punto di morte e non già morta, quindi ho pensato che anche
tu forse
volevi fingerti in punto di morte e non già morto, ma non siamo tutti
uguali,
quindi, ok.
In
tutto ciò
Sirius non ha ancora alzato gli occhi impassibili dal tappeto e Lizzie
gli
dedica a intervalli regolari occhiate perplesse.
-
Beh, magari
quando finirai in infermeria, se ci finirai, e spero di no, sarò io a
venirti a
trovare, - propongo con un sorriso appena accennato. - E potremo
fingere che tu
stia per morire.
-
Certo, perché
no. Mi piacerebbe molto, - Lizzie annuisce, poi lancia un’occhiata
dall’altra
parte della stanza. - Beh ora vado, Allison mi sta aspettando. Cerca di
rimetterti, Remus.
Quando
si
allontana il silenzio torna ad avvolgere quest’angolo di Sala, poi
Sirius alza
gli occhi su di me, un sopracciglio inarcato.
-
Non potete
andare ad Hogsmeade come le persone normali?
-
Cosa?
La
mia domanda
perplessa non riceve risposta, ma dopo qualche secondo ci arrivo da
solo.
-
No, non era un
appuntamento quello, - spiego. – Quante possibilità ci sono che finisca
in
Infermeria anche lei?
-
Dovremmo fare
qualcosa per i Serpeverde.
-
I Serpeverde? –
ripeto, spiazzato dal repentino cambio d’argomento.
-
Sì, i
Serpeverde.
-
Qualcosa del
tipo? – indago cauto.
-
Tu cosa credi?
Hanno fatto la spia e hanno fatto finire James in punizione.
-
Oh, intendi
qualcosa di vendicativo, certo. Ci avevo già pensato: le pustole sulla
faccia
di Selwyn sono state la nostra vendetta.
-
Selwyn è uno, - Sirius mi guarda eloquente. - Che mi dici degli altri?
-
Gli altri ad
esempio...?
La
risposta è
immediata e senza esitazioni.
-
Piton.
-
Piton, -
ripeto.
-
Piton.
-
E cosa vorresti
fare a Piton?
-
Qualcosa di
spiacevole.
-
Per quale
motivo?
Qualcosa
si agita
negli occhi di Sirius. La mia testa pulsa di nuovo.
-
Da quando ci
serve un motivo? – sibila. - È Piton,
questo è il motivo.
Piton
è Piton e
non posso contraddire Sirius su questo, ma non è come se lui potesse
contraddire me sul fatto che Piton è Piton anche ogni altro giorno del
mese,
proprio ogni singolo giorno e non solo oggi che è quello precedente al
plenilunio, quando la politica dei miei amici è solitamente quella di
starsene
calmi, specie se non provocati.
Glielo
farei
notare, se non fosse che so esattamente come trattare con Sirius quando
ha
questi attacchi di irragionevolezza ostinata, e cioè non trattandoci
affatto.
-
D’accordo, -
annuisco condiscendente. – Aspettiamo James allora e...
Sirius
scuote la
testa con aria distratta.
-
Ecco Peter, ti
ha portato il tè, - dice puntando il buco del ritratto. Ti
ha portato il tè è riduttivo in modo tragicomico, perché Peter
mi ha praticamente portato tutte le cucine. – Ci vediamo più tardi.
Sto
osservando
Peter farsi largo tra gli sguardi avidi e bramosi dei nostri compagni
di Casa,
già tutti eccessivamente interessati al notevole carico di leccornie
tra le sue
braccia, e ci metto qualche secondo di troppo a notare che Sirius si
sta
defilando.
-
Sirius, - lo
richiamo inquieto. – Non credo che dovresti...
Preferirei
che
James fosse qui ora, perché mentre si volta verso di me Sirius ha
improvvisamente
quella sua faccia da prova a fermarmi
e c’è definitivamente qualcosa che mi sfugge nel quadro generale,
qualcosa che
non sfuggirebbe a James, che saprebbe
esattamente cosa dire per fermarlo o saprebbe andare con lui e basta a
fare
qualunque cosa Sirius voglia fare nel modo migliore e meno distruttivo
di farla,
ma ci sono solo io con la mia testa pulsante e me ne resto sul
divanetto a
seguirlo con gli occhi mentre esce dal buco del ritratto.
-
Da che torta
vuoi iniziare, Moony?
**********
-
Hai capito?
-
Sì.
-
Bene, allora
scrivi.
Potter
inizia a
scrivere e anch’io riprendo il mio tema.
Siamo
da soli
ora: il Corvonero mi ha spiegato la faccenda dei Goblin e poi ha preso
la sua
roba informandoci che cambiava tavolo. Avrebbe potuto fare finta di
aver finito
e di essere diretto alla sua Torre, per poi piazzarsi in un angolo
lontano
della biblioteca, ma no, meglio sbatterci in faccia quanto non ritenga
due
Grifondoro dei compagni di studio soddisfacenti. Benissimo, avanti
così.
-
Evans.
-
Mh?
-
È davvero
necessario tutto questo? – Oh, Godric, e ora cosa vuole. - Non possiamo
prendere una fenice, farla piangere e metterci direttamente sotto il
malato a
bocca aperta?
Oh
Godric
santissimo.
-
A me sembra più semplice. Perché
dobbiamo prendere le lacrime della fenice e metterle in una pozione e poi darla
al malato?
E
ne è davvero
convinto, lo vedo nei suoi occhi. Godric.
-
A che ci serve
la pozione? È un passaggio in più.
E
va bene.
-
Allora, punto
primo, Potter, - Mi allungo fulminea verso il suo braccio e stringo tra
due
dita la carne lasciata scoperta dalla camicia arrotolata fino ai
gomiti,
girando poi velocemente la mano nello stesso modo che ha sempre fatto
emettere
a Petunia tutti quei versetti striduli.
-
Ehy! – Potter non produce versi
bizzarri, ma la sua espressione sconvolta è ancora più divertente.
-
Dov’è la tua
fenice, mh? – lo incalzo.
-
Non ho una
fenice! – protesta indignato.
-
Appunto, -
concludo pacata.
Potter
mi fissa
con la bocca spalancata per diversi secondi prima di richiuderla.
-
E c’era bisogno
di picchiarmi? – aggiunge poi offeso.
-
Oh, andiamo, - sbuffo. - Non ti ho picchiato, Potter, non essere
melodrammatico. Ecco, - Allungo un braccio nella sua direzione. - Dammi
anche
tu un pizzico e siamo pari.
Non
gli dico che
tanto non sarà comunque mai micidiale quanto i miei: anni e anni di
pratica.
-
Non voglio
darti un pizzico, Evans: sei tu che
sei attratta dalle mie braccia.
Potter
crede che
io sia attratta dalle sue braccia e quindi lo guardo.
Lui
mi guarda.
Il
suo
avambraccio finisce di nuovo nella mia presa ferrea.
- Ehy!
La
sua faccia ora
è così divertente.
Non
credo di
essermi mai divertita tanto in presenza di Potter e questa è la chiave
del
nostro rapporto: per andare d’accordo con certe persone basta
conoscerle
meglio, altre, altre devi solo picchiarle.
-
Ora, se io ti
avessi colpito con un coltello, mettiamo, - riprendo pratica. - Ti
troveresti
con un taglio sul braccio e potresti versarci sopra delle lacrime di
fenice
pure e semplici, nel caso tu te ne fossi comprato una fiala. Se
invece...
-
Quanto costano?
-
Dieci galeoni a
provetta.
-
E quanto costa
una fenice? – chiede Potter assorto.
-
Non lo so.
-
Secondo me
conviene comprarsi una fenice, Evans, - decreta infine.
-
Può darsi, non
è questo il punto, - replico noncurante, cercando di proseguire con la
spiegazione. Dove cercando è la
parola chiave.
-
Voglio dire,
puoi farla piangere tutte le volte che ti fai male e puoi farla
piangere anche
altre volte, così puoi rivendere le sue lacrime, - insiste infatti.
-
D’accordo,
Potter, però, tornando a...
-
No, no, Evans,
fermati, - La verità è che inizio a capire perché quel Corvonero se n’è
andato.
La necessità di Potter di interrompermi è tale che si sta agitando
sulla sedia,
fremente. - Dobbiamo procurarci una fenice e questa roba non ci servirà
più a
nulla: metteremo su un allevamento di fenici e diventeremo ricchi, non
abbiamo
più bisogno di un’istruzione.
-
Non lascerò la
scuola per mettere su un allevamento di fenici con te, Potter, - metto
le cose
in chiaro.
-
Silente ha una
fenice, - mi ignora. - Possiamo rubare la sua.
-
Non sarebbe
nemmeno rubare, sai, credo che abbia un debole per me, - continua senza
farmi
ribattere e oh, wow, che novità, Potter che pensa che qualcuno abbia un
debole
per lui. - Quella volta che sono arrivato nell’ufficio di Silente
sanguinante
dopo che quei dieci Serpeverde mi avevano teso un agguato, lei...
-
Avery.
Potter
mi guarda.
-
Non erano
dieci, - spiego. - Era Avery e basta.
-
Erano dieci.
-
Era Avery.
-
Erano dieci.
-
Era Avery.
-
D’accordo, era
Avery, ma Avery è grande come dieci Serpeverde, - si arrende alla fine
ed io
ripenso a quella mattina del terzo anno, quando è entrato in Sala
Grande con un
occhio nero: quello è stato un giorno glorioso e indimenticabile. Anche
e
soprattutto per la storia dei vestiti di Avery che sono scomparsi
all’improvviso di fronte a tutti all’ora di cena. Eww.
– Comunque mi è volata in braccio, proprio mentre Silente mi
stava sgridando senza motivo come i professori sempre fanno, e mi ha
pianto su
tutta la faccia, che è un chiaro segnale del fatto che preferirebbe me
come
padrone.
-
Potter, -
Lancio un’occhiata eloquente alla sua pergamena ancora quasi del tutto
linda.
-
D’accordo,
d’accordo, - sospira riprendendo tra le dita la sua piuma. - Dopotutto
perché
diventare milionari quando possiamo passare altri due anni qui a
riempire
infiniti rotoli di pergamena che ci permetteranno di ottenere banali e
noiosi
lavori sottopagati una volta presi i M.A.G.O.?
-
Tu sei l’ultima
persona che potrebbe ritrovarsi con un lavoro banale o noioso, Potter.
Lui
mi guarda
sorpreso.
-
Perché?
-
Perché non è
quello che accade alle persone come te, - chiarisco con un’alzata di
spalle. - Tu
diventerai famoso per qualche impresa particolarmente stupida o farai
qualcos’altro per cui tutta la Gran Bretagna conoscerà il tuo nome, e
poi
verranno tutti da me a chiedermi “È vero che eri nello stesso anno di
James
Potter ad Hogwarts?” e sarà tutto molto seccante e tu riuscirai a
infastidirmi
anche quando non ci rivolgeremo più la parola.
-
Io ti parlerò
sempre, Evans, - replica subito Potter. - Anche quando tutto il mondo
magico
conoscerà...
-
La Gran
Bretagna ho detto.
-
Tutto il mondo magico conoscerà il mio nome
ed
io mi presenterò sul tuo posto di lavoro almeno una volta a settimana,
in
groppa al mio stormo di mille fenici, inseguito da giornalisti e
fotografi, e
continuerò a scriverti lettere e...
-
Non mi hai mai
scritto una lettera in vita tua.
-
Inizierò.
-
Ti pagherò per
non farlo, - decido. - Probabilmente sarai così ricco solo perché io ti
pagherò
così tanto per farti stare lontano da
me e...Potter, dannazione, smettila di distrarmi! Le lacrime di fenice
allo stato
puro si vendono e le puoi usare per curarti un taglietto superficiale o
cose
del genere, ma per avere effetto su alcune patologie vanno combinate
con
diversi ingredienti ed è qui che entrano in gioco le pozioni. Ora sta’
zitto e
scrivi.
Potter
mi lancia
un’ultima occhiata di sottecchi con l’accenno di quel suo ghigno
sornione, poi
abbassa finalmente gli occhi sul libro e mi lascia fare altrettanto.
Un
allevamento di
fenici, ma per cortesia.
Quando
poi
esistono gli Snasi che sono in grado di trovare e rubare oro.
Ora,
questo è un piano.
-
Perché sorridi,
Evans?
-
Non sto
sorridendo, Potter, - nego subito, perché non posso condividere con lui
i miei
progetti di futura ricchezza: non è una persona affidabile e
sicuramente lo
direbbe a Black, che verrebbe a rubarmi tutti gli Snasi e allora addio
oro. E
c’è quella storia di tutti i giovani maghi di sesso maschile che non
riescono
proprio a resistere a quella battuta su cosa uno Snaso troverebbe nelle
loro
mutande e no grazie. - Sto mostrando i denti, per farti paura nel caso
guardassi me invece della tua pergamena.
-
Paura, - ripete
Potter che sta, infatti, guardando me invece della sua pergamena.
-
Paura, -
confermo. – Gli animali lo fanno, - spiego e poi scopro ulteriormente i
denti
in una smorfia aggressiva che realizzo troppo tardi essere più ridicola
che
minacciosa. Dannazione.
-
Beh, anche la
tua non fa per niente paura, Potter, - puntualizzo.
-
Stavo
sorridendo, Evans.
Giusto.
-
Non sorridere,
- dico. – Scrivi.
Potter
torna
serio.
-
D’accordo.
Abbassa
lo
sguardo sulla pergamena a rileggere le poche righe che ha scritto e
anch’io
torno a rileggere le mie. Poi gli lancio un’occhiata e incrocio i suoi
occhi
nocciola fissi su di me. Sento un lieve calore salirmi alle guance
senza alcun
vero motivo e torno a guardare la mia pergamena. Quando sbircio di
nuovo si è
finalmente messo a scrivere e ha un sorrisetto sulle labbra, perché è
così
chiaramente uno squilibrato.
**********
-
Va bene, -
Evans finisce di leggere il mio tema e me lo passa. – Non è da E, ma
non è meno
di Accettabile, forse anche Oltre Ogni Previsione, dipende dall’umore
di
Lumacorno.
-
Accettabile è già oltre ogni previsione, Evans, -
commento infilando il tema nella borsa. In effetti, è oltre ogni
previsione
anche solo l’avere il tema per mercoledì già pronto, quando normalmente
lo
avrei scritto in dieci minuti martedì notte.
-
È oltre ogni
previsione perché non ti impegni, Potter, - sottolinea alzandosi e
iniziando
anche lei a infilare i libri nella borsa. – Non ti ho aiutato così
tanto,
avresti potuto farlo anche da solo, con la differenza che da solo
avresti
cercato di finirlo in due minuti copiando pezzi a caso dal libro.
-
Non pezzi a
caso, solo le frasi dove compare ‘fenice’, - specifico.
-
Per l’appunto,
- annuisce. – Senti, abbiamo ancora un paio d’ore prima di cena, a
questo punto
tanto
vale fare un salto nei sotterranei per provare una delle pozioni
curative che
faremo mercoledì a lezione, - propone sbrigativa. - Se tu riuscissi a
farla
quasi decente al primo colpo davanti a Lumacorno, quello sì che sarebbe
oltre
ogni previsione. E vedrebbe che ti stai impegnando.
-
Wow, Evans, è un sacco di tempo da
passare insieme oggi.
-
Ne sono dolorosamente consapevole, Potter, ma piuttosto che farlo
domani
preferisco finire tutto oggi e lasciare la giornata di domani
incontaminata
dalla tua presenza.
-
Avremo comunque lezione insieme, sai, - sottolineo, arricciando le
labbra
contrariato dalla sua scelta di parole. Incontaminata,
come se fossi un qualche virus infettivo.
-
Sì, ma non avremo contatti ravvicinati, è diverso.
-
Zero contatti?
-
Zero.
-
Non posso nemmeno avvisarti della carta igienica attaccata alle tue
scarpe se
dovesse succedere?
-
Starò attenta a non farlo succedere, Potter, - mi assicura, prima di
fulminarmi
con gli occhi in maniera eloquente. - E anche tu
starai attento a non farlo succedere.
Non
riesco a trattenere un ghigno colpevole.
-
Come vuoi, Evans, andiamo.
Il
tragitto dalla biblioteca all’aula di Pozioni procede relativamente
tranquillo
e senza incontri degni di nota, fino a quando un pallido naso aquilino
svolta
l’angolo e inizia a percorrere il corridoio nella direzione opposta
alla nostra,
avvicinandocisi e offrendomi su un piatto d’argento l’occasione di
migliorare
sensibilmente la giornata.
Subito
gli pianto la mia miglior espressione
gongolante in faccia, iniziando a parlare a voce forzatamente alta.
-
È così rilassante camminare per i corridoi
insieme, Evans, non trovi? Diretti in una destinazione comune dove
passeremo
del tempo da soli e dove tu mi
rivolgerai la parola, perché tu mi
rivolgi ancora la parola.
-
Potter, ti ha dato definitivamente di volta
il cervello? – Evans mi lancia un’occhiata perplessa, poi segue la
direzione
del mio sguardo e scorge Piton, che sta camminando velocemente a pochi
passi da
noi, gli occhi fissi davanti a sé e le labbra strette forte l’una
contro
l’altra. Subito si incupisce. - Sei incommentabile.
-
Sì, Lily, mi sembra un’idea fantastica,
perché no! Anche tu puoi chiamarmi James, certo! – quasi grido mentre
Piton
raggiunge la fine del corridoio e svolta l’angolo, sparendo alla vista.
Sono
così appagato e impegnato a immaginarmi la sua faccia ora che è fuori
dal nostro
campo visivo che non faccio caso ad Evans fino a quando la sua scarpa
non si
schianta forte proprio contro il mio stinco.
-
Evans, cazzo, ahi!
-
Ti ci affogo nel calderone, Potter, - sta
borbottando irata, il passo che aumenta sempre più. – Ti affogo e poi
preparo
una pozione solvente per far sparire il tuo corpo. La so fare, è roba
del
quinto anno, non credere. Anzi, sai cosa, ti affogo direttamente nella
pozione
solvente, così la tua faccia inizierà a sciogliersi quando sarai ancora
vivo e
allora forse diventerai un po’ più maturo.
-
In che modo sciogliermi la faccia dovrebbe
rendermi più maturo, Evans?
-
Qualunque cosa ti renderebbe più maturo,
Potter, perché meno maturo non puoi
diventarlo, essendo tu già al livello più basso esistente.
-
Ok, ma è più sensato che uno dissolvendosi
diventi meno piuttosto che più, no?
-
Potter, seriamente, lasciami stare. Sono
irritata.
-
D’accordo, Evans, però calmati, ok? Stavo
scherzando, - la rabbonisco. - Non puoi davvero
chiamarmi James.
Questa
volta sono pronto e riesco ad evitare il calcio sugli stinchi.
**********
Potter
è concentrato a mescolare la sua
pozione e così le mie orecchie hanno finalmente la possibilità di
rilassarsi
per un momento. Non credo di aver mai passato così tante ore
consecutive a
stretto contatto con lui e ho sempre dato per scontato che a un certo
punto si
scaricasse momentaneamente, dimenticandosi di essere un aspirapolvere e
comportandosi a tratti da normale scopa babbana, ma non è così. Non ci
sono
momenti morti nel suo essere James Potter, lo è proprio a tempo pieno.
Forse
sta in carica tutta la notte oppure non necessita di carica e basta,
fatto sta
che la sua autonomia è molto più inesauribile della mia, che dopo un
solo
pomeriggio con lui è già sull’orlo del collasso. Non ha nemmeno bisogno
di
parlare per importunarmi, gli basta fare quella cosa con gli occhi, e
subito
qualcosa si smuove dentro di me, anche quando non mi sta nemmeno
guardando; è
semplicemente il suo talento naturale nell’infastidirmi e inizio a
credere che
non dipenda nemmeno da lui.
-
Bene, ora aggiungi le zampe di ragno, - lo
istruisco dopo aver lanciato un’occhiata all’orologio. Non è un compito
particolarmente difficile e così mi concedo di non controllarlo a vista
come ho
fatto finora, solo che quando mi rigiro scopro che Potter ha trovato il
modo di
renderlo difficile: sta inclinando l’intera scatola con le zampe al di
sopra
del calderone ed io riesco a fermare la sua mano appena in tempo,
saltando giù
dal banco su cui mi stavo rilassando.
-
Potter, - Mi porto le dita alle tempie. –
Cosa stai facendo?
Alza
le spalle.
-
Quello che mi hai detto.
-
Non ti ho mai detto di rovesciarci l’intera
scatola: prendi con le dita solo quelle che ti servono e metticele
dentro, come
i bambini normali.
-
Non posso toccarle, Evans.
Sgrana
gli occhi e mi guarda come se fossi
pazza.
Non
può toccarle, certo. Non. Può. Toccarle.
Godric,
davvero? Culla dei coraggiosi di cuore?
-
Ho toccato le dannate lumache cornute, con
la loro bava viscida e appiccicosa, ma non c’è niente che tu possa dire
per
convincermi a toccare le zampe di ragno, - continua imperterrito,
leggendo
evidentemente lo scetticismo nei miei occhi. - Sono disgustose e
ricoperte di
peli, non vedo perché dovremmo aggiungerle alla pozione. Non ci
possiamo
mettere qualche altra radice invece? Tipo, l’asfodelo o...
-
Potter, - sospiro, sfilandogli di mano la
scatolina e rassegnandomi ad aggiungere da sola alla pozione le tre
zampe. -
Non cambieremo gli ingredienti delle pozioni a seconda della tua fobia
per i
ragni, non è così che funziona, né Pozioni né la vita in generale.
-
Non è fobia, Evans, io non ho paura, è buonsenso.
-
Tu hai definitivamente paura.
-
Non essere ridicola.
Potter
scuote la testa e prima ancora che
abbia finito di parlare ho la bacchetta tra le dita. Il pestatoio di
legno sul
banco davanti a lui, proprio di fianco alla sua mano, inizia a
ricoprirsi
lentamente di spessi peli neri e tempo pochi secondi un’enorme
tarantola prende
il suo posto.
-
Evans, dannazione, cosa stai facendo?!
Mi
sono sempre piaciute le tarantole, ancora
prima che scoprissi l’effetto di repellente che hanno su Potter. Se ne
adottassi una come animale domestico e me la portassi in giro tutto il
tempo,
lasciandola libera di zampettare sulle mie spalle e braccia, allora
forse la
mia orbita vitale smetterebbe di scontrarsi con la sua così spesso.
-
Sto provando un punto, Potter.
-
Quella cosa abominevole non prova nulla, se
non che tu sei folle.
-
Prova che hai una fobia.
-
Perché ora continui a ripetere quella
parola? Cosa ti fa pensare che io abbia una fobia?
-
Il fatto che sei spiaccicato contro il muro
dell’aula e stai cercando di passarci attraverso perché io ho evocato
un ragno,
Potter, - rispondo pacata, mentre lui continua a restare appiattito
contro il
muro dalla parte opposta dell’aula, gli occhi sbarrati che si spostano
cautamente da me alla tarantola e viceversa. Questa lezione è così tanto più divertente dell’ultima. -
Coraggio, hai paura dei ragni e sei un disastro in Pozioni: possiamo
arrivare a
tanto o è semplicemente troppo da ammettere nel giro di così poco tempo?
-
Sono un disastro in Pozioni, ma non ho paura dei
ragni. Non mi
piacciono e basta, è diverso. Come il marzapane, ok? Non mi piace, ma
nessuno
mi accusa di avere una fobia per il marzapane, - Mamma faceva dei
biscottini di
marzapane divini e mi sconvolge il pensiero che a qualcuno possa non
piacere il
marzapane, ma d’altro canto non posso aspettarmi dei gusti decenti da
Potter:
probabilmente è una di quelle persone gnegne
che scartano i canditi da tutti i dolci, e insomma non c’è nulla di
cui
stupirsi se poi fa esplodere le pozioni.
- E se la prossima parola che dirai non sarà Evanesco,
la prossima parola che dirò io sarà Incendio, Evans,
ti avverto.
-
D’accordo, torna qua, - sospiro ritrasfigurando
con un colpo di bacchetta la tarantola al suo stato originale di
pestatoio. –
Guarda, le hai fatte cadere tutte. Accio
zampe di ragno.
-
Oh beh, sono sicuro che non avrai problemi
a trovarne altre, sei così brava a trasfigurare ragni, - Potter si
riavvicina
indispettito, mentre io vengo bersagliata dalle zampe sottili che si
vanno a
schiantare fulminee contro le mie guance, una dopo l’altra: mai
pronunciare gli
incantesimi d’appello in modo brusco, mai. - Davvero, chi te l’ha
insegnato?
Perché una persona normale dovrebbe voler imparare una cosa del genere?
Non
potevi imparare a trasfigurare, che so, delle farfalle?
-
Non mi piacciono le farfalle, - replico con
un’alzata di spalle. - Hanno quel corpo e quella faccia ripugnante nel
mezzo, sono
praticamente dei vermiciattoli pelosi, ma nessuno ha il coraggio di
dirlo
perché si sentono tutti in dovere di elogiare le ali colorate. Lo trovo
ipocrita.
Potter
mi sta ora guardando come se avesse
appena avuto un’apparizione e chiaramente non avrei dovuto farlo
spaventare
così, perché ora il suo cervello non connette più.
-
Anche io, - esala infine, a metà tra
l’incredulo e l’ebete. – Anche io la penso così, Evans, ho sempre
odiato le
farfalle! Sono disgustose! – E sembra così
felice mentre lo dice. – Sono rivoltanti! Se ce ne fosse qui una ora io
la...la...non la toccherei! – Ed è
sempre più contento. - Perché mi farebbe schifo!
Potter
ha questa luce sinceramente esaltata e
trionfante negli occhi e continua a sorridere come il pazzo che è e
tutto
questo è molto strano.
-
Wow, Potter, - commento sarcastica, mentre
mi chino ad aggiungere le zampe alla pozione fumante. - Spero per le
farfalle che
non si trovino mai in tua presenza, dev’essere devastante non
essere toccate da te.
-
Ci pensi spesso, Evans?
La
voce di Potter si fa improvvisamente più profonda
ed io mi volto a guardarlo.
-
Alle farfalle?
-
A quanto sia devastante non essere toccata
da me.
Non
sono tanto le cose che dice, quanto
l’espressione seria e il tono profondo che riesce a mantenere.
-
Vieni qua, Potter.
-
Così, dritti al sodo?
-
No, intendo: vieni qua, chiudi la bocca e
riprendi a fare la pozione prima che io faccia evanescere la porta e
trasfiguri
ogni singolo oggetto presente in questa stanza in un ragno e ti guardi
piangere
e disidratarti fino alla morte.
Potter
sta riflettendo sulle mie parole e le sta elaborando con il cervello
rallentato
che gli è rimasto dopo lo spavento di poco fa, e prima che possa
uscirsene con
una replica fastidiosa gli ho già piazzato in
mano il mestolo, che notoriamente annulla ogni sua singola
capacità
mentale e di conseguenza ogni eventuale risposta arguta.
-
Gira, - gli dico, come se poi non fosse
l’unica mossa possibile quando hai in mano un mestolo infilato in un
calderone
pieno fino all’orlo, ma va’ a capire con Potter.
Dopo
qualche minuto aggiungo qualche altra
zampa di ragno, poi ripongo la scatolina nell’armadietto delle scorte.
-
Quindi fammi capire, Potter, - La mia
fronte si aggrotta mentre mi riavvicino alla postazione, pensierosa. -
In sei
anni non hai mai messo le zampe di ragno nelle pozioni che lo
richiedevano,
nemmeno una volta?
-
No, - Alza le spalle. - Oh andiamo, non
guardarmi così. È un ingrediente solo, che cambia? Le pozioni hanno un sacco di ingredienti.
La
mia bocca si apre e poi richiude, perché
lo ha detto davvero.
Probabilmente
è così che si è sentita la
McGranitt al mio primo anno, quando sono rimasta per quasi un’ora dopo
la
lezione nell’aula con lei a insistere perché mi spiegasse in modo più
chiaro
come fosse possibile trasformare un oggetto inanimato in un essere
vivente e
viceversa. ‘Ma allora perché non crea
anche un essere umano, professoressa? Sarebbe come Dio!’ continuavo
a
ripeterle, mentre le sue labbra diventavano sempre più bianchi e
sottili e lei
cercava di spiegarmi la differenza tra se stessa e il Dio in cui
credevo allora. Ricordo ancora il paragone che mi ha
convinta a darle pace alla fine, quello sulla cucina e sul medesimo
impasto che
può assumere forme diverse ma senza mai cambiare la sostanza.
Certo,
con tutta probabilità Potter non sa
nemmeno cucinare.
-
Ok, pensa al Quidditch, d’accordo? – inizio
ispirata, attirandomi immediatamente la sua attenzione. - Alla partita
del
prossimo mese contro Tassorosso per la precisione: ci saranno un sacco di lanci, ma se il tuo Portiere
dovesse mancarne uno, scommetto che non alzeresti le spalle pensando che cambia, è solo uno su tanti, dico
bene? – Potter mi osserva assorto, ponderando le mie parole o fingendo
di
farlo. – Quidditch, Pozioni, è la stessa cosa: non importa se ci sono
un sacco
di ingredienti e un sacco di passaggi, ogni mossa è fondamentale, tutto
influisce sul risultato e se tu non metti le zampe di ragno nella
pozione,
allora Tassorosso vincerà la partita.
Non
faccio in tempo a finire che la sua mano
scatta veloce verso... – Potter! Che
diavolo fai?
-
Precauzione, Evans.
-
Potter, no, -
lo richiamo stancamente. - Te l’ho detto anche l’altra volta, non puoi
metterceli così i pungiglioni di Doxie se non sono freschi, li devi
tritare.
Potter si blocca con la punta di un
pungiglione già immersa nel rosa perlaceo della pozione e lo ritira
fuori senza
problemi, sbattendolo sul banco e iniziando a schiacciarlo con il
pestatoio.
Non ne prende uno nuovo che non sia entrato in contatto con la pozione
e non ha
quello sguardo da ‘ah, merda, è vero’
che hanno di solito le persone quando gli viene fatto notare un errore
in
qualcosa che si stanno impegnando ad imparare; ha la solita espressione
rilassata e come ogni volta che lo correggo non tradisce alcun
interesse con
gli occhi. Non alza le spalle fregandosene apertamente e ogni volta fa
subito
quello che gli dico, ma è come se emanasse comunque un’impercettibile
alzata di
spalle attraverso la sua espressione impassibile e che lo faccia
consapevolmente o meno non riesco a non avvertirla.
È
come se fosse
in quest’aula, ma non del tutto, come se volesse effettivamente andare
bene in
pozioni, abbastanza da presentarsi qui e svolgere meccanicamente le mie
indicazioni, ma non abbastanza da dedicarvisi fino in fondo, chiamando
a
raccolta tutte le sue capacità. Non faccio che notarlo sempre più
mentre il
tempo passa e mi urta questo atteggiamento di implicita superiorità,
perché io
invece qui ci sono davvero e ci sto provando proprio con tutte le mie
risorse a
fargli capire il meccanismo alla base di ogni pozione, anche se non
siamo
nemmeno amici, perché è quello che ho detto che avrei fatto e non mi
piace non
essere in grado di mantenere la mia parola. Ma è tutto inutile se
dall’altra
parte c’è il muro invisibile di chi non si abbassa a provarci
seriamente e il
mio primo istinto è proprio quello di prendermela e mandarlo a quel
paese.
-
Lo
sai, Potter, il fallimento non è la cosa peggiore che
esista.
Ma
a
volte, solo a volte, riesco ad arrivare alla fine dei famosi dieci
secondi e
continuare a riflettere appena un altro po’ prima di aprire la bocca.
-
Cosa? – Potter alza lo sguardo dalla
pozione e non ha chiaramente idea di che cosa stia parlando.
-
È questo il problema, no? – Scrollo le
spalle. - Sei abituato a vincere e ti sei convinto che perdere sia la
cosa
peggiore che potrebbe capitarti. E quindi non ci provi nemmeno, perché
se resti
distaccato non ha importanza se poi non riesci, perché tanto non ci
stavi
davvero provando, - Le labbra di Potter si schiudono lentamente come se
volesse
interrompermi, ma io continuo imperterrita, anche perché qualcosa nel
suo
sguardo mi suggerisce istintivamente che non ha veramente qualcosa da
ribattere. – Ti opponi automaticamente all’idea di buttarti del tutto
in
qualcosa che non hai la certezza di poter vincere perché se il tuo
meglio non
fosse abbastanza ti crollerebbe il piedistallo da sotto i piedi.
-
È questo che sto facendo? – Potter inarca
un sopracciglio e ogni vibrazione nella sua voce esprime scetticismo. -
Non ci
sto provando davvero per paura di non riuscire?
-
Non lo so, Potter. Dimmelo tu: perché non
ci stai provando?
-
Ci sto
provando.
-
Io credo che tu ti sia rassegnato a perdere
anni fa e per questo ti trattieni invece di mettertici sotto, - replico
risoluta. - Ma il punto è, Potter, non funziona così, non è così che si
ottengono le cose nella vita: non puoi lottare solo quando sai di poter
vincere.
Non
so perché dal fatto che lui non ha
tritato i pungiglioni di Doxie prima di metterli nella pozione sono
finita a
questi livelli di profondità inopportuna e da come mi guarda nemmeno
Potter lo
sa. Alice direbbe che sono in uno dei miei momenti di spessore fuori
luogo,
come li chiama lei, e avrebbe ragione, perché sono proprio nel bel
mezzo del
mio momento e ormai devo concluderlo o mi resterà una spiacevole
sensazione di
profondità inespressa per tutto il resto del giorno.
-
Provaci. Provaci sul serio. E potresti
fallire, ma non sarà la fine del mondo. Nessuno
a parte te si aspetta che tu sia perfetto in tutto, - E mi trattengo
dallo
specificare che infatti agli occhi delle persone sane di mente non c’è
proprio
nulla di perfetto in Potter, a partire dai suoi ridicoli capelli. - Hai
chiesto
il mio aiuto ed eccotelo qui: vuoi diventare un bravo pozionista,
Potter? Impara
a perdere.
Questi
miei momenti improvvisi hanno sempre
il medesimo effetto sulle persone e Potter chiaramente ora crede che io
sia
pazza e ha ragione, perché solo una persona pazza cercherebbe di
indagare la
logica dietro alle sue azioni e ai suoi occhi e in generale dietro a
tutti i
bizzarri meccanismi del suo essere un aspirapolvere.
*
Evans
è
chiaramente fuori di testa.
-
Triterò i
pungiglioni di Doxie non freschi, Evans, - Annuncio lentamente e sa di
promessa.
– Hai la mia parola.
Lei
mi scruta per
diversi secondi.
-
Bene, - decreta
infine. – Ora pulisci tutto e rifletti sui tuoi errori.
Senza
più
degnarmi di uno sguardo si infila il libro nella borsa e se la getta
sulle
spalle.
-
Ora se permetti,
- Mi fa un cenno col capo e mi supera impettita, diretta verso
l’uscita, salvo
poi fermarsi dopo pochi passi.
-
Lo sai, Potter,
- dice, tornando indietro e porgendomi la mia spilla da Capitano. - Per
essere il
Cercatore migliore della scuola, hai dei pessimi riflessi.
-
Sono il Cercatore migliore della scuola? – ripeto subito gongolante.
Evans
apre la bocca spiazzata, evidentemente presa in contropiede, poi agita
la mano
come a scacciare una mosca.
-
Prenditi la tua spilla e basta.
Appuntarmi
al petto la C dorata sulle due scope incrociate è appagante come sempre
e me la
rimiro soddisfatto. Evans, intanto, mi sta fissando assorta.
-
Quindi dal mantello non puoi separarti qualche ora senza dare di matto,
ma la
spilla da Capitano me la lasci due giorni senza neanche richiedermela?
– chiede
inarcando un sopracciglio.
Le
sorrido sornione.
-
Tu puoi prendere quello che vuoi,
Evans.
Mi
guarda ed emette uno strano verso per niente attraente, una cosa a metà
tra uno
sbuffo scettico e qualcuno che si sta strozzando, poi alza gli occhi al
cielo e
se ne va, lasciandomi da solo nell’aula silenziosa.
E
il fatto è, è come con il Quidditch.
Non
importa se siamo praticamente fuori dalla competizione e tutti ci danno
per
spacciati, come se avessimo già perso. Il resto della scuola può
guardare al
punteggio e alla logica e ai fatti quanto vuole, ma alla fine la
metteremo
comunque nel culo a tutti e ci prenderemo quella Coppa, stracciando
Tassorosso
prima e Corvonero poi, perché questo è esattamente quello che i
Grifondoro
fanno, ignorare il buonsenso e le probabilità e vincere anche quando la
partita
è già persa.
I
Corvonero sono convinti che gli unici rimasti a porsi tra loro e la
Coppa siano
i Tassorosso, ma saremo noi a sfilargliela dalle mani alla fine, perché
Evans
ha ragione ed io non so perdere. E checché ne pensi non è un difetto,
perché è
il non saper perdere che mi fa vincere anche quando dovrei solo
accettare la
sconfitta.
È
il non saper perdere che mi ha spinto a prendere in mano un libro
sull’Animagia
e a provarci per anni, a dispetto di tutti i ‘‘praticamente
impossibile’, ‘magia estremamente avanzata’, ‘pericolo di
morte’, a dispetto della frustrazione di tentativi continui ed
infruttuosi.
Avrei dovuto imparare a perdere allora, quando a Sirius è uscito il
sangue dal naso
per quasi una notte intera, senza che potessimo spiegarlo a Madama
Chips, o
quella volta che mi è mancato il respiro fino a farmi svenire e Remus
ci ha
urlato contro così tanto perché smettessimo di provarci. Avrei dovuto
imparare
allora a perdere e rassegnarmi a vederlo tornare distrutto e coperto di
nuove
cicatrici dopo ogni luna piena, come ogni amico o parente di un
licantropo ha
fatto da che è esistita la maledizione, ma non sapevo come fare e così
al
quinto anno abbiamo vinto la luna, perché nessuno ci aveva insegnato a
perdere.
Ed
è lo stesso motivo che ci spinge ad allenarci per ore sotto la pioggia o contro il vento gelido invece di rintanarci
davanti al caminetto della Sala Comune perché tanto ormai siamo fuori
dai
giochi. Vinceremo quella Coppa perché non possiamo accettare
altrimenti, ma
Evans non è una Coppa e Sirius ha ragione: il rifiuto di perdere che mi
spinge
a reagire in ogni altra situazione con Evans non fa che paralizzarmi,
ed è
patetico e vergognoso e qualunque altra cosa lui abbia detto o pensato.
È
patetico e non è come un Grifondoro dovrebbe affrontare la situazione.
Non
affrontare
la situazione, non è come un
Grifondoro dovrebbe affrontare la situazione, e mi prenderei a pugni
perché è
esattamente quello che sto facendo: la verità è che non ci sto nemmeno
provando.
E
non è qualcosa che mi è mai successa prima, la paura
paralizzante di perdere, perché James Potter non perde
e basta, e questo è in realtà il vero problema: perché questa
partita invece sembra già persa in partenza.
Ma
il fatto è, sono James Potter e non c’è nulla che io non riesca a fare.
E se
per vincere questa partita devo perderla e perderla e poi perderla
ancora, allora
imparerò a perdere. E perderò meglio di chiunque altro, perché questo è
quello
che James Potter fa, essere meglio degli altri.
Philips
non saprà nemmeno cosa l’ha colpito, sul campo e fuori: ho smesso di
ritirarmi
prima del fischio d’inizio.
In
quanto ad Evans, farà meglio a prepararsi, perché James Potter ha
iniziato a
giocare.
Se
solo non avessi un pungiglione di Doxie conficcato nel dito.
Durante
i suoi anni ad Hogwarts, Harry passerà diverso tempo con gli occhi
alzati al
soffitto incantato della Sala, a correre tra finte nuvole e candelabri
danzanti
di fiammelle dorate, ma non noterà mai la cravatta dal rosso sbiadito
che
vent’anni prima fece finire in punizione suo padre e sua madre.
Quella
stessa cravatta che subito si solleveranno a cercare gli occhi di Remus
Lupin
quando rientrerà in Sala Grande per la prima volta dopo una vita
intera, nelle
vesti del nuovo professore di Difesa Contro le Arti Oscure: rivedrà
James
sfilargliela dal collo con quel suo sorriso malandrino, sentirà la voce
vibrante di Lily nella penombra di scaffali carichi di vecchi trofei, e
la risata
di Sirius sarà così forte da rimbombare nella Sala anche a vent’anni di
distanza e avrà il sapore di un tradimento impossibile.
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Fun fact
numero due: no, non è un fun fact, è solo una specificazione che sento
il
bisogno impellente di fare perché mi avete fatto sentire estremamente
in colpa
scusandovi per il fatto di fare i lettori silenziosi ecc, quando omg no
non
scusatevi, quindi --- > Tu, lettore silenzioso che stai leggendo,
non ti
odio e ti voglio bene lo stesso e non mi devi assolutamente nulla e
commenta
solo se hai voglia. Ci tengo a specificarlo perché ho sempre trovato
ridicolo pretendere recensioni o atteggiamenti
simili, anche perché non è che io vi do qualcosa in cambio, nemmeno
faccio
spogliare Sirius nei capitoli, quindi davvero, con che faccia posso
chiedere
cose, mi interessava solo farvi sapere una cosa che magari non sapete,
ovvero che effettivamente a volte un commento fa la differenza,
soprattutto
quando come me non parli del fandom di HP con nessuno nella vita reale
e quindi
non ci pensi nemmeno, e ci stai fondamentalmente lontana il 99% del
tempo, e
l’unico momento in cui ci penso (sono appena tornata alla prima persona
completamente a caso yep) è effettivamente quando posto e leggo poi le
vostre
reazioni, e per esempio dopo aver letto la recensione infinita e
appassionata
di Emma (e aver quindi pensato ai malandrini per un’ora intera perché
ci ho
messo tipo un’ora a leggerla) è successo che il mezzo capitolo che non
doveva
mai vedere la luce perché era a metà e io non l’avrei finito è invece
ora
intero, perché quando qualcuno ti ripete così tanto quali sono le cose
che ti
piacciono della storia capita che magari lo ricordi anche tu e ti trovi a scrivere la metà di capitolo che
mancava e a divertirti nonostante i “gnegne il fandom di HP ormai mi è
lontano
e indifferente” quindi nulla, il punto era più o meno questo, non
voleva essere una predica o altro, figuriamoci, era solo
per darvi un insight di come funziona la mia ispirazione, che si fa un
po’
travolgere dall’entusiasmo altrui a volte, non sempre, ma a volte sì,
ma che
sicuro non si fa contagiare dal silenzio stampa.
*malandrina out*
*malandrina out*