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Autore: malandrina4ever    01/03/2018    17 recensioni
«Perché sono il tuo migliore amico. E se c’è qualcosa che ti pesa, allora tocca a me portarla al posto tuo.»
~ James Potter
«E lui poteva appendermi a testa in giù tutte le volte che ne aveva voglia, ma questo non sarebbe mai cambiato. Perché Lily sorrideva a me e non a lui.»
~ Severus Piton
«Potrebbe essere un complimento, lo sarebbe, se solo non fossero la voce e gli occhi di Potter. È incredibile come riesca a far suonare anche le frasi più gentili come una presa in giro, socchiudendo appena gli occhi e imprimendo quella vena beffarda in ogni parola.»
~ Lily Evans
«La vocina acuta che continua a ripetere ‘Prefetto. Dovresti essere un Prefetto’ si attutisce appena di fronte ai sorrisi entusiasti dei miei amici.»
~ Remus Lupin
«Il Grifondoro che c’è in me crede che, forse, dovrei sentirmi almeno leggermente in colpa per aver barato. Ma il Malandrino che c’è in me continua a ghignare soddisfatto.»
~ Sirius Black
«James si sta approfittando spudoratamente della nostra volontà di risollevargli il morale, noi lo sappiamo, lui sa che noi sappiamo, ma finiremo comunque a dare l’assalto alla Sala Comune dei Serpeverde, perché a volte per essere un buon amico devi semplicemente essere bravo a lanciare bombe fatte di cacca.»
~ Peter Minus
«Alla fine Sirius sa essere un fratello impeccabile. Solo non il mio.»
~ Regulus Black
---
I'm not a perfect person
I never meant to do those things to you
And so I have to say before I go
That I just want you to know

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Ed improvvisamente non mi sento più così perfetto, perché Lily Evans sta baciando lui e non me.
Perché sarà sempre così, sarà sempre chiunque altro, piuttosto che me.
Ed è semplicemente l’ordine naturale delle cose, come sono sempre andate e sempre andranno, ma non riesco a togliermi dalla testa che è comunque tutto totalmente sbagliato.
Si fotta l’ordine naturale delle cose, dovrei essere io.
---
I've found a reason to show
A side of me you didn't know
A reason for all that I do
And the reason is you.
Genere: Comico, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, James Potter, Lily Evans, Mangiamorte, Sirius Black | Coppie: James/Lily
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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Quindi dove eravamo rimasti? Ah già.

«Non ho mai pensato che la ragazza dietro a cui muoio mi baciasse salvo poi scoprire che non era davvero lei, perché lei non mi bacerebbe mai invece.»

 

 

 


CAPITOLO 30.

 

 

 

 

 


Nell’istante stesso in cui Philips finisce di parlare, io so, in quanto Prefetto e amico e unica persona in grado di reggere decentemente l’alcool in questa stanza, di dover fare qualcosa.
Il silenzio assoluto e improvviso che si è abbattuto sulla Sala avvolge in modo quasi asfissiante ogni scambio di occhiate all’interno del cerchio.
C’è lo sguardo castano di Philips proprio davanti a me, intriso di sfida e trionfo, così ostentatamente determinato da risultare in realtà abbastanza insicuro, mentre non si stacca dalla mia destra, da James.
Ci sono gli occhi verdi di Lily aggrottati dalla confusione, che cercano una risposta accanto a lei e, ignorati, seguono la traiettoria di quelli del suo ragazzo fino a quel punto alla mia destra, di nuovo.
C’è lo sguardo teso di Frank, che ha sfiorato James solo per un secondo prima di spostarsi da tutt’altra parte, impassibile.
Peter si è riscosso dal suo stordimento quel tanto che basta per afferrare la situazione, ma non abbastanza da non tenere insistentemente gli occhi spalancati e lucidi fissi su James. 
Sono due tuttavia gli sguardi che colgo con la coda dell’occhio e che attirano la mia attenzione, andando a posizionarsi come tasselli di un puzzle da qualche parte nella mia mente: quello sconvolto e indignato di Lizzie, che si è voltata di scatto verso la sua amica di fianco a lei, e quello colpevole di Allison, che fissa a disagio un punto indefinito di fronte a sé.
Sono l’unico a farci caso e dura tutto pochi secondi durante i quali le occhiate interrogative di Alice, Mary e tutti gli altri rimbalzano esitanti da Philips a James.
Il fatto è, nessuno sta guardando Sirius, che dopo un momento di congelamento ha fatto il gesto di alzarsi ed è per questo motivo che Peter non potrà avercela con me per quello che ho fatto. Lui non regge molto bene l’alcool e ha già bevuto parecchio, voglio dire, probabilmente ad un certo punto sarebbe successo comunque; solo che la mia bacchetta si è mossa impercettibilmente verso di lui e allora quel momento è stato adesso. James è ancora congelato e la pozza di vomito che si allarga sul pavimento in mezzo al cerchio, dritta dallo stomaco di Peter, non pare avere alcuna rilevanza per lui, ma tutti gli altri iniziano ad emettere versi disgustati e ad alzarsi di scatto, allontanandosi.
- Sirius, aiutami, - dico mentre afferro Peter per un braccio e cerco di tirarlo su, allontanandolo dalla sua cena di oggi. – Sirius.
C’è ancora questo interminabile momento in cui gli occhi grigi del mio amico indugiano su Philips con una calma glaciale, poi io lo chiamo di nuovo, Peter emette un mugugno dolorante e Sirius si avvicina a noi con un sospiro, afferrandolo per l’altro braccio.
E questo è come Remus Lupin ha salvato la situazione.
Probabilmente non c’è scritto nel manuale del perfetto Prefetto che far rimettere colazione, pranzo e cena ad un amico è il modo appropriato di scongiurare situazioni ancora più inappropriate, ma la verità è che era l’unica mossa possibile ed è stata, indipendentemente dalle apparenze e dall’odore disgustoso, una mossa molto astuta, perché ora Sirius non ha fatto niente di stupido e soprattutto ora gli occhi di tutti non sono più incollati su James nell’unico momento della sua vita in cui non desidera, in effetti, essere guardato.
 

*


Remus è convinto di aver salvato la situazione, glielo leggo negli occhi.
È teso e controllato, mentre sistemiamo Peter su una panca contro il muro fresco, ma è anche palesemente soddisfatto di se stesso.
È stato effettivamente molto astuto e sottile, glielo concedo, nel suo costringermi a non fare quello che ero sul punto di fare senza nemmeno dovermi dire esplicitamente di non farlo.
È una delle qualità che apprezzo di più in Remus, il suo essere così silenziosamente vigile e scaltro, sempre efficace nei suoi propositi.
Un’altra cosa che apprezzo, di Remus, è il modo in cui abbassa la guardia subito dopo la vittoria.
Qualcuno grida di sorpresa mentre il naso di Philips si rompe con un crack appagante contro il mio pugno.







*********

 
Sono il suo migliore amico da sei anni e so che non mi dirà mai ti voglio bene né nulla di anche solo vagamente affettuoso, e che non me lo direbbe nemmeno se mi trovassi in punto di morte, ma so anche che a volte Sirius farà cose come rompere il naso di Dean Philips davanti a tutti con un colpo solo e questo è il suo modo di dirlo.
È successo in un batter d’occhio, un attimo prima stava aiutando Remus a sistemare Peter su una panca, quello dopo ha coperto in poche fulminee falcate la distanza tra lui e Philips e gli ha mollato un pugno dritto in faccia, facendo esplodere il caos.
Philips non ha ancora allontanato le mani dal viso sanguinante e si è subito formato un cospicuo gruppetto attorno a lui. Mike, che professa di voler diventare un Medimago sin dal primo anno, dice ‘Credo che sia rotto’ con lo stesso tono con cui annuncerebbe di aver vinto un milione di galeoni, ed ha un’aria particolarmente eccitata mentre estrae la bacchetta. Sembra persino più felice di me di tutto quel sangue.
L’occhiataccia che Evans lancia a Sirius mentre aiuta Philips a sedersi con la testa rivolta verso l’alto in quanto a biasimo è seconda solo a quella di Remus.
- Sei soddisfatto ora? – Lo sento sibilare stizzito mentre raggiunge Sirius, che al di là della sua espressione apparentemente impassibile puntata sul gruppetto indaffarato sembra soddisfatto.
- Sì, - risponde infatti e poi smetto di prestare loro attenzione, perché se sia Remus che Sirius sono là, allora Peter è probabilmente sul pavimento.
Peter è effettivamente sul pavimento, constato voltandomi.
Continua a russare pacifico anche mentre lo sollevo prendendolo da sotto le ascelle e il suo unico problema al mondo, una volta che l’ho sistemato sulla panca, è che la sua schiena continua a scivolare tutta da una parte non appena provo a lasciarlo.
Così resto qui e basta, a sorreggerlo, perché non è come se avessi altro da fare. Sono in realtà per qualche motivo molto felice di poter stare qui con le mani sulle sue spalle, con uno scopo e un proposito attorno a cui rivolgere ogni mio pensiero.
- Evanesco, - pronuncio tranquillo, facendo sparire ogni traccia di vomito giallognolo e maleodorante dal mento di Peter.
Mi chiedo se Remus negherà di averlo fatto.
- Mbrsv, - mugugna Peter, strizzando le palpebre. Lo fisso in attesa per qualche secondo e rilasso impercettibilmente la mascella quando lui continua a tenere gli occhi chiusi. Sono felice che non si sia svegliato togliendomi il compito di reggergli le spalle, cosa che mi avrebbe costretto a voltarmi di nuovo e trovare qualcos’altro da fare o a cui pensare.
Una delle voci alle mie spalle è quella di Evans. È abbastanza alta e credo che stia litigando con Sirius. La voce di Remus è più calma invece, ma da qui non riesco a distinguere cosa stia dicendo e se stia dalla parte di lei o di lui.
Peter mugugna di nuovo.
- James.
La voce di Lizzie invece è proprio accanto a me e per poco non lascio scivolare nuovamente Peter a terra per la sorpresa. Continuando a reggerlo con una mano, mi volto verso di lei, fermando gli occhi sul suo viso e cogliendo comunque con la coda dell’occhio la scena alle sue spalle: Sirius e Remus da una parte, Evans e Philips di fronte a loro, parecchio agitati, e Alice e Frank in mezzo come a fare da mediatori. Gli altri guardano tutti l’acceso scambio di opinioni al centro della Sala e nessuno fa caso a noi.
A parte Lizzie, che continua a fissarmi in attesa.
- Se lo lascio cade, guarda, - decido di informarla, dandole subito una dimostrazione pratica. Prima che il busto di Peter si sbilanci troppo lo raddrizzo di nuovo e ora Lizzie sa che non sono qui a fare finta di nulla o a perdere tempo, ma che sto svolgendo un compito.  
- Emm, è vero, - Annuisce lei e forse avrei dovuto darle una dimostrazione più approfondita, perché suona perplessa. - Fai bene a tenerlo.
- Già.
- Senti, - mi incalza poi e il suo tono non mi piace per niente, perché è il tono di chi parla per comunicare cose e non è come se io volessi ascoltare cose ora. Non starei qui a reggere le spalle di Peter come se ne andasse del destino dell’universo se avessi voglia di ascoltare le cose che le persone dicono.
- Probabilmente dovrei restare concentrato, sai, - la interrompo, indicando Peter con un cenno della testa. – Senza rumori di sottofondo.
Lei mi guarda spiazzata.
- Non intendevo darti del rumore di sottofondo, - aggiungo subito, perché nella mia testa suonava in modo meno offensivo. – Loro sono rumori di sottofondo, - spiego, accennando alla lite alle mie spalle. - Tu sei un rumore in primo piano. Niente, continua a venire fuori in modo offensivo, non so che fare.
- Non importa, tu non puoi offendermi, - mi liquida in fretta ed io aggrotto le sopracciglia perplesso, incerto di che cosa intenda dire. Non posso? – Ascolta, non ti distrarrò per molto, e nel frattempo posso aiutarti a reggere il tuo amico, ecco. 
E prima che io possa assicurarle che non ho assolutamente bisogno dell’aiuto di nessuno, che reggere il mio amico è anzi tutto quello che desidero dalla vita, lei allunga una mano e la stringe sul braccio di Peter, prima di piazzarmi di nuovo gli occhi in faccia.
- Okay, senza tanti giri di parole: voglio solo che tu sappia che non ho mentito quando ti ho detto che non lo avrei detto a nessuno, - inizia ed io apro la bocca per fermarla, ma lei continua senza prendere fiato. – Il fatto è, ci sono delle eccezioni al nessuno e credo sia una cosa universale. Per esempio, la tua eccezione sarebbero i tuoi amici. E non per motivi loschi, ma solo perché ognuno ha quella persona che non conta, perché è come dirlo a se stessi. E quindi la mia eccezione è stata Allison, perché davvero non contava e dovevo parlarne con qualcuno quella notte.
Fantastico. Reggere Peter non è servito assolutamente a nulla: ne stiamo parlando.
- Ok, non preoccuparti, dimentica... - cerco per la seconda volta di fermarla e per la seconda volta lei mi ignora.
- E ti giuro che gliel’ho detto che doveva restare tra noi e lei davvero non intendeva dirlo a nessuno, - continua sottovoce, lanciandosi un’occhiata circospetta alle spalle. – È che io non avevo considerato che anche lei ha un’eccezione al nessuno, e lei davvero pensava che non contasse perché era il suo ragazzo e non voleva fare nulla di male. È  solo che il suo ragazzo è un Corvonero ed è in squadra con Philips. E pare che anche lui abbia un’eccezione al nessuno e che questa siano i suoi compagni di squadra.
- I suoi? Plurale?
- No, no, lo ha detto solo a Philips, probabilmente quando lui ha iniziato ad uscire con Evans, - Sto cercando di non ascoltarla, ma le mie orecchie non collaborano e la mia testa neppure. E Philips lo sapeva da settimane. È in questo momento che mi accorgo che non tutti gli sguardi sono fissi sulla discussione tra Evans e Sirius: Allison è esattamente dall’altra parte della Sala, ma continua a guardare verso di me con aria colpevole. – Non lo sapevamo, né io né Allison, lei lo ha capito solo questa sera.
- Ok, ho detto di non preoccuparti.
- E se ti può far stare meglio, domattina gliene dirà quattro.
- Lizzie, sto alla grande, - la informo deciso. - Meglio di chiunque sulla faccia della terra, quindi non pensarci più. Anche la tua amica, dille di non pensarci. Se smetteste tutti di pensarci sarebbe perfetto, davvero.
Le sue labbra si schiudono ma la voce che segue è quella di Peter.
- James? Che succede?
Probabilmente si domanda come mai io e Lizzie siamo qui di fronte a lui con le mani sulle sue spalle.
- Ok, allora io vado, - dice lei lasciandolo. Peter questa volta non si sbilancia nemmeno: il mio unico compito al mondo è ufficialmente svanito.
- Perfetto, - concordo e lei se ne va.
Peter mi sta ancora guardando perplesso ed io sto per dirgli qualcosa, quando la sento di nuovo.
- James.
Si è allontanata solo di qualche passo e quando mi volto verso di lei trovo uno sguardo diverso da quello di poco fa.
- Se tu potessi iniziare a pensarci, credo che sarebbe meglio, sai.
Sbatto le palpebre e resto a guardarla mentre raggiunge la sua amica, poi mi volto verso Peter.
- Hai vomitato e poi sei svenuto, - lo informo.
- È stato Remus, vero? Perché fa cose del genere?



***

- Scusa se te lo dico, Lily, ma i tuoi compagni di Casa sono uno più stronzo dell’altro.
Mike ha aggiustato il naso di Dean, ma c’è ancora una nota vagamente nasale nella sua voce, oltre al dolore trattenuto. Lo renderebbe divertente, se non fosse che non posso ridergli in faccia e che ha appena detto una cosa non proprio carina, per quanto veritiera. Frank, che sta sollevando per aria con la bacchetta le briciole dal pavimento attorno al tavolo dei professori qui accanto, gli lancia un’occhiata corrucciata.
- Non ce l’ha con te, Frank, -  sospiro esausta, prendendo un’ultima patatina dal vassoio davanti a me prima di farlo sparire. Mi secca parecchio far evanescere muffin e patatine che potremmo portarci in Sala Comune, ma Lupin dice che nel tragitto di qui alla Torre è più sicuro non essere impacciati da nulla e questa serata ha già preso una piega abbastanza imprevista senza aggiungervi le eventuali catastrofi che deriverebbero dal non dare retta a Remus Lupin.
- Certo che no, è palese a chi mi riferisco, - aggiunge Dean, sorridendo conciliante a Frank. Le labbra di Frank si piegano in qualcosa di molto bizzarro e forzato, che forse doveva essere un sorriso o forse no, poi lui riprende la sua perlustrazione in cerca di briciole con la bacchetta alzata.
- Cos’era quello?
Dean mi lancia un’occhiata perplessa.
- L’ultima fetta del muffin, - risponde osservando lo spazio del tavolo ora vuoto. – Mi dispiace, la volevi?
- No, intendevo, - E in realtà sì, me la sarei anche mangiata l’ultima fetta della mia torta muffin. – Quello. Prima, con Potter. 
- Oh. Intendi la parte in cui lui mi provoca per tutta la sera, o meglio, per settimane, o quella in cui io alla fine rispondo?
- Quella cosa che gli hai detto, - specifico. - La cosa per cui Black ti ha preso a pugni.
- Black mi ha preso a pugni perché è un idiota, - replica con una punta di stizza, lanciando un’occhiataccia dall’altra parte della Sala, dove il soggetto in questione sta aiutando Mike a sciogliere gli incantesimi insonorizzanti dalla Sala.  
- E questo è assodato, - annuisco. - Ma c’era chiaramente un motivo ed è quella cosa assurda che hai detto alla fine del gioco.
Dean mi soppesa dubbioso e resta a fissarmi in silenzio così a lungo che inizio a pensare che non risponderà e basta, ma alla fine sospira e inizia, abbassando la voce.
- Chiunque altro lo avrebbe tirato fuori molto prima, certamente lui me lo sarebbe venuto a sbattere in faccia senza aspettare mezzo secondo, - E sarebbe stato carino se avesse deciso di evitare tutti questi giri di parole e optare per una spiegazione chiara ed immediata, del tipo “Ho detto cosa X riferendomi al fatto X per il motivo X”, il genere di capacità di sintesi che ti aspetteresti da un Corvonero alle quattro del mattino, ma non pare questo il caso. Non pare nemmeno il caso di avere un soggetto. - Ma non l’ho fatto perché non sono come lui. Tutta questa storia, le continue frecciate e le battutine, trovo il tutto ridicolo e infantile ed ero onestamente convinto di essere superiore e perfettamente in grado di ignorarlo, ma sa come trascinare la gente al suo livello, devo concederglielo.
- Stiamo parlando di Potter, giusto?
Voglio dire, nella mia testa è evidente che stiamo parlando di Potter, ma è anche vero che nella mia testa è sempre evidente che il soggetto è Potter quando qualcuno parla male di qualcun altro senza specificarne il nome, come quella volta che la Tassorosso seduta al tavolo vicino al mio in Biblioteca continuava a lamentarsi di come quella sgualdrina le avesse soffiato il ragazzo e la mia testa continuava ad associare in automatico sgualdrina e Potter, perché se una parola ha un’accezione negativa allora dev’essere perfetta per Potter, anche quando chiaramente non lo è.
Non è questo il caso comunque, perché Dean annuisce e i suoi occhi aggiungono ‘non era ovvio?’ e i miei occhi non sanno bene come rispondergli che per me è sempre troppo ovvio, così gli dicono solo ‘continua che ho sonno’, o almeno è quello che mi piacerebbe che i miei occhi comunicassero, se solo io sapessi comunicare con gli occhi.
- Ok, quindi, Potter. Certo. Potter, - ricapitolo quando noto che Dean è troppo impegnato a lanciare occhiate risentite in direzione dei Malandrini per continuare a fare luce sulla bizzarra situazione che ha portato le nocche di Black a scontrarsi con il suo naso. -  Cosa significa che ha pensato che una ragazza lo baciasse? Te ne accorgi no, se qualcuno ti sta baciando? Come fai a scambiarlo per qualcun altro?
È una cosa così stupida da fare. Solo Potter potrebbe farsi baciare da qualcuno e poi scoprire di aver baciato qualcun altro. Come se poi fosse normale farsi baciare così, dalla prima che passa, senza prima scambiare almeno due parole per accertarsi dell’identità altrui.
- Pozione Polisucco, - dice Dean. – La sera del ballo del LumaClub.
- Pozione Polisucco? Ma perché mai qualcuno dovrebbe, - La sera del ballo, lo stesso a cui Potter si è fatto accompagnare da... – Aspetta, Lizzie Carson? È lei che ha preso la pozione? – Dean annuisce ed io subito la cerco con lo sguardo, localizzandola dall’altra parte della Sala con la sua amica Allison. Dopotutto Alice aveva ragione: era successo qualcosa. – L’ha presa e poi ci ha provato con Potter per avere la conferma che a lui non fregava nulla di lei, è andata così? – continuo sottovoce, sentendomi molto intuitiva e molto cospiratoria al tempo stesso. Se solo Alice sapesse che ora io so una cosa che lei non sa… Resta l’interrogativo su come Lizzie si sia procurata la pozione Polisucco, che poi non le serviva nemmeno per scoprire l’ovvietà del secolo: non è come se a Potter fregasse di qualcosa o qualcuno al di là di se stesso e dei suoi amici. – Ma tu perché sai una cosa del genere?
- Sono in squadra e in stanza con Daniel, - Dean sembra convinto che questo spieghi tutto e subito inizio a riflettere su chi possa essere questo Daniel e che ruolo possa ricoprire nella vicenda. Sono quasi giunta alla conclusione che si tratti di un Alice al maschile, colui che si occupa di sapere tutto e far circolare le notizie all’interno della Torre di Corvonero, quando Dean aggiunge: - Il ragazzo della migliore amica di Lizzie.
- Oh, - dico, riflettendo sulla faccenda. - Beh, avresti potuto evitare di dirlo davanti a tutti.
- Prego? – Dean sgrana gli occhi. - Ora non dirmi che non se l’è meritato.
- Ma chi, Potter? – Ed è il mio turno di sgranare gli occhi ora. - Certo che sì, ma non è a lui che hai fatto un torto. Credo che tu abbia messo in imbarazzo Lizzie più che altro, voglio dire, dubito che fosse Potter tra i due a non volere che si sapesse.
Dean mi soppesa scettico, inarcando un sopracciglio.
- E Black mi ha rotto il naso per Lizzie, giusto?
- Black si sentirebbe legittimato a prenderti a pugni anche solo se lanciassi un’occhiata di traverso a Potter, figurati, - sbuffo con un’alzata di spalle. - E tu hai osato tenergli testa invece di subire e basta.
È tutto molto chiaro e semplice, ma Dean mi guarda come se in realtà nulla lo fosse e continua a guardarmi così per diversi secondi, in silenzio, prima di sospirare.
- Lily.
- Mh?
- In chi credi che si sia trasformata Lizzie Carson prima di baciarlo?
- Non lo so, - rispondo perplessa. - Una qualsiasi bella ragazza di Hogwarts o...
- Eri tu.
Le parole mi muoiono sulle labbra ed io lo guardo spiazzata, realizzando.
Lizzie Carson ha usato le mie labbra per baciare quelle di James Potter e questo è così sbagliato in ogni modo in cui la si guardi. Si sono baciati usando la mia bocca ed improvvisamente sento l’urgenza di prenderli a pugni tutti e due.
- La ragazza dietro a cui Potter muore, - continua Dean ed io mi distolgo dalle sensazioni violente che stanno pervadendo il mio stomaco per concentrarmi su di lui. - Sei tu.
Sono ancora frastornata dalla notizia e dall’immagine di Lizzie Carson che si avvicina alla faccia di James Potter con la mia faccia e ci metto un po’ a cogliere del tutto il significato delle sue ultime parole. E quando lo colgo, la mia risata incredula risuona per la Sala, attirandomi l’occhiata ammonitrice di Alice, ora che gli incantesimi insonorizzanti sono cessati.
Dean mi guarda spiazzato.  
- No, scusa, scusa, mi dispiace, - Quando noto una punta d’esasperazione nei suoi occhi, mi sforzo di smettere di ridere e gli poso una mano sul braccio, conciliante. - Voglio dire,  capisco perché lo pensi. È perfettamente logico dal tuo punto di vista, hai ragione.
- Il mio punto di vista, - ripete atono Dean, che chiaramente non afferra la situazione.
- Sì, insomma, tu non conosci Potter e lui non ha fatto che prenderti di mira da quando abbiamo iniziato ad uscire, oltre a tutta la storia dell’invitarmi ogni volta che ci sono le uscite ad Hogsmeade, sempre avendo cura che tutti sentano, quindi davvero, lo capisco: chiunque penserebbe che è geloso.
- Chiunque tranne te.
- Chiunque tranne me, il resto della Casa di Grifondoro e in generale chiunque conosca Potter, - lo correggo. – Ascolta, se fosse un ragazzo qualsiasi, allora avresti ragione. Ma lui non funziona in modo normale, non puoi leggere le sue azioni come interpreteresti quelle di un normale essere umano.
Il sopracciglio di Dean si inarca interrogativo.
- Potter non è un essere umano?
- Esatto, - annuisco convinta, prima di aggrottare la fronte. - Beh, è un essere umano ovviamente, letteralmente parlando, ma tu non puoi aspettarti che agisca come tale.
Quando Dean apre la bocca, mi basta il suo sguardo per capire che qualunque cosa stia per dire non sarà utile alla mia causa e così lo precedo.
- Ok, ok, aspetta, è come con i manici di scopa, no? – Non sono sicura di dove voglio andare a parare con questo, ma Dean è un Corvonero e i Corvonero amano le metafore, giusto? No, chi voglio prendere in giro, sono io che amo le metafore. - Ne esistono diversi modelli e ciascuno con le sue caratteristiche specifiche, ma da ognuno puoi comunque aspettarti un certo comportamento di base, comune a tutti: il fatto che siano scope per esempio, e che rispondano ai tuoi comandi e servano fondamentalmente per volare. Le classiche cose da scopa, no? E queste sono le persone normali, mentre Potter non è solo un modello di scopa diverso, no, lui è proprio tutta un’altra cosa, lui è, lui è… - Mi porto una mano al mento pensosa, lanciando un’occhiata al soggetto in questione dall’altra parte della sala. E poi l’illuminazione. - È un aspirapolvere. 
- Potter è un aspirapolvere?
Dean ha l’aria perplessa, ma io annuisco con convinzione.
- Esatto, - confermo. – Un aspirapolvere.
- Che cos’è un aspirapolvere, Lily?
- È un apparecchio babbano che serve ad aspirare la polvere dai pavimenti e dai tappeti, - spiego pratica. - Una sorta di scopa elettrica che si crede migliore e più evoluta delle altre scope quando in realtà non ci vuole nulla a staccarle la spina e farle abbassare la cresta, e voglio vedere poi quanto è talentuosa e funzionale senza corrente.
- Non ti seguo, - dice Dean e lo dice anche la sua espressione.
- È proprio questo il punto: non puoi, perché non sai nulla di tecnologia babbana o di cosa sia una spina o la corrente e Potter è esattamente questo, qualcosa di a te sconosciuto e di cui non capisci il funzionamento, - concludo.
- Lily, - Dean sospira, portandosi stancamente una mano alla tempia. - Ti chiede continuamente di uscire e ce l’ha con me da quando siamo andati ad Hogsmeade insieme: gli piaci e la tecnologia babbana non può cambiarlo. 
Ed ora sono io a sospirare frustrata, perché ho appena usato così tante parole per rendere chiaro e sensato anche per Dean quello che per me lo è già, quando è proprio a questo che servono le parole, rendere sensate nelle teste degli altri le cose che nella tua lo sono già, e apparentemente è stato tutto inutile, perché c’è come una barriera tra le sue orecchie e le mie labbra contro cui ogni mio ragionamento continua ad infrangersi.
- No, non funziona così, ok? – Insisto, determinata a fargli capire la portata del suo errore. - So perché lo pensi e lo penserei anch’io se non lo conoscessi, ma non è così che funziona Potter: lui non dice quello che pensa e non pensa quello che dice. E la sua, al di là di quello che può sembrare, non è gelosia, è competitività.
Competitività è la parola che riassume l’essenza di Potter meglio di ogni altra e quando la pronuncio quasi mi aspetto che Dean si illumini di comprensione, ma lui continua ad avere quello sguardo a metà tra l’accondiscendente e lo scettico che è l’ultimo che una persona che sta cercando di spiegare qualcosa di basilare vorrebbe vedersi rivolgere.
- Non mi chiede di uscire perché ha sinceramente voglia di passare una giornata ad Hogsmeade con me, vuole semplicemente che io gli dica di sì, perché nel suo egocentrismo non concepisce come qualcuno possa rifiutarlo.
E mentre cerco di far capire a Dean con che soggetto sono costretta ad avere a che fare da sei anni, mi ritrovo a dover scacciare il pensiero dell’ultima volta che qualcuno vicino a me è arrivato a questa conclusione sbagliata. Tu gli piaci, tu piaci a James Potter!
- È come quando da bambino vai al parco con gli amici, - inizio cauta, questa volta più lentamente. Ed è l’ultima metafora ponderata che intendo sprecare sulla questione, dopodiché Dean sarà lasciato alle sue convinzioni, perché questo è peggio di quella volta che ho dovuto spiegare otto volte a quella ragazzina del secondo anno come pestare le radici di valeriana per la pozione rasserenante. - Vai sull’altalena e giochi con gli altri giochi e ignori lo scivolo, perché non ti piace. Ma se qualcuno ci sale, allora improvvisamente vuoi a tutti i costi salirci anche tu e ti senti frustrato se resta occupato per troppo tempo, perché lo vorresti vuoto, lì a tua disposizione.
- Probabilmente tu eri un bambino maturo e responsabile e non ti succedeva, - aggiungo. - Ma è abbastanza comune. E a qualcuno succede anche da adulto, e non solo con i giochi, ma con le persone. Ed è così, semplicemente, a Potter non piace lo scivolo, ma, da bambino viziato quale è, vuole sapere che se volesse, avrebbe campo libero. Se arriva al parco e scopre che c’è un cartello con scritto ‘vietato salire’ appeso allo scivolo, allora ecco che fa di tutto per cercare di staccarlo e salirci lo stesso, solo per dimostrare a se stesso e agli altri che può, che nessun gioco gli è precluso.
È mentre rifletto se sottolineare come un aspirapolvere non potrebbe tuttavia mai riuscire a salire la scaletta dello scivolo confonderebbe Dean ulteriormente, che lui emette un suono a metà strada tra uno sbuffo e una risata trattenuta e scuote lievemente la testa.
- Davvero, Lily, apprezzo i tuoi paragoni fantasiosi, ma fidati di me quando ti dico che a Potter piace da impazzire lo scivolo.
E quindi è così, non importa quanto io possa impegnarmi nel rendere la verità sempre più chiara ed elementare, Dean resterà semplicemente convinto che Potter ha una cotta per me, perché è così che ha deciso. E poi dicono di noi Grifondoro che siamo testardi.
Non mi resta che lasciarglielo credere, se proprio ci tiene, eccetto che noi Grifondoro siamo testardi proprio come dicono e così ci provo un’ultima volta.
- Chi l’ha detto che è cotto di me, Lizzie? – Ed ora sono io a rivolgergli lo stesso sguardo scettico che mi ha tenuto puntato addosso fino ad ora. - Non lo ha mai frequentato prima di quest’anno, non sa nulla che io non sappia. E suppongo che sia più facile per lei credere che il ragazzo per cui ha sempre avuto una cotta non l’abbia voluta perché perso di un’altra, piuttosto che accettare che è solo perché si è presa una cotta per un egocentrico presuntuoso che non vede nessuno oltre a se stesso.
E mi sento un po’ in colpa ora, perché in realtà mi dispiace per Lizzie, che prendersi una cotta per Potter non lo augurerei al mio peggior nemico, eccetto che il mio peggior nemico ha in effetti già una cotta per Potter, essendo egli stesso Potter. Non che Potter sia davvero il mio peggior nemico, quando troverei stupido e ridicolo avere nemici a diciassette anni appena compiuti, ma se avessi un peggior nemico, allora quello sarebbe sicuramente Potter. Potter e quel Grifondoro non ancora identificato che finisce sempre tutto lo sciroppo d’acero a colazione. E per quello che ne so, potrebbero anche essere la stessa persona. 
- Nessuno ama i ragionamenti astrusi e cervellotici più di me, Lily, parola di Corvonero, - Dean sorride. - Ma nonostante questo, se c’è una cosa che Aritmanzia mi ha insegnato, è che la spiegazione più semplice è di solito quella giusta. E se un ragazzo si comporta come se fosse geloso, probabilmente è geloso. E se ti chiede di uscire, è perché vuole uscire con te.
- Un ragazzo, esatto, - concordo. - Ma tu continui a dimenticare il fattore James Potter. Non è un ragazzo e basta. È un aspirapolvere. È pazzo. Ed è il modo in cui opera, il fatto di dover piacere a tutti, di non sopportare di perdere. È la cosa più semplice del mondo.
Davvero, so che non sei convinto, ma è così, fidati di me. Il mio seme, quello che ho vinto a pozioni, ha l’effetto del Veritaserum. Salirei a prenderlo e lo darei a Potter per fartelo dire direttamente da lui che non prova assolutamente nulla nei miei confronti se non dispetto perché non riesce a piacermi. Ma sarebbe un modo idiota di sprecare il mio premio, ascoltare qualcosa che già so, senza contare che poi Potter mi prenderebbe in giro a vita se gli facessi domande sui suoi inesistenti sentimenti per me.
Dean mi soppesa per qualche secondo, prima di spostare lo sguardo su Potter, che armeggia con i dischi di Mike vicino alla porta d’ingresso della Sala. Poi torna a incrociare i miei occhi e accenna un sorriso.
- C’è un motivo se non sei a Corvonero.
Le mie nocche colpiscono il suo braccio con prontezza, ma ora sto sorridendo anch’io.
- Comunque, Lily, - aggiunge piano, avvicinandomi a sé. - Mi bastava solo che dicessi che è a te che non interessa Potter.
- Ora questa è una cosa che non avrò mai bisogno di specificare, - commento con una risata, rigirandomi tra le sue braccia. - Ma se proprio ci tieni, - aggiungo in un sussurro, avvicinando le labbra al suo orecchio. - Non mi piace e mai potrebbe piacermi James Potter.
Dean sorride, prima di baciarmi.
- È tutto quello che volevo sentire.
 
 
 
 

La Sala è quasi tornata al suo ordine originario e quando io e Alice, seguite da Dean, ci avviciniamo al gruppetto formato dai Malandrini ancora in piedi, pare che tutti facciano particolare attenzione a dove posare gli occhi. Potter non li stacca da Alice, come se si fosse avvicinata da sola, mentre Dean sembra deciso a riconoscere l’esistenza di Lupin soltanto tra i Malandrini ed è il solo su cui si permette di posare gli occhi. Il modo in cui Black invece continua a fissare proprio lui, come a sfidarlo a rendergli il colpo, spinge me a riservargli un’occhiataccia.
- Quindi, dato che abbiamo quasi finito di ripulire tutto, mi chiedevo...- inizia Alice, lievemente in imbarazzo. Per quanto possa essere in imbarazzo Alice,  che è in realtà molto poco. -  Se volessimo tornare nella Sala Comune, questo sarebbe un buon momento? Strategicamente parlando intendo.
- Beh, dovremmo controll-pensarci, dovremmo pensarci, - Potter si volta verso i suoi amici. - Chi ha la...voglio dire, chi ha la disposizione d’animo migliore per pensarci? Remus? O...Sirius?
- Ce l’ho io, - risponde Lupin pacato. - Ora la uso, la mia disposizione, e poi vi faccio sapere.
- Ok. Riesci a pensarci meglio da solo, vero? – chiede Potter.
- Sì, mi concentro meglio quando nessuno mi guarda, - Lupin annuisce. - Credo che andrò a pensarci nella Sala Trofei.
Lupin si allontana e un silenzio teso piomba tra noi.
Dopo qualche secondo Alice si schiarisce la voce.
- La...disposizione d’animo di Remus, o come vogliamo chiamarla, qualunque cosa sia, è un metodo sicuro, giusto? Senza possibilità di errori, del tipo ‘la strada è sicura’ e invece non era sicura?
- Nessun margine di errore, - assicura Potter. – La disposizione d’animo di Remus è...molto precisa.
- Questa conversazione è ridicola, - constato.  
- Tante cose sono ridicole, - ribatte subito Black e per qualche motivo ha tutta l’aria di essere una frecciata, così mi volto verso di lui pronta a rispondergli, ma nello stesso momento la porta della Sala Trofei si spalanca e Remus ne esce di fretta, chiamando tutti a voce alta.
- Abbiamo un problema, tutti quanti, ascoltate: la McGranitt sta venendo qui.
- Come lo sai? – Alice spalanca gli occhi, mentre io mi irrigidisco al suo fianco.
La McGranitt sta venendo qui e sta portando la sua accetta con sé. La lama striscia sul pavimento di pietra affilandosi ulteriormente ed emette un rumore metallico che posso  udire al di là del mormorio concitato diffusosi attraverso la Sala alle parole di Lupin.
- Non ha importanza, lo so e basta, - taglia corto Lupin, con tono grave ma controllato, mentre io riesco già a sentire la mia testa meno attaccata al collo ogni secondo che passa. - Sta venendo dritta qui e c’è un Prefetto di Serpeverde con lei, quindi sa che siamo qui: non dobbiamo lasciarle nessuna traccia a cui appigliarsi.
Non lasciare nessuna traccia, mi ripeto automaticamente. Non è il piano che avrei escogitato io per far fronte alla situazione, quello sarebbe stato qualcosa di più simile a correre il più lontano possibile da qui senza guardarmi indietro, ma se c’è una persona che sa come tenere le teste degli altri attaccate al loro collo quella è Lupin e il fatto che i suoi amici hanno ancora tutti e tre delle teste ne è la prova. Osserva Lupin, Lily, da brava, osservalo mentre si tiene la testa sul collo e cerca di imitarlo.
Spero solo di non finire come Nick-quasi-senza-testa, non mi sono mai piaciute le vie di mezzo.
- Mantenete la calma, tutti quanti, smettete, no, fermi, fermi! – Non sono l’unica ad aver eletto Lupin come nuova guida spirituale e quando la Sala precipita nel caos gli bastano poche parole per riportare la calma. - Ok, ora, non rifatelo più, quella cosa del correre ognuno da una parte all’altra in preda al panico, non è così che funziona tutta la storia dell’infrangere le regole e non essere espulsi. Ognuno faccia evanescere più cose che può, presto.
Tutti riprendono a sistemare la Sala questa volta  con molta più fretta ed osservando la calma ed il controllo di Lupin mi concedo per un attimo di credere davvero nell’eventualità che la mia testa resti attaccata al collo. Poi Lupin si volta verso i suoi amici e sempre con la massima calma dice:
- È troppo vicina, non esiste nessun possibile scenario in cui non verremo colti tutti in flagrante ed espulsi.
Mi sento così tradita ora.
- Ma ci siamo quasi, - protesta Alice. - Due minuti appena e avremo fatto sparire tutto! 
Remus scuote la testa.
- Non è quello il problema: non ci stiamo tutti sotto il mantello e la McGranitt sta venendo dritta qui: se non usciamo immediatamente resteremo bloccati.
Osservando Lupin, anche il mio cervello decide infine di attivarsi, e solo per confermare quello che ha già detto lui: siamo bloccati. Non c’è modo di uscirne. La McGranitt è con il Prefetto di Serpeverde, quindi sa e se ce ne andiamo lasciando anche solo una sedia fuori posto sarà l’unica prova di cui avrà bisogno in aggiunta alla soffiata del Serpeverde. E se non ce ne andiamo subito, lasciando ben più di una sedia fuori posto, allora non le servirà alcuna prova, perché ci coglierà sul fatto.
È finita, non esiste più alcun ipotetico finale di questa serata in cui la mia testa continuerà ad essere attaccata al collo.
- Prendi la tu-sai-cosa e portali via, - interviene improvvisamente Potter, rivolto a Lupin. - Resto io a finire.
- Ti aiuto, - dice subito Black.  
- Sirius, ho il mantello, - replica Potter ragionevole. - Remus non può riportare metà Casa di Grifondoro alla Torre da solo con Peter ancora mezzo stordito.
Black pare sul punto di dire qualcosa, ma Lupin lo precede sbrigativo.
- Ha ragione, Sirius, mi servi per i passaggi e possiamo sempre avvisarlo dallo specchietto quando la McGranitt starà per entrare, - Poi si gira verso Potter. - Ma tu non puoi comunque ripulire tutto da solo in tempo, qualcuno...
- Resto io, è la mia festa, - dicono le mie labbra prima che io possa fermarle e quando tutti mi guardano spiazzati è come se la mia testa si fosse già staccata dal collo.
 


 
 
Quando l’alta porta di quercia si chiude alle spalle del gruppetto sussurrante, il silenzio avvolge la Sala, interrotto solo dal veloce strisciare delle sedie che vengono raddrizzate e rimesse al loro posto.
- Sono troppi, - mormoro preoccupata. – Come faranno ad arrivare alla Torre senza che nessuno li veda?
Una parte di me ci terrebbe a ricordare a tutte le altre parti di me che la preoccupazione più imminente al momento dovrebbe essere come farò io ad arrivare alla Torre, che almeno i miei compagni ci stanno andando proprio ora, mentre io resto qui come un’idiota sul luogo del delitto. Le altre parti di me tuttavia sono già troppo in preda al senso di colpa per potersi concentrare sulla possibilità della mia disfatta piuttosto che su quella dei miei invitati: d’altro canto è il mio compleanno e se ci dev’essere una decapitazione è solo logico che sia la mia.
C’è anche il fatto che non mi sento più così agitata, in realtà.
È ridicolo, certo, sono nella Sala Grande nel bel mezzo della notte ricoperta e circondata da segni di evidente colpevolezza, con una furiosa McGranitt diretta qui insieme alla spia Serpeverde e invece di prepararmi al peggio come ogni persona dotata di buonsenso farebbe, mi sto lasciando sopraffare da un insolito senso di calma.
È del tutto irrazionale, ma ora c’è una piccola e tuttavia prepotente parte di me convinta che ne uscirò indenne.
- Ci arriveranno, - Potter scrolla le spalle, facendo evanescere i bicchierini di carta abbandonati sul pavimento. - Sirius e Remus sanno come fare. E anche la metà sobria di Peter.
I suoi capelli sono particolarmente ridicoli in questo momento, con le ciocche che non prendono la stessa direzione nemmeno per errore e quella che sembra una sostanza appiccicosa a incollargli le punte da una parte. C’è stata una battaglia di cibo ad un certo punto e non fingerò di non essere consapevole della possibilità che ci siano liquidi e corpi estranei anche tra i miei capelli, ma resta il fatto che in nessun mondo dovrebbe aver senso trarre calma da una persona con dei capelli del genere, specie se quella persona è Potter. Eppure è esattamente quello che sta succedendo, perché la sicurezza e la totale nonchalance di Potter stanno lentamente filtrando dai suoi capelli ai miei, andando a nutrire la convinzione che in qualche modo ne usciremo sani e salvi.
Deve avere a che fare con la sua arroganza che ha raggiunto livelli tali da diventare contagiosa e con il fatto che Lupin non è l’unica persona ad eccellere nell’arte del non essere decapitato dai professori. È anzi possibile che Potter sia persino più abile di lui in essa, perché senz’altro la voglia e le occasioni che offre ai professori di decapitarlo sono infinite, e nonostante tutto eccola lì la sua testa, gonfia e pomposa e galleggiante a mille metri dal suolo, ma ancora attaccata al collo.
- Sicuramente tu hai fatto cose peggiori di questa, sì? – Cerco di convincermi, chinandomi a far evanescere una patatina spiaccicata a terra. – Senza essere espulso o decapitato.
Potter sta perlustrando la Sala con lo sguardo, alla ricerca di qualcosa fuori posto, e quando si volta infine verso di me c’è qualcosa di stonato e quasi teso nei suoi occhi, in pieno contrasto col tono tranquillo.
- Abbiamo il mantello, Evans. Quando la McGranitt sarà qua fuori ci avviseranno e ci nasconderemo: nessuna decapitazione o punizione in vista, - C’è qualcosa di losco nel modo in cui è così sicuro che gli altri Malandrini sapranno indicargli l’esatto momento in cui la McGranitt starà per fare il suo ingresso, qualcosa di losco e che ha certamente a che fare con la cosiddetta disposizione d’animo di Remus, ma prima che io possa decidere se indagare ulteriormente o meno qualcos’altro di ancora più stonato passa come un lampo negli occhi di Potter ed improvvisamente ecco la sensazione di calma e tregua momentanea sparire dal mio corpo, mentre qualunque cosa i suoi capelli stessero trasmettendo ai miei si rompe con un crack e precipita al suolo. - Certo, il mantello ci avrebbe coperto meglio in due, ma il tuo ragazzo non sa proprio capire quando la festa è finita a quanto pare.
Dean, che ha insistito per restare con me, è intento a far sparire le ultime briciole dal tavolo dei professori, troppo lontano per aver sentito, ed io alzo gli occhi al cielo esasperata: neppure l’ultima trovata di Black ha soddisfatto il suo animo da bambino capriccioso, deve ancora infierire. Sono lì lì per chiedergli scocciata quando compirà almeno dodici anni, ma i miei occhi captano qualcosa di anomalo sul soffitto della Sala ed è un’altra la domanda che mi esce dalle labbra.
- È una cravatta quella?
Potter segue la direzione del mio sguardo fino al pezzo di stoffa rosso e oro penzolante dal braccio di uno dei grandi candelabri dorati che volteggiano contro il cielo stellato e subito annuisce.
- È la cravatta di Remus.
- E che ci fa lassù? Anzi, non importa: come la tiriamo giù?   
- La appelliamo, - Potter estrae deciso la bacchetta, prima di aggrottare la fronte. – Oh, aspetta. Perché è legata? Io non l’avevo legata.
- Beh, qualcuno l’ha legata, - constato fissando la stoffa arrotolata strettamente al candelabro. – Non possiamo appellarla, rischiamo che si porti dietro il candeliere e allora sì che siamo finiti.
- Evanesco? – propone incerto e probabilmente lo stesso spiacevole scenario sta attraversando sia la mia che la sua mente: l’ultima cosa che ci serve è far scomparire per sbaglio un intero candelabro. 
- Da quaggiù? – chiedo scettica, guardandomi attorno alla ricerca di una soluzione. Ci serve solo un oggetto da far volare lassù che possa appigliarsi alla cravatta, oppure... – Dean! Lo sgabuzzino di fianco alla Sala Trofei, presto! – Dean, che stava venendo verso di noi, si blocca perplesso, la porta della Sala Trofei proprio alle sue spalle. – Gazza ci tiene delle vecchie Scopalinde mezze rotte, prendine una!
Continua ad avere un’aria spiazzata, ma la fretta nella mia voce lo spinge a fiondarsi nella Sala Trofei senza fare domande.
- Ci sali tu, - informo subito Potter, che quelle scope hanno più anni di tutti noi messi insieme e se la decapitazione è perfetta per me, la morte tramite caduta è tutta sua.
- Ok, - accetta subito, perché probabilmente è così che ha sempre sognato di morire, oppure perché, checché ne dica, l’ha effettivamente legata lui così stretta quella stupida cravatta.   
Il silenzio aleggia nella Sala per qualche secondo, poi qualcosa dentro di me scatta.
- Devi lasciarlo in pace, Potter, - sbotto all’improvviso, attirandomi un’occhiata sorpresa. – Battutine e frecciatine? Ok, fa’ pure il bambino se vuoi, ma rompergli il naso è oltre il limite.   
Probabilmente non è il momento migliore per affrontarlo e ogni parte di me se ne rende conto,  ma vedere la sua ridicola espressione innocente e quasi indignata non fa che istigare la mia voglia di dargli una testata dritta in faccia, giusto per rendere pari il numero di nasi rotti.
- Fammi capire, sarebbe colpa mia se il tuo ragazzo si fa prendere a pugni da qualcun altro?
Ed ecco che rigira tutto per uscirsene pulito. Tipico di Potter.  
- Non si è fatto prendere a pugni, Potter, - lo correggo irritata. - E non è qualcun altro, è Black, quindi certo che è colpa tua.
-  Wow, Evans, - Potter mi guarda beffardo. - Devi avere un udito eccezionale per essere riuscita a sentirmi dire Sirius, per favore, colpiresti Philips? dall’universo alternativo lontano anni luce in cui è accaduto. 
- Oh, come se avessi bisogno di chiederglielo, - ribatto scettica. – E hai iniziato comunque tu, con le tue frecciate sul Quidditch. Non ce la facevi proprio a goderti la serata senza fare lo stronzo per una volta, vero?
- Era un gioco, Evans, - Potter sbuffa spazientito, come se avesse qualche diritto di essere lui quello scocciato qui. - Se il tuo ragazzo è troppo delicato e sensibile per affrontare qualche battuta forse dovrebbe chiudersi nella Sala Comune di Corvonero e non uscire più.
James, avete finito? È quasi arrivata.
- Per te è tutto un gioco, vero? – Non è il momento, continua a ripetere una vocina dentro di me, una vocina completamente inutile, perché tutto quello che riesco a vedere ora è l’espressione risentita di Potter, la sua faccia tosta che non fa che infiammarmi di più. - Beh, sei pregato di lasciarne me e il mio ragazzo fuori e di risolvere qualunque problema ti causi il vederci insieme per conto tuo. E in silenzio possibilmente, grazie.
C’è un che di soddisfacente nel modo in cui le labbra di Potter si schiudono stizzite solo per non emettere alcun suono, mentre una volta tanto il proprietario resta senza nulla da ribattere. È questione di pochi secondi naturalmente e subito Potter fa per tornare all’attacco, ma di nuovo si blocca e questa volta non perché è senza parole.
 James, cazzo, hai sentito?! Mettetevi il dannato mantello!
C’è questo momento, in cui lo strano rumore di sottofondo che il mio cervello sta registrando già da un po’ senza prestarci vera attenzione acquista improvvisamente un senso e lo vedo nel lampo di comprensione che spalanca gli occhi nocciola di Potter che vale lo stesso per lui. Li abbassa sulla sua felpa, sul punto da cui sembra essere venuta la voce di Black, poi li rialza di scatto a incrociare i miei, nell’esatto momento in cui il grosso portone di quercia della Sala Grande scricchiola aprendosi.
Ho il cuore in gola e gli occhi ancora fissi in quelli di Potter, solo che all’improvviso c’è una specie di velo argenteo tra noi e quando la voce della McGranitt risuona per la Sala capisco cos’è appena successo.
- Signor Potter.

 
*
 
 
L’attimo in cui la voce di Sirius smette di fuoriuscire dai miei vestiti è anche l’attimo in cui realizzo che la voce di Sirius stava effettivamente fuoriuscendo dai miei vestiti e che avrei dovuto farci caso prima, perché se ora non lo sta più facendo vuol dire che la McGranitt è qui.
Evans ha ancora gli occhi spalancati in quello sguardo furente, con la differenza che ora sono allo stesso tempo terrorizzati e quando sento la porta aprirsi lo faccio prima ancora di averlo deciso: estraggo con uno scatto repentino il mantello dal tascone interno e lo lancio davanti a me, sopra di lei.  
Per una frazione di secondo, voltandomi verso la porta, ho paura che l’abbia vista sparire, ma è solo me che chiama.
- Signor Potter, - ripete la McGranitt, la voce vibrante di rabbia trattenuta. – Si spieghi. Che cosa ci fa qui?
C’è il Prefetto di Serpeverde di fianco a lei, il volto ricoperto di orribili pustole gialle, le stesse che dovevano essere la nostra garanzia che avrebbero rispettato l’accordo. Sono disgustose proprio come Remus gliele aveva descritte, enormi e rigonfie di pus, e hanno tutta l’aria di essere parecchio dolorose, ma Lynch continua a sorridere trionfante e la verità è che è stato idiota da parte nostra sottovalutare la portata dell’odio che i Serpeverde nutrono per noi.
In realtà è tutta questa situazione ad essere parecchio idiota, a partire dal fatto che sono in piedi nel bel mezzo della Sala Grande alle quattro di mattina con la mia Capocasa di fronte e tutto perché la mia cotta per Evans mi ha distratto.
- Non ne ho idea, professoressa. Si direbbe, - Mi guardo attorno circospetto. – Che io non stia facendo nulla. Un episodio di sonnambulismo probabilmente.
Il silenzio segue le mie parole e la McGranitt non muove un muscolo, continuando a inchiodarmi con lo sguardo gelido.
-  Lo sente l’odore di Whiskey Incendiario?
Il suo tono di voce è di qualche ottava più basso del normale ed io registro distrattamente il lieve tremolio del labbro superiore. Pessima situazione, James, pessima.  
- Oh, è Whiskey Incendiario questo strano odore dolciastro? – Spalanco gli occhi fingendomi sorpreso. - Mai sentito prima. La burrobirra è già troppo forte per me.
È il modo in cui la McGranitt chiude gli occhi per appena un secondo prima di riprendere a parlare. È il segnale.
- Che cosa le passa per la testa, signor Potter, - Le scosse nel suo tono basso e vibrante aumentano lentamente di intensità ed io devo zittire con forza il mio istinto che sta ora insistendo perché io mi metta a correre. - Per concepire anche solo l’idea di organizzare una festa a scuola? In Sala Grande?
Il segreto, quando tutto attorno a te suggerisce che è il momento di andare nel panico, è non andare nel panico. Alzare le spalle invece di portarsi le mani ai capelli e strapparli. Le labbra piegate in una smorfia annoiata invece che spalancate in un silenzioso grido d’orrore. Come se ci fosse un motivo chiaro solo a te per cui non hai nulla di cui preoccuparti, quando in realtà non c’è nulla a parte la merda in cui annaspare.
 - Questa? - Lascio correre gli occhi sulla Sala immacolata, evitando con cura di posarli sulla cravatta che penzola proprio sopra le nostre teste. - Non mi sembra un granché come festa.
Le labbra della McGranitt ora sono così pressate l’una contro l’altra da non avere più alcuna traccia di colore.
- Il signor Lynch viene da me avvisandomi di una festa in Sala Grande ad opera di diversi Grifondoro e recandomi qui trovo lei, Signor Potter, - Il Serpeverde al suo fianco arriccia un angolo della bocca in un sorrisetto vittorioso, salvo poi contorcersi in una smorfia di dolore quando una pustola pulsa vistosamente. Magari esplodesse e morissi soffocato nel pus, figlio di Morgana. – Vorrebbe farmi credere che si tratta di una coincidenza? 
- Beh, ringrazio il signor Lynch per l’alta considerazione, ma non chiamerei la mia sola presenza qui festa.
- In trent’anni, - L’improvvisa impennata nel tono della McGranitt mi fa quasi sobbalzare. - Non ho assistito a nulla del genere. E mai me lo sarei aspettata, neppure da lei, - Ricordo perfettamente di averle sentito dire qualcosa come ‘Mi aspetto qualunque cosa e qualunque colore da lei, signor Potter’ appena qualche mese fa, quando stavo cercando di convincerla che quella stupida puffola pigmea rosa non era il frutto di un traffico illegale di mia gestione, ma non sarebbe saggio farglielo presente ora.
- Signor Lynch, torni immediatamente nel suo dormitorio, - aggiunge secca e lui non se lo fa ripetere. Poi torna a guardarmi ed io posso quasi sentire i punti che escono uno dopo l’altro dal mio corpo come dalla clessidra di Grifondoro. - Dove posso trovare gli altri? Il signor Black?
- Sirius? - E tutto l’impegno che ci metto nel suonare stupito e confuso non fa che tramutarsi in una nota di panico nella mia voce. Errore da principianti. – Non saprei, suppongo stia dormendo.
Va leggermente meglio ora, la faccia di bronzo è di nuovo al suo posto e ho riacquistato il controllo della mia voce, ma qualcosa nell’espressione della McGranitt si scurisce all’improvviso ed è come se mille punizioni mi stessero colpendo contemporaneamente dritto in faccia.
- Signor Potter, - Ed ecco un’altra punizione tagliente proprio contro il mio naso. – La sua situazione è già abbastanza grave così, la avverto, non tollererò ulteriori mancanze di rispetto, - Due punizioni mi finiscono dritte nell’occhio sinistro, mentre il fiotto di punti persi continua a colarmi copiosamente dal naso, rendendomi difficoltoso mantenere un’espressione impassibile. - Voglio la verità.
La verità è che per un attimo ogni cellula del mio corpo preme affinché io mi volti ed indichi con entrambe le mani la porta socchiusa della Sala Trofei alle mie spalle, che trascinare Philips a fondo con me renderebbe questo momento così tanto più godibile.
Ma se c’è qualcosa che trovo persino più irritante di Philips e della sua stupida faccia, quelle sono le spie e così continuo a dare le spalle alla Sala Trofei.
- D’accordo, conosco l’odore del Whiskey Incendiario, ha ragione.
Tra le labbra sottili della McGranitt, proprio al di sotto della sua occhiata spazientita, riesco a intravedere la sagoma scura e fumosa dell’espulsione e così mi affretto a precederla:
- Ed ho organizzato una festa in Sala Grande, - Sospiro sconfitto con la giusta dose di sincerità, regolando contemporaneamente il pentimento negli occhi. - Ma Sirius non c’entra, davvero. Se va a controllare lo troverà a letto.
Lo scetticismo le ricopre tutta la faccia, ma la sagoma dell’espulsione sfuma lentamente. Uno a zero per me.
- Chi altri è coinvolto allora?
- Nessuno, - E questo è invece un autogol perché è così palese che sto mentendo che impegnarmici troppo la farebbe infuriare solamente di più. - Era una festa altamente esclusiva, c’ero solo io.
- Signor Potter.
E la sagoma nebulosa dell’espulsione riaffiora lentamente dalle sue labbra sottili.
Lo fa apposta, sa che riesco a vederla fare capolino e spera che mi spinga a cedere, ma non è come se non sapessi che non uscirà comunque da là dentro. Lo scherzo a Piton resta ad oggi il momento più buio nella storia dei Malandrini e farei qualunque cosa se potessi in qualche modo cancellarlo del tutto, ma se non altro costituisce un precedente: ha tracciato il limite, quello fino a cui ora sappiamo di poterci spingere senza che nessuno si becchi il cartellino rosso. Perché se Silente ha graziato Sirius quella volta, io devo impegnarmi molto più di così per guadagnarmi l’espulsione.
- Lei è già abbastanza nei guai, signor Potter, non aggravi la sua situazione non collaborando, - Ma il fatto è, l’espulsione non è mai stata la cosa peggiore che la McGranitt potesse farmi. – Credevo che volesse rifarsi quest’anno.
Il suo tono è molto meno adirato ora, quasi sconfitto, ma la saliva nella mia bocca è appena diventata particolarmente densa e difficile da deglutire. No, no, no. Non di nuovo.
- Non traggo alcun piacere all’idea di privarmi per la seconda volta del mio miglior giocatore, ma se non mi viene incontro è esattamente quello che sarò costretta a fare. Per il resto dell’anno, - Non sta succedendo, non sta succedendo, e invece sta succedendo. – Le sto dando la scelta, signor Potter: chi altri è coinvolto?
Il silenzio che segue mi pesa addosso come un macigno ed io sono solo vagamente consapevole di aver smesso di controllare la mia espressione.
Non posso credere di essere stato così idiota da farlo succedere di nuovo.
Philips ha fottutamente ragione ed io non potrò guardare la mia squadra in faccia mai più. Non potrò guardare me stesso in faccia mai più.
- Non c’è nessun altro, - ripeto sconfitto, ma fermo, piantandomi ben a fondo il coltello al centro del petto. Ahi. - Solo io.
Qualcosa di indecifrabile attraversa lo sguardo della McGranitt, qualcosa che soffia via in un sospiro stanco.
- La sua spilla, signor Potter.
 Un cenno della mano verso il mio petto e il coltello affonda di colpo di altri dieci centimetri, trapassando il cuore da parte a parte. Il sangue che schizza fuori a mo’ di fontanella dev’essere particolarmente vistoso, perché le labbra della McGranitt si stringono di nuovo l’una contro l’altra mentre mi guarda negli occhi, come se dovesse ritrovare la fermezza prima di darmi il colpo di grazia.  
- La spilla o un nome, signor Potter, - conclude inflessibile. - Avanti.
La C dorata di Capitano se ne sta sul mio petto come sempre dal quinto anno ed ogni parte di me cerca di spingere lontana la mano che vi si avvicina, ma non sono un traditore e quando la voce di Evans spezza il silenzio la spilla è già sul mio palmo teso verso la McGranitt.   
- Professoressa, l’ho organizzata io la festa: è il mio compleanno, - La porta della Sala Trofei si chiude alle sue spalle mentre Evans avanza decisa verso di noi. - Potter mi ha aiutato, ma solo perché gliel’ho chiesto io.
Gli occhi della McGranitt sono allargati in un’espressione di stupore che le fa ignorare la mia mano tesa verso di lei, ma suppongo che sia nulla in confronto allo shock sulla mia faccia. Dopo qualche secondo la mia mano si ritira automaticamente, le dita che si chiudono protettive attorno alla spilla, ma chiudere la bocca non si rivela altrettanto facile e sono contento che Evans non mi stia considerando di striscio al momento, gli occhi fissi in quelli della McGranitt.
- Ed è stata un fallimento perché nessuno a parte noi è così stupido da rischiare di farsi trovare in Sala Grande oltre il coprifuoco, - Prosegue Evans spedita, mentre io continuo a guardarla incredulo. È davvero appena successo quello che sembra sia appena successo? - Ed è per questo che ci siamo solo noi, può controllare. Se ha intenzione di togliermi la spilla da Prefetto perché non mi crede, allora gliela consegnerò, perché non posso darle i nomi di persone che erano e sono tuttora nei loro letti.
Il tempo si è come dilatato nella mia testa e non saprei quantificare la durata del silenzio che segue, mentre avverto gli occhi della McGranitt sostare anche su di me e non sono assolutamente in grado di ricambiarla con uno sguardo brillante o pentito o qualunque tipo di sguardo dovrei rivolgere alla mia Capocasa che mi becca con le mani nel sacco, gli occhi incollati ad Evans.
Non c’è traccia dell’agitazione di prima né della paura di essere decapitata a cui ha dato voce tutt’oggi mentre sostiene senza esitazione lo sguardo severo della McGranitt. Se non fosse che in realtà riconosco perfettamente la determinazione nei suoi occhi, considererei l’ipotesi che Evans non sia affatto Evans, perché ho imparato a mie spese che a volte quando fa cose che normalmente non farebbe, è perché in effetti non è lei.
Ma Lizzie è partita per la Torre con tutti gli altri e quella di fianco a me che si è appena apparentemente immolata alla McGranitt per togliermi dai guai sembra essere, contro ogni logica, Evans in persona.  
Non sono l’unico ad essere sconcertato.
- Signorina Evans, - dice infatti la McGranitt. - Lei mi sta chiedendo di credere che è stata qui tutta la notte da sola con il signor Potter?
Evans sospira.
- È per questo che sente odore di alcool, professoressa.
 



**********

- Alice, vieni su dai, - Mary mi lancia un’occhiata dalla cima delle scale. - Hai sentito Remus, è meglio se aspettiamo in camera, nel caso la McGranitt venisse a controllare anche quassù.
- Arrivo, - annuisco. Gli altri, su insistenza dei Malandrini, sono già spariti tutti nei dormitori e nella Sala silenziosa restiamo solo io e Frank.
- Frank.
- Mh?
- Mi sa che l’ho capita anch’io quella cosa, - dico. – Quella cosa che hai capito tu, intendo.
Frank smette di studiare corrucciato la macchia sulla sua cravatta per lanciarmi un’occhiata indagatoria, prima di alzare le spalle, vago.
- Oh, io non me la ricordo nemmeno più.
- Giusto.
Restiamo in silenzio un altro po’, poi io gli stampo un bacio sulle labbra e mi avvio verso la scala del dormitorio femminile, mentre lui prende la direzione opposta.
- Sarebbero una bella coppia, - aggiungo imboccando il primo scalino.
- Già, - concorda Frank.


 
**********
 
Ho diciassette anni da poche ore e ne ho già passata quasi mezza in piedi in Sala Grande di fianco a James Potter ad ascoltare la mia Capocasa illustrarmi per filo e per segno come sia sopraffatta dall’indignazione e dalla delusione per il nostro comportamento inaccettabile. Non è probabilmente in nessuna top ten di modi brillanti con cui iniziare la propria vita da adulti, ma è sicuramente sopra a decapitazione o ancora espulsione di massa e dopotutto si tratta solo di stare qui ferma ad annuire contrita, non è come se le parole della McGranitt potessero farmi fisicamente del male o compromettere in qualche modo la mia tranquillità interiore, se io non glielo permetto. È quello che mi piacerebbe credere, ma naturalmente possono, possono e lo stanno facendo.
Sto cercando di non darlo a vedere, ma il modo in cui le sue labbra stanno sparendo l’una contro l’altra, sempre più bianche e sempre più silenziosamente feroci, mi terrorizza: se urlasse e basta sarebbe meglio, ma quella vena vibrante di rabbia trattenuta alimenta la mia voglia di sprofondare nel pavimento e precipitare nelle cucine, dove i visetti amichevoli degli elfi domestici mi conforterebbero con qualunque cosa stiano preparando per colazione. Pensare agli elfi che cucinano sotto di noi mi infonde una nuova sicurezza, che Hogwarts va avanti e non si ferma solo perché la McGranitt mi sta guardando in quel modo, e prima o poi dovrà per forza smettere di parlare e lasciarci uscire da qui.
Che non può tenerci qui per sempre pare ricordarselo anche la McGranitt a un certo punto e si zittisce, iniziando a studiarci attentamente, come a quantificare l’effetto della sua ramanzina sui nostri volti.
- Signor Potter, se nelle prossime settimane la trovo anche solo con la cravatta annodata male, lei non toccherà la scopa per il resto dell’anno, no, per il resto della sua permanenza ad Hogwarts, ci siamo intesi?
Potter annuisce concitato, portandosi nervosamente una mano al colletto della felpa a sistemarsi una cravatta invisibile. 
- In quanto a lei, signorina Evans, alla prossima infrazione del regolamento perderà la sua spilla da Prefetto, è chiaro?
- Non accadrà, professoressa.
Mi esce un tono molto sicuro, ma il modo troppo rumoroso in cui deglutisco subito dopo rovina tutto.
La McGranitt ci squadra in silenzio per qualche altro secondo e pare infine soddisfatta del sottile stato di tensione nervosa e supplicante in cui ci ha gettato.
- Settanta punti in meno a Grifondoro, - Decreta. Ouch. - E vi voglio entrambi nel mio ufficio domani mattina alle nove in punto per discutere i termini della vostra punizione, - Le occhiaie, riesco già a sentire le occhiaie che mi scaveranno la faccia domani. - Ora tornate immediatamente nel vostro dormitorio. Fate una deviazione, una sola, per andare in bagno o qualunque altra cosa, e vi do la mia parola che sarete espulsi.
Subito scuoto decisa la testa, a sottolineare la totale impensabilità di un tale atto da parte nostra, mentre con la coda dell’occhio scopro che Potter sta invece annuendo vistosamente, a sottolineare la sua idiozia e la nostra mancanza di coordinazione.
La palpebra sinistra della McGranitt trema leggermente ed è il momento di congedarsi.
Schiudo le labbra solo per bloccarmi poi a riflettere se sia il caso di dire effettivamente qualcosa e se sì cosa, e se la mia punizione sarà resa più grave dall’augurarle o meno una buonanotte piuttosto che scusarmi o buttare lì un’osservazione sul sole che sta sorgendo al di là delle ampie vetrate della Sala, poi Potter si schiarisce la gola e scappa e così lo seguo.
È solo quando ci sono diversi corridoi e due piani a separarci dalla Sala Grande che mi permetto di rallentare il passo e il respiro, sospirando di sollievo. Bene, non è stato così disastroso. Tra qualche settimana forse riuscirò anche a guardare di nuovo in faccia la mia Capocasa senza sentirmi un insetto che sta per essere schiacciato.
- Mi stupisci, Evans, - Potter armeggia con la sua spilla per riattaccarsela al petto, come se da qui alla Sala Comune potessimo incontrare qualcuno a cui sfoggiarla. Mi chiedo se la lasci sul comodino almeno quando si fa la doccia o se se la appunti a sangue sulla carne nuda. – Sai mentire.
- Non mi ha creduto nemmeno per mezzo secondo, - Preciso, incerta se nell’ottica di Potter saper mentire sia un complimento o cosa. - Era solo una questione di fatti: io le ho fornito una versione palesemente falsa, ma tecnicamente plausibile. E lì c’eravamo solo noi, nella Sala perfettamente pulita. Solo la mia parola contro quella di Lynch, - Alzo le spalle. - E la mia parola è un po’ più credibile della tua.
Potter non ha nulla da obiettare e fino al quarto piano nessuno dice più nulla, poi lui spezza di nuovo il silenzio.
- Perché non sei rimasta sotto il mantello, Evans?
 - E tu perché me l’hai lanciato sopra?
Potter mi guarda corrucciato.  
- Te l’ho chiesto prima io.
Dato che ha ragione, decido di ignorarlo e di nuovo fino al piano successivo nessuno dice più nulla. Questa volta sono io a spezzare il silenzio.
- Perché non sono una stronza totale.
Sento il suo sguardo su di me per diversi secondi.
- Neanch’io sono uno stronzo totale.
- Eccetto che tu lo sei, - Lo correggo dopo un po’. - Uno stronzo totale.
- Ah sì?
- Sì.
- Mh.
Potter rimugina tra sé e non ha l’aria di voler aggiungere altro a qualunque cosa significhi quel mh e così procediamo in silenzio. Siamo quasi arrivati al settimo piano quando pare rendersi improvvisamente conto di qualcosa.
- Evans.
- Mh?
- Dov’è il mio mantello?
- L’ho dato a Dean.
Continuo a camminare per un altro po’ prima di rendermi conto che non ci sono più i passi di Potter accanto a me. Quando mi volto lo trovo fermo diversi metri più indietro, un’espressione attonita in viso.
- Cosa hai detto?
- L’ho dato a Dean, - ripeto, perplessa dalla sua reazione. Voglio dire, non era palese?
- Stai scherzando.
A quanto pare non era palese.
- No che non sto scherzando, Potter, cos’avrei dovuto fare, lasciarlo intrappolato nella Sala Trofei senza vie di fuga e nessuna protezione? – provo ragionevole.
- Sì! - L’esclamazione esasperata di Potter riecheggia nel corridoio vuoto, risvegliando i borbotti infastiditi di alcuni ritratti. - Se avesse seguito me e Remus quando abbiamo accompagnato gli altri Corvonero alla Torre non sarebbe rimasto intrappolato da nessuna parte!
Io lo guardo sconcertata dalla sua reazione eccessiva. 
- Ma si può sapere che problema hai?
- Il mio problema, - Potter chiude per un attimo gli occhi, come a invocare la calma. - È che tu hai dato il mio mantello a quel coglione del tuo ragazzo.
Il suo tono di voce è di nuovo ad un livello tale da non farci rischiare l’espulsione, in compenso ora è il mio a salire di qualche ottava.  
- E tra un paio d’ore a colazione lo riavrai come nuovo, santo cielo. Non è mica infetto, - sbuffo irritata. Non posso credere che stia facendo una scenata per una cosa così stupida. - Avresti preferito che me lo togliessi lì davanti alla McGranitt, così da fartelo sequestrare?
- Sì, avrei preferito che te lo facessi sequestrare piuttosto che darlo a Philips, - Potter pare deciso ad ostentare fino in fondo la maturità di un bambino di otto anni ed è il mio turno di evocare la calma ora. - E avrei preferito ancora di più che non te lo togliessi proprio.
- Beh, sai cosa? - Solo che non mi funziona mai questa storia dell’evocare la calma ed ora è contro di me che stanno borbottando infastiditi i dipinti. - Anch’io. Anch’io vorrei non essermelo tolta, e se potessi tornare indietro resterei lì sotto a guardare la McGranitt sbatterti fuori dalla squadra e ci godrei da matti, Potter, perché è quello che ti meriti. Sono stata un’idiota a volerti aiutare.
I cani che giocano a poker continuano ad abbaiarci contro dalla loro tela ed io ne afferrerei volentieri uno e lo strattonerei fuori dalla cornice, prendendo il suo posto, perché se dovessi giocare per il resto della mia vita a poker con un gruppo di cani di tempera allora vorrebbe dire che avrei comunque a che fare con soggetti più maturi e intellettualmente stimolanti di Potter.
- Esattamente, perché nessuno te lo aveva chiesto, - Sta appunto dicendo Potter, che oggi muore evidentemente dalla voglia di essere colpito in faccia da qualcosa di duro. - La prossima volta fatti gli affari tuoi.
- Godric, quanto non ti sopporto, - sbotto esasperata. - Non so come hai potuto pensare che fossi io a baciarti.
Potter sussulta spiazzato, perché evidentemente non si aspettava che lo sapessi, ma subito si riprende e alza le spalle indifferente.
- Beh, se ci avessi pensato ci sarei arrivato, - ribatte distaccato. - Ma non penso alle cose di cui mi importa meno di zero, Evans.
- Buon per te, Potter, perché per la cronaca, io non ti bacerei mai, - lo informo aumentando furiosamente il passo. - Prima che togliessi le mutande al mio migliore amico di fronte a tutta la scuola, ti ho detto che mi dai la nausea e se la mia intera vita è cambiata da quel momento, quella resta l’unica costante: tu, James Potter, continui a darmi la nausea e non potrei mai, mai baciarti.
- E te ne sono solo grato! E non pensare che io non abbia tratto un sospiro di sollievo quando ho scoperto che non eri tu, perché l’ho fatto eccome.
Tu gli piaci, tu piaci a James Potter.
Vorrei che Severus, Dean e chiunque altro nel pieno delle sue capacità sosterrebbe un’assurdità del genere fossero qui ora, per vedere coi loro occhi quanto James Potter è follemente innamorato di me. Come no. 
Cammina a passi veloci al mio fianco ed è palesemente convinto di essere lui quello col diritto di essere arrabbiato, è palese. Arrogante, viziato e insopportabile Potter.
Stiamo quasi correndo e quando lui si ferma di scatto per poco non gli vado a sbattere contro. Poi, senza degnarmi di uno sguardo, si volta dalla parte opposta e inizia a camminare spedito nella direzione da cui siamo appena venuti. 
- Che diavolo fai ora? – lo blocco perplessa afferrandolo per la manica della felpa.
- Vado a riprendermi il mio mantello, - replica freddo, sfilandosi deciso da sotto la mia presa.
- Ma sei impazzito? – gli sibilo contro. Solo questa ci mancava. - L’hai sentita la McGranitt, vuoi farti espellere? 
E il fatto è, essere ignorata da James Potter, che si allontana come se la mia voce fosse un irrilevante rumore di sottofondo, è in realtà sempre stato uno dei miei sogni impronunciabili, quelli troppo belli da essere anche solo immaginati, ma nel momento in cui succede e lo vedo procedere come se niente fosse, senza neanche degnarmi di una risposta, mi fa semplicemente perdere le staffe, più di qualunque altra cosa abbia mai fatto.
- Lo sai, cosa, Potter, - gli grido dietro infervorata, mentre la sua schiena si avvicina sempre più alla fine del corridoio. - Dean aveva ragione: sei un dannato egoista, e quella spilla non ti servirà comunque a nulla, perché troverai sempre un altro modo per farti squalificare dalla prossima partita o da quella dopo ancora!
E questa volta si gira a guardarmi.
- Esattamente, Evans. Il tuo stupido ragazzo ha ragione, quindi torna alla torre e lasciami in pace.
- È esattamente quello che intendo fare, - replico subito, il calore che mi infiamma le guance per la rabbia.
- E spero che tu venga espulso! – aggiungo in un grido stizzito mentre lui svolta oltre l’angolo alla fine del corridoio. 
Con uno scatto do le spalle al punto in cui è sparito e riprendo spedita dalla parte opposta, il respiro leggermente affannato.
Lo odio, lo odio, lo odio.
Perché deve farmi dire cose del genere, perché nella stessa sera deve coprire me col mantello invece di se stesso, come se fosse in qualche modo consapevole dell’esistenza di altre persone oltre a lui sul pianeta terra, e poi rovinare tutto due secondi dopo?
Non ne sono mai stata così convinta come ora, James Potter è un dannato aspirapolvere ed io raccoglierei la polvere manualmente granello per granello piuttosto che avvicinarmici di nuovo.

 
******
 
Sento l’impulso irrefrenabile di prendere a pugni il muro, ma non sono un idiota che si mette a litigare con un muro di pietra centenario per poi stupirsi di essersi fatto male e così non lo faccio.
Ho il bisogno quasi fisico di prendere a pugni quel fottuto muro, ma non sono un idiota e non farò a pugni col muro.
 
Sono un idiota.



 
 
**********
 
- Sei sicuro? – chiedo per l’ennesima volta a Sirius, prima di dare una piccola scrollata a Peter. – Pete, sveglia. Bevi un altro po’ d’acqua prima di dormire, fidati.
- Sto bene, mh, ho solo sonno, - sbiascica flebile contro il cuscino. 
- La tua testa domattina mi ringrazierà, forza, - insisto aiutandolo a mettersi seduto e porgendogli l’ennesimo bicchiere colmo fino all’orlo d’acqua fresca. Al momento sembrava la cosa migliore da fare e sono ancora convinto che sia stata una mossa molto astuta, affatturare Peter per indurlo a vomitare e distrarre così tutti, ma trovandomi di fronte il colorito pallido del suo viso ora mi sento terribilmente in colpa: non è probabilmente una di quelle cose che un amico dovrebbe fare.
- Sicuro, - conferma Sirius.
Un altro dei miei amici per cui mi sto attualmente sentendo terribilmente in colpa è James, che a detta di Sirius è stato colto in flagrante dalla McGranitt. Di nuovo, al momento sembrava la cosa migliore da fare, convincere Sirius ad aiutarmi a portare tutti i nostri compagni in salvo alla Torre e lasciare James col mantello e la certezza matematica che non sarebbe stato preso, che bastava controllare sulla Mappa quando la McGranitt sarebbe stata in dirittura d’arrivo e avvisarlo tramite specchietto. È quello che abbiamo fatto, ma James non ha risposto e Sirius è ora sicuro che sia stato scoperto, che il puntino suo e di Evans sono stati immobili sulla Mappa di fronte a quello altrettanto immobile della McGranitt troppo a lungo per non essere entrati in comunicazione.
Non è tecnicamente colpa mia, che tutto quello che doveva fare James era rispondere allo specchietto e infilarsi sotto il mantello per tempo, come concordato, ma allo stesso tempo è naturalmente colpa mia, perché se avessi lasciato Sirius con lui allora questo non sarebbe successo.
Sirius ha un’aria scocciata per l’appunto, ma non ha detto nulla riguardo a come l’ho convinto a non restare con James, quindi non mi è chiaro con chi ce l’abbia, o se anche solo ce l’abbia con qualcuno in particolare o in generale con tutti.
- Ti fa male la mano? – Chiedo notandolo mentre si massaggia distrattamente le nocche della mano destra. - Beh, forse dovresti pensarci prima di usarla per colpire la faccia delle persone.
Peter, che non è ancora evidentemente tornato nei ranghi di noi sobri, ridacchia di gusto e dato che sta bevendo emette un suono come di pernacchia e schizza acqua ovunque. Qualche goccia arriva ad aggrapparsi anche al cotone del mio pigiama ed io le accolgo senza nemmeno provare a spostarmi, che è esattamente quello che merito, gocce d’acqua sul mio pigiama.
- O forse le persone dovrebbero evitare di avere il grugno così duro, - sbuffa Sirius. - E perché dici le persone come se fossero una lista infinita: Dean Philips. Ho colpito Dean Philips e se l’è meritato.
Nonostante il peso dei diversi sensi di colpa che mi affliggono al momento, le mie sopracciglia riescono comunque a inarcarsi con grande prontezza.
- Ed esattamente perché se lo sarebbe meritato? Perché non ha incassato senza ribattere?
- Scusa, Moony, forse sei rientrato alla Torre sbagliata? – Sirius mi lancia un’occhiata ironica ed io alzo gli occhi al cielo. - Perché quella di Corvonero sta dalla parte opposta, la trovi sulla Mappa, guarda.
- Ora non essere ridicolo, lo sai benissimo da che parte sto, - sospiro. - Ma questo non mi impedisce di essere ragionevole e ammettere che James non ha fatto che provocarlo per settimane, - aggiungo pacato. - E se prendere a pugni Philips potesse essere d’aiuto a James, stai certo che lo avrei fatto io, sbagliato o no, ma non risolve nulla.
Non so se Sirius abbia o meno qualcosa da ribattere a questo, perché come finisco di parlare qualcuno bussa alla porta e noi ci guardiamo perplessi: l’ultima volta che abbiamo controllato la Mappa James stava tornando alla Torre e dovrebbe proprio essere lui, eccetto che se fosse lui non busserebbe.
Circospetto mi avvicino alla porta, gli occhi guardinghi di Sirius e Peter ad accompagnarmi.
- Potter è un idiota, - mi informa Lily Evans dall’altra parte non appena apro cautamente.
- Emm, - mormoro incerto su come reagire. Voglio dire, non è una notizia così sconvolgente, ma non è qualcosa che le persone si scomodano solitamente a venire in camera nostra per comunicarci. – Ok...?
- E si farà espellere, - prosegue spedita. - E sarei la persona più felice sulla faccia della terra se accadesse, ma se volete fare quello che fate, con quel vostro specchietto, e convincerlo a tornare, ecco, ora lo sapete e potete, perché io ve l’ho detto. Buonanotte.
Sto ancora processando le sue parole quando mi rendo conto che lei non è già più qui.
Questa giornata è così strana.
- Giuro solennemente di non avere buone intenzioni, - dice Sirius, mentre io mi avvicino per vedere coi miei occhi dove e come James ha deciso di farsi espellere. Non sono veloce come Sirius a sondare interi piani in pochi secondi e a districarmi tra le folle di puntini in movimento, ma essendo l’alba i corridoi del castello sono praticamente deserti e quando Sirius decreta che James non c’è smetto immediatamente di cercare.
- James? – Lo chiamo afferrando lo specchietto di Sirius dal comodino. La sua faccia questa volta compare dopo pochi secondi. - Sei sparito dalla mappa, sei nella stanza delle necessità?
- Sì, - annuisce.
- E cosa stai facendo?
- Niente.
Ripeto, questa giornata è così strana.
- E perché?
- Evans ha dato il mio mantello a Philips, - annuncia e di nuovo l’acqua che Peter dovrebbe bere trova la via per il mio pigiama. - Stavo andando a riprendermelo, ma mi sono ricordato che non posso trovare Philips mentre è sotto il mio mantello.
- Giusto, - concordo. Quello e tutta la storia di come nessuno abbia davvero bisogno di un altro faccia a faccia tra James Potter e Dean Philips prima che sorga il sole. - Potremmo cercarlo sulla mappa, ma ormai sarà sicuramente alla Torre.
- Già.
- Già, - ripeto e nessuno dice più nulla per un po’.
- Gli ha dato il mio mantello! – James sbotta indignato ed io avrei sobbalzato, se non fosse che stavo aspettando esattamente questo momento.
- Probabilmente era la cosa logica da fare, ma resta inconcepibile, certo, - annuisco condiscendente. 
- Dovemmo fargliela pagare, - si infervora Peter. – Con delle caccabombe.
- No, non dovremmo, - replico subito. - Bevi l’acqua, Pete.  
- Tra un po’ se la fa sotto, Moony, - commenta Sirius.
- Probabilmente è il suo piano, - aggiunge James dallo specchietto ed io torno a guardarlo. – Non gli è bastato farlo vomitare.
- È venuta a chiederci di usare lo specchietto, sai, - lo informo, ignorando la battuta. - Era preoccupata che ti facessi espellere.
James mi guarda.
Io lo guardo.
- O era preoccupata che trovassi Philips, - decreta infine ed io trattengo un sospiro.  
- Beh, comunque la strada è libera, - dico. - Torna qua.
- Arrivo.
La sua faccia scompare dallo specchietto ed io alzo gli occhi al cielo.
 
 

**********

Sono appena entrato in camera e la faccia di Remus sta già cercando di dirmi così tante cose senza nemmeno aprire bocca che subito sposto stancamente lo sguardo su Sirius, che di solito usa le parole quando vuole dirmi qualcosa. Beh, non è vero, anche la sua faccia dice spesso un sacco di cose senza coinvolgere le labbra, ma di solito non sono cose che non voglio sentirmi dire.
Se ne sta sdraiato sulle coperte del suo baldacchino, una mano a reggergli la testa e un’aria scocciata, annoiata e assonnata in viso. Mi guarda impassibile e non cerca di dirmi nulla con gli occhi, che è esattamente quello che voglio dai miei amici in questo momento.
- Che hai fatto alla mano? – dice Remus mentre mi chiudo la porta alle spalle. Quando torno a guardarlo sposta gli occhi dalle mie nocche arrossate e spellate per inarcare un sopracciglio, divertito. - Sirius fa a pugni e la tua mano somatizza?
Peter, che pare tornato di un colore umano, ridacchia e anch’io sogghigno. 
- Sono stato attaccato da un muro, - spiego poi.
- I muri solitamente non attaccano gli studenti, - replica subito Remus come se fosse un qualche esperto di muri.
- Beh, quel muro ha attaccato me, - sbuffo. - E che ne sai? L’entrata della Sala Comune di Serpeverde è un muro: come minimo starà aizzando i suoi amici contro di noi.
- Perché non hai risposto allo specchietto? – chiede all’improvviso Peter dal suo letto.
C’è un che di accusatorio nel suo tono. Bizzarro. – Sirius dice che Evans ti ha distratto.
Sirius dice che Evans mi ha distratto e così mi volto verso Sirius.
Non sembra particolarmente interessato.
- Evans non mi ha distratto, - nego tornando a Peter. – Sono stato distratto da...altre cose. Cose come la cravatta di Remus.
Remus spalanca gli occhi.
- Oh Godric, la mia cravatta, - geme. - È ancora sul soffitto!
- È ancora sul soffitto, - confermo. – Ma non c’è scritto il tuo nome, potrebbe essere di chiunque.
- C’è il mio odore!
- Non annuseranno la cravatta, Moony, non essere ridicolo.
- Un muro ti ha attaccato, James.
E scandisce le parole con forza, come se questo compromettesse in qualche modo la mia credibilità.
- Possiamo spegnere la luce?
La voce assonnata è quella di Peter, ma potrebbe essere quella del mio subconscio e così la spengo subito, prima ancora di spogliarmi. La stanza resta buia e silenziosa per cinque secondi circa, poi la luce si riaccende.
- Cerco la cravatta di riserva nel baule, - ci informa Remus, mentre Peter risolleva la testa dal cuscino, perché a quanto pare è necessario che supervisioni il suo operato. Sirius è ancora immobile nella stessa posizione di prima e forse il suo cervello si è semplicemente addormentato dimenticando di dare alle palpebre il comando di chiudere bottega. Mi domando se sia normale avere quell’aria contrariata anche nel sonno.
- James.
Remus continua a frugare nel suo baule e non mi sta guardando, ma sono abbastanza sicuro che sia stato lui a chiamarmi.
- Mh? – Tento cauto, abbastanza forte da farmi sentire, ma non abbastanza da non poter fingere che mi stessi solo schiarendo la gola nel caso avessi iniziato a sentire le voci e nessuno mi avesse chiamato.
- Hai dato a Lily il tuo regalo?
Mi blocco a metà nell’atto di sfilarmi la felpa.
- Sei impazzito, Moony? Non ho fatto nessun regalo ad Evans.
- Sì, invece, l’ho visto.
- Quello non è...non era per darglielo, ok? È una cosa simbolica, l’ho fatto per bruciarlo.
- Quindi non glielo hai dato.
- No, certo. Non sono pazzo.  
- James, - Remus riemerge dal suo baule, un’espressione eloquente in viso e una cravatta nella mano. – È passato più di un mese.
Un verso incredulo mi esce dalle labbra.
- Ne stiamo davvero parlando? Di nuovo?
- No, io ne sto parlando. Tu stai evitando l’argomento, di nuovo.
Le labbra di Remus hanno assunto quella piega particolare all’angolo della bocca, quella che assumono sempre quando lui vuole comunicare maturità, ma si è appena infilato la cravatta e se la sta allacciando ed indossa il pigiama e quanto può essere maturo questo?
- Perché non c’è niente da dire evidentemente, - concludo. - Sirius, di’ a Remus di lasciarmi in pace.
Resto in attesa dei rinforzi per diversi secondi, ma quando il silenzio continua a seguire le mie parole mi volto perplesso verso il mio migliore amico.
- Sirius, - lo chiamo di nuovo.
- Sono d’accordo con Remus.
I miei occhi si spalancano e persino Remus sembra sorpreso.
Questo non è normale.
Sirius è d’accordo con me, non con Remus.
Essere d’accordo con me è quello che Sirius fa.
James e Sirius stanno dalla stessa parte, sempre, è una delle grandi certezze dell’universo e ora Sirius è d’accordo con Remus.
- Su, - boccheggio incredulo. - Su cosa, sul fatto che dobbiamo avere a cadenza settimanale una conversazione su quello?
- No, non su quello, - Sirius scuote la testa spazientito. - Non siamo i tuoi fottuti psicologi, Prongs, ed Evans è l’ultima cosa di cui mi diverta parlare.
- Perfetto, - annuisco sollevato e un po’ confuso. - E allora perché ne stiamo parlando?
Sirius lascia scivolare il palmo da dietro la nuca e si raddrizza, mettendosi a sedere, gli occhi di ogni persona nella stanza su di lui. 
- Perché, - Inizia col suo tono un po’ distaccato. - Se c’è una cosa che mi secca più dell’assecondare Remus nei suoi momenti di condividi i tuoi sentimenti, è vedere il mio migliore amico rendersi ridicolo per una ragazza.
Doccia. Gelata.
- Ridicolo, - ripeto attonito.  
- Patetico rende meglio l’idea.
I miei occhi si sgranano lievemente, fissi nel vuoto.  
- Patetico?
- Sì, penoso alla vista.
- Sirius, non credo che...
- Sta’ zitto, Moony. Sto condividendo i miei sentimenti con James, rallegrati.
Remus tace ed io passo i successivi secondi di silenzio tentando di processare.
- Okay, no, non capisco, - Scuoto la testa. - Rendermi patetico è esattamente quello che non sto facendo, evitando di correrle dietro e parlare di lei tutto il tempo, lagnarmi perché mi odia e tutte quelle cose patetiche che la gente patetica fa quando non è corrisposta. Io non lo sto facendo, io non sto facendo assolutamente nulla.
- Appunto, - Sirius alza le spalle. - Non stai facendo nulla. Hai ammesso di essere innamorato di lei e ora, - Sbuffa. - Non fai nulla. Fai finta di niente perché te la fai sotto all’idea di essere rifiutato davvero. Quanto incredibilmente patetico e poco Grifondoro è questo da uno a dieci?
- Sette e mezzo, - risponde Peter.
Remus gli fa cenno di star zitto, mentre i miei occhi sono ancora spalancati.
Se fosse stato chiunque altro a parlare, la quota di nasi rotti sarebbe appena salita a due. Ma è Sirius ed io lo fisso sconvolto.
- Okay, quindi, - inizio lentamente, dopo un po’. – Preferiresti che iniziassi a lagnarmi quotidianamente perché Evans mi odia? Questa sarebbe una reazione più da Grifondoro ai tuoi occhi?
- Ti prenderei a pugni, - mi informa Sirius pacifico e c’è un che di rassicurante in questo. - Tutti e tre ti prenderemmo a pugni: Remus ama le sedute di condivisione solo quando sono organizzate da lui.   
- E allora che cosa vorresti che...
- Chissenefrega di quello che io vorrei che tu facessi, - sbotta, lasciando per un attimo da parte il tono indifferente. - Fa’ quello che vuoi, ma fallo.
Falla innamorare di te, dice subito una voce forte e chiara dentro di me.
Sta’ zitta, replica il mio cervello, e Sirius ha ragione, perché è questo che sto facendo. Perché potrei provarci e invece mi sto ritirando dalla partita prima ancora che sia iniziata, perché non posso accettare di perdere.
E non posso perdere se non gioco.
Resto a fissare gli occhi chiari di Sirius per un tempo indefinito, mentre un ronzio ipnotizzante romba sempre più alto nella mia testa e forse, e dico forse, farmela passare non è stata l’idea del secolo.
- Incredibile, - mormora Remus. - Peter, guardalo. Ci sta pensando. Glielo dico da settimane e mi ignora ed ora basta che Sirius gli dica ‘a’ e lui subito si mette a pensarci.
- Non ci sto pensando, - dico riscuotendomi. - Vado a farmi una doccia.
- Non ci posso credere, - continua Remus a metà tra lo sbalordito e l’indignato mentre io mi allontano verso il bagno. - Ci va a pensare sotto la doccia. Tu apri bocca e lui si fa addirittura una doccia di riflessione.
- Non è una doccia di riflessione, è una doccia igienica, - insisto prima di chiudere la porta. - Andate a dormire e lasciatemi in pace!
- E togliti la cravatta, Remus! – Aggiungo con un grido prima di aprire il getto dell’acqua. - È notte! Indossi un pigiama! Chi si mette la cravatta per andare a dormire?









********* 

 
Ho dormito un paio d’ore appena, mi fa male la testa e la porta di fronte a me continua ad essere chiusa. Questo è così diverso dal modo in cui volevo iniziare la giornata.
- Evans?
Dopo l’ennesima bussata, la porta si apre finalmente con un cigolio, a svelare la camera buia dietro di sé e la figura assonnata di Potter. Si stropiccia gli occhi privi di occhiali e mi guarda confuso, l’aria di chi è stato spinto giù dal letto e i soli boxer e maglietta a provarlo.
Chiaramente non ha idea del perché io sia qui. Estremamente prevedibile.
- Sono le nove meno dieci, Potter, - lo informo fredda, sbattendogli il suo stupido mantello sul petto. – Vestiti e muoviti, ti proibisco di far infuriare la McGranitt un attimo prima che decida anche la mia punizione.
Potter sta chiaramente funzionando a rallentatore e le sue dita si stringono incerte attorno alla stoffa del mantello, mentre anche le mie parole sembrano arrivargli in ritardo. Mi fissa con gli occhi socchiusi per qualche secondo, mentre io cerco di non fissare i suoi capelli che hanno un che di ipnotizzante nel modo in cui sono ancora più strani e ribelli del solito, poi un lampo di comprensione gli illumina il viso provato.  
- Arrivo, - dice e mi sbatte la porta in faccia.
Godric, questo è così diverso dal modo in cui volevo iniziare la giornata.
Resto qui davanti alla porta chiusa per qualche altro secondo, impassibile, poi quella si riapre.
- Ciao, Lily, - Remus, anche lui in pigiama e con i capelli chiari scombinati come non glieli ho mai visti, mi sorride gentile. Ed è notevole il modo in cui riesca a farlo, sorridere così, anche con gli occhi, quando ogni centimetro di lui grida palesemente che è stanco morto e che era nel mondo dei sogni fino ad un secondo fa.
- Buongiorno, Remus, - Sorrido anch’io, anche se le mie labbra stanno ancora dormendo e non credo che il mio sorriso sia venuto bene quanto il suo. – Scusa se ti ho svegliato.
- Oh, non preoccuparti, non avevo comunque più sonno.
Il mio sopracciglio si inarca vistosamente.
- Voglio dire, sto morendo dal sonno naturalmente e non appena James sarà pronto mi ributterò nel letto e non posso giurare che ad un certo punto prima di cena mi alzerò di nuovo, ma non fa nulla, - Remus alza le spalle ed io mi chiedo come faccia a farlo quando ci mette tutto il peso del mondo lì sopra. – Volevo dirti che mi dispiace che la McGranitt ti abbia scoperta. È molto ingiusto, dovremmo essere tutti in punizione.
- Ti dispiace che solo due dei tuoi compagni verranno puniti e non tutti? – commento divertita.
- No, non in quel senso, certo, - Scuote la testa, mesto. - È solo che la festa non è nemmeno stata una tua idea e ora sei in punizione.
- Remus, - Gli lancio un’occhiata eloquente. - Non so che impressione posso averti dato in questi anni, ma se non avessi voluto dare una festa, stai certo che non l’avrei data. E comunque, sono felice di averlo fatto, - aggiungo decisa. - È stato divertente. Beh, io mi sono divertita. Tu ti sei divertito?
- Io? Sì.
- E allora va bene così, una punizione non ha mai ucciso nessuno.
Spero solo che la McGranitt non sappia mai che l’ho detto.
- Puoi tornare a dormire comunque, davvero, - lo rassicuro, perché non vedo il motivo per cui privare del sonno più gente del necessario. – Non c’è bisogno che aspetti con me.
- Beh, allora credo che accetterò il consiglio, - annuisce pacato. – Buona fortuna con la McGranitt e se cerca di spaventarti tirando in ballo la tua spilla da Prefetto, cerca solo di ricordare che è la stessa persona che ne lascia ancora una in mio possesso.
- Lo terrò a mente, - Ed evito di specificare che lo avrei fatto a priori, anche senza che me lo dicesse lui.   
- Ah, Remus? – lo richiamo quando fa per andarsene.
- Sì?
- Ho visto Lynch a colazione, - ghigno. - Le tue pustole sono molto carine.
- Grazie, - sorride malandrino. - Il pus esplode quando qualcuno gli rivolge la parola, - aggiunge con una punta di fierezza prima di sparire di nuovo nell’oscurità della camera.
Devo assolutamente ricordarmi di scambiare quattro chiacchiere con Lynch prima che Madama Chips riesca a curarlo. E di non fare mai arrabbiare Remus, anche.
- Eccomi, - Potter riemerge dal buio e si chiude la porta della camera alle spalle, senza far rumore. Ha un’aria un po’ più sveglia di prima e i ciuffetti all’attaccatura dei capelli visibilmente bagnati, oltre qualche goccia d’acqua a impregnargli il colletto della camicia che spunta dal maglione della divisa. Mi segue in silenzio quando io parto spedita verso le scale, lanciando un’occhiata all’orologio: nove meno cinque.
Non ce la faremo mai.
- Siamo in ritardo, - constato accelerando, troppo agitata per rinfacciargli che è colpa sua. Questa volta non sfuggiremo all’accetta della McGranitt.
Anche Potter controlla il suo orologio, tenendo il passo.
- Abbiamo ancora cinque minuti.
- Appunto, - insisto. - Non ci si arriva in cinque minuti da qui all’ufficio della McGranitt.
- In cinque minuti si arriva dappertutto ad Hogwarts, Evans, basta sapere dove andare.
E con questa affermazione criptica Potter esce dalla Sala Comune e svolta spedito nella direzione opposta a quella che dobbiamo prendere.
- Le scale sono di là, Potter! – protesto, ma correndogli dietro.
- Lo so, - dice svoltando di nuovo in fondo al corridoio ed estraendo la bacchetta. Resto a guardarlo stranita mentre la picchietta contro determinati punti in cui il muro pare leggermente rovinato, poi spalanco gli occhi quando dal nulla si apre un passaggio scavato nella pietra. Questo spiega così tante cose su Potter e i suoi amici e il modo in cui riescono a farla franca la maggior parte delle volte. È anche assurdo, in un certo senso, perché non vedo proprio come qualcuno possa casualmente scoprire qualcosa del genere, o anche partendo già con l’intenzione di trovare passaggi segreti e altre amenità simili, come fai a individuare il corridoio giusto su centinaia di corridoi, la giusta porzione di muro su metri e metri di muro perfettamente identici e i giusti punti di detta porzione da colpire per far accadere qualcosa? Qual è il piano dietro a tutto ciò? Ci si affida alla sorte oppure si va in giro tutto il tempo a colpire i muri per ore e ore? Sarebbe una conversazione interessante da intraprendere, ma non mi piace parlare con Potter in generale e particolarmente non mi piace parlare con Potter ora, senza contare che sono troppo occupata ad avanzare a passo svelto attraverso il cunicolo oscuro senza inciampare, dietro a suddetto Potter che procede spedito come se vedesse nel buio come i gatti o, più verosimilmente, come se conoscesse a memoria ogni centimetro, svolta o discesa. Quando infine sbuchiamo da dietro un arazzo scarlatto mi porto una mano a coprire gli occhi, abbagliati dalla chiara luce mattutina che filtra dalle ampie vetrate di fronte a noi e inonda il corridoio che ora riconosco come quello che porta all’aula di Trasfigurazione al quarto piano. L’ufficio della McGranitt, a qualche aula di distanza, è visibile anche da qui ed il mio orologio segna le nove meno due minuti. Ce l’abbiamo fatta: non siamo in ritardo.
Prima di partire in direzione dell’ufficio mi volto un’ultima volta verso l’arazzo, posandoci la mano sopra e premendo forte, ma tutto quello che sento è la durezza della pietra al di là del tessuto rigido, come se io non fossi appena uscita proprio da qui. Forse si può entrare nel passaggio solo dall’altra parte, al settimo piano, oppure, proprio come per il muro, c’è qualcosa da fare anche qui perché il varco si sveli. Improvvisamente vorrei aver osservato con più attenzione gli esatti movimenti di Potter poco fa.
Certo, c’è chi sa fare delle cose e chi altre.
- La cravatta, Potter.
Siamo proprio davanti al legno scuro dell’ufficio della McGranitt quando glielo faccio notare.
- La cravatta? – Abbassa lo sguardo perplesso e finalmente nota il modo in cui gli penzola dal collo quasi completamente sciolta. – Oh.
Voglio dire, è stato appena poche ore fa che gli ha giurato di non fargli più toccare una scopa se lo avesse beccato anche solo con la cravatta allacciata male e lui si presenta qui con la cravatta praticamente slacciata? Tipico di Potter.
- Non ti fanno proprio alcun effetto gli avvertimenti dei professori?
- Se dovessi ricordare tutti i loro ultimatum non vivrei più, Evans, - Potter alza le spalle, finendo di sistemarsi la cravatta, questa volta stretta in un nodo perfetto. - Ne ricevo un po’ più di te, sai.
E c’è un motivo per questo, che ha a che fare col fatto che la mia pelle non è impermeabile come la sua alle parole dei professori e che le ascolto davvero, aggiungendovi accette e decapitazioni a piacimento, ma poi non è come se non fossi in punizione anch’io ora e così busso alla porta e basta.
- Accomodatevi.
La voce della McGranitt è gelida come raramente l’ho sentita e mentre mi infilo dentro la piccola stanza zeppa di scaffali e sprofondo in una delle due poltroncine cremisi davanti alla scrivania mi trovo a rabbrividire involontariamente. Potter ha la stessa aria rilassata di sempre invece e il suo sguardo vola subito oltre i vetri dell’ampia finestra nella parete di fronte a noi, dove il cielo azzurrino la fa da padrone.
Per quanto riguarda la McGranitt, giurerei che prima dell’inizio della sua tagliente ramanzina i suoi occhi si siano fermati diversi secondi a sondare la cravatta di Potter.
La squadra di Quidditch di Grifondoro è così in debito con me.
 
 
 

È ridicolo a un livello così ridicolo che non riesco nemmeno a trovarlo effettivamente ridicolo.
Senza fraintendimenti, sono la persona più felice sulla faccia della terra che la McGranitt non ci abbia assegnato la stessa punizione, magari da svolgere insieme –probabilmente l’avrebbe fatto se avesse saputo quanto questo mi avrebbe punito più di qualunque altra cosa, ma questa notte deve averla confusa parecchio sulla mia relazione con Potter –chissà, forse ora pensa persino che siamo amici, come se non ci fossero un miliardo di circostanze diverse che possono portarti a finire intrappolata in Sala Comune in piena notte con qualcuno che odi. Sta di fatto che la fortuna sfacciata di Potter e il modo in cui la sorte gli sorride sempre e comunque ha un che di beffardo, un po’ come quei film in cui il protagonista se la cava sempre e comunque solo perché è il protagonista, e non per qualche suo merito particolare. È frustrante che il protagonista della mia vita debba essere Potter, quando potrei essere, per dire, io. Ma non è così, io sono la comparsa sfigata che si becca la punizione vera e propria, mentre tutto quello che deve fare lui è dare ripetizioni di Trasfigurazione a un paio di ragazzini del primo anno.
La sua punizione consiste in qualcosa che io faccio spontaneamente con lui e questa è probabilmente la norma nella sua vita da favorito dal fato.
Una parte di me ha preso in considerazione l’idea di informare la McGranitt, non dell’ingiustizia cosmica che circonda Potter, ma del fatto che ehy, professoressa, quindi dare ripetizioni è una punizione? Allora io sono già in punizione, perché do ripetizioni a Potter! Allora siamo a posto, sì? Continuo semplicemente a farlo e via. Che fortuna che abbiamo risolto così in fretta, grazie e buona giornata!   Naturalmente a considerare questa opzione è stata la parte di me che considera sempre e solo le azioni più inattuabili, quelle che potrebbero farmi finire senza un arto o senza la testa –come quella volta al secondo anno, con quella pianta carnivora – e quella parte io la ignoro la maggior parte del tempo, quindi ora ho una vera punizione: catalogare e mettere a scaffale la donazione  di un anziano Purosangue alla biblioteca di Hogwarts, un certo Rufus Qualcosa, membro di spicco del Dipartimento Qualcosa al Ministero della Magia. Non so cosa la McGranitt stia cercando di dirmi, assegnandomi alla biblioteca per ogni singola punizione, se mi stia suggerendo un futuro sbocco professionale o cosa, fatto sta che almeno mi ha dato campo libero: essendo la donazione a sua detta parecchio cospicua - e qui devo subito controllare sul vocabolario qual è il limite massimo di libri che può indicare la parola cospicua, perché sono sicura che debba esserci un limite oltre cui diventa obbligatorio sostituirla con, ad esempio, abnorme – non ho una data prestabilita entro cui ultimare il lavoro e posso dedicarmici ogni qualvolta riesca a ritagliare del tempo dallo studio. Ha detto proprio così, come se d’ora in poi la mia vita qui ad Hogwarts dovesse dividersi tra studio e biblioteca e nient’altro, e lì sono andata un po’ nel panico, lo ammetto, ma è proprio in quel momento che ho pensato a Remus che ha ancora la sua spilla e al fatto che io posso quindi ribellarmi al sistema.
Potter continua a lanciarmi delle occhiate indecifrabili mentre torniamo alla Sala Comune.
Non abbiamo preso la sua scorciatoia questa volta, anche se io l’avrei presa, perché non vedo l’ora di ricongiungermi al mio letto, ma Potter non l’ha presa e non credo che quell’arazzo mi avrebbe fatto passare da sola.
È ancora arrabbiato per ieri sera, credo, perché a un certo punto mi lancia un’occhiata di evidente ostilità ed io mi trattengo dall’estrarre la bacchetta e sbattergliela sul naso come un bastone, perché la mia bacchetta è molto sottile e forse si spezzerebbe e perché sono letteralmente appena stata messa in punizione, ma trovo veramente ridicolo che Potter si permetta di essere ancora arrabbiato da questa notte, anche ora che si è ricongiunto al suo stupido mantello, quando a dirla tutta è ridicolo già che si sia arrabbiato così tanto da principio. Ero già arrabbiata con lui, perché lo sono in linea di massima e questa mattina in particolare, ma subito la rabbia di primo grado si evolve in rabbia di secondo grado e gli lancio un’occhiata di fuoco.
 
 
*

Non sono arrabbiato con Evans, ma lei continua a non rivolgermi la parola e a lanciarmi occhiate di sbieco con estrema stizza, quindi lei è arrabbiata, quindi anch’io sono arrabbiato ora.
Non mi piace quando la gente resta arrabbiata con me troppo a lungo, soprattutto quando non vedo perché la gente dovrebbe arrabbiarsi con me in primo luogo.  
Può darsi che la storia del mio mantello in mano a Philips non sia l’unico motivo per cui mi sono arrabbiato ieri sera, d’accordo, e forse la mia frustrazione era più rivolta al fatto che ha dato il mio mantello a Philips perché chiaramente lo conosce, sono amici, sono amici che si baciano, stanno insieme nel modo in cui le persone stanno insieme quando si piacciono ed è tutto molto irritante e sì, forse è stato più per quello che per il mantello in sé, per quello e perché in generale la sorte che mi sorride sempre ieri notte ha deciso di sputarmi in un occhio, e lei questo non lo può sapere, ma non è comunque sensato che lei si arrabbi con me perché io mi sono arrabbiato con lei. Non è una cosa che le persone possono fare questa, lo dico sempre a Sirius, che invece lo fa in continuazione, costringendomi a chiedergli scusa ogni volta che mi arrabbio con lui, ed è così ridicolo dover dire a voce alta mi dispiace essermi arrabbiato con te perché hai messo un rospo vivo nelle mie mutande, scusami. Non dirò nulla del genere ad Evans e non solo perché lei non mi ha mai messo un rospo vivo nelle mutande. Se vuole arrabbiarsi con me perché mi sono arrabbiato con lei allora anch’io mi arrabbierò di nuovo con lei per essersi arrabbiata con me per essermi arrabbiato con lei, e così quando arriviamo in Sala Comune le lancio un’occhiata piena di ostentata ostilità, così ora le è chiaro che non riconosco la legittimità della sua rabbia e ribatto invece con altra rabbia.
Questa mattina quando mi è venuta a chiamare ero ad un livello zero di rabbia, ma ora sono ad un livello uno.
L’occhiataccia che mi lancia lei prima di darmi le spalle diretta al dormitorio femminile è chiaramente di livello due e così un grumo di indignazione e sorpresa inizia ad agitarsi dentro il mio stomaco, perché non esiste che mi riservi della rabbia di livello due quando nessuno è nemmeno finito appeso a testa in giù. Una reazione immediata è d’obbligo, o penserà di aver vinto, e così anche se non provo nemmeno lontanamente una rabbia di livello tre mi ci impegno con tutte le mie forze e mentre sale le scale la fulmino da sotto con uno sguardo che brucia delle fiamme dell’inferno della rabbia del livello tre. Lei sente il calore bruciante dei miei occhi e si blocca all’improvviso, voltandosi e venendo investita in pieno dal fascio di finta rabbia con cui la sto colpendo ostinatamente. Spalanca gli occhi presa alla sprovvista, perché sono un attore dalle doti eccezionali ed ora lei pensa davvero che io abbia raggiunto il livello tre senza che neppure mi rivolgesse la parola. È in difficoltà, lo vedo chiaramente, esita a metà delle scale perché ora non può più andarsene e basta, o sarà finita così, sarò io quello arrabbiato con lei e non il contrario. Non credo sia in grado di raggiungere davvero o fingere una rabbia del livello quattro in questo momento, anche io che sono così bravo in tutto avrei delle difficoltà, ma poi torna di colpo indietro a piazzarsi di fronte a me e forse vuole cimentarsi anche lei in quella del tipo tre, per finirla in parità.
Solo che Evans in realtà vuole solo strapparmi dal petto con uno scatto fulmineo la mia spilla da Capitano per poi correre sulle scale alle sue spalle, lasciandomi imbambolato per diversi secondi. Le mie gambe realizzano cos’è appena successo molto prima del mio cervello e così scatto dietro di lei e poi le mie natiche realizzano che non posso salire le scale del dormitorio femminile molto prima del mio cervello, che a quanto pare è sempre l’ultimo a capire le cose, e così ora mi trovo a terra in fondo allo scivolo che ha preso il posto delle scale, dolorante e ancora più perplesso di prima.
Evans mi guarda trionfante dall’alto, un sorrisetto soddisfatto sulle labbra e la mia spilla da Capitano appuntata sul maglione.
- Che ti serva da lezione, Potter, - dice e se ne va.
Ha appena e senza alcun motivo rubato la mia preziosissima spilla da Capitano e se la sta portando in camera ed ora io dovrei arrivare senza fatica ad una rabbia del tipo cinque, ma qui sul duro pavimento di pietra in fondo a queste dannate scale sessiste l’unica cosa che riesco a percepire aumentare silenziosamente di livello è la voglia di andare ad Hogsmeade con lei il prossimo sabato e quello dopo ancora.
- Ciao James, - mi saluta Alice passandomi davanti e salendo tranquilla i gradini ricomparsi.
- Ciao, - la saluto restando seduto per terra.
 
*
 
Quella parte di me, quella che mi suggerisce sempre le cose più inadeguate da fare e a cui non do mai ascolto, beh, non è vero che non le do proprio mai ascolto.
È che dovevo agire subito, ribaltare la situazione e togliere a Potter quello sguardo furioso ridicolo ed esagerato dalla faccia e non riuscivo proprio a pensare a nessuna mossa astuta da fare e la sua spilla dorata era proprio lì sul suo petto, in bella vista, e quella parte di me semplicemente non se ne stava zitta.
Alice non mi chiede come mai c’è una C dorata sul mio comodino ora.




*********
 
Quando apro gli occhi, James è di nuovo nel suo letto e sembra morto.
Anche Sirius non dà segni di vita.
Peter è in piedi e sta finendo di allacciarsi la camicia.
- Buongiorno, Remus, - mi dice. – Credo che dovreste alzarvi, è quasi ora di pranzo.
- Dovremmo, - concordo, restando immobile a fissare la parte superiore del mio baldacchino, avvolto dal piacevole tepore delle coperte. – Come stai, Pete? Mi sembri in forma.
- Oh sì, sto benissimo, - annuisce vivace. - Quell’acqua che mi hai dato ieri sera è miracolosa. Dove l’hai presa?
- Dal rubinetto del bagno.
 


**********


- Ciao, James.
- Ciao, Alice.
Alice mi supera di nuovo diretta al dormitorio femminile, anche se questa volta sono su un divanetto a rilassarmi dopo il pranzo e non per terra, ma prima che arrivi in cima la richiamo.
- Sai dov’è Frank?
- Non lo vedo da questa notte.
 


 
Busso un’altra volta, ma non ottenendo risposta spalanco la porta e basta.
La stanza è immersa nella penombra e c’è un rigonfiamento sospetto sotto le coperte del baldacchino più vicino alla finestra.
- Frank! Ma stai ancora dormendo? Sono le due!
Il rigonfiamento ha un sussulto.
- Cos...James?
- Le due, Frank, sono quasi le due, - insisto.
Il rigonfiamento ha un altro sussulto e la testa di Frank spunta finalmente da lì sotto, mentre si mette seduto. Ha le palpebre quasi incollate tra loro e non credo che mi veda.
- Beh, è domenica e ho pensato di non mettere la sveglia dopo l’ora che abbiamo fatto ieri, - spiega. -  Ma il mio corpo è progettato per non svegliarsi se non dopo almeno dieci ore consecutive di sonno.
- Appunto: è domenica, - Lo guardo eloquente, ma col fatto che non mi vede è inutile e devo dirglielo e basta. - Tra mezz’ora inizia la partita. 
Un occhio di Frank è aperto ora e lo vedo sbattere la palpebra.
- Oh, giusto, - Alza le spalle. - Beh, non è come se giocassimo noi, - Ed ora ci vede di nuovo, perché la mia espressione sembra recepirla forte e chiara. - Ma non è come se stessi pensando di saltarla, naturalmente. Mi faccio una doccia, rubo qualcosa nelle cucine e vi raggiungo alle tribune. Puntuale.
- Prima che inizi, Frank.
- Prima che inizi.
 


 
 
Frank ci raggiunge effettivamente prima del fischio d’inizio, con una delle ultime ondate di studenti provenienti dal castello.
Le tribune di Serpeverde e Corvonero, le squadre sfidanti, erano gremite già quando sono arrivato dieci minuti fa, mentre la nostra e quella di Tassorosso si stanno popolando con più flemma. Dalla tribuna verde e argento partono ogni tanto cori agguerriti a cui i Corvonero replicano con altrettanta foga, occasionalmente accompagnati da diversi Grifondoro per il semplice piacere di andare contro ai Serpeverde. Nessuno della squadra è tra loro tuttavia: per quanto dare contro ai Serpeverde sia una delle gioie della vita, quando si parla di Quidditch Corvonero è un nemico esattamente come loro, nonché l’attuale favorita per vincere la Coppa.
- Quindi per chi tifiamo? – mi chiede per la seconda volta Remus, che va pazzo per Aritmanzia e i numeri e tutte quelle cose ma di punteggi e tornei di Quidditch non ci capisce nulla. La squadra nel frattempo accoglie tra risate e pacche sulle spalle Frank, ribattezzato per l’occasione bella addormentata.
- Serpeverde, - Peter mi toglie il dolore di doverlo dire ad alta voce, rispondendo al mio posto. – La vittoria di Serpeverde è la meno peggio.
- Sì, - sospiro combattuto. – Hanno perso contro Tassorosso, quindi sarebbe meglio per noi se vincessero loro piuttosto che Corvonero. Ma non dire tifiamo, Moony, noi non tifiamo nessuno, - preciso indispettito. Tifare i Serpeverde, solo a lui potrebbe venire in mente un’assurdità del genere. - Speriamo solo che i Corvonero perdano.
- Giusto, - Remus annuisce, ma i suoi occhi aggiungono chiaramente che è la stessa cosa, quando c’è tutta la differenza del mondo tra tifare per qualcuno e tifare contro qualcun altro. Tutti noi tifiamo contro Corvonero, e questo vuol dire che è preferibile che vinca Serpeverde, certo, ma nessun Grifondoro si sognerebbe mai di tifare per loro.
A parte forse Sirius, che si è allontanato poco fa per raggiungere la sua postazione da cronista e che potrebbe avere un altro motivo per tifare per Serpeverde e non semplicemente contro Corvonero, ma non è come se ne fossi sicuro e non è come se lui non mi strapperebbe la lingua a morsi se sapesse che l’ho anche solo pensato.
- Beh, i Serpeverde hanno Black, - sta dicendo Alexis, l’unica a ritenere probabile una loro vittoria. – Non c’è paragone tra lui e la Cercatrice di Corvonero.
- Sì, ma per quanto riguarda il resto della squadra Corvonero è nettamente superiore quest’anno, - replica Mike, e purtroppo ha ragione. Serpeverde ha da poco guadagnato l’unico Cercatore che mi abbia mai battuto qui ad Hogwarts, ma in compenso ha perso troppi giocatori tutti insieme quando si sono diplomati alla fine dell’anno scorso e non regge il confronto con la formazione stabile e dall’inarrestabile forza sistematica di Corvonero: non c’è tra loro un giocatore in particolare che spicchi per talento, sono tutti validi, ma nessuno è quello che più eccelle rispetto a chiunque altro ad Hogwarts in un determinato ruolo, eppure l’insieme di tutti loro li rende una squadra quasi perfetta.
Madama Bumb ha raggiunto il centro del campo e Sirius sta facendo il solito discorsetto iniziale, questa volta più imparziale del solito, prima che le squadre facciano il loro ingresso, e Frank sta fissando il mio petto.
- James.
- Mh?
- Dov’è la tua spilla?
La squadra si zittisce e tutti iniziano a lanciare occhiate indagatrici alla mia maglia. Anche Remus e Peter, al mio fianco, si sporgono per constatare l’assenza della spilla.
La mia bocca resta aperta senza emettere alcun suono un po’ troppo a lungo perché quello che ne esce dopo possa essere preso sul serio.
- Io l’ho...l’ho messa a lavare, - dico dopo un po’.
- A lavare?
- Sì.
- Dove?
- Nel lavandino.
- Hai lasciato la tua spilla nel lavandino?
- No, no, certo che no. Ce l’ho lasciata di fianco, per farla asciugare.
- Ma è una spilla, quanto ci mette ad asciugarsi?
 - C’è una perdita nel nostro bagno. Piove. Dal soffitto. Proprio sulla spilla, - E mi ritrovo a fare con una mano il gesto delle gocce che cadono in linea retta, per poi mimarne il suono. - Plic plic plic.
Tutta la squadra mi sta fissando in silenzio ora.
- Evans me l’ha rubata, - dico.
C’è chi è perplesso e chi ridacchia.
Io sono tra quelli perplessi, perché non ho ancora ben processato l’informazione. Evans mi ha davvero rubato la spilla quindi? Non è stato tutto un sogno?
-  Evans ti ha rubato la spilla? – Mike trattiene una risata, mentre Alexis no.  
- Sì, - confermo impassibile. - E non è argomento di discussione. Ora concentratevi, sta per iniziare.
Il fischio d’inizio tarda ancora una decina di minuti, durante i quali Alice ed Evans ci raggiungono e prendono posto vicino a Frank, che le saluta rispettivamente con un bacio ed un ‘Ehy’ per Alice e con un cenno del capo ed un ‘Capitano’ per Evans. La squadra lo trova esilarante ed ora la chiamano tutti così. Evans non mi guarda. Remus continua a guardarmi. Peter ha dei popcorn e non so dove li abbia presi, ma non lascia che nessuno glieli tocchi.
Quando la partita inizia smettiamo tutti di cercare di rubarglieli e cominciamo a seguire con il suo crunch crunch nelle orecchie.
La principale speranza di Serpeverde è che Black prenda il boccino a pochi minuti dal fischio d’inizio, chiudendo così la partita prima che i Cacciatori di Corvonero riescano a sovrastare gli avversari e creare un divario netto nel punteggio. Black è l’unica loro speranza e i Corvonero sembrano saperlo bene, tant’è che da subito entrambi i Battitori avversari gli stanno addosso come se fosse l’unico giocatore in campo: il loro solo compito è chiaramente quello di non dargli un attimo di respiro, impedendogli così di concentrarsi sulla ricerca del boccino. I Battitori di Serpeverde, d’altro canto, oltre ad essere meno abili sono anche degli idioti, e mentre Black perde per un soffio il boccino perché costretto a sterzare per evitare un bolide, Rosier lancia l’altro contro uno dei Cacciatori avversari, quando avrebbe potuto usarlo per deviare il bolide diretto a Black e a quel punto forse Serpeverde avrebbe già chiuso la partita. Bersagliare di continuo un solo giocatore, che è quasi sempre il Cercatore, e prenderlo per sfinimento è una tattica prevista dal regolamento del Quidditch e non c’è nulla di veramente scorretto nell’usarla, ma essendo un Cercatore a mia volta e avendola provata sulla mia pelle conosco la frustrazione del non poter giocare perché impegnato per tutta la durata della partita a evitare uno o due bolidi sui denti e automaticamente vedere Philips stoico nel suo non dare tregua a Black neppure per un secondo me lo fa scendere ancora più a fondo nella mia scala di gradimento personale. L’intero stadio trattiene il fiato quando lui e l’altra battitrice mettono in atto un’azione combinata contro Black che riesce per miracolo ad evitare entrambi i bolidi con una capriola azzardata. Istintivamente so che nella scala di Sirius Philips ha appena iniziato a scavare.
La partita si chiude dopo mezz’ora circa con la vittoria schiacciante di Corvonero 290 a 40 e nessuno è davvero stupito del risultato.                          
I Corvonero, incuranti dei nuvoloni densi che hanno rabbuiato il cielo a metà partita e sembrano doversi bucare da un momento all’altro, si riversano festosi al centro del campo, mentre il resto delle tribune inizia frettolosamente a svuotarsi e la squadra di Serpeverde si ritira afflitta negli spogliatoi. Remus e Peter raggiungono Sirius all’uscita dello stadio e si uniscono alla fiumana di studenti che si affretta verso il castello, mentre io resto dove sono anche quando la prima sottile goccia di pioggia mi solletica una guancia.
- Ok, allora, - Quando nella tribuna rosso e oro rimaniamo solo io e la squadra, salgo deciso sulla panca e mi staglio in maniera poetica contro il cielo in tempesta, guardandoli dall’alto. Subito gli occhi di tutti sono su di me in religioso silenzio. - Dopo la scorsa sconfitta contro Tassorosso e dopo questa, Serpeverde è ufficialmente fuori dalla corsa per la Coppa, - annuncio deciso mentre un tuono rimbomba in lontananza e anche i Corvonero rimasti iniziano a disperdersi velocemente. Un'altra goccia mi tocca il naso e la squadra sorride trionfante. - E per quanto vorrei abbandonarmi al godimento che questa notizia mi provoca, devo invitarvi a soffermarvi sulla profondità della merda maleodorante in cui stiamo sguazzando: come ogni abitante dei sotterranei non vedrà sicuramente l’ora di rinfacciarci, siamo comunque sotto di loro col punteggio. – I sorrisi trionfanti svaniscono in un lampo. - Siamo sotto anche a Tassorosso, perché, beh, siamo a zero. Zero, - Mentre ripeto quel numero così insopportabile e fuori posto sulle mie labbra, la squadra si affloscia e così qualcosa dentro di me. - Come dicevo, siamo così tanto a fondo nella merda che nemmeno Frank che è il più alto di tutti noi riesce a vedere o sentire più nulla, perché ha la merda fin dentro gli occhi e le orecchie. Ora come ora, potremmo dire che l’anima stessa di Frank è fatta di merda.
La frase finale riecheggia in silenzio su tutta la squadra, afflosciando le spalle e ammosciando gli sguardi.
 - Capitano, - Alexis mi rivolge dal basso un’occhiata scoraggiata. - Quando arriva la parte motivazionale del discorso?
- Quando sarete abbastanza demotivati.
Li scruto attentamente, sistemandomi meglio gli occhiali sul naso.
- Siete abbastanza demotivati ora?
- La mia anima è fatta di merda, - dice Frank ed è una risposta sufficiente.
- Okay, ora, - Con un salto deciso passo al gradino successivo e poi sulla panca di quello, per essere ancora più in alto. Una goccia mi finisce in un occhio ed io alzo la voce. - Il motivo per cui è comunque preferibile essere noi piuttosto che i Serpeverde è, oltre a beh, tutti i motivi del mondo, che se anche loro sono messi molto meglio di noi a punteggio, hanno finito, - E lo sottolineo con un gesto secco delle mani. - Niente più partite, nessuna possibilità di raggiungerli e rubare la coppa a Corvonero, - Lascio qualche secondo per sedimentare l’informazione, poi continuo. - Mentre noi, dal profondo abisso melmoso in cui siamo sprofondati, con due partite ancora da giocare possiamo comunque intravedere la coppa, - Gli sguardi si riaccendono, Mike annuisce convinto. - Anche Frank, - continuo infervorato, stringendo i pugni. - Anche con i suoi occhi ricoperti di merda, riesce comunque a vedere la coppa!
La squadra esulta agguerrita, Frank alza il pugno.
- Sì, la vedo! – grida esaltato. - Al di là di tutta la merda che c’è dentro e attorno a me, io vedo la coppa!
Tutti gioiscono e iniziano a dare a Frank energici spintoni camerateschi e pacche sulle spalle, incitandosi a vicenda. Poi Frank finisce a terra e gli occhi tornano a me, carichi di aspettativa.  
- Quindi, prima Tassorosso e poi Corvonero: se le vinciamo entrambe, il secondo posto è nostro di diritto, - riepilogo deciso. - E se arriviamo secondi, allora saremo risaliti dalle profondità della merda contro ogni aspettativa, e secondi è così tanto meglio di terzi o quarti, soprattutto quando terzi o quarti sono i Serpeverde. E se arriviamo secondi, - Il mio tono si infervora sempre di più mentre parlo e gli occhi dei miei compagni con esso, incuranti della pioggerella che sta iniziando a bagnarci. - Allora i Serpeverde smetteranno di gongolare per averci battuto alla prima partita, e se arriviamo secondi, - La squadra esulta entusiasta, il sorriso sulle labbra e negli occhi già le facce stizzite dei Serpeverde, mentre la mia voce è sempre più infiammata. - Allora tanto vale annegarci direttamente nella merda in cui siamo, - concludo granitico. Tutti si azzittiscono perplessi, le bocche ancora spalancate in grida di esultanza che non emettono più alcun suono. - Perché mi rifiuto di giocare con l’obiettivo del secondo posto. Non ci siamo allenati tutto quest’anno per puntare a perdere con dignità. Il nostro obiettivo, - Li osservo lentamente uno ad uno. – È la coppa.
Un tuono rimbomba nuovamente, questa volta più vicino, e anche se ora non ci sono più grida trionfanti, gli occhi che scorgo attraverso le lenti appannate e rigate d’acqua sono più consapevoli e determinati.
- Ora, Corvonero è in vantaggio di un mare di punti e se vincerà contro Tassorosso aumenterà ancora di più lo stacco, - Riprendo pratico, passandomi una mano tra i capelli. - Quindi se vogliamo arrivare primi non basta vincere le prossime partite. Non basta che io prenda il boccino.
Tutti mi guardano e l’unico rumore è quello della pioggia che ticchetta lieve sugli spalti e sui nostri vestiti.
- Dobbiamo stracciarli, - dice Frank annuendo lentamente.
- Dobbiamo annientarli.
Il silenzio segue le mie parole, ma gli occhi di ognuno parlano forte e chiaro e dicono qualcosa che i Corvonero saranno costretti ad ascoltare loro malgrado. Evans ha ancora la mia spilla da Capitano, ma io li guardo negli occhi e me la sento proprio qui sul petto, e non ho dubbi che questa, qui davanti a me, è la squadra che si porterà a casa la Coppa quest’anno e quello dopo ancora. È la mia squadra e spazzerà via qualunque vantaggio altrui come un tornado, dimostrando a tutta la scuola che i Grifondoro sono ancora nella competizione.
Poi la pioggerella si trasforma di botto in un acquazzone violento e tutti scappano imprecando.






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Lunedì 2 Febbraio 1976.
 

- Ma perché proprio sette?
- Sirius, ne abbiamo già parlato.
- E non mi hai dato una spiegazione nemmeno l’ultima volta, Moony. Innanzitutto voglio sapere chi lo ha deciso che i giorni della settimana devono essere sette e non otto.
- Sono le otto di lunedì mattina, Sirius. Dobbiamo davvero discuterne adesso?
- Quando, più di ora, posso farti capire l’esigenza di inserire un altro giorno tra la domenica e il lunedì? Per riposarsi prima di trovarsi Pozioni alla prima ora?
- Ma c’è già il giorno per riposarsi. È la domenica.
- La domenica non basta. Inizia e finisce e per tutto il tempo non puoi davvero rilassarti perché sai che il giorno dopo sarà lunedì. Se invece il giorno dopo fosse, mettiamo, Siriodì, allora...
- Ora spiegami perché dovrebbe chiamarsi come te.
- ...allora la domenica potremmo riposarci davvero, senza lo stress del lunedì incombente, perché il giorno dopo sarebbe Siriodì e non lunedì, e il Siriodì non c’è lezione.
- Non avevo dubbi. Si fa qualcosa il Siriodì a parte mangiare e dormire?
- Non dire idiozie, Moony, è vietato fare cose il Siriodì. In particolare, è vietato studiare.
- Ok, quindi la domenica dovremmo fare comunque tutti i compiti per il lunedì che non potremmo fare il Siriodì. Non mi sembra un gran piano, Sirius.
- James, amico, diresti a Remus qui che sono più astuto e brillante di lui e che ho ragione?
James, che si sta trascinando stancamente pochi passi dietro di noi, finisce lo spropositato sbadiglio in cui era impegnato e guarda Sirius ancora mezzo assonnato.
- Sei la stella più brillante in un cielo di stelle brillanti, - annuncia, facendo ridacchiare Peter.
- E ho ragione.
- E hai ragione.
- Grazie.
- Non stava nemmeno ascoltando.
- Impara a perdere, Moony.  
- Perché c’è la porta chiusa? Siamo in ritardo? Non eravamo in ritardo. Perché siamo in ritardo?
- Non siamo in ritardo, sono le otto meno cinque. È Lumacorno che è in anticipo.
- Esatto, che nessuno si scusi per il ritardo inesistente o passeremo dalla parte del torto.
Sirius spalanca la porta.
- Buongiorno, professore.
- Ci scusi per il ritardo, - aggiungo.
 

**********
 
- Per oggi è tutto, potete andare, - Con un colpo di bacchetta Lumacorno cancella due ore di inutili blabla sulle pozioni dalla lavagna e anche dalla mia mente ed io scatto in piedi. - Ricordatevi solo i due rotoli di pergamena sulle proprietà curative delle lacrime di fenice per mercoledì.
- Le due ore più noiose della mia vita, - annuncio lanciando con violenza il libro di Pozioni nella borsa a tracolla. Se c’è una cosa peggiore di fare pozioni, è ascoltare come si fanno le pozioni.
- Lo dici ogni volta, James, - sospira Remus, visibilmente provato anche lui. Lì per lì non me ne accorgo, perché non ci vedo nulla di strano nel sembrare così distrutti dopo due ore di Pozioni, poi noto la sottile patina di sudore freddo che gli ricopre il viso e ricordo che Remus non si lascia mai scalfire dalle lezioni mattutine solitamente.
- Tutto bene, Moony? – chiedo preoccupato, abbassando la voce. – È già iniziata?
- Non lo so, non, - Remus si lancia un’occhiata tesa attorno. – Non è detto che sia per quello. Magari è solo stanchezza.
Non sembra solo stanchezza, ma non credo che Remus abbia voglia di rinchiudersi in Infermeria già da ora quando la luna piena non sarà prima di domani notte, così finisco di preparare la borsa senza aggiungere altro, frustrato perché non c’è nulla che posso fare. Quando me la lancio su una spalla e mi volto per raggiungere l’uscita, Evans mi si piazza di fronte, uno sguardo particolarmente ostile e deciso proprio su di me.      
- Oggi pomeriggio alle tre e mezza faccio il tema di Pozioni, - mi informa con il tono di chi mi sta insultando.
- Emm. Ok?
Sono molto perplesso e lei chiude gli occhi per un attimo come a invocare la pazienza e non mi è chiaro se stiamo ancora litigando o cosa.   
- Se hai bisogno di aiuto, - dice lentamente, come se ogni parola le costasse uno sforzo. - Per fare il tuo, - E mi guarda. – Tema, - Continua a fermarsi, come se volesse che dicessi qualcosa io prima di lasciarla arrivare alla fine della frase e il fatto che non lo sto facendo la irritasse sempre più. - Di pozioni...
- Vuoi. Oh, - E all’improvviso capisco. - Credevo fossi arrabbiata, - E non so perché sto facendo tutte queste pause anch’io ora. - Per ieri.
- Sono furiosa, - E mentre lo dice gli occhi le lampeggiano in maniera pericolosa. - Ma ho detto che ti avrei aiutato.
- Ok, - annuisco incerto, perché in tutto questo mi sono dimenticato se anch’io dovrei essere arrabbiato oppure no. Nel dubbio opto per un educato distacco. – Alle tre e mezza allora. Ci sarò.
- In Biblioteca, - aggiunge e se ne va.
La osservo allontanarsi e uscire dall’aula a passo deciso e una strana eccitazione mi pervade al pensiero di passare altre due ore in un luogo che odio chino sulla noiosissima teoria di Pozioni.
- Sei stato bravo.
Remus è rimasto qui tutto il tempo e mi sta guardando soddisfatto.
- Come?
- Con Lily, sei stato bravo, - ripete tranquillo, precedendomi verso l’uscita, dove Sirius e Peter ci stanno aspettando.
- Ma non ho praticamente parlato, - protesto confuso.
- Appunto, - sorride pacato. - Continua così.
Non credo che sia leale da parte di Remus essere offensivo con me mentre sto portando anche i suoi libri.
 



**********

Potter è arrivato in orario e ha portato il libro, che come ho imparato l’ultima volta non è così scontato. Stiamo lavorando in silenzio da circa cinque minuti, ad un ampio tavolo di quercia alla cui estremità c’è solo un Corvonero del nostro anno chino sull’enorme tomo di Storia della Magia, e l’unico rumore che mi arriva alle orecchie è quello del lieve grattare delle piume sulle pergamene e degli occasionali mormorii degli studenti, questo fino a quando la voce di Potter non mi fa alzare perplessa gli occhi dal libro.
- Ti perdono, Evans.
Ha posato la piuma d’oca accanto alla sua pergamena ancora vuota e mi guarda apparentemente molto sicuro di sé.
- Per che cosa, - chiedo, ma il mio tono non assume alcuna inclinazione interrogativa.
 - Per ieri, - Potter alza le spalle, pacifico. - Per aver dato il mio mantello a Philips.
 - Tu perdoni me, - ripeto senza alcuna intonazione.
- Già. 
Sbatto le palpebre.
Anche Potter sbatte le palpebre.
- Sei un fottuto aspirapolvere, Potter, - concludo dopo diversi secondi di riflessione, riabbassando lo sguardo e riprendendo a leggere. Dalla sua parte non provengono rumori per diversi secondi, e lo so che mi sta ancora fissando e probabilmente si sta chiedendo cosa sia un aspirapolvere, poi le pagine del suo libro ricominciano a frusciare ed io riprendo a leggere per davvero e non solo con gli occhi.
Il silenzio questa volta dura diversi minuti.
- Mi dispiace che il mio essermi arrabbiato a pieno diritto ti abbia fatto arrabbiare.
Di nuovo alzo gli occhi su Potter, estremamente perplessa.
- Sono delle scuse, Potter? – indago cautamente.
Lui sembra spiazzato.
- Vuoi delle scuse?
Mi raddrizzo sulla sedia, presa in contropiede.
- Tu vuoi farmele?
- Mi stai chiedendo delle scuse?
- Me le stai facendo?
- Sì, vuole delle scuse, - sbotta all’improvviso il Corvonero dall’altra parte del tavolo staccando la testa dal libro e fissando Potter. Poi si volta verso di me. - E sì, ti sta facendo delle scuse. Ora potete per favore fare silenzio? Grazie.
E si rimette a leggere senza più degnarci di uno sguardo, anche se noi lo stiamo ancora guardando spiazzati.
- Ma chi si crede di essere, - sbuffa Potter a bassa voce dopo diversi secondi di silenzio. – Non ti stavo facendo delle scuse.
- Infatti io non le voglio le tue scuse, Potter, - lo informo stizzita.
- Bene, perché non te le farò.
Questa volta il silenzio dura quasi un minuto.
- A meno che tu non me le chieda esplicitamente.
- Non le voglio le tue scuse, - ripeto. - Le tue scuse sembrano come se mi stessi facendo un favore dall’alto della tua perfezione.
- Tu non puoi sapere come sono le mie scuse, Evans, - replica Potter indispettito. - Perché non te le ho mai fatte.
Questa volta lo vedo con la coda dell’occhio alzare la testa dal libro prima ancora di sentire la sua voce.
- Ma certo che sì, - Il Corvonero mi lancia un’occhiata esasperata. - Te le stava facendo. Era il suo modo stupido di chiederti scusa, - Poi si volta verso Potter. - E lei te le stava chiedendo, in modo altrettanto stupido.
Di nuovo riabbassa lo sguardo tra le pagine del libro, incurante delle due paia d’occhi indignati fissi su di lui.
- Pensa di essere più intelligente di noi solo perché siamo Grifondoro, - osserva Potter oltraggiato.
- Esatto! – concordo risentita. – Come se avessimo bisogno di un traduttore!
Io e Potter ci scambiamo un’altra occhiata scandalizzata, poi il silenzio torna a reclamare il suo posto. Gli occhi mi cadono sul Corvonero.
- Sta facendo il tema di Storia della Magia, - noto all’improvviso. - Forse lui l’ha capita quella cosa sulla trentaquattresima clausola del Trattato dei Goblin, - rifletto pensosa, prima di alzarmi. - Senti, scusa, non è che mi spiegheresti...
 


**********


Il soffitto della Sala Comune, coi suoi arazzi scarlatti e fitti di ghirigori dorati, ha un effetto abbastanza ipnotizzante di suo, ma il modo in cui la mia testa abbandonata contro lo schienale del divanetto sembra galleggiare e roteare tra gli arabeschi ricamati mentre resto fermo a fissare verso l’alto non può dipendere interamente dai disegni.
Mi sento le guance accaldate e sono abbastanza sicuro che qualche Grifondoro si stia chiedendo perché continuo ad occupare la poltroncina più vicina al caminetto se mi sto palesemente arrostendo, le guance arrossate e il viso coperto di sudore, ma la verità è che mi sto forzando per non tremare ad ogni brivido che mi percorre la schiena.
Ora passa, mi ripeto per l’ennesima volta, chiudendo gli occhi solo per scoprire che è peggio e che la mia testa sembra vorticare anche di più al buio. È il pomeriggio del giorno prima, non è nemmeno ora di cena ancora, ora passa. Non vedo perché non dovrebbe passare, quando la maggior parte delle volte non inizio a stare male davvero prima della mattina stessa. Devo solo smettere di pensarci.  
Peter ha insistito per scendere nelle cucine a prendermi un tè freddo, segno che non sono riuscito a nascondere decentemente il mio malessere. Ho le guance accaldate e le mani gelide e continuo a sudare, e non sono sicuro se dovrei bere qualcosa di freddo o caldo al momento, così gli ho chiesto di portarmelo tiepido. Lui è sembrato molto felice di avere un compito preciso a cui adempiere per aiutarmi e se ci sta mettendo così tanto è perché probabilmente sta scegliendo anche quale dolce sfizioso portare in aggiunta al tè, nonostante sappia benissimo che non riesco mai a mangiare nulla quando sono in queste condizioni. Gliene sono grato, ma la verità è che sono felice che ci stia mettendo tanto, perché l’unico dei miei amici con cui riesco a rilassarmi totalmente quando sono in queste condizioni è Sirius.
Peter è sempre così ansioso di aiutarmi, come se ad ogni contrazione sofferente del mio viso dovesse seguire un suo intervento tempestivo per migliorare la situazione in qualche modo, e James, anche se è più discreto, a volte non riesce a nascondere la preoccupazione nelle occhiate di sbieco che mi lancia, e anche quando riesce ad evitarle mi resta comunque perfettamente chiara la sua frustrazione malcelata nel sentirsi impotente. Sono i miei amici, sono diventati Animagus per me e non si danno pace per quello a cui non possono arrivare, perché vorrebbero superare il limite e fare l’impossibile anche qui, alleviando il dolore fisico che precede e accompagna la trasformazione: è qualcosa di bello e puro a pensarci lucidamente, qualcosa che mi fa sentire fortunato, ma quando la febbre mi annebbia la mente l’unica conseguenza della loro inquietudine è che una parte di me si sente in dovere di non dare segni di sconforto, così che la luna non riesca a toccare almeno loro: nelle notti in cui è piena sono i miei amici che mi afferrano e mi tirano forte lontano dalla sua presa, allentando il suo giogo su di me, ma nei giorni che precedono il plenilunio sono io con i miei cedimenti che rischio di trascinarli nella morsa della maledizione ed è l’ultima cosa che voglio.  
Sirius è tra tutti l’unico di fronte a cui riesco ad abbandonarmi senza freni all’influenza lunare, senza il pensiero di non rendere visibile la sofferenza: non ha la stessa ansia di Peter nell’offrirsi subito di portarmi questo o quello per farmi stare meglio non appena mi vede in difficoltà e non mostra la stessa frustrazione di James nel non potermi aiutare in alcun modo; ha quella muta consapevolezza che è così e basta, che ci sono dei momenti in cui il mio corpo si rivolta contro di me ed è destino che io perda, e che cercare di interferire sarebbe proprio come provare a impedire al sole di tramontare e lasciare il posto alla luna. È stato il primo a completare la sua trasformazione in Animagus, ma probabilmente è anche sempre stato il solo dei miei amici a non illudersi di poter vincere completamente la mia maledizione.
Se ne sta sul divanetto davanti a me e fissa corrucciato il tappeto persiano ai nostri piedi, assorto. Ha la stessa espressione vagamente contrariata e infastidita che ha sempre da un po’ di tempo a questa parte, quella furia in attesa appena visibile oltre il velo grigio dell’iride, la stessa che forse a un certo punto si deciderà a riversare in blocco contro chiunque ne sia la causa invece che offrirne un assaggio mitigato a tutti.
Mi chiedo se James sappia quale sia il problema e se sia una scelta consapevole il suo ignorare completamente le stranezze di Sirius.
- Ehy, Remus, - La voce allegra di Lizzie si distingue improvvisamente dal sottofondo di chiacchiere e risate che riempie la Sala ed io volto la testa verso di lei, trattenendo poi una smorfia per la fitta improvvisa all’altezza della fronte. – Oh Godric, sei orribile.
- Oh, - dico. – Ah. Beh, mi dispiace.
Lizzie sgrana gli occhi.
- Oh Godric no, non intendevo che sei orribile, volevo dire, hai, hai un aspetto orribile, non so perché ho detto sei orribile, chiaramente non lo sei, sei molto, - Lizzie sta parlando in modo parecchio veloce, come sempre, ed il mio cervello appannato fatica a seguirla, ma all’improvviso si blocca e si zittisce per qualche secondo. - Sei nella norma, sì, sei normale. Volevo solo sapere se stai bene, perché sembra di no.
- Sì, sto bene, beh no, credo che mi stia venendo l’influenza, già, -  Probabilmente ora pensa che io stia delirando, così le riservo il mio sguardo più lucido. - Se continua domattina andrò in Infermeria.
- Di nuovo? – Lizzie mi guarda sorpresa. - Non è passato molto dall’ultima volta che sei stato male.
- Sì, sono sempre stato un po’ cagionevole, l’ho preso da mia madre, - spiego con un sorriso pacato. Non sembra nemmeno più mentire ormai.
- Oh, capisco, mi dispiace. Brutta storia le madri, la mia mi ha passato dei baffetti che ricrescono alla velocità della luce, vedi? - Si china appena verso di me, indicandosi un punto al di sopra del labbro.- In realtà non li puoi vedere perché ogni settimana li faccio evanescere con la bacchetta. Uno ad uno, è un compito lunghissimo e noioso, ma so che le babbane se la passano peggio, - Ho sentito diverse cose a riguardo, anche se non ho idea di quanto di vero ci sia nelle storie che girano: probabilmente alcune parti sono vere, ma altre, come la storia della cera bollente, sono una sorta di scherzo comune architettato dalle nate babbane delle diverse Case per prendersi gioco dell’ignoranza della maggior parte dei maghi sulle usanze babbane. - Beh, se sparisci di nuovo magari faccio un salto in infermeria questa volta, per farti compagnia.
 - No! No, non, - Me ne rendo conto solo incrociando i suoi occhi che la risposta mi è uscita un po’ troppo di getto, un po’ troppo sospetta e un po’ troppo brusca. Se solo la mia testa non continuasse a pulsare in questo modo, allora forse il mio cervello potrebbe concentrarsi meglio sulla collaborazione con le labbra, ma non è così e ognuno va per la sua strada. - Non è il caso, davvero. Non mi piace molto ricevere visite quando sono malato.
– Oh. Ok. Certo, - Nonostante la confusione nel mio cervello, quello che resta delle mie abilità sociali registra comunque che sono stato maleducato e che lei ci è rimasta male. Dovrei informarla che la mia testa sta pulsando e che è per questo che non sono più in grado di usare tatto o frasi complesse, ma ora non mi va di informare nessuno delle pulsazioni della mia testa.
- Non intendevo, - sospiro. - Voglio dire, mi farebbe piacere ricevere una tua visita. È solo che non sopporto il dolore molto bene e anche quando ho solo un po’ di febbre ho la forza solo di stare nel letto con gli occhi chiusi a fingere di essere già morto.
– No, certo, è ok.
– E non vorrei farmi vedere così, mentre fingo di essere morto.  
– È tutto ok, Remus, davvero, - mi rassicura Lizzie. - A me, quando sto male, piace avere gente al mio capezzale che mi serve e riverisce e mi permette di fingere di essere in punto di morte e non già morta, quindi ho pensato che anche tu forse volevi fingerti in punto di morte e non già morto, ma non siamo tutti uguali, quindi, ok.
In tutto ciò Sirius non ha ancora alzato gli occhi impassibili dal tappeto e Lizzie gli dedica a intervalli regolari occhiate perplesse.
- Beh, magari quando finirai in infermeria, se ci finirai, e spero di no, sarò io a venirti a trovare, - propongo con un sorriso appena accennato. - E potremo fingere che tu stia per morire.
- Certo, perché no. Mi piacerebbe molto, - Lizzie annuisce, poi lancia un’occhiata dall’altra parte della stanza. - Beh ora vado, Allison mi sta aspettando. Cerca di rimetterti, Remus.   
Quando si allontana il silenzio torna ad avvolgere quest’angolo di Sala, poi Sirius alza gli occhi su di me, un sopracciglio inarcato.
- Non potete andare ad Hogsmeade come le persone normali?
- Cosa?
La mia domanda perplessa non riceve risposta, ma dopo qualche secondo ci arrivo da solo.
- No, non era un appuntamento quello, - spiego. – Quante possibilità ci sono che finisca in Infermeria anche lei?  
- Dovremmo fare qualcosa per i Serpeverde.
- I Serpeverde? – ripeto, spiazzato dal repentino cambio d’argomento.
- Sì, i Serpeverde.
- Qualcosa del tipo? – indago cauto.
- Tu cosa credi? Hanno fatto la spia e hanno fatto finire James in punizione.
- Oh, intendi qualcosa di vendicativo, certo. Ci avevo già pensato: le pustole sulla faccia di Selwyn sono state la nostra vendetta.
- Selwyn è uno, - Sirius mi guarda eloquente. - Che mi dici degli altri?
- Gli altri ad esempio...?
La risposta è immediata e senza esitazioni.
- Piton.
- Piton, - ripeto.
- Piton.
- E cosa vorresti fare a Piton?
- Qualcosa di spiacevole.
- Per quale motivo?
Qualcosa si agita negli occhi di Sirius. La mia testa pulsa di nuovo.
- Da quando ci serve un motivo? – sibila. - È Piton, questo è il motivo.
Piton è Piton e non posso contraddire Sirius su questo, ma non è come se lui potesse contraddire me sul fatto che Piton è Piton anche ogni altro giorno del mese, proprio ogni singolo giorno e non solo oggi che è quello precedente al plenilunio, quando la politica dei miei amici è solitamente quella di starsene calmi, specie se non provocati.
Glielo farei notare, se non fosse che so esattamente come trattare con Sirius quando ha questi attacchi di irragionevolezza ostinata, e cioè non trattandoci affatto.
- D’accordo, - annuisco condiscendente. – Aspettiamo James allora e...
Sirius scuote la testa con aria distratta.
- Ecco Peter, ti ha portato il tè, - dice puntando il buco del ritratto. Ti ha portato il tè è riduttivo in modo tragicomico, perché Peter mi ha praticamente portato tutte le cucine. – Ci vediamo più tardi. 
Sto osservando Peter farsi largo tra gli sguardi avidi e bramosi dei nostri compagni di Casa, già tutti eccessivamente interessati al notevole carico di leccornie tra le sue braccia, e ci metto qualche secondo di troppo a notare che Sirius si sta defilando.
- Sirius, - lo richiamo inquieto. – Non credo che dovresti...
Preferirei che James fosse qui ora, perché mentre si volta verso di me Sirius ha improvvisamente quella sua faccia da prova a fermarmi e c’è definitivamente qualcosa che mi sfugge nel quadro generale, qualcosa che non sfuggirebbe a James, che  saprebbe esattamente cosa dire per fermarlo o saprebbe andare con lui e basta a fare qualunque cosa Sirius voglia fare nel modo migliore e meno distruttivo di farla, ma ci sono solo io con la mia testa pulsante e me ne resto sul divanetto a seguirlo con gli occhi mentre esce dal buco del ritratto.
- Da che torta vuoi iniziare, Moony?
 


**********
 
- Hai capito?
- Sì.
- Bene, allora scrivi.
Potter inizia a scrivere e anch’io riprendo il mio tema.
Siamo da soli ora: il Corvonero mi ha spiegato la faccenda dei Goblin e poi ha preso la sua roba informandoci che cambiava tavolo. Avrebbe potuto fare finta di aver finito e di essere diretto alla sua Torre, per poi piazzarsi in un angolo lontano della biblioteca, ma no, meglio sbatterci in faccia quanto non ritenga due Grifondoro dei compagni di studio soddisfacenti. Benissimo, avanti così.
- Evans.
- Mh?
- È davvero necessario tutto questo? – Oh, Godric, e ora cosa vuole. - Non possiamo prendere una fenice, farla piangere e metterci direttamente sotto il malato a bocca aperta?
Oh Godric santissimo.
- A me sembra più semplice. Perché dobbiamo prendere le lacrime della fenice e metterle in una pozione  e poi darla al malato?
E ne è davvero convinto, lo vedo nei suoi occhi. Godric.
- A che ci serve la pozione? È un passaggio in più.  
E va bene. 
- Allora, punto primo, Potter, - Mi allungo fulminea verso il suo braccio e stringo tra due dita la carne lasciata scoperta dalla camicia arrotolata fino ai gomiti, girando poi velocemente la mano nello stesso modo che ha sempre fatto emettere a Petunia tutti quei versetti striduli.
- Ehy! – Potter non produce versi bizzarri, ma la sua espressione sconvolta è ancora più divertente.
- Dov’è la tua fenice, mh? – lo incalzo.
- Non ho una fenice! – protesta indignato.
- Appunto, - concludo pacata.
Potter mi fissa con la bocca spalancata per diversi secondi prima di richiuderla.
- E c’era bisogno di picchiarmi? – aggiunge poi offeso.
- Oh,  andiamo, - sbuffo. - Non ti ho picchiato, Potter, non essere melodrammatico. Ecco, - Allungo un braccio nella sua direzione. - Dammi anche tu un pizzico e siamo pari.
Non gli dico che tanto non sarà comunque mai micidiale quanto i miei: anni e anni di pratica.
- Non voglio darti un pizzico, Evans: sei tu che sei attratta dalle mie braccia.
Potter crede che io sia attratta dalle sue braccia e quindi lo guardo.
Lui mi guarda.
Il suo avambraccio finisce di nuovo nella mia presa ferrea.
- Ehy!
La sua faccia ora è così divertente.
Non credo di essermi mai divertita tanto in presenza di Potter e questa è la chiave del nostro rapporto: per andare d’accordo con certe persone basta conoscerle meglio, altre, altre devi solo picchiarle.
- Ora, se io ti avessi colpito con un coltello, mettiamo, - riprendo pratica. - Ti troveresti con un taglio sul braccio e potresti versarci sopra delle lacrime di fenice pure e semplici, nel caso tu te ne fossi comprato una fiala. Se invece...
- Quanto costano?
- Dieci galeoni a provetta.
- E quanto costa una fenice? – chiede Potter assorto.
- Non lo so.
- Secondo me conviene comprarsi una fenice, Evans, - decreta infine.
- Può darsi, non è questo il punto, - replico noncurante, cercando di proseguire con la spiegazione. Dove cercando è la parola chiave.
- Voglio dire, puoi farla piangere tutte le volte che ti fai male e puoi farla piangere anche altre volte, così puoi rivendere le sue lacrime, - insiste infatti.
- D’accordo, Potter, però, tornando a...
- No, no, Evans, fermati, - La verità è che inizio a capire perché quel Corvonero se n’è andato. La necessità di Potter di interrompermi è tale che si sta agitando sulla sedia, fremente. - Dobbiamo procurarci una fenice e questa roba non ci servirà più a nulla: metteremo su un allevamento di fenici e diventeremo ricchi, non abbiamo più  bisogno di un’istruzione.
- Non lascerò la scuola per mettere su un allevamento di fenici con te, Potter, - metto le cose in chiaro.  
- Silente ha una fenice, - mi ignora. - Possiamo rubare la sua.
- Non sarebbe nemmeno rubare, sai, credo che abbia un debole per me, - continua senza farmi ribattere e oh, wow, che novità, Potter che pensa che qualcuno abbia un debole per lui. - Quella volta che sono arrivato nell’ufficio di Silente sanguinante dopo che quei dieci Serpeverde mi avevano teso un agguato, lei...
- Avery.
Potter mi guarda.
- Non erano dieci, - spiego. - Era Avery e basta.
- Erano dieci.
- Era Avery.
- Erano dieci.
- Era Avery.
- D’accordo, era Avery, ma Avery è grande come dieci Serpeverde, - si arrende alla fine ed io ripenso a quella mattina del terzo anno, quando è entrato in Sala Grande con un occhio nero: quello è stato un giorno glorioso e indimenticabile. Anche e soprattutto per la storia dei vestiti di Avery che sono scomparsi all’improvviso di fronte a tutti all’ora di cena. Eww. – Comunque mi è volata in braccio, proprio mentre Silente mi stava sgridando senza motivo come i professori sempre fanno, e mi ha pianto su tutta la faccia, che è un chiaro segnale del fatto che preferirebbe me come padrone.
- Potter, - Lancio un’occhiata eloquente alla sua pergamena ancora quasi del tutto linda.
- D’accordo, d’accordo, - sospira riprendendo tra le dita la sua piuma. - Dopotutto perché diventare milionari quando possiamo passare altri due anni qui a riempire infiniti rotoli di pergamena che ci permetteranno di ottenere banali e noiosi lavori sottopagati una volta presi i M.A.G.O.?
- Tu sei l’ultima persona che potrebbe ritrovarsi con un lavoro banale o noioso, Potter.
Lui mi guarda sorpreso.
- Perché?
- Perché non è quello che accade alle persone come te, - chiarisco con un’alzata di spalle. - Tu diventerai famoso per qualche impresa particolarmente stupida o farai qualcos’altro per cui tutta la Gran Bretagna conoscerà il tuo nome, e poi verranno tutti da me a chiedermi “È vero che eri nello stesso anno di James Potter ad Hogwarts?” e sarà tutto molto seccante e tu riuscirai a infastidirmi anche quando non ci rivolgeremo più la parola.
- Io ti parlerò sempre, Evans, - replica subito Potter. - Anche quando tutto il mondo magico conoscerà...
- La Gran Bretagna ho detto.
-  Tutto il mondo magico conoscerà il mio nome ed io mi presenterò sul tuo posto di lavoro almeno una volta a settimana, in groppa al mio stormo di mille fenici, inseguito da giornalisti e fotografi, e continuerò a scriverti lettere e...
- Non mi hai mai scritto una lettera in vita tua.
- Inizierò.
- Ti pagherò per non farlo, - decido. - Probabilmente sarai così ricco solo perché io ti pagherò così tanto per farti stare lontano da me e...Potter, dannazione, smettila di distrarmi! Le lacrime di fenice allo stato puro si vendono e le puoi usare per curarti un taglietto superficiale o cose del genere, ma per avere effetto su alcune patologie vanno combinate con diversi ingredienti ed è qui che entrano in gioco le pozioni. Ora sta’ zitto e scrivi.
Potter mi lancia un’ultima occhiata di sottecchi con l’accenno di quel suo ghigno sornione, poi abbassa finalmente gli occhi sul libro e mi lascia fare altrettanto.
Un allevamento di fenici, ma per cortesia.
Quando poi esistono gli Snasi che sono in grado di trovare e rubare oro.
Ora, questo è un piano.
- Perché sorridi, Evans?
- Non sto sorridendo, Potter, - nego subito, perché non posso condividere con lui i miei progetti di futura ricchezza: non è una persona affidabile e sicuramente lo direbbe a Black, che verrebbe a rubarmi tutti gli Snasi e allora addio oro. E c’è quella storia di tutti i giovani maghi di sesso maschile che non riescono proprio a resistere a quella battuta su cosa uno Snaso troverebbe nelle loro mutande e no grazie. - Sto mostrando i denti, per farti paura nel caso guardassi me invece della tua pergamena.
- Paura, - ripete Potter che sta, infatti, guardando me invece della sua pergamena.
- Paura, - confermo. – Gli animali lo fanno, - spiego e poi scopro ulteriormente i denti in una smorfia aggressiva che realizzo troppo tardi essere più ridicola che minacciosa. Dannazione.
- Beh, anche la tua non fa per niente paura, Potter, - puntualizzo.
- Stavo sorridendo, Evans.
 Giusto.
- Non sorridere, - dico. – Scrivi.
Potter torna serio.
- D’accordo.
Abbassa lo sguardo sulla pergamena a rileggere le poche righe che ha scritto e anch’io torno a rileggere le mie. Poi gli lancio un’occhiata e incrocio i suoi occhi nocciola fissi su di me. Sento un lieve calore salirmi alle guance senza alcun vero motivo e torno a guardare la mia pergamena. Quando sbircio di nuovo si è finalmente messo a scrivere e ha un sorrisetto sulle labbra, perché è così chiaramente uno squilibrato.
 


**********
 
- Va bene, - Evans finisce di leggere il mio tema e me lo passa. – Non è da E, ma non è meno di Accettabile, forse anche Oltre Ogni Previsione, dipende dall’umore di Lumacorno.
- Accettabile è già oltre ogni previsione, Evans, - commento infilando il tema nella borsa. In effetti, è oltre ogni previsione anche solo l’avere il tema per mercoledì già pronto, quando normalmente lo avrei scritto in dieci minuti martedì notte.
- È oltre ogni previsione perché non ti impegni, Potter, - sottolinea alzandosi e iniziando anche lei a infilare i libri nella borsa. – Non ti ho aiutato così tanto, avresti potuto farlo anche da solo, con la differenza che da solo avresti cercato di finirlo in due minuti copiando pezzi a caso dal libro.
- Non pezzi a caso, solo le frasi dove compare ‘fenice’, - specifico.
- Per l’appunto, - annuisce. – Senti, abbiamo ancora un paio d’ore prima di cena, a questo punto tanto vale fare un salto nei sotterranei per provare una delle pozioni curative che faremo mercoledì a lezione, - propone sbrigativa. - Se tu riuscissi a farla quasi decente al primo colpo davanti a Lumacorno, quello sì che sarebbe oltre ogni previsione. E vedrebbe che ti stai impegnando.
- Wow, Evans, è un sacco di tempo da passare insieme oggi.
- Ne sono dolorosamente consapevole, Potter, ma piuttosto che farlo domani preferisco finire tutto oggi e lasciare la giornata di domani incontaminata dalla tua presenza.
- Avremo comunque lezione insieme, sai, - sottolineo, arricciando le labbra contrariato dalla sua scelta di parole. Incontaminata, come se fossi un qualche virus infettivo. 
- Sì, ma non avremo contatti ravvicinati, è diverso.
- Zero contatti?
- Zero.
- Non posso nemmeno avvisarti della carta igienica attaccata alle tue scarpe se dovesse succedere?
- Starò attenta a non farlo succedere, Potter, - mi assicura, prima di fulminarmi con gli occhi in maniera eloquente. - E anche tu starai attento a non farlo succedere.
Non riesco a trattenere un ghigno colpevole.
- Come vuoi, Evans, andiamo.
 


 
Il tragitto dalla biblioteca all’aula di Pozioni procede relativamente tranquillo e senza incontri degni di nota, fino a quando un pallido naso aquilino svolta l’angolo e inizia a percorrere il corridoio nella direzione opposta alla nostra, avvicinandocisi e offrendomi su un piatto d’argento l’occasione di migliorare sensibilmente la giornata.
Subito gli pianto la mia miglior espressione gongolante in faccia, iniziando a parlare a voce forzatamente alta.
- È così rilassante camminare per i corridoi insieme, Evans, non trovi? Diretti in una destinazione comune dove passeremo del tempo da soli e dove tu mi rivolgerai la parola, perché tu mi rivolgi ancora la parola. 
- Potter, ti ha dato definitivamente di volta il cervello? – Evans mi lancia un’occhiata perplessa, poi segue la direzione del mio sguardo e scorge Piton, che sta camminando velocemente a pochi passi da noi, gli occhi fissi davanti a sé e le labbra strette forte l’una contro l’altra. Subito si incupisce. - Sei incommentabile.
- Sì, Lily, mi sembra un’idea fantastica, perché no! Anche tu puoi chiamarmi James, certo! – quasi grido mentre Piton raggiunge la fine del corridoio e svolta l’angolo, sparendo alla vista. Sono così appagato e impegnato a immaginarmi la sua faccia ora che è fuori dal nostro campo visivo che non faccio caso ad Evans fino a quando la sua scarpa non si schianta forte proprio contro il mio stinco.
- Evans, cazzo, ahi!
- Ti ci affogo nel calderone, Potter, - sta borbottando irata, il passo che aumenta sempre più. – Ti affogo e poi preparo una pozione solvente per far sparire il tuo corpo. La so fare, è roba del quinto anno, non credere. Anzi, sai cosa, ti affogo direttamente nella pozione solvente, così la tua faccia inizierà a sciogliersi quando sarai ancora vivo e allora forse diventerai un po’ più maturo.
- In che modo sciogliermi la faccia dovrebbe rendermi più maturo, Evans?
- Qualunque cosa ti renderebbe più maturo, Potter, perché meno maturo non puoi diventarlo, essendo tu già al livello più basso esistente.
- Ok, ma è più sensato che uno dissolvendosi diventi meno piuttosto che più, no?
- Potter, seriamente, lasciami stare. Sono irritata.
- D’accordo, Evans, però calmati, ok? Stavo scherzando, - la rabbonisco. - Non puoi davvero chiamarmi James.
 Questa volta sono pronto e riesco ad evitare il calcio sugli stinchi.
 


**********

Potter è concentrato a mescolare la sua pozione e così le mie orecchie hanno finalmente la possibilità di rilassarsi per un momento. Non credo di aver mai passato così tante ore consecutive a stretto contatto con lui e ho sempre dato per scontato che a un certo punto si scaricasse momentaneamente, dimenticandosi di essere un aspirapolvere e comportandosi a tratti da normale scopa babbana, ma non è così. Non ci sono momenti morti nel suo essere James Potter, lo è proprio a tempo pieno. Forse sta in carica tutta la notte oppure non necessita di carica e basta, fatto sta che la sua autonomia è molto più inesauribile della mia, che dopo un solo pomeriggio con lui è già sull’orlo del collasso. Non ha nemmeno bisogno di parlare per importunarmi, gli basta fare quella cosa con gli occhi, e subito qualcosa si smuove dentro di me, anche quando non mi sta nemmeno guardando; è semplicemente il suo talento naturale nell’infastidirmi e inizio a credere che non dipenda nemmeno da lui.
- Bene, ora aggiungi le zampe di ragno, - lo istruisco dopo aver lanciato un’occhiata all’orologio. Non è un compito particolarmente difficile e così mi concedo di non controllarlo a vista come ho fatto finora, solo che quando mi rigiro scopro che Potter ha trovato il modo di renderlo difficile: sta inclinando l’intera scatola con le zampe al di sopra del calderone ed io riesco a fermare la sua mano appena in tempo, saltando giù dal banco su cui mi stavo rilassando.
- Potter, - Mi porto le dita alle tempie. – Cosa stai facendo?
Alza le spalle.
- Quello che mi hai detto.
- Non ti ho mai detto di rovesciarci l’intera scatola: prendi con le dita solo quelle che ti servono e metticele dentro, come i bambini normali.
- Non posso toccarle, Evans.
Sgrana gli occhi e mi guarda come se fossi pazza.
Non può toccarle, certo. Non. Può. Toccarle.
Godric, davvero? Culla dei coraggiosi di cuore?
- Ho toccato le dannate lumache cornute, con la loro bava viscida e appiccicosa, ma non c’è niente che tu possa dire per convincermi a toccare le zampe di ragno, - continua imperterrito, leggendo evidentemente lo scetticismo nei miei occhi. - Sono disgustose e ricoperte di peli, non vedo perché dovremmo aggiungerle alla pozione. Non ci possiamo mettere qualche altra radice invece? Tipo, l’asfodelo o...
- Potter, - sospiro, sfilandogli di mano la scatolina e rassegnandomi ad aggiungere da sola alla pozione le tre zampe. - Non cambieremo gli ingredienti delle pozioni a seconda della tua fobia per i ragni, non è così che funziona, né Pozioni né la vita in generale.
- Non è fobia, Evans, io non ho paura, è buonsenso. 
- Tu hai definitivamente paura.
- Non essere ridicola.
Potter scuote la testa e prima ancora che abbia finito di parlare ho la bacchetta tra le dita. Il pestatoio di legno sul banco davanti a lui, proprio di fianco alla sua mano, inizia a ricoprirsi lentamente di spessi peli neri e tempo pochi secondi un’enorme tarantola prende il suo posto. 
- Evans, dannazione, cosa stai facendo?!
Mi sono sempre piaciute le tarantole, ancora prima che scoprissi l’effetto di repellente che hanno su Potter. Se ne adottassi una come animale domestico e me la portassi in giro tutto il tempo, lasciandola libera di zampettare sulle mie spalle e braccia, allora forse la mia orbita vitale smetterebbe di scontrarsi con la sua così spesso.   
- Sto provando un punto, Potter.
- Quella cosa abominevole non prova nulla, se non che tu sei folle.
- Prova che hai una fobia.
- Perché ora continui a ripetere quella parola? Cosa ti fa pensare che io abbia una fobia?
- Il fatto che sei spiaccicato contro il muro dell’aula e stai cercando di passarci attraverso perché io ho evocato un ragno, Potter, - rispondo pacata, mentre lui continua a restare appiattito contro il muro dalla parte opposta dell’aula, gli occhi sbarrati che si spostano cautamente da me alla tarantola e viceversa. Questa lezione è così tanto più divertente dell’ultima. - Coraggio, hai paura dei ragni e sei un disastro in Pozioni: possiamo arrivare a tanto o è semplicemente troppo da ammettere nel giro di così poco tempo?
- Sono un disastro in Pozioni, ma non ho paura dei ragni. Non mi piacciono e basta, è diverso. Come il marzapane, ok? Non mi piace, ma nessuno mi accusa di avere una fobia per il marzapane, - Mamma faceva dei biscottini di marzapane divini e mi sconvolge il pensiero che a qualcuno possa non piacere il marzapane, ma d’altro canto non posso aspettarmi dei gusti decenti da Potter: probabilmente è una di quelle persone gnegne che scartano i canditi da tutti i dolci, e insomma non c’è nulla di cui stupirsi se poi fa esplodere le pozioni.  - E se la prossima parola che dirai non sarà Evanesco, la prossima parola che dirò io sarà Incendio, Evans, ti avverto.
- D’accordo, torna qua, - sospiro ritrasfigurando con un colpo di bacchetta la tarantola al suo stato originale di pestatoio. – Guarda, le hai fatte cadere tutte. Accio zampe di ragno.
- Oh beh, sono sicuro che non avrai problemi a trovarne altre, sei così brava a trasfigurare ragni, - Potter si riavvicina indispettito, mentre io vengo bersagliata dalle zampe sottili che si vanno a schiantare fulminee contro le mie guance, una dopo l’altra: mai pronunciare gli incantesimi d’appello in modo brusco, mai. - Davvero, chi te l’ha insegnato? Perché una persona normale dovrebbe voler imparare una cosa del genere? Non potevi imparare a trasfigurare, che so, delle farfalle?
- Non mi piacciono le farfalle, - replico con un’alzata di spalle. - Hanno quel corpo e quella faccia ripugnante nel mezzo, sono praticamente dei vermiciattoli pelosi, ma nessuno ha il coraggio di dirlo perché si sentono tutti in dovere di elogiare le ali colorate. Lo trovo ipocrita.
Potter mi sta ora guardando come se avesse appena avuto un’apparizione e chiaramente non avrei dovuto farlo spaventare così, perché ora il suo cervello non connette più.
- Anche io, - esala infine, a metà tra l’incredulo e l’ebete. – Anche io la penso così, Evans, ho sempre odiato le farfalle! Sono disgustose! – E sembra così felice mentre lo dice. – Sono rivoltanti! Se ce ne fosse qui una ora io la...la...non la toccherei! – Ed è sempre più contento. - Perché mi farebbe schifo!
Potter ha questa luce sinceramente esaltata e trionfante negli occhi e continua a sorridere come il pazzo che è e tutto questo è molto strano.
- Wow, Potter, - commento sarcastica, mentre mi chino ad aggiungere le zampe alla pozione fumante. - Spero per le farfalle che non si trovino mai in tua presenza, dev’essere devastante non essere toccate da te.
- Ci pensi spesso, Evans?
La voce di Potter si fa improvvisamente più profonda ed io mi volto a guardarlo.
- Alle farfalle?
- A quanto sia devastante non essere toccata da me.
Non sono tanto le cose che dice, quanto l’espressione seria e il tono profondo che riesce a mantenere.
- Vieni qua, Potter.
- Così, dritti al sodo?
- No, intendo: vieni qua, chiudi la bocca e riprendi a fare la pozione prima che io faccia evanescere la porta e trasfiguri ogni singolo oggetto presente in questa stanza in un ragno e ti guardi piangere e disidratarti fino alla morte.
 Potter sta riflettendo sulle mie parole e le sta elaborando con il cervello rallentato che gli è rimasto dopo lo spavento di poco fa, e prima che possa uscirsene con una replica fastidiosa gli ho già piazzato in  mano il mestolo, che notoriamente annulla ogni sua singola capacità mentale e di conseguenza ogni eventuale risposta arguta.
- Gira, - gli dico, come se poi non fosse l’unica mossa possibile quando hai in mano un mestolo infilato in un calderone pieno fino all’orlo, ma va’ a capire con Potter.
Dopo qualche minuto aggiungo qualche altra zampa di ragno, poi ripongo la scatolina nell’armadietto delle scorte.
- Quindi fammi capire, Potter, - La mia fronte si aggrotta mentre mi riavvicino alla postazione, pensierosa. - In sei anni non hai mai messo le zampe di ragno nelle pozioni che lo richiedevano, nemmeno una volta?
- No, - Alza le spalle. - Oh andiamo, non guardarmi così. È un ingrediente solo, che cambia? Le pozioni hanno un sacco di ingredienti. 
La mia bocca si apre e poi richiude, perché lo ha detto davvero.
Probabilmente è così che si è sentita la McGranitt al mio primo anno, quando sono rimasta per quasi un’ora dopo la lezione nell’aula con lei a insistere perché mi spiegasse in modo più chiaro come fosse possibile trasformare un oggetto inanimato in un essere vivente e viceversa. ‘Ma allora perché non crea anche un essere umano, professoressa? Sarebbe come Dio!’ continuavo a ripeterle, mentre le sue labbra diventavano sempre più bianchi e sottili e lei cercava di spiegarmi la differenza tra se stessa e il Dio in cui credevo allora. Ricordo ancora il paragone che mi ha convinta a darle pace alla fine, quello sulla cucina e sul medesimo impasto che può assumere forme diverse ma senza mai cambiare la sostanza.
Certo, con tutta probabilità Potter non sa nemmeno cucinare.
- Ok, pensa al Quidditch, d’accordo? – inizio ispirata, attirandomi immediatamente la sua attenzione. - Alla partita del prossimo mese contro Tassorosso per la precisione: ci saranno un sacco di lanci, ma se il tuo Portiere dovesse mancarne uno, scommetto che non alzeresti le spalle pensando che cambia, è solo uno su tanti, dico bene? – Potter mi osserva assorto, ponderando le mie parole o fingendo di farlo. – Quidditch, Pozioni, è la stessa cosa: non importa se ci sono un sacco di ingredienti e un sacco di passaggi, ogni mossa è fondamentale, tutto influisce sul risultato e se tu non metti le zampe di ragno nella pozione, allora Tassorosso vincerà la partita.
Non faccio in tempo a finire che la sua mano scatta veloce verso... – Potter! Che diavolo fai?
- Precauzione, Evans.
 
 
 

- Potter, no, - lo richiamo stancamente. - Te l’ho detto anche l’altra volta, non puoi metterceli così i pungiglioni di Doxie se non sono freschi, li devi tritare.
 Potter si blocca con la punta di un pungiglione già immersa nel rosa perlaceo della pozione e lo ritira fuori senza problemi, sbattendolo sul banco e iniziando a schiacciarlo con il pestatoio. Non ne prende uno nuovo che non sia entrato in contatto con la pozione e non ha quello sguardo da ‘ah, merda, è vero’ che hanno di solito le persone quando gli viene fatto notare un errore in qualcosa che si stanno impegnando ad imparare; ha la solita espressione rilassata e come ogni volta che lo correggo non tradisce alcun interesse con gli occhi. Non alza le spalle fregandosene apertamente e ogni volta fa subito quello che gli dico, ma è come se emanasse comunque un’impercettibile alzata di spalle attraverso la sua espressione impassibile e che lo faccia consapevolmente o meno non riesco a non avvertirla.
È come se fosse in quest’aula, ma non del tutto, come se volesse effettivamente andare bene in pozioni, abbastanza da presentarsi qui e svolgere meccanicamente le mie indicazioni, ma non abbastanza da dedicarvisi fino in fondo, chiamando a raccolta tutte le sue capacità. Non faccio che notarlo sempre più mentre il tempo passa e mi urta questo atteggiamento di implicita superiorità, perché io invece qui ci sono davvero e ci sto provando proprio con tutte le mie risorse a fargli capire il meccanismo alla base di ogni pozione, anche se non siamo nemmeno amici, perché è quello che ho detto che avrei fatto e non mi piace non essere in grado di mantenere la mia parola. Ma è tutto inutile se dall’altra parte c’è il muro invisibile di chi non si abbassa a provarci seriamente e il mio primo istinto è proprio quello di prendermela e mandarlo a quel paese.
- Lo sai, Potter, il fallimento non è la cosa peggiore che esista.
Ma a volte, solo a volte, riesco ad arrivare alla fine dei famosi dieci secondi e continuare a riflettere appena un altro po’ prima di aprire la bocca.
- Cosa? – Potter alza lo sguardo dalla pozione e non ha chiaramente idea di che cosa stia parlando.
- È questo il problema, no? – Scrollo le spalle. - Sei abituato a vincere e ti sei convinto che perdere sia la cosa peggiore che potrebbe capitarti. E quindi non ci provi nemmeno, perché se resti distaccato non ha importanza se poi non riesci, perché tanto non ci stavi davvero provando, - Le labbra di Potter si schiudono lentamente come se volesse interrompermi, ma io continuo imperterrita, anche perché qualcosa nel suo sguardo mi suggerisce istintivamente che non ha veramente qualcosa da ribattere. – Ti opponi automaticamente all’idea di buttarti del tutto in qualcosa che non hai la certezza di poter vincere perché se il tuo meglio non fosse abbastanza ti crollerebbe il piedistallo da sotto i piedi.
- È questo che sto facendo? – Potter inarca un sopracciglio e ogni vibrazione nella sua voce esprime scetticismo. - Non ci sto provando davvero per paura di non riuscire?
- Non lo so, Potter. Dimmelo tu: perché non ci stai provando?
- Ci sto provando.
- Io credo che tu ti sia rassegnato a perdere anni fa e per questo ti trattieni invece di mettertici sotto, - replico risoluta. - Ma il punto è, Potter, non funziona così, non è così che si ottengono le cose nella vita: non puoi lottare solo quando sai di poter vincere.
Non so perché dal fatto che lui non ha tritato i pungiglioni di Doxie prima di metterli nella pozione sono finita a questi livelli di profondità inopportuna e da come mi guarda nemmeno Potter lo sa. Alice direbbe che sono in uno dei miei momenti di spessore fuori luogo, come li chiama lei, e avrebbe ragione, perché sono proprio nel bel mezzo del mio momento e ormai devo concluderlo o mi resterà una spiacevole sensazione di profondità inespressa per tutto il resto del giorno.
- Provaci. Provaci sul serio. E potresti fallire, ma non sarà la fine del mondo. Nessuno a parte te si aspetta che tu sia perfetto in tutto, - E mi trattengo dallo specificare che infatti agli occhi delle persone sane di mente non c’è proprio nulla di perfetto in Potter, a partire dai suoi ridicoli capelli. - Hai chiesto il mio aiuto ed eccotelo qui: vuoi diventare un bravo pozionista, Potter? Impara a perdere.
Questi miei momenti improvvisi hanno sempre il medesimo effetto sulle persone e Potter chiaramente ora crede che io sia pazza e ha ragione, perché solo una persona pazza cercherebbe di indagare la logica dietro alle sue azioni e ai suoi occhi e in generale dietro a tutti i bizzarri meccanismi del suo essere un aspirapolvere.
 

*
 
Evans è chiaramente fuori di testa.
- Triterò i pungiglioni di Doxie non freschi, Evans, - Annuncio lentamente e sa di promessa. – Hai la mia parola.
Lei mi scruta per diversi secondi.
- Bene, - decreta infine. – Ora pulisci tutto e rifletti sui tuoi errori.
Senza più degnarmi di uno sguardo si infila il libro nella borsa e se la getta sulle spalle.
- Ora se permetti, - Mi fa un cenno col capo e mi supera impettita, diretta verso l’uscita, salvo poi fermarsi dopo pochi passi.  
- Lo sai, Potter, - dice, tornando indietro e porgendomi la mia spilla da Capitano. - Per essere il Cercatore migliore della scuola, hai dei pessimi riflessi.
- Sono il Cercatore migliore della scuola? – ripeto subito gongolante.
Evans apre la bocca spiazzata, evidentemente presa in contropiede, poi agita la mano come a scacciare una mosca.
- Prenditi la tua spilla e basta.
Appuntarmi al petto la C dorata sulle due scope incrociate è appagante come sempre e me la rimiro soddisfatto. Evans, intanto, mi sta fissando assorta.
- Quindi dal mantello non puoi separarti qualche ora senza dare di matto, ma la spilla da Capitano me la lasci due giorni senza neanche richiedermela? – chiede inarcando un sopracciglio.
Le sorrido sornione.
- Tu puoi prendere quello che vuoi, Evans.
Mi guarda ed emette uno strano verso per niente attraente, una cosa a metà tra uno sbuffo scettico e qualcuno che si sta strozzando, poi alza gli occhi al cielo e se ne va, lasciandomi da solo nell’aula silenziosa.
E il fatto è, è come con il Quidditch.
Non importa se siamo praticamente fuori dalla competizione e tutti ci danno per spacciati, come se avessimo già perso. Il resto della scuola può guardare al punteggio e alla logica e ai fatti quanto vuole, ma alla fine la metteremo comunque nel culo a tutti e ci prenderemo quella Coppa, stracciando Tassorosso prima e Corvonero poi, perché questo è esattamente quello che i Grifondoro fanno, ignorare il buonsenso e le probabilità e vincere anche quando la partita è già persa.
I Corvonero sono convinti che gli unici rimasti a porsi tra loro e la Coppa siano i Tassorosso, ma saremo noi a sfilargliela dalle mani alla fine, perché Evans ha ragione ed io non so perdere. E checché ne pensi non è un difetto, perché è il non saper perdere che mi fa vincere anche quando dovrei solo accettare la sconfitta.
È il non saper perdere che mi ha spinto a prendere in mano un libro sull’Animagia e a provarci per anni, a dispetto di tutti i ‘‘praticamente impossibile’, ‘magia estremamente avanzata’, ‘pericolo di morte’, a dispetto della frustrazione di tentativi continui ed infruttuosi. Avrei dovuto imparare a perdere allora, quando a Sirius è uscito il sangue dal naso per quasi una notte intera, senza che potessimo spiegarlo a Madama Chips, o quella volta che mi è mancato il respiro fino a farmi svenire e Remus ci ha urlato contro così tanto perché smettessimo di provarci. Avrei dovuto imparare allora a perdere e rassegnarmi a vederlo tornare distrutto e coperto di nuove cicatrici dopo ogni luna piena, come ogni amico o parente di un licantropo ha fatto da che è esistita la maledizione, ma non sapevo come fare e così al quinto anno abbiamo vinto la luna, perché nessuno ci aveva insegnato a perdere.
Ed è lo stesso motivo che ci spinge ad allenarci per ore sotto la pioggia  o contro il vento gelido invece di rintanarci davanti al caminetto della Sala Comune perché tanto ormai siamo fuori dai giochi. Vinceremo quella Coppa perché non possiamo accettare altrimenti, ma Evans non è una Coppa e Sirius ha ragione: il rifiuto di perdere che mi spinge a reagire in ogni altra situazione con Evans non fa che paralizzarmi, ed è patetico e vergognoso e qualunque altra cosa lui abbia detto o pensato.
È patetico e non è come un Grifondoro dovrebbe affrontare la situazione.  
Non affrontare la situazione, non è come un Grifondoro dovrebbe affrontare la situazione, e mi prenderei a pugni perché è esattamente quello che sto facendo: la verità è che non ci sto nemmeno provando. 
E non è qualcosa che mi è mai successa prima, la paura paralizzante di perdere, perché James Potter non perde e basta, e questo è in realtà il vero problema: perché questa partita invece sembra già persa in partenza.
Ma il fatto è, sono James Potter e non c’è nulla che io non riesca a fare. E se per vincere questa partita devo perderla e perderla e poi perderla ancora, allora imparerò a perdere. E perderò meglio di chiunque altro, perché questo è quello che James Potter fa, essere meglio degli altri.
Philips non saprà nemmeno cosa l’ha colpito, sul campo e fuori: ho smesso di ritirarmi prima del fischio d’inizio.
In quanto ad Evans, farà meglio a prepararsi, perché James Potter ha iniziato a giocare. 
 
Se solo non avessi un pungiglione di Doxie conficcato nel dito.
 
 
 
 
 
 
 
 
Durante i suoi anni ad Hogwarts, Harry passerà diverso tempo con gli occhi alzati al soffitto incantato della Sala, a correre tra finte nuvole e candelabri danzanti di fiammelle dorate, ma non noterà mai la cravatta dal rosso sbiadito che vent’anni prima fece finire in punizione suo padre e sua madre.
Quella stessa cravatta che subito si solleveranno a cercare gli occhi di Remus Lupin quando rientrerà in Sala Grande per la prima volta dopo una vita intera, nelle vesti del nuovo professore di Difesa Contro le Arti Oscure: rivedrà James sfilargliela dal collo con quel suo sorriso malandrino, sentirà la voce vibrante di Lily nella penombra di scaffali carichi di vecchi trofei, e la risata di Sirius sarà così forte da rimbombare nella Sala anche a vent’anni di distanza e avrà il sapore di un tradimento impossibile.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 




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... Fun fact: inizialmente lo scorso capitolo doveva finire dopo il POV di Sirius,  con lo schiocco del suo pugno in faccia a Philips. Ero indecisa se includerlo nello scorso o meno, ma in ogni caso sempre col cliffhanger si finiva, però sono curiosa, mi avreste odiato di più o di meno?
Fun fact numero due: no, non è un fun fact, è solo una specificazione che sento il bisogno impellente di fare perché mi avete fatto sentire estremamente in colpa scusandovi per il fatto di fare i lettori silenziosi ecc, quando omg no non scusatevi, quindi --- > Tu, lettore silenzioso che stai leggendo, non ti odio e ti voglio bene lo stesso e non mi devi assolutamente nulla e commenta solo se hai voglia. Ci tengo a specificarlo perché ho sempre trovato ridicolo pretendere recensioni o atteggiamenti simili, anche perché non è che io vi do qualcosa in cambio, nemmeno faccio spogliare Sirius nei capitoli, quindi davvero, con che faccia posso chiedere cose, mi interessava solo farvi sapere una cosa che magari non sapete, ovvero che effettivamente a volte un commento fa la differenza, soprattutto quando come me non parli del fandom di HP con nessuno nella vita reale e quindi non ci pensi nemmeno, e ci stai fondamentalmente lontana il 99% del tempo, e l’unico momento in cui ci penso (sono appena tornata alla prima persona completamente a caso yep) è effettivamente quando posto e leggo poi le vostre reazioni, e per esempio dopo aver letto la recensione infinita e appassionata di Emma (e aver quindi pensato ai malandrini per un’ora intera perché ci ho messo tipo un’ora a leggerla) è successo che il mezzo capitolo che non doveva mai vedere la luce perché era a metà e io non l’avrei finito è invece ora intero, perché quando qualcuno ti ripete così tanto quali sono le cose che ti piacciono della storia capita che magari lo ricordi anche tu  e ti trovi a scrivere la metà di capitolo che mancava e a divertirti nonostante i “gnegne il fandom di HP ormai mi è lontano e indifferente” quindi nulla, il punto era più o meno questo,  non voleva essere una predica o altro, figuriamoci, era solo per darvi un insight di come funziona la mia ispirazione, che si fa un po’ travolgere dall’entusiasmo altrui a volte, non sempre, ma a volte sì, ma che sicuro non si fa contagiare dal silenzio stampa.
*malandrina out*

   
 
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