CAPITOLO 31.
«Sirius!»
Come
riemergo alla luce della Sala d’Ingresso, lasciandomi l’umidità buia
dei
sotterranei alle spalle, individuo subito la figura del mio migliore
amico a
pochi passi da me. Ottimo.
«Ehy,
Sirius!» lo richiamo affrettando il passo per raggiungerlo mentre lui
si dirige
a passo sostenuto verso le scale, lo sguardo fisso davanti a sé.
«Sparisca,
Potter.»
È
solo quando mi liquida con un gesto secco della mano e una vibrazione
furente
nella voce che noto la presenza della mia Capocasa, che sta seguendo
impettita
Sirius a breve distanza.
«Certo,
professoressa,» annuisco subito, sistemandomi automaticamente la
cravatta.
Sirius
e la McGranitt svaniscono al piano superiore ed io resto impalato come
un
cretino ai piedi delle scale, chiedendomi se ora posso salire o se la
McGranitt
lo saprà e appellerà la mia spilla da Capitano. Ci sono due Serpeverde
vicino
al portone che stanno ancora guardando le scale e parlottano tra loro,
cospiratori. C’erano Serpeverde bisbiglianti anche per tutti i
Sotterranei, ricordo
improvvisamente, rivalutando la strana concitazione che sembrava
percorrere i
corridoi dall’aula di pozioni fino a qui.
I
due fenomeni distinti dei sotterranei in fermento e di Sirius scortato
dalla
McGranitt non tardano a legarsi nella mia mente e subito vorrei che il
contratto sociale di Hogwarts mi permettesse di rivolgere la parola ai
Serpeverde, così potrei chiedere a quei due cos’è successo a Piton e
quanto male
gli ha fatto. Non posso naturalmente e così, dopo essere riuscito ad
origliare
solo qualcosa a proposito di un vetro, mi avvio verso la Torre,
ottimista:
considerando le sue abilità pari e, a sua detta, ma solo a sua detta,
superiori
alle mie in Trasfigurazione, sono abbastanza sicuro che la sua
punizione sarà
identica alla mia e dare ripetizioni ai primini insieme a Sirius si
prospetta
senz’altro più divertente che dare ripetizioni ai primini senza
Sirius. Ottimo.
«Trenta
punti in meno e devo archiviare un miliardo di libri insieme ad Evans.»
Sirius
alza le spalle nella sua poltroncina di fianco al camino, con un’aria
tutt’altro che sconfortata: è in realtà visibilmente appagato
dall’azione fatta
e più tranquillo di quanto lo sia da un po’. Assegnare Sirius
all’archiviazione
invece che alla trasfigurazione è pura follia ed è il chiaro frutto del
perfido
rifiuto della McGranitt di metterci in punizione insieme, cosa che mi
cruccia
molto. Anche Remus ha un’aria corrucciata.
«Hai
fatto passare Piton al di là della vetrata della Sala Comune di
Serpeverde
facendolo finire nel lago,» ripete lentamente, gli occhi fissi su
Sirius.
«Sì.»
«E
lo hai fatto perché...»
Il
tono e l’espressione di Remus invitano Sirius a concludere la frase al
suo
posto e lui non se lo fa ripetere.
«Per
farlo finire nel lago,» risponde e io sogghigno.
«Era
sconvolto,» ricorda Sirius con una luce sognante negli occhi che mi fa
rimpiangere di non esserci stato: dev’essere effettivamente
un’esperienza
sconcertante essere all’interno della propria Sala Comune, al caldo e
all’asciutto, e ritrovarsi all’improvviso nelle profondità scure e
gelide del
Lago Nero, ma poi già essere Piton e basta dev’essere un’esperienza
sconcertante. «Continuava a spingere contro il vetro per rientrare
invece di
nuotare verso l’alto come chiunque dotato di un cervello avrebbe
fatto,»
continua. «Guardava dentro la Sala e così mi sono tolto il mantello
perché la
tentazione era troppo forte: ha rischiato di affogare quando mi ha
visto,»
Riesco perfettamente a immaginare lo shok e la collera sui lineamenti
odiosi di
Piton e perché non c’ero, dannazione.
«Poi si è lanciato un Testa Bolla, ma a quel punto è arrivata la
piovra.»
Questa
parte l’ha già raccontata e subito mi unisco al suo sorriso beato,
perché quello
che è successo è il chiaro segno che Godric o chi per lui dall’al di là
ci
sorride: a quanto pare Silente in persona è ancora fuori nel parco che
cerca di
convincere la piovra gigante a lasciare Piton con le buone, per non
rischiare
di nuocerle con un incantesimo, mentre lei continua a trascinarlo qua e
là
lungo la superficie del lago, a suo modo delicata ma ostinata nel non
mollarlo.
È abbastanza atipico perché tendenzialmente non si interessa agli
studenti, limitandosi
a solleticarli di sfuggita coi tentacoli, ma c’è anche da dire che
solitamente
gli studenti non si spingono troppo al di là della riva e trovarne uno
disgustoso come Piton a tali profondità dev’essere un’invasione di
territorio
bella e buona. Adoro il fatto che, non essendo Piton in pericolo di
vita,
Silente abbia deciso di preservare l’incolumità della piovra piuttosto
che la
sua già dubbia dignità: tutti gli studenti sono stati costretti a
rientrare nel
castello e Gazza è stato messo a guardia del portone d’ingresso, ma non
così in
fretta da impedire ad abbastanza studenti di ogni Casa di assistere
alla scena
e di diffonderla per il castello: nessuno può vederla coi propri occhi
ora, ma
in ogni Sala Comune sanno tutti cosa sta succedendo e a chi, e
soprattutto lo
sapranno domattina quando Piton entrerà in Sala Grande per la
colazione. Se non
fosse che il ricordo della McGranitt che mi chiede perentoria la spilla
da
Capitano è ancora troppo fresco e terrificante nella mia mente, mi
infilerei
sotto il mantello e sgattaiolerei nel parco per assistere coi miei
occhi al
trionfo: i Serpeverde hanno sempre avuto questa ridicola convinzione
che il
lago e le creature al suo interno fossero in qualche modo legate alla
loro
Casa, solo perché la loro Sala non ha nemmeno un soffitto che si
rispetti e si
affaccia su una porzione minuscola di lago, ma da oggi sarà chiaro a
tutti che
la piovra gigante è Grifondoro nell’anima.
«Quindi
ti sei tolto il mantello davanti a tutti subito dopo averlo fatto,»
rimugina
Remus, la sottile ruga in mezzo alla
fronte
che non ha l’aria di voler gioire dell’umiliazione di Piton. «Sirius, dovevi saperlo che saresti finito in
punizione. »
«E
quindi?»
Sirius
doveva saperlo e naturalmente lo sapeva e guarda Remus impassibile.
«Quindi,»
continua Remus lento, gli occhi attenti a captare ogni reazione di
Sirius. «Se
lo hai fatto comunque ci dovevi tenere veramente tanto
a nuocere a Piton e farglielo sapere.»
«Ok,
e quindi?» C’è una nota irritata nel tono di Sirius ora. Io mi
raddrizzo sulla
mia poltroncina.
«Quindi,»
prosegue Remus sempre più lentamente, evidentemente indeciso se
continuare o
no.
«Moony,
è in punizione e allora? » lo blocco, decidendo al suo posto. «Anch’io
sono in
punizione. Non c’è nulla di male nell’essere in punizione.»
«Lo
so, ma mi chiedevo... »
«Come
festeggiare la momentanea liberazione da Piton, sì, me lo chiedo
anch’io,»
taglio corto, perché Remus è veramente fuori di testa se pensa di
affrontare
l’argomento e per di più la sera prima della luna piena. «Dobbiamo
goderci la
vista della scuola senza il suo naso untuoso il più a lungo possibile,»
stabilisco, prima di alzarmi e portarmi entrambe le mani alla bocca, ad
amplificare la voce. «PETER! Pete, scendi, dobbiamo uscire! »
«Muovetevi
dai,» aggiungo vivace, prima di bloccarmi con lo sguardo su Remus, sul
suo
colorito pallido e la schiena abbandonata senza forze contro il
divanetto, e
darmi silenziosamente dell’idiota. Anche Sirius distoglie il suo
sguardo di
sfida da Remus per darmi un po’ più rumorosamente dell’idiota. «O
magari
possiamo stare qui e giocare a scacchi e pensare a Piton che invece non
può
perché è a mollo tra i tentacoli di una gigantesca creatura marina,» Mi
correggo subito, con lo stesso entusiasmo. «Anche questo è un buon modo
di
festeggiare. PETE, EHY PETE, abbiamo votato! Devi condividere la tua
scatola di
Mielandia col gruppo, vieni giù! »
Dal
corridoio dei dormitori maschili, oltre le scale, proviene un lamento
sconfortato.
«Oh no,
ma perché!
»
«Decisione
unanime, Pete, portala giù!» insisto. «E non nascondere nulla! Lo so
che ci
sono dieci Cioccorane! »
«Nove,»
dice subito Remus, mentre io lo guardo interrogativo. «Sono nove ora.»
«Sette,»
lo corregge Sirius e a quanto pare sono l’unico con una coscienza qua
in mezzo:
io gli ho rubato solo qualche zuccotto, perché nessuno si accorge mai
se
mancano gli zuccotti.
«Sirius.»
Il
cavallo di Peter ha appena schiacciato l’alfiere di Remus sotto gli
zoccoli, ma
lui sembra troppo assorto nei suoi pensieri per farci caso. Sirius alza
un
sopracciglio interrogativo, distraendosi dalla nostra partita e dandomi
così la
possibilità di barare per la seconda volta consecutiva.
«Come
hai fatto esattamente a far passare Piton
attraverso la vetrata?» continua Remus assorto, attirando anche la mia
attenzione ora. Sirius lo guarda, ma la sua mano sinistra va a
rimettere con
decisione al suo posto la torre che gli avevo appena spinto giù di
soppiatto
dalla scacchiera. «Voglio dire, non è solo vetro: è protetto da
innumerevoli
incantesimi atti ad assicurare tanto che il peso dell’acqua non lo
sfondi
quanto che non venga scalfito da qualunque urto o fattura proveniente
dall’esterno come dall’interno. È pensato apposta perché niente e
nessuno possa
intaccarlo, non dev’essere una passeggiata farci passare qualcuno
attraverso.»
È
un’osservazione intelligente quella di Remus e subito sposto anch’io
gli occhi
su Sirius, che non ha l’aria di chi si è reso conto di aver trovato una
falla a
magie lanciate centinaia d’anni prima della nascita di tutti noi.
«Non
lo so» dice lentamente, e sembra realizzare solo ora che non sarebbe
dovuto
essere in grado di farlo. «Ero...credo che sia stata magia involontaria.
«Magia
involontaria?» ripete incredulo Remus, mentre io aggrotto la fronte.
«Non
succede solo a chi non ha ancora una bacchetta?» chiede Peter confuso e
non ha
tutti i torti: le esternazioni spontanee di magia accidentale sono
frequenti
nei bambini, ma da quando il mago impara a canalizzare il suo potere
nella
bacchetta il fenomeno sparisce completamente nel novantanove percento
dei casi.
Dovrei
essere più stupito di così che Sirius abbia deciso di far parte
dell’uno
percento.
«Beh,
avevo la bacchetta in mano, »
specifica. «Ma non ho pensato a nessun incantesimo, è successo e basta:
volevo
fargli qualcosa e all’improvviso era dall’altra parte del vetro.
È
tutto molto bizzarro ed io ho questo vago ricordo di un paragrafo sulla
scuola
di stregoneria brasiliana nel libro di mamma sulle scuole magiche nel
mondo: se
non ricordo male diceva qualcosa proprio su come sia la norma per loro
studiare
ed esercitarsi nell’utilizzo della magia senza bacchetta, ma non avevo
neppure
iniziato Hogwarts quando ho aperto quel libro l’ultima volta e non è
come se mi
fidassi davvero della mia memoria.
«Non
saresti dovuto riuscirci, » insiste Remus che trova sempre fastidioso
non trovare
una spiegazione logica a tutto. «Neppure provandoci volontariamente e
con un
incantesimo ben preciso in mente, non saresti dovuto essere in grado di
far
passare nemmeno un granello di polvere attraverso quel vetro: in Storia
di
Hogwarts c’è scritto che gli incantesimi di protezione lanciati da
Salazar in
persona vengono rinnovati periodicamente dai presidi in carica per
evitare che
l’acqua sfondi il vetro inondando la Sala. Quel vetro è probabilmente
il punto
più protetto e magico di tutta Hogwarts e tu...»
«Aspetta,
» lo interrompo all’improvviso, illuminandomi. «Ho capito dove vuoi
arrivare. Godric, Moony, sei un genio! »
«Cosa?
» Peter mi guarda perplesso. «Dove vuole arrivare?»
«Da
nessuna parte, Pete, io... »
«Gli
incantesimi di protezione, ma certo! » annuisce convinto Sirius,
illuminandosi
a sua volta e lanciandomi un’occhiata ispirata. «Che impediscono
all’acqua di sfondare il vetro e inondare la Sala.
«È geniale,» ripeto ammirato.
«È geniale,» ripeto ammirato.
«No
ragazzi, che cosa... »
«Abbiamo
la mossa di fine anno, » decreta Sirius.
«È
ufficiale, » confermo.
«Rompere
il vetro e allagare la Sala Comune di Serpeverde,» annuncia Sirius
solenne e
Peter emette uno squittio deliziato. Quello di Remus sembra un gemito.
«Dopo la
partita, » specifico,
portandomi protettivo una mano alla spilla. «Quando la coppa sarà già
mia. »
«Subito
dopo la
partita, per annegarli nelle lacrime della sconfitta, » concorda
Sirius. «Ma
non ci faremo scoprire in ogni caso questa volta. »
«No
certo, abbiamo mesi per organizzarlo: sarà tutto perfetto. »
«Moony,
è l’idea migliore che tu abbia mai avuto. »
«Ma
non l’ho avuta affatto, io... »
«Eccome
se lo è. Rompere il vetro e inondare la Sala: non so come non ci sia
venuto in
mente prima, era così ovvio. »
«Innanzitutto,
» Remus prende un profondo respiro, chiudendo gli occhi, e quando li
riapre di
quell’aria da che idea tremenda e amorale
e contro la mia etica non c’è più traccia. «Far evanescere
il vetro, non rompere: vogliamo solo bagnare, non
trafiggere con enormi schegge mortali,» Ci osserva uno ad uno per
assicurarsi
che nessuno abbia obiezioni su questo punto, poi prosegue soddisfatto.
«E come
vi dicevo, non è il vetro in sé il problema, quello è solo vetro: sono
gli
incantesimi che gli fanno da scudo ad essere teoricamente
impenetrabili, quindi
se davvero vogliamo impegnare le
nostre forze in questa impresa invece che, ad esempio, nello studio,
come io
consiglierei, sappiate che ci sarà da passare del tempo in biblioteca
in ogni
caso, perché dobbiamo scoprire ogni
quanto vengono rinnovati gli incantesimi e di conseguenza il momento in
cui
sono meno resistenti. »
«Qualcosa
mi dice che verranno rinnovati oggi,» ipotizzo.
«Sì,
sicuramente dopo la trovata di Sirius, Silente non aspetterà nemmeno un
giorno
per rinforzarli, » annuisce Remus. «Sarà perplesso anche lui da come ci
sia
riuscito. Resta da scoprire ogni quanto li rinnova normalmente, così
sapremo
quando lo farà la prossima volta: dobbiamo colpire esattamente il
giorno prima,
quando saranno più vulnerabili.
«Per
essere quello che non ha avuto
l’idea, Moony, l’hai già pianificata abbastanza nel dettaglio,» ghigno
divertito.
C’è
del rosso ora sulle orecchie di Remus.
«Beh,
se proprio dobbiamo farlo, dobbiamo farlo bene, » si schiarisce la gola
colpevole. «In modo che nessuno anneghi sul serio o cose del genere.
«No,
certo, sarebbe tragico.»
«Il
mondo ha bisogno dei Serpeverde.»
«Piantatela.»
«È
ora di cena,» annuncia Peter, che è in silenzio da un po’. C’è un
implicito ‘discussione finita, ora mangiamo’ nella
sua frase.
«Devo
levarmi l’odore dei sotterranei di dosso,» Sirius si alza e io spingo
con forza
il suo re giù dalla scacchiera, perché nessuno interrompe a metà una
partita
con me senza essere colpito dalla sconfitta. «Faccio una doccia veloce
e
arrivo. »
Peter
si alza di scatto e lo segue, ufficialmente per riportare la sua ormai
alleggerita scatola di Mielandia in camera, ufficiosamente per
cronometrare la
doccia di Sirius e fargli pressione nel caso il suo stomaco la
giudicasse
troppo lunga.
Remus
aspetta in silenzio ed immobile che spariscano oltre le scale che
portano ai
dormitori, accompagnandoli con lo sguardo, e non appena restiamo soli
inizia a
lanciarmi occhiate assorte. Io mi sono spostato sulla poltroncina di
Peter
davanti a lui per continuare la partita e vincere anche qua, giusto per
mettere
in chiaro la mia superiorità su ogni scacchiera presente nella stanza,
ma
qualcosa negli occhi di Remus mi suggerisce che non riuscirò a finire
nemmeno
questa partita.
*
Tendenzialmente
dove c’è James c’è Sirius e non posso davvero sapere quando sarà la
prossima
volta in cui avrò a disposizione James da solo, così agisco e basta.
«James,»
lo chiamo, facendogli alzare gli occhi dalla scacchiera su cui Peter mi
stava
stracciando e a cui lui si è prontamente appostato: ho sempre trovato
singolare
come i miei amici siano premurosi al massimo nei giorni precedenti il
plenilunio, pronti a servirmi e riverirmi, ma allo stesso tempo non si
facciano
scrupoli a sfidarmi di continuo a scacchi proprio in quei giorni perché
sanno
che è l’unica occasione che avranno mai di vincere contro di me.
«Sì?
»
«Non…non
ti sembra che Sirius ultimamente sia,» Mi blocco pensoso. «Sia un
po’... »
«Un
po’ come?»
«Come
se ci fosse qualcosa che lo cruccia. »
«C’è
sempre qualcosa che cruccia Sirius,» James alza le spalle.
«Lo
so, intendo...più del solito? »
insisto, chiedendomi se io sia davvero l’unico ad averci fatto caso.
«Come se
ci fosse qualcosa in particolare che lo sta mandando fuori di testa?»
«Beh,
sì, c’è, certo.»
James
mi guarda impassibile ed io ricambio spiazzato.
«Sì?
»
«Sì.
»
«Quindi
lo hai notato anche tu? » domando contento di non essere pazzo.
«Certo
che l’ho notato, Moony, » annuisce. «È da mesi che è così. »
«Oh,»
Dico colto alla sprovvista. «Mesi? Non me ne ero accorto,» E subito
devo
reprimere il senso di colpa. «Ma ne avete parlato? »
«No,
non sono stupido,» James mi lancia
un’occhiata eloquente ed io assento comprensivo.
«No,
certo. Ma sai qual è il suo problema.
»
«Sì.»
«Davvero?»
«Sì,
è abbastanza palese,» James mi lancia un’occhiata stupita. «Tu non lo
hai
capito?»
«No.»
«Davvero?»
«Davvero.»
«Oh,
» dice, improvvisamente a disagio. «Beh, te lo direi, Remus, ma a un
certo
punto cercheresti di fare qualcosa o di dargli dei consigli e finireste
per
litigare, sai.»
«È
uno scenario plausibile,» sono costretto ad ammettere. «Quindi, non c’è
niente
che...»
«Remus,»
James mi guarda dritto negli occhi e subito so che è inutile insistere.
«Lascia
perdere, è meglio,» decreta infatti, prima di tornare a guardare la
scacchiera.
«Concentrati sulla partita piuttosto, stai perdendo in maniera
disastrosa. Se
non fosse che sono io ad essere imbattibile, sarebbe veramente
imbarazzante per
te, Moony. »
Il
mio cervello è ancora troppo impegnato a rimuginare su cosa possa
essere così
palese per James che ai miei occhi non lo è affatto e così non gli
faccio
notare che è tutta opera di Peter quella e che lui non ha ancora
nemmeno mosso.
«Che
fai, ti arrendi?»
«Lily,
scusa, ti posso parlare un attimo?»
Non
sono riuscito a mangiare molto per cena e sarei potuto tornare alla
Torre già
da un pezzo, ma mi sono attardato con gli altri apposta per aspettarla:
non
appena si alza dalla panca scatto in piedi anch’io, solo per poi
portarmi una
mano alla testa e attendere pazientemente che smetta di girare, poi la
raggiungo nei pressi dell’uscita.
«Sì,
certo, » Fa cenno ad Alice di proseguire, poi torna a osservarmi.
«Dimmi tutto.»
«Per
la ronda di domani sera, io... »
«Oh,
giusto, mi ero dimenticata di avvisarti: è tutto apposto, abbiamo
litigato furiosamente
ed ora non ci possiamo vedere,» mi informa tranquilla, mentre io
corrugo la
fronte perplesso.
«Con
chi hai litigato?»
«Con
te.»
«Con
me?»
«Sì,
furiosamente,» ripete. «Ed ora non
sopporto la tua vista, quindi ho chiesto a Davies di sostituirti domani
sera,
perché se facessi la ronda con te finirei per prenderti a pugni,»
Automaticamente arretro di un passo, perché se Lily volesse prendermi a
pugni
adesso l’unica cosa che potrei fare a riguardo sarebbe soccombere.
«Crede che
io sia molto infantile e violenta, ma alla fine ha accettato. »
«Aspetta,»
E all’improvviso l’illuminazione. «Tu intendi per finta.
Abbiamo litigato per finta? »
«Certo
che abbiamo litigato per finta, Remus. Chi mai litigherebbe con te per
davvero?»
«Io
litigo con le persone,» puntualizzo subito, cercando di pensare a
quando è
stata l’ultima volta. «Anche violentemente,» aggiungo. Continua a
tornarmi alla
mente questo ricordo di un me stesso di qualche anno più giovane che
sgualcisce
stizzito le coperte del baldacchino di Sirius, come punizione per aver
finito
la mia ultima boccetta d’inchiostro: non c’è niente di peggio di
dormire in un
letto sfatto. «Aspetta, come sapevi che sarebbe stato opportuno
litigare per
finta proprio prima della ronda di domani?»
«Beh,
non so se questo ora può darti fastidio e portarci a litigare
violentemente
come tu sai sicuramente fare, ma visto che ne abbiamo parlato
esplicitamente, e
che ora tu sai che io so, ho pensato che tanto valeva sapere fino in
fondo e
controllare... » Si lancia un’occhiata attorno, abbassando la voce. «Il
calendario lunare, per essere utile in qualche modo.»
Lo
dice come se fosse una cosa ovvia da fare ed io non riesco ad
articolare una
risposta.
«Sai,
uno degli indizi più evidenti per me da quando siamo diventati Prefetti
è
sempre stato il fatto che proprio ogni singolo mese te ne spuntavi con
una
scusa per saltare la ronda, così ho pensato che sarebbe meno sospetto
se d’ora
in poi fossi io a chiedere cambi. E senza offesa, Remus, ma tu non sei
particolarmente creativo con le scuse, mentre io sono sempre stata
portata a
inventarne di credibili, quindi... »
Lily
si stringe nelle spalle ed io mi trovo a balbettare spiazzato.
«Oh.
Beh. Questo è... »
«Questo
è nulla,» Lily agita distrattamente una mano a zittirmi. «Per quello
che ne sai
potrei anche farlo solo perché ho una cotta segreta per Davies e voglio
passare
più tempo possibile con lui ad ascoltare all’infinito la storia della
fantomatica
tresca tra la sua trisavola e Merlino. »
«È
una storia affascinante,» annuisco.
«Vero?
Inizi ad apprezzarla davvero solo alla quinta o sesta volta, perché
prima non
noti tutte le sfumature.»
«Grazie,
Lily.»
«Non
è nulla.»
«No,
è...è tanto invece,» insisto. «Vuol dire tanto.»
«Prego
allora.»
Mi
sorride ed anch’io le sorrido e ci guardiamo sorridendo fino a quando
invece
lei non sbotta:
«Sei
così stupido che mi stupisce che tu riesca anche solo a metterti la
divisa
dalla parte giusta.»
Vorrei solo che non fossero tutti fuori di
testa qui ad Hogwarts.
«Cosa?»
«Davies.
È appena passato,» bisbiglia, facendo un cenno del capo verso il
Corvonero a
pochi passi da noi. «Dimmi qualcosa di offensivo ad alta voce, presto.»
«Oh.
Emm,»Non sono bravo nell’essere offensivo a comando, quando passo in
realtà la
maggior parte del tempo proprio a tradurre con parole meno offensive le
cose
che i miei amici dicono. «La tua faccia sembra il luogo del frontale ad
altissima velocità tra due Tornado, prima
che vengano raccolti tutti i pezzi.»
Un
mormorio perplesso e curioso si spande lentamente attorno a noi, ma
Lily sembra
soddisfatta e si allontana facendomi un occhiolino complice.
«Abbasso
Remus Lupin!» esclama ad alta voce subito prima di uscire dalla Sala.
«Remus,
credi davvero che la faccia di Evans sembri il luogo del frontale tra
due
Tornado?»
«No,
James.»
«Oh,
ok. Anche perché bisogna essere stupidi per fare un frontale con una
Tornado, sai,
sono estremamente ricettive ai comandi.»
**********
Martedì 3 Febbraio 1976, Biblioteca.
Madama
Pince non è felice che io sia di nuovo qui, alle sue dipendenze per la
seconda
volta in pochi mesi. Continua a lanciarmi quelle occhiate scontente e a
darmi
indicazioni con tono di sufficienza, come se la mia presenza qui non le
recasse
altro che fastidio e mi facesse un favore a permettermi di catalogare e
riordinare i libri al posto suo. Lo trovo estremamente ipocrita da
parte sua,
che non ci credo nemmeno per sogno che non è contenta di avere qualcuno
a cui
sbolognare il lavoro sporco –e impolverato, e parzialmente ammuffito, e si può sapere dove erano conservati questi
libri prima della donazione? Accatastati in una soffitta impolverata?
Ho
dato retta ad Alice e a quegli squinternati dei Malandrini, d’accordo,
merito
questa punizione, ma resto dell’idea che Madama Pince dovrebbe essere
grata di
avere una studentessa sciagurata qui alle prese con questa macchia
disgustosa,
appiccicosa e puzzolente sulla copertina di un enorme volume ingiallito
dal
tempo, mentre lei è libera di girovagare tra i tavoli ad effettuare il
solito
terrorismo psicologico tra gli studenti.
Comprendo
e sostengo pienamente invece la scintilla di ostilità che le accende lo
sguardo
quando Black fa il suo ingresso annoiato, andando dritto verso di lei:
se fossi
la persona responsabile della biblioteca e di ogni volume al suo
interno,
anch’io inorridirei a vederci apparire un soggetto dalle potenzialità
distruttive di Sirius Black. So perché è qui naturalmente: non sono
chiare le
dinamiche, ma tutte le voci più autoritarie nel panorama del gossip di
Hogwarts, tra cui Alice, confermano che il motivo per cui Severus ieri
pomeriggio sia stato in balia della piovra gigante per quasi un’ora
c’entri in
qualche modo con Black, che è difatti stato avvistato uscire
dall’ufficio della
McGranitt proprio in quelle ore. Le voci insistono in realtà anche sul
coinvolgimento
di Potter, che sarebbe stato visto risalire dai sotterranei subito dopo
l’accaduto, e non esiterei a crederci, perché quando mai Potter non è
coinvolto
in qualcosa di contrario alle regole, se non fosse che Potter era in
effetti
nei sotterranei insieme a me.
Probabilmente,
essendo il destino così ingiusto e incline ai favoritismi, Black è
stato punito
con la stessa non punizione di
Potter, che ho visto diversi minuti fa ad un tavolo isolato della
biblioteca
insieme ai ragazzini delle ripetizioni, mentre andavo a mettere a posto
alcuni
libri. Gli sono passata alle spalle mentre lui mostrava ai primini come
trasfigurare uno spillo in qualcosa di suppongo diverso da uno spillo,
e sono
stata molto silenziosa nel portare a termine il mio compito, ma il suo ehy, Evans è lo stesso arrivato puntuale
e immancabile. Il mio zero contatti,
Potter, seguito da una ritirata tattica, è arrivato ancora più
puntuale,
così come le risatine dei primini, che ora non vedranno mai e poi mai
in lui
una figura rispettabile da cui attingere sapere e conoscenza, ma
d’altro canto
non so come avrebbero potuto in ogni caso trovare tale figura in una
persona
con dei capelli del genere.
Il
punto è, il tavolo di Potter è in tutt’altra zona della biblioteca
rispetto
all’ampio tavolo circondato di carrelli carichi di libri e muffe
tossiche in
cui sto sprecando i miei anni migliori, quindi non capisco perché
Black, dopo
un breve scambio con Madama Pince, si stia ora dirigendo proprio qui,
verso di
me, invece che raggiungere il suo amico e scontare la sua punizione
lontano dal
mio campo visivo. Si lascia cadere svogliato sulla sedia davanti alla
mia, col
carrello dei libri alla sua destra, e nessuna apparente intenzione di
dichiarare le sue intenzioni. Non ricordo di avere invitato Black al
mio tavolo
e non ricordo nemmeno un qualche motivo per cui Black dovrebbe voler essere invitato al mio tavolo, e
così gli pianto addosso uno sguardo perforante, ignorando le montagne
di libri che
attendono di essere smistate. Nemmeno Black, che è sempre molto avanti
nell’arte dell’ignorare le altre persone, può fare finta di nulla di
fronte
all’insistenza dei miei occhi e così dopo qualche secondo alza i suoi e
inarca
un sopracciglio.
«Che
c’è?»
«Ti
sei seduto al mio tavolo, » lo informo pacata.
Il
suo sopracciglio si inarca ulteriormente.
«Davvero?»
«Perché ti sei seduto al mio tavolo?»
insisto ignorando il suo sarcasmo. Non so come siano abituati gli
altri, ma non
è così che funziona nel mio mondo: ci sono linee da rispettare,
rapporti e
antipatie che vanno mantenuti costanti nel tempo e persone che non si
vanno
semplicemente a sedere con altre persone senza un motivo preciso.
«Ero
in Sala Comune ad annoiarmi e non riuscivo a smettere di pensare a
quanto più
divertente sarebbe stato venire qui ad aiutarti a riordinare un
miliardo di
libri che nessuno leggerà mai» Black mi lancia un’occhiata ironica che
contiene
degli impliciti e offensivi riferimenti alla mia perspicacia ed io mi
raddrizzo
sulla sedia infastidita. «Seriamente, Evans, cosa credi che ci faccia
qui? Sono
in punizione.»
«Sei
in punizione» ripeto atona, cercando di venire a patti con la cosa. «Qui, con
me.
«Quello,
o soffri di allucinazioni, una delle due.»
«Informazione
estemporanea, Black: c’è un limite di
sarcasmo che puoi usare in una sola conversazione prima che ti arrivi
un bombarda
sui denti, lo sai, sì?»
Non
è come se Black non fosse sempre una persona eccessivamente sarcastica,
ma oggi
sembra esserlo più del solito, un sarcasmo più scontroso e scocciato
del
normale, e il fatto è, non m’importa se
è caduto dal letto questa mattina, non può semplicemente piombare qui e
sfogare
i suoi malumori su di me solo perché gli gira.
«Informazione
estemporanea, Evans: hai la manica sinistra completamente immersa nella
boccetta d’inchiostro. Lo sai, sì?»
Oppure,
beh, oppure può.
Giovedì 4 Febbraio 1976, Aula di Pozioni.
«Bene,
per oggi è
tutto» Lumacorno, che si è appena portato via altre due ore della mia
vita, si
alza e ci rivolge un sorriso stretto tra le guance paonazze, come se
poi ci
fosse qualcosa di cui essere felici ad insegnare Pozioni. «Consegnatemi
i temi
sulle lacrime di fenice e poi potete andare.»
C’è
in realtà qualcosa di cui essere felici, ricordo all’improvviso,
estraendo
soddisfatto il tema dalla borsa e posizionandolo sul banco, pronto per
essere
appellato. È una sensazione strana, avere il tema richiesto quando
richiesto e persino della
lunghezza richiesta, senza aver usato alcuno stratagemma come la
calligrafia
enorme o un uso spropositato degli avverbi per arrivarci. È qualcosa
che
raramente mi è capitato nella mia carriera scolastica e subito avverto
un’ondata di diligenza pervadermi da capo a piedi e sono sicuro che
persino
Lumacorno possa vederla dalla sua cattedra dall’altra parte della
stanza, anche
se non mi sta affatto guardando. Naturalmente le cose non possono mai
essere
così perfette dentro l’aula di Pozioni, che è di suo un luogo infausto
e di
sventura, e così noto subito con la coda dell’occhio Remus irrigidirsi
al mio
fianco e spalancare gli occhi in preda al panico, perché d’altro canto
nella sua carriera scolastica non sono
frequenti momenti come questo. Se ne sta lì, con le mani pallide inerti
ai
bordi del banco e l’aria smarrita, senza neppure fare il gesto di
chinarsi
sulla sua tracolla, perché evidentemente si è appena ricordato
dell’esistenza
del tema di Pozioni assegnato qualche giorno fa. Non credo sia un gran
problema, perché Remus è uscito dall’infermeria solo ieri sera e
onestamente
solo quello psicotico del professor Mason potrebbe aspettarsi che si
metta a
pensare ai compiti il giorno dopo la luna piena quando è già un
miracolo che
riesca ad alzarsi dal letto il tempo di farsi vedere a cena, e
Lumacorno non è
Mason, quindi davvero, nessun problema, glielo farà semplicemente
recuperare
per la prossima lezione fingendo un tono appena un po’ severo davanti
ai nostri
compagni.
Solo
che Remus
assumerà quella sua espressione mortificata, perché lui invece è
persino più
pazzo di Mason e si aspetta eccome da se stesso proprio questo,
ricordarsi
degli stupidi temi di Pozioni nei momenti in cui nessuno se ne
ricorderebbe e
quindi la mia bacchetta scatta automatica verso la pergamena
giallognola di
fronte a me e al posto del mio nome compare il suo, appena un attimo
prima che
Lumacorno appelli i fogli.
Remus
non si accorge
di nulla e devo abbassargli di forza il braccio prima che attiri
l’attenzione
di Lumacorno su di sé per confessare la sua mancanza. Mi lancia
un’occhiata
spiazzata e a questo punto è il mio braccio ad alzarsi.
Lumacorno
non è così
stupito della mia mancanza e si
limita a una breve lavata di capo, assegnandomi due rotoli di pergamena
sugli
usi del Bezoar per la prossima volta.
Dovrebbe
essere
debilitato per la recente luna piena, ma credo che mi comparirà un
livido lì
dove Remus mi ha colpito.
È
nello stesso esatto
punto già dolorante del mio braccio che qualche minuto dopo le dita di
Evans si
stringono con forza intercettandomi nella mia traversata dell’aula,
strattonandomi in un angolo lontano dai miei amici e dal fiume di
studenti in
fuga verso la libertà.
«Potter,
ma che diavolo...?» Mi pianta in viso gli occhi
stupefatti e nel suo tono sussurrante c’è una chiara nota irritata. «Lo
abbiamo
fatto insieme quel compito, lo avevi,
a che servono le ripetizioni se tu non ti impegni nemmeno a portare il
tema a
lezione? »
«L’ho
dimenticato, Evans, ok?» replico sulla
difensiva, perché è mattina, ho ascoltato Lumacorno cianciare per due
ore ed
ora mi sento così poco apprezzato. «Non l’ho fatto apposta.»
«Beh,
potevi dirglielo e fare una corsa a prenderlo»
insiste. «Non te ne frega
proprio nulla?»
«Non
potevo andare a prenderlo.»
«E
perché,
se lo avevi...»
«L’ho
dato a Remus» ammetto, interrompendola.
Lei
si blocca perplessa e mi lancia
un’occhiata confusa.
«Tra
la luna e tutto si è dimenticato di
farlo e così ho messo il suo nome sul mio,» spiego abbassando la voce.
«Non è
come se la mia media potesse peggiorare granché comunque» Alzo le
spalle. «E
lui ha già le altre materie da recuperare.»
Evans
continua a guardarmi spiazzata per
diversi secondi, le labbra socchiuse che si muovono appena senza
emettere un
suono, ed ora sono io quello confuso.
«Oh,»
dice alla fine, sempre con quell’aria
disorientata negli occhi. «Oh,» ripete. «Beh, ok. Questo è...sei
stato…» Si
schiarisce la voce, portandosi nervosamente una ciocca rossa dietro
l’orecchio.
«Comunque, questa sera prima di cena lavoreremo sui due rotoli. »
Non
è una domanda e
prima che io possa dire qualcosa è già sparita in corridoio,
lasciandomi qui
come un idiota a chiedermi cosa diavolo sia appena successo.
«James,
sei sicuro che non vuoi che te li
scriva io i due rotoli?»
«Moony,
quale parte di Evans mi aiuterà non hai recepito?»
«Perché
lo dici come se fosse Evans farà sesso con me? Non
farà sesso
con te, Prongs, lo sai, sì?»
«Non
l’ho detto in nessun modo, Padfoot, sta’
zitto.»
«L’hai detto
in quel modo» concorda Remus, alzandosi dalla panca. «Ma se ne sei
convinto credo
che andrò a riposarmi un po’ in Sala Comune prima di Erbologia, a più
tardi.»
Remus
si allontana dal tavolo di Grifondoro e
si confonde con il vociare di studenti che affollano la Sala Grande ed
io mi
volto verso Sirius.
«L’ho detto
in quel modo» confesso cospiratorio.
«Certo
che l’hai detto in quel modo»
ribadisce Sirius.
«Ora
posso farlo, sai» aggiungo a bassa voce
e causando una notevole inclinazione di Peter verso di me. La sua bocca
è
troppo piena di pollo per permettergli di partecipare alla
conversazione, ma le
orecchie sono libere e nel mezzo di un’intensa attività di spionaggio.
«Dirlo
in quel modo e tutto.»
Sirius
inarca un sopracciglio.
«E
come mai?»
«Perché
ho un nuovo piano» spiego con un
sorrisetto gongolante. «Uno di quelli brillanti, persino più
dell’ultimo.»
«Beh,
allora dev’essere geniale.»
Chiederei
a Sirius se ha mai pronunciato in
vita sua un’intera frase senza essere sarcastico, ma poi non è come se
avesse
senso farlo: sarebbe come chiedere a una persona bionda se ha mai fatto
qualcosa senza essere bionda, con la differenza che Sirius non può
davvero
tingere la sua anima.
«Sembrava
brillante al momento» scrollo le
spalle. «Ma questo lo è davvero, state a sentire: farò ad Evans
esattamente
quello che lei ha fatto a me.»
«Chiederai
a Lizzie di baciarla con le tue
sembianze?»
Il
pollo non è più nella bocca di Peter ora
ed io mi chiedo perché.
«No,
Pete. Quello non rientra in nessuna definizione
di brillante.»
«Prongs,
sto per finire il dolce» mi avvisa
Sirius, che ha sempre un margine d’attenzione misurato da dedicare alle
persone
che parlano, anche quando le persone sono il suo migliore amico in
tutto
l’universo tutto.
«Okay,
allora: lei mi ha, in un momento
imprecisato di questi anni, fatto inavvertitamente prendere una cotta
significativa per lei, giusto?»
«Significativa»
annuisce Peter.
«Non
particolarmente
significativa» aggiungo subito sollecito. «Ma sufficientemente
significativa, ecco.»
«Sufficientemente»
concorda Peter.
«Quindi
ora io faccio lo stesso a lei» li
informo trionfante.
«Nel
senso che vuoi...»
«La
farò innamorare di me» annuncio in un
sussurro. «Del tipo, perdutamente.»
Peter
mi scruta accigliato.
«A
mo’ di vendetta?»
«A
mo’ di legittima difesa.»
Sirius
ha l’aria pensosa e si accorge del mio
sguardo fisso su di lui solo dopo qualche secondo.
«Sì»
sentenzia infine. «È un piano astuto.»
Alza
in alto la mano aperta ed io ci sbatto
contro la mia con entusiasmo, prima di cogliere qualche sguardo
sospettoso su
di noi, perché a quanto pare dopo il terzo anno non posso più dare il
cinque al
mio migliore amico senza che qualcuno tema un’improvvisa invasione di
Snasi nel
castello.
«Sì,
ma come?»
Peter
ha l’aria perplessa.
«Come
cosa?»
«Come
fai a farla innamorare di te?»
Peter
continua a guardarmi concentrato ed io
boccheggio, scambiandomi un’occhiata smarrita con Sirius. Che razza di
domanda
è come? Ho trovato il piano perfetto
e Peter chiede come?
«Come
sarebbe a dire come?» sbuffo incredulo. Dove sono
l’appoggio e la fiducia? Dov’è
l’assenza di domande stupide? «In qualche
modo, Pete!» spiego con tono ovvio.
«Sì,
ma quale
modo?» insiste.
«Beh,
nel modo migliore, chiaramente» dico
lentamente, riflettendoci. «Quello che funzionerà.»
«E
quale sarebbe?»
Peter
aggrotta le sopracciglia e anche io.
Sirius
si serve un’altra fetta di dolce.
«Il
modo che funzionerà è...quello che la
farà innamorare di me.»
Peter
mi fissa.
Io
lo fisso.
Lui
sbatte le palpebre.
«Oh,
ok» dice. «È un buon piano allora, sì.»
«Grazie,
Pete» alzo la mano davanti alla sua
faccia e subito anche lui mi dà il cinque, lasciandomi un’impronta di
unto di
pollo sul palmo. Ew.
«Non
farete comunque sesso questa sera» ribadisce
Sirius.
Siamo
appena usciti dalla fiumana di corpi in
Sala Grande quando un ragazzino che mi arriva appena al petto si
avvicina
circospetto a Sirius.
«Ciao,
sono Ernie MacMillan, quarto anno» si
presenta imbarazzato.
Sirius
gli rivolge un sorrisetto sornione.
«E
io che ci posso fare, Ernie?»
«Ecco,
io» Lancia un’occhiata incerta a me e
Peter, prima di abbassare la voce. «La prossima settimana ho il compito
in
classe di Pozioni e in giro si dice che tu, che voi, insomma» Si
schiarisce la
voce. «Che potete... aiutare.»
Sia
io che Peter ci lanciamo un’occhiata
attorno, controllando il perimetro della Sala d’Ingresso: nessun
professore in
vista.
«Pozioni
sta a sette galeoni» sta intanto
dicendo Sirius.
Ernie
lo scruta dubbioso.
«Mi
avevano riferito cinque.»
«Cinque
sono gli uffici in superficie» Spiega
professionale. «Per quello di Lumacorno dobbiamo scendere nei
sotterranei e si aggiunge
il rischio Serpeverde.»
«Oh,
ok allora» E si guarda attorno a
disagio. «Il compito è martedì pomeriggio.
«Aula
abbandonata al terzo piano lunedì all’ora
di cena, pagamento anticipato e in contanti, non accettiamo Cioccorane
o
Caccabombe» recita Sirius annoiato. «Fai circolare le risposte tra i
tuoi
compagni e avverranno trasfigurazioni spiacevoli nelle tue mutande.»
«Non
lo farò» Ernie scuote forte la testa, un
barlume di preoccupazione negli occhi.
«Lumacorno
non si accorge mai di nulla, ma se
venissi beccato...»
«Bocca
cucita.»
«Esattamente.»
Ernie
si sbilancia appena sotto l’energica
pacca sulle spalle assestatagli da Sirius e viene così congedato. Peter
nel
frattempo ha già estratto il quadernetto e lo sfoglia attento alla
ricerca
della pagina giusta.
«Compito
di Pozioni del quarto anno entro lunedì
sera per Ernie MacMillan» ripete concentrato tra sé, spingendomelo
contro la
schiena per tenerlo fermo mentre scrive.
Poi
sfoglia di nuovo il quadernetto.
«Qualcuno
deve prendere il compito di
Incantesimi del settimo anno questa sera, Marlene McKinnon lo vuole per
domani»
annuncia, scorrendo poi fino all’ultima pagina. «Sta a James.»
«Ok»
sospiro programmando mentalmente la
spedizione: Vitious pone sempre mille subdoli incantesimi a difesa
della sua
scrivania ed ha il sonno leggerissimo, cosa che dimezza l’utilità del
mantello;
l’unica è farlo quando sarà a cena. Il che vuol dire che io
non sarò a cena.
«Quanto
ci manca?» Sirius si china sul
quadernetto, sbirciando oltre la spalla di Peter.
«Con
Pozioni sono altri sette» risponde
Peter. «La cassa comune è quasi piena di nuovo: altri due lavoretti e
possiamo
fare rifornimento da Zonko.»
«Bene,
perché sono finite anche le ultime
Caccabombe.»
«Tra
due settimane quelli del quinto hanno
Storia della Magia» ricordo soddisfatto.
«Diventeremo ricchi.»
«Bene»
Peter fa sparire il quadernetto nella
borsa e si guarda attorno con gli occhi persi e l’espressione assorta
di quando
pensa intensamente. «Allora io vado.»
«Allora
io vado? E ci hai dovuto pensare?» ridacchio divertito. «Puoi fare
di
meglio, Pete, avanti.»
«Sì,
Pete, dov’è che vai?»
Peter
ricambia lo sguardo mio e di Sirius per
diversi secondi, dubbioso.
«Nelle
cucine» decide infine, il petto in
fuori a dar valore alle sue parole.
«Sei
sicuro che sia una risposta astuta,
Pete? Fossi in te la cambierei, perché ora Sirius potrebbe dire ‘ottima
idea,
vengo anch’io’ e ti troveresti con le spalle al muro. È qualcosa che
diresti,
sì, Sirius?»
«Lo
direi, sì» Sirius annuisce. «In effetti,
credo che andrò nelle cucine.»
«Abbiamo
appena finito di pranzare»
sottolineo perplesso. «Del tipo, in questo esatto momento.»
«Mi
serve un muffin» dichiara. «Non c’erano
muffin a pranzo, dico bene?»
«No,
non c’erano.»
«Ecco.»
«
Ti accompagno allora» stabilisco, perché
Sirius che si aggira da solo in prossimità dei sotterranei ora come ora
non mi
suona come la migliore delle idee. I miei occhi devono avere un’aria
meno
casuale della mia voce, perché Sirius mi lancia un’occhiata
indagatoria. «Pete,
noi andiamo nelle cucine. Tu dove vai?»
Peter
nel frattempo ha avuto tutto il tempo
di pensare indisturbato e risponde subito e con una certa sicurezza.
«In
infermeria: ho mangiato troppo e ora ho
mal di stomaco.»
«Ora,
questa
è una risposta astuta» mi complimento. «Nessuno vuole andare in
infermeria.»
Peter
annuisce soddisfatto.
«Ci
vediamo a cena allora, quando starò
meglio.»
«Va
bene» annuisco. «Pete, ce la devi
presentare, hai capito?» aggiungo ad alta voce mentre lui raggiunge il
portone
d’ingresso aperto sulla luce dorata del parco. «Ti diamo un’altra
settimana al
massimo e poi ci presenteremo da soli! Sappiamo
chi è!»
Peter
sparisce all’esterno ed io mi volto
verso Sirius.
«Sappiamo
chi è, sì?»
«Ci
sto lavorando.»
**********
«Che
fai?»
Potter,
che se n’è stato fino ad ora
relativamente tranquillo a riempire il primo rotolo di pergamena
seguendo la
scaletta che gli ho stilato, alza la testa all’improvviso, stranito,
come se si
fosse appena reso conto di non essere il solo con una piuma in mano.
«Scrivo»
replico laconica, lanciandogli
un’occhiata distratta e riprendendo a far scorrere veloce la mano sulla
pergamena. Il libro di Pozioni è aperto sul tavolo proprio in mezzo a
noi, ma
nel mio caso è perfettamente inutile: so tutto del Bezoar, che è sempre
stato
il mio antidoto preferito. È la risposta praticamente a tutto. Anche
quando
Lumacorno parla di veleni di cui non hai mai sentito parlare o che
forse
dovresti conoscere e invece non li ricordi, non importa quanto potenti
e
bizzarri siano, la risposta è sempre e comunque Bezoar. Magari ci sono
anche altre risposte possibili, certo, altri
antidoti più specifici e complicati, ma con il Bezoar non si sbaglia
mai.
«E
cosa scrivi?»
La
voce perplessa di Potter mi fa perdere il
filo per la seconda volta ed io sollevo gli occhi a incrociare i suoi.
«Una
lista di tutte le domande stupide che mi
fai» lo informo, causandogli una smorfia contrariata. «Devi scrivere
due rotoli
di pergamena, Potter. Uno,» Indico la sua pergamena piena per metà. «E
due» Ed
indico la mia che è già quasi completa.
Potter
osserva la mia pergamena e poi il mio
viso ed infine si illumina di comprensione.
«Oh,
lo stai facendo tu.»
«Metà
tu e metà io, sì» annuisco.
«Quindi
stiamo ingannando Lumacorno.
Ed
è così
divertito e soddisfatto mentre lo dice.
«Quello
che stiamo facendo, Potter, è
assicurarci di non arrivare tardi a cena. C’è lo spezzatino stasera.»
«Stiamo
ingannando Lumacorno!» Potter esulta trionfante e una Serpeverde
dal tavolo
accanto gli lancia un’occhiataccia. «E per lo spezzatino. Oh, Evans,
sei
davvero meno Prefetto di quanto pensassi.»
«Questo
è ridicolo, non ci sono gradi
nell’essere un Prefetto, e se ci fossero li avrei tutti» ribatto
subito,
facendogli anche segno di abbassare la voce, a riprova delle mie parole
e del
mio grande amore e talento per l’essere un Prefetto. «E non stiamo
ingannando
nessuno, perché tecnicamente tu il tema lo avevi scritto, quindi tutto
questo è
inutile.»
«Lumacorno
è inutile, sono così d’accordo con te, Evans.»
«Non
è in alcun modo quello che ho detto»
specifico incolore. «Ora scrivi, veloce.»
La
cena sarà servita tra pochi minuti ed io
sono bloccata qui, a fissare corrucciata la pergamena di Potter ed in
particolare gli ultimi due centimetri. Vuoti. Dannazione.
«Ho
usato un sacco di avverbi, Evans, te lo
giuro.»
Basterebbe
una frase, solo un’altra frase, ma
tutte le frasi pensabili sul Bezoar sono già state usate e quei due
centimetri
vuoti di pergamena continuano a ricambiare derisori il mio sguardo
frustrato.
«Perché
scrivi così piccolo, Potter?» sbuffo.
«Non
è piccolo, guarda, è larghissimo.»
Ogni
lettera è effettivamente larga in modo
ridicolo, ma non abbastanza.
«Non
abbastanza» puntualizzo infatti. «Hai
usato avverbi sufficientemente lunghi?»
È
una situazione critica, ma non posso fare a
meno di sorridere compiaciuta con me stessa, perché sufficientemente
d’altro canto è così lungo come avverbio.
«Per
chi mi hai preso, Evans? Sono il re degli avverbi
eccessivamente
lungi» si vanta Potter, immediatamente smentito da quei due centimetri
che
continuano a rimanere vuoti. «Ascolta, ho un’idea: tagliamo la
pergamena. Sono
solo due centimetri, Lumacorno non se ne accorgerà mai.»
«È
l’idea più stupida che chiunque al mondo
abbia mai avuto» annuncio.
Potter
mi guarda ed io guardo lui, e poi
guardo invece l’orologio della biblioteca che batte le otto. «Diffindo»
aggiungo
agitando la bacchetta contro la pergamena e subito quei due centimetri
vengono
separati con un taglio netto dal resto della pergamena. Non più così
spacconi
ora, mh?
«Ecco
fatto» commento soddisfatta porgendo la
pergamena a Potter, che sta invece usando le sue abilità da fuorilegge
per
rendere con un colpo di bacchetta la mia calligrafia identica alla sua.
Getto
le mie cose alla rinfusa nella borsa il più velocemente possibile e
quando
sfreccio a passo sostenuto verso l’uscita della Biblioteca noto con
dispiacere
che Potter è stato altrettanto veloce e sta tenendo il passo, il che è
ridicolo, perché lui non mi è sembrato affatto in ansia all’idea dello
spezzatino già in balia dei nostri compagni. Avrei preferito percorrere
la
strada da qui alla Sala Grande da sola, ma dato che Potter ha altri
piani tanto
vale cercare di volgere la situazione a mio favore.
«Che
cos’ha Black?» chiedo quindi con tono
volutamente casuale mentre imbocchiamo il corridoio.
Potter
smette di rovistare nella borsa a
tracolla e mi fissa spiazzato.
«Prego?»
«Black»
ripeto. «Il tuo amico. Sirius Black.
Moro, faccia da schiaffi, hai presente?»
«Sì,
certo che ho presente. In che senso
cos’ha?»
«Nel
senso, cosa lo rende più odioso del
solito?»
«Sirius
non è odioso» replica subito
imbronciato.
«D’accordo»
annuisco condiscendente. «Ma
perché sembra che voglia uccidere tutti più del solito?»
La
differenza tra Potter e un pesce fuor
d’acqua che boccheggia in modo ridicolo senza emettere suono si annulla
all’istante ed io mi rendo conto di quanto il mio interesse risulti inaspettato e fuori luogo senza contesto.
«Voglio
dire, non mi aspetto che tu lo dica a
me chiaramente e non lo voglio davvero sapere»
chiarisco veloce. «È solo
che condivideremo la stessa punizione per una quantità considerevole di
tempo e
se sarà sempre così scontroso a un certo punto la McGranitt dovrà
assegnarmi
un’ulteriore punizione per aggressione fisica o qualcosa del genere e
probabilmente anche lui a un certo punto otterrà una nuova punizione,
perché è
quello che fate, e allora finiremo di nuovo in punizione insieme e lui
sarà
ancora intrattabile e ci sarà una nuova aggressione da parte mia e
capisci che
è un circolo vizioso che solo tu puoi fermare.»
Mi
pare tutto perfettamente cristallino, ma
Potter mi rivolge un’occhiata sorpresa.
«Io?»
«Tu,
certo. Non è compito tuo farlo?»
«Fare
cosa, esattamente?»
«Che
ne so, qualcosa» Alzo le spalle. «Renderlo
meno intrattabile in qualche modo. Non è la cosa logica da fare?»
«Rendere
meno intrattabile Sirius la cosa logica da fare, Evans, ti ascolti
quando
parli?
Potter
mi guarda scettico ed io alzo gli occhi al cielo.
«Potter,
il tuo amico è pazzo o ha un
problema, le alternative sono queste. Ora, se ammettiamo che non è
pazzo, e questo
è un grande se, e ha effettivamente un problema, la cosa logica da
parte tua
non sarebbe, per l’appunto, scoprire e risolvere il problema? Non è
questo che
gli amici fanno?»
Potter
mi studia accigliato e prima di
rispondere ci pensa per diversi secondi, cosa piuttosto atipica per lui.
«Se
ci fosse un modo per risolvere questo
fantomatico problema» inizia lentamente. «Problema che io non ho mai
detto
esistere, precisiamo, non credi che, sempre ipoteticamente parlando,
l’avrei
già fatto?»
«Non
ho idea di cosa tu faresti o non
faresti, Potter» dichiaro. «Specialmente da quando ti ho visto mettere
la
mostarda sui pancake.»
«Quello
è stato un incidente.»
«È
quello che direi anch’io se avessi dei
gusti orripilanti, certo» lo liquido distrattamente. «Fatto sta che
quando il
castello crollerà sarai l’unico responsabile di non aver parlato a
Black.»
«Questo
è incredibilmente
melodrammatico» ribatte Potter, fermandosi di scatto giusto un attimo
prima che
la scala di fronte a noi decida di staccarsi dal pavimento per andarsi
a
congiungere a quello del piano superiore. Ed è questo che è
melodrammatico, che
le scale di Hogwarts tentino astutamente di uccidere Potter e non ci
riescano. «E
comunque gli parlo tutti i giorni.»
«Intendo
parlargli del suo problema» specifico.
«Parlargli
del suo problema!» Potter emette
una risata incredula e mi guarda come se fossi pazza, perché certo che
la cosa
più normale da fare gli suona come una follia, essendo lui l’unico
pazzo nei
dintorni. «Di cui continuo a non dichiarare l’esistenza, precisiamo.»
«Non
è un’idea assurda, Potter» lo informo. «È
quello che fanno di solito le persone, parlare
delle cose invece di ignorarle.»
Non
so cosa mi spinga a insistere nello
spiegare ad un aspirapolvere il regolare funzionamento dei rapporti tra
esseri
umani normali, ma Potter scuote la testa e mi lancia un’occhiata di
compatimento, e probabilmente ha ragione, perché se lui è un
aspirapolvere
Godric solo sa cos’è Black.
«Evans,
perché credi che io e Sirius non
litighiamo mai?» mi chiede con un sopracciglio inarcato, mentre io
ingoio
all’istante una vasta gamma di risposte più o meno offensive. «Perché so quando non parlargli.»
«Va
bene, non interrompere il circolo vizioso
allora» rinuncio contrariata. «Resterò in punizione in eterno.»
*
E
poi sarei io il melodrammatico.
Evans
ha ancora quell’aria ostentatamente
sconsolata, forse perché crede di farmi cambiare idea o forse perché si
è
dimenticata di averla, ma quando le scale che siamo infine riusciti a
prendere
cambiano direzione per aria con un brusco scossone spalanca gli occhi
ed io
stacco subito le dita dal corrimano per mostrarle il mio totale sprezzo
del
pericolo. Questo la impressiona molto positivamente, anche se non lo dà
a
vedere, ed io sorrido soddisfatto. Lei mi guarda pensosa ora, gli occhi
assottigliati, e quando apre la bocca sono già pronto a rispondere ai
suoi
interrogativi su come io possa essere così valoroso ed intrepido, ma
non è
quello che mi chiede.
«Quindi
non hai mai litigato con Black? A
parte, ovviamente, quella volta» E fa un cenno eloquente con la testa.
«No,
non davvero» rispondo subito, perché non
riesco a ricordare un litigio vero e proprio con Sirius, a parte,
ovviamente,
quella volta.
«Mai?»
Ed
è così incredula.
«Perché
pensate tutti che sia strano, si può
sapere? Non vedo perché dovrei litigare con i miei amici quando c’è
così tanta
altra gente con cui litigare, come ad esempio l’intera Casa di
Serpeverde.»
«Mai»
ripete scettica.
Sospiro.
«Beh,
c’è stata quella volta al terzo anno in
cui ero arrabbiato con lui e così pur essendo nelle cucine non gli ho
portato
la torta al cioccolato, come è regola» ricordo. «Me la sono fatta dare
per
Remus e per Peter e per me, ma non per lui. Ho detto agli elfi
domestici niente torta per Sirius oggi, è uno stronzo,
e me ne sono andato. Proprio così, senza voltarmi indietro. È stato un
momento
molto forte.»
Evans
mi osserva in silenzio con
un’espressione indecifrabile, evidentemente colpita dalla mia durezza.
«E
lui?» chiede infine, aggrottando la
fronte.
«No,
niente» Agito una mano incurante. «Poi mi sono sentito in colpa e
arrivato in camera gli ho dato
la mia fetta dicendo che non mi andava. Ma non è quello il punto, è il
pensiero
che conta, ed io avevo deciso di non portargli nulla» spiego, perché ho
la
sensazione che Evans si stia perdendo nei dettagli. «È questo il
fulcro.»
Evans
mi fissa con le labbra socchiuse e gli
occhi eccessivamente concentrati ora.
Già
che ci sono mi passo una mano tra i
capelli, così che si concentri anche su quelli.
«Eri
così
arrabbiato che gli hai dato la tua fetta di torta al cioccolato?»
Ha
un tono molto perplesso e il suo è un
riassunto incredibilmente sbagliato e fuorviante della vicenda che le
ho appena
raccontato.
Mi
porto di nuovo la mano ai capelli, questa
volta involontariamente, e la mia bocca resta socchiusa qualche secondo
di
troppo mentre rifletto intensamente alla ricerca di qualcosa di
brillante e
definitivo da dire, che cancelli questa parentesi imbarazzante.
«Questo
è...» Evans mi sta ancora fissando in
quel modo strano ed io ho già pronto il anche
la tua faccia sulla lingua, perché è la risposta perfetta a
qualunque
aggettivo offensivo uscirà ora dalla sua bocca. « ...carino. Ci sono
delle cose
carine in te, Potter. Questo ti rende ancora più odioso, perché
potresti essere
una persona tutto sommato piacevole e invece non lo sei.»
Qualcosa
dentro la mia testa lotta per
prendere il sopravvento per diversi interminabili secondi, mentre tutte
le
altre forze dentro di me lottano per mantenere l’impassibilità e
l’immobilità
assoluta sul mio viso, e fino a che la cosa non viene placata e ridotta
al
silenzio la mia faccia resta come sotto l’effetto di un Pietrificus
Totalus. Poi
il dominio su tutto il mio corpo viene ristabilito ed io socchiudo gli
occhi.
«Non
sono piacevole?» chiedo stranito.
«No»
risponde subito lei, tranquilla.
«Io
credo
di essere piacevole, Evans.»
«
Oh, lo so che lo credi, lo so.»
Siamo
quasi arrivati alla Sala Grande ed io
la scruto in silenzio per diversi secondi, pensoso.
«Quindi
non sono piacevole» ripeto dopo un
po’.
«Esatto.»
«Però
sono carino.»
«Non
è quello che ho detto.»
«Grazie,
Evans» concludo compiaciuto,
ignorandola. «Anche tu sei carina.»
«Non
è quello che ho detto» ripete lei e di
nuovo io la ignoro, perché è totalmente quello
che ha detto.
È
solo quando arriviamo al primo piano che
spezzo di nuovo il silenzio.
«D’accordo,
parlami di queste cose carine che
ci sono in me.»
Evans
sospira rumorosamente.
«Te
ne ho appena parlato e me ne sono già
pentita.
«No,
no, tu ne hai menzionata una» la
riprendo subito. «Ma hai detto cose
carine. Plurale. Quante sono? Puoi almeno contarle o sono troppe?»
Questa
volta è lei ad ignorare me, aumentando
il passo.
«Una
sono gli occhiali, vero?» continuo
trionfante. «Sei attratta dai tipi con gli occhiali, lo
sapevo. È per l’aria da intellettuale che mi danno
probabilmente, non ti biasimo. Se non fossi me anch’io sarei attratto
da m−−» Sto spiegando ad Evans la
naturalezza del suo
essere pazza di me e sono molto immerso nel discorso quando
all’improvviso i
miei occhiali abbandonano con uno scatto traditore il mio naso,
lasciandomi con
gli occhi socchiusi per lo sforzo a seguire la macchia sfocata che è
Evans
correre via.
«Evans!
Ehy! Torna qua, sono cieco!»
«Questo
mi piace di te, Potter!» La sento
gridare in lontananza. «Che hai un sacco
di punti deboli!»
«Accio
occhiali» mormoro e subito sento le
lenti sbattermi contro la fronte con un rumore secco. Ahi.
**********
«Ho
visto la tua gatta prima» Frank è una
delle poche persone, forse l’unica, in grado di produrre frasi
perfettamente
intellegibili anche con la bocca stracolma di pollo. «Era di nuovo nel
corridoio
dei dormitoi maschili.»
«Lo
so» sospiro abbattuta, mentre Mary al mio
fianco ridacchia. Lei d’altro canto non è Frank, e non è in grado
nemmeno di
produrre una risata intellegibile con la bocca piena, così Alice le
lancia
un’occhiata preoccupata per controllare che non si stia in realtà
strozzando. «Continua
a infilarsi in camera dei Malandrini.»
Cerco
di non imprimere alcuna vena
accusatoria nella voce, perché non è davvero colpa di Frank, anche se è
in
realtà tutta colpa di Frank, che l’ha lasciata incoscientemente nelle
mani di
Potter e le ha permesso di passare la sua prima notte in questo
castello
proprio nella loro camera. È drammatico, perché ora lei continua a
tornarci e a
gironzolargli attorno ogni volta che li vede nella Sala Comune, e
sembra
nutrire un amore particolare per Potter, che chissà cosa le ha fatto
quella
notte.
È
questo il motivo, la sua prima notte nella
sua nuova casa l’ha passata tra le grinfie inaffidabili di Potter e il
suo
amore per lui ne è la naturale conseguenza, nulla di più: non è un
gatto stupido,
come ho temuto a lungo, un gatto che di sua spontanea volontà ha deciso
di
affezionarsi a Potter, tutt’altro, è solo un felino vittima delle
circostanze.
«Forse
non va sempre nella loro camera»
interviene Alice. «Magari le piace semplicemente di più il dormitorio
maschile.»
«No,
va dai Malandrini» insisto sicura,
estraendo con un gesto deciso un pezzetto stropicciato di pergamena e
stendendolo sul tavolo ben in vista. «Era attorcigliato attorno alla
sua coda.»
«Sono
uno stupido gatto stupido e se non la
smetto di infilarmi nei dormitori altrui sarò uno stupido gatto morto»
legge
Mary concentrata, prima di lasciarsi andare a una sghignazzata. «Questo
è
sicuramente Black, hai ragione.»
Lo
trovano divertente, a quanto pare,
attaccare bigliettini sulla mia gatta ogni volta che sconfina nel loro
territorio. L’ho scoperto per la prima volta un paio di giorni fa,
mentre in
uno dei rari momenti di tenerezza che periodicamente mi concede, me la
stavo
coccolando sotto le coperte, quando all’improvviso ho sentito tra il
pelo caldo
la superficie ruvida della pergamena. ‘Ho
dormito nel letto di James Potter. Di nuovo’, recitava.
L’ho spinta giù dal letto con uno scatto e questo ha distrutto il
rapporto di fiducia faticosamente instaurato in precedenza, oltre ad
aggiungere
un graffio alla mia nuova collezione, come se poi fossi io ad avere
colpe in
questo rapporto interumano: non sono io che passo le notti nel letto
del nemico
per poi tornare indietro con la coda tra le zampe.
«A
proposito, Lily» dice Frank, pensieroso. «Le
hai trovato un nome, poi?»
Non
le ho trovato un nome, ma Frank si
aspetta che io lo abbia fatto e Frank non è una persona che mi piace
deludere,
così apro la bocca e sputo fuori le prime lettere che mi vengono in
mente. «Emma.»
«Emma
è carino, mi piace» approva Frank.
«Emma,
Evans? È totalmente privo di
originalità.»
La
voce proviene dal posto vuoto di fianco a
Frank, che improvvisamente non è più vuoto.
«Il
tuo gatto si chiama Elvendork, Potter,
sparisci.»
«Sei
invidiosa, lo capisco: non tutti possono
essere inventivi come me nel trovare fantastici nomi unisex per i
propri
animali» Potter prosegue indifferente, riempiendosi il piatto con le
poche
pietanze sopravvissute fino ad ora: l’ho lasciato a pochi corridoi di
distanza
dalla Sala Grande mezz’ora fa e non sembra essere riuscito a trovare la
strada
per la Sala fino ad ora, a riprova della sua generale incompetenza alla
vita. «Te
l’ho già detto, ti do il permesso di chiamarla Elvendork se proprio non
riesci
a trovarle un nome altrettanto bello.»
Avrei
così tante cose da dire sulla bellezza
del nome Elvendork, ma dalla metà del tavolo di Grifondoro, oltre un
folto
gruppetto del quinto anno, i Malandrini restanti iniziano a chiamare
Potter
apparentemente oltraggiati dalla sua postazione lontano da loro e lui
afferra
subito il suo piatto, alzandosi, mentre io li ringrazio mentalmente.
«I
miei amici primari sono gelosi, scusate»
ci informa. «Evans, per la storia della tua attrazione nei miei
confronti, ne
prendo atto e ne riparliamo appena hai finito con Philips, d’accordo?
Intanto
grazie per la sincerità, la apprezzo.»
La
mia bocca è ancora deformata in una
smorfia indignata quando lui si allontana senza lasciarmi possibilità
di
replica e Frank e Alice spostano gli occhi su di me.
«Aspirapolvere
di ultimissima generazione» sospiro
dopo qualche secondo, incredula. «Apre la bocca e puff, tutta la
polvere nel
castello sparisce.»
Frank
e Alice mi osservano perplessi ed io
gli faccio segno di lasciar perdere.
Lunedì 14 Febbraio 1976, Aula di Storia
della Magia.
«Pertanto
i Goblin, di fronte a un’onta di
tale portata, si riunirono in consiglio e stabilirono di dichiarare
guerra a...»
Mentre
Ruff continua a mormorare la sua nenia
soporifera, la mia attenzione viene improvvisamente attirata da
qualcos’altro e
così non saprò mai a chi i Goblin stabilirono di dichiarare guerra. Non
che
questa sia poi una gran perdita, quando parliamoci chiaro, i Goblin
sono dei
gran rompicoglioni che non fanno che dichiarare guerra a chiunque e
prendono
qualunque fatto mai accaduto al mondo come un’onta vergognosa nei loro
confronti. Ora, quella che io considero
un’onta vergognosa è venire colpito sulla fronte da un oggetto volante
non
identificato mentre mi fingo uno studente modello e capto persino
qualcosa dei
discorsi di Ruff. Mi massaggio infastidito la fronte, poi abbasso lo
sguardo
sull’oggetto non più misterioso che è atterrato sul mio banco: un
aereoplanino
di pergamena incantato a cui è legata una tavoletta di cioccolata di
Mielandia
con doppio strato alle nocciole, la mia preferita. Non più scocciato,
spiego
allegro la pergamena che si rivela essere un bigliettino di San
Valentino
piuttosto imbarazzante, come d’altro canto lo è ogni singolo biglietto
di San
Valentino, che è di per sé una festa imbarazzante e ridicola, ma anche
molto
utile, perché mi frutta cioccolata alle nocciole nel bel mezzo di
Storia della
Magia. Poi arrivo alla fine del biglietto, dove c’è un nome e
finalmente
capisco perché la ragazza a tre banchi dal mio, quella che continua a
fissarmi
e pare aver spedito il biglietto, non sembra emozionata o allegra,
quanto
piuttosto seccata e mi fa gesti tutt’altro che carini. Con uno sbuffo
spingo la
cioccolata e il biglietto sul banco accanto al mio, dove Sirius è nel
mezzo di
un sonnellino o di un coma irreversibile, una delle due.
«Sveglia,
Padfoot, cioccolata per te da una
Corvonero con una pessima mira.»
Non
posso credere che è San Valentino già da
tutta la mattinata e nessuna ragazza mi abbia ancora regalato nulla.
«Sirius»
dico mentre il mio amico si riscuote
dal suo sonno tranquillo e inizia a scartare avidamente la tavoletta di
fronte
a lui. «Perché nessuno mi dà della cioccolata quest’anno?»
Lui
aggrotta la fronte, riflettendoci su.
«Sei
il Capitano di una squadra colata a
picco» conclude infine, infilandosi distrattamente uno scacchetto tra
le labbra.
«Non esattamente quello che le ragazze trovano sexy.»
Sirius
continua a sgranocchiare la sua
cioccolata con nonchalance, apparentemente ignaro di non poter dare
alla gente
notizie del genere con tanta leggerezza. È questo che sta succedendo
dunque?
Sapevo di non essere più accerchiato dalla gloriosa aura dorata di
Capitano
vincente dalla disastrosa disfatta di giugno scorso, e immaginavo che
iniziare
il campionato di quest’anno con una sconfitta plateale non avesse
migliorato la
situazione, ma non mi ero accorto che mi avesse addirittura gettato giù
dalla
cima della gerarchia di Hogwarts. Non avrei dovuto accorgermene, se
fosse
davvero successo? Della caduta in picchiata e tutto? Come posso
semplicemente
perdere la prima partita dell’anno, non accorgermi di nulla e
improvvisamente
trovarmi ad essere considerato troppo perdente per avere diritto a
della
cioccolata di San Valentino?
«Lo
sai qual è la parte migliore quando una
squadra cola a picco?» chiedo all’improvviso rinvigorito
dall’oltraggio, la
voce vibrante d’orgoglio.
«Che
non sia la tua squadra?»
Sirius
mi guarda pacifico, le mani colme
della cioccolata che la sua posizione ancora salda nell’olimpo sociale
gli
provvede ed evidentemente così poca voglia di collaborare.
«No»
sbuffo spazientito. «Beh, sì, se non è
la tua squadra tutto è la parte
migliore ovviamente, ma se è la tua
squadra, e con tua intendo mia, perché quando mai tu potresti avere una
squadra
che non sia di, che so, sociopatia agonistica. Beh, in ogni caso, la
parte
migliore è» Mi blocco per qualche secondo in una pausa tattica per la
suspense.
Sirius sbatte gli occhi, segno che non sta nella pelle. «Che puoi solo
risalire.»
«Ma
non è vero» ribatte dopo un po’,
lentamente. «Puoi anche restare lì nel fondo, inerte» Ha un tono e
un’espressione molto pacata e una parte di me, mentre ricambio
impassibile il
suo sguardo flemmatico, crede che in realtà stia ancora dormendo, ma
lui
continua a parlare. «Per sempre. Fino a quando diventi un relitto
arrugginito
con i pesci che depongono le uova dentro di te.»
Il
silenzio segue le sue parole giusto il
tempo di farmi venire a patti con la mia vita.
«Ora
spiegami perché hai dovuto dire una cosa
del genere.»
Sirius
aggrotta la fronte, perplesso.
«Era
offensiva?»
«No,
solo incredibilmente poco incoraggiante»
specifico. «Puoi essere più incoraggiante mentre parlo della mia
rivalsa contro
la scuola e l’universo tutto?»
Sirius
assottiglia gli occhi, l’aria
vagamente concentrata, e riesco quasi a percepire le sue doti
relazionali
attivarsi alla ricerca della sequenza di parole più adatta ad esprimere
il
massimo dell’incoraggiamento possibile da parte sua.
«Non
credo che i pesci deporranno uova dentro
di te» annuncia infine, guardandomi dritto negli occhi.
Io
ricambio il suo sguardo, soppesando le sue
parole.
«Grazie»
stabilisco soddisfatto, sistemandomi
gli occhiali sul naso.
Sostegno
incondizionato da parte dei miei
amici, sfiducia offensiva e di conseguenza motivante da parte del resto
della
scuola, la promessa della faccia sconvolta dei Corvonero tutti e di uno
in
particolare quando gli strapperò la coppa dalle mani, e naturalmente il
mio
innegabile talento: tutto quello che mi serve per la rimonta più
spettacolare
nella storia di Hogwarts.
«Me
ne dai un pezzo?»
«No.»
*********
«Ehy.»
Lizzie
alza gli occhi dal suo libro di
Erbologia con aria perplessa, prima di incrociare il mio sguardo e
sorridere.
«Oh,
ehy Remus.»
La
Sala Comune è insolitamente quieta, con lo
scoppiettare tranquillo delle fiamme nel camino e il lieve
chiacchiericcio
proveniente dalle scale che portano al dormitorio femminile. Dalle
tende
scarlatte filtra l’ancora più insolitamente caldo sole di un atipico
pomeriggio
di febbraio e non c’è da stupirsi che la maggior parte dei nostri
compagni si
sia riversata nel parco. Avvicinandomi alla finestra probabilmente
riuscirei a
scorgere anche da qua le sagome minuscole delle coppiette passeggiare
attorno
alla riva del lago nero e i gruppetti più folti a gironzolare nel verde
dell’erba imbacuccati nei mantelli scuri. Anche noi Malandrini avevamo
una
mezza idea di confonderci tra gli altri, ma quando Sirius ha estratto
il
bottino e lo ha finalmente messo sul suo letto a disposizione di tutti
l’idea è
sfumata e quando trenta secondi fa sono uscito dalla camera l’orgoglio
ferito
di James stava ancora agonizzando tra le coperte e le cartacce di
cioccolatini
a forma di cuore.
«Come
stai? Ti ho portato della cioccolata.»
«Oh,
wow» Lizzie afferra sorpresa la
tavoletta che le porgo, l’aria di essere stata colta completamente alla
sprovvista. «Grazie.»
«Non
è cioccolata di San Valentino» specifico
subito, realizzando all’improvviso le implicazioni che il dare della
cioccolata
a una ragazza il giorno di San Valentino tenderebbe a portare con sé.
«Voglio
dire, è cioccolata di San Valentino,
ma non è mia. È di Sirius.»
Lizzie
inarca un sopracciglio, perplessa.
«Black
mi ha mandato della cioccolata?
«No,
no, Sirius non lo sa nemmeno» scuoto la
testa, trattenendo una risata all’assurdità del pensiero. «Ma non è un
problema, ogni anno riceve così tanta cioccolata da non opporsi al
fatto che
una volta entrata in camera diventi proprietà condivisa» spiego e non
sto
neppure mentendo, perché è effettivamente così che vanno le cose, e non
è
importante che sia così più per rassegnazione che per vera volontà di
condivisione. «Il grosso lo riceve sempre da quelle dei primi anni, per
le
quali non pare nemmeno più essere Sirius il punto, credo sia una sorta
di
affermazione sociale tra loro, chi gli regala più cioccolata o chi gli
regala
quella migliore acquisisce più potere o una cosa del genere.»
«Le
solite cose da primi anni, certo»
annuisce Lizzie comprensiva.
«A
ognuno il suo» commento con un’alzata di
spalle. «Ai nostri tempi per noi maschi dipendeva tutto da quanto
slacciata
portassimo la cravatta.»
Lizzie
aggrotta la fronte.
«Non
te l’ho mai vista nemmeno allentata.»
«No,
infatti al primo anno non trovavo mai
posto al tavolo prima di fare amicizia con gli altri» ricordo. «Loro
avevano
tutti gradi molto alti di ribellione della cravatta, quindi potevano
procurarsi
il posto anche per me.»
Lizzie
sorride, il sorriso appena accennato e
accondiscendente di chi aspetta che l’interlocutore smetta di divagare
probabilmente, e ha ancora quella tavoletta di cioccolata in mano.
«Quello
che volevo dire» riprendo
schiarendomi la voce. «È che la nostra stanza è piena di cioccolata e
ho
pensato che magari te ne andava un po’.»
«Oh.
Beh, hai pensato bene» Lizzie si rigira
la tavoletta tra le mani, il sorriso che si estende ora anche agli
occhi. «Mi
va infatti. Grazie.»
«Prego»
sorrido.
«Lo
sai, non credo che tu sia nella norma» dice Lizzie
all’improvviso dopo qualche secondo.
Non
mi sembra una cosa particolarmente gentile da dire e
subito aggrotto la fronte, spiazzato.
«Nel
senso che ho dei problemi? – indago cautamente.
«No,
esteticamente parlando, - specifica Lizzie e la mia
fronte si aggrotta ancora di più. - Ieri ti ho detto che sei nella
norma, ma in
realtà non lo sei affatto.
Mi
sono guardato allo specchio meno di un’ora fa, prima
di uscire dalla camera, mentre mi lavavo le mani in bagno e scrutavo a
fondo i
miei occhi riflessi come faccio sempre, in quel modo stupido e
assolutamente
inutile che ho di guardarmi allo specchio, come se avessi un’altra
persona
davanti e dovessi sostenere il suo sguardo e non potessi invece
soffermarmi
sulla mia faccia e basta, sulla mia fronte e le mie guance e sui bordi
rialzati
delle mie cicatrici, nel modo in cui le persone normali si guardano
allo specchio,
quel modo che ti fa essere conscio di come tutta la tua faccia risulta
alla
vista e non ti permette di farti cogliere impreparato quando gli altri
te lo
comunicano all’improvviso.
«Non
sono...normale, esteticamente?
E
dev’essere la cicatrice, quella lunga e spessa e così
perfettamente visibile. Ho sempre pensato di avere un naso strano,
piazzato
proprio lì nel mezzo, con quell’aria fuori posto, come se si fosse
trovato lì
per caso, ma deve essere la
cicatrice.
«Sei
più carino della norma, Remus. Questo ti sto
dicendo.»
«Oh»
Mi sento dire stupito, le dita ancora a grattarmi
nervosamente il lato sinistro del naso, esattamente da dove parte la
cicatrice.
«Oh beh» Deglutisco allontanando la mano dal mio naso, un po’ perso,
perché non
è la cicatrice, la cicatrice non ha
nulla a che fare con questo e la mia faccia può esistere anche
separatamente
dalla cicatrice a quanto pare. «Beh, è, beh, è sicuramente, beh, è
chiaramente
una cosa soggettiva, non...»
Sto
dicendo beh più
volte di quanto sia socialmente accettabile per un non ovino e una
parte del
mio cervello inizia subito a lavorare in solitaria per trovare una
soluzione in
proposito, e forse è perché le parti del mio cervello non lavorano
sempre tutte
in sincrono che la soluzione non arriva.
«Soggettivamente
ti trovo più carino della norma» mi
interrompe Lizzie, che è stranamente più decisa e tranquilla rispetto
al
solito, o forse è solo il contrasto col mio cervello disgregato che la
fa
risaltare.
«Oh.
Certo, è la tua opinione. Soggettiva. Io...» mi schiarisco
la gola, cercando di ricompormi, poi realizzo di essere appena stato
definito carino e subito sento un calore
indesiderato affluirmi alle guance, e più penso a quanto questo calore
debba
avere anche un colore visibile più lo sento intensificarsi. «Sì,
opinione.
Soggettività. Queste cose.»
Lizzie
ridacchia ed io mi ricordo all’improvviso di non
essere un idiota. Sono quello intelligente, ed è per questo che mi
sento così
strano e spiazzato ora, perché è Sirius quello
carino, o altre volte lo è James, ma non sono mai stato io, nemmeno una
volta,
ma è proprio perché sono quello intelligente che mi rendo perfettamente
conto
di non poter dirottare un complimento sui miei amici solo perché
inaspettato e
ricordo anche che ai complimenti si risponde.
«Anche
tu hai un’opinione più...più carina della norma.»
dico imbarazzato, ma sentendomi di nuovo in controllo delle mie facoltà
mentali.
«Un’opinione?
La
sensazione non dura a lungo.
«Una
faccia» mi correggo subito. «La tua faccia.
Soggettività. Devo andare.»
Lizzie
ha un’aria molto perplessa, ma non fa in tempo a
dire nulla perché io sono già astutamente scappato. La porta della mia
camera è
ora contro le mie spalle ed io fisso dritto davanti a me, cercando di
ricordarmi i fondamenti di tutta quella storia dell’essere
intelligente.
«Ehy
Moony, dov’eri sparito?
Non
lo sto guardando, ma la voce impastata mi suggerisce
che James stia ancora dilapidando il patrimonio di Sirius. Ho appena
fatto una
deduzione e così mi concedo un’occhiata veloce al mio amico per
valutare il mio
livello attuale di intelligenza: labbra sporche di cioccolata e guance
rigonfie. Corretto.
«Ho
smesso di pensare» annuncio pratico.
«Cosa?»
«Non
sto pensando e dico cose stupide quando non penso,
lasciatemi ricominciare a pensare.»
C’è
un secondo di silenzio nella stanza, poi i miei amici
riprendono a chiacchierare tra loro, mentre
io continuo a fissare la finestra e
riassegnare i giusti compiti a tutte le mie facoltà mentali, prima di
riscuotermi.
«Ecco
fatto» annuncio soddisfatto dopo un po’. «Devo
andare a scusarmi, scusate.»
Lizzie
è dove l’ho lasciata e mi osserva interrogativa
mentre mi avvicino a lei e mi schiarisco la gola.
«Volevo
scusarmi per prima» inizio mortificato. «Non so
se l’hai notato, ma mi sono imbarazzato e ho perso la capacità del
linguaggio.»
«Sì,
avevo notato qualcosa.»
L’angolo
destro della sua bocca è piegato in modo strano,
come a trattenere un sorriso o una smorfia. Probabilmente una smorfia.
«È
stato fuori luogo, mi dispiace» continuo diplomatico,
assaporando il gusto di essere di nuovo al comando del mio cervello.
«Nessuno
mi aveva mai detto che sono più carino della norma.»
Subito
in un angolo remoto di me inizia a vibrare leggero
il senso di colpa e la voce di mia nonna mentre ripete a chiunque che
bel ragazzo
io sia, ma è sempre labile il grado di affidabilità di chi definisce
bellissimi
e appende al frigo gli scarabocchi fatti da un bambino.
«È
stato fuori luogo anche cercare di ricambiare il
complimento così velocemente, come a dirlo in obbligo» aggiungo pacato.
«Non è
qualcosa che fa suonare sinceri i complimenti, mentre io volevo davvero
dire
qualcosa sulla tua faccia.»
«Che
tipo di cosa?»
«Soggettiva»
Lizzie inarca un sopracciglio ed io cerco di
fare mente locale perché lo sto facendo di nuovo. «E carina.»
«Beh,
è il pensiero che conta» Si stringe nelle spalle. «Grazie.»
«Prego.»
Prego
è
una
risposta così appropriata a grazie,
una combinazione di botta e risposta chiara e perfetta, a cui ho
contribuito
con un tempismo notevole nel rispondere la cosa giusta pur non avendo
idea di
cosa stessimo in realtà parlando, e mi sento così in pace con me stesso
per
questa nuova ristabilita capacità di dialogo e logica.
E
poi succede e basta, all’improvviso, come una bolla di
sapone che esplode dal nulla e irrita gli occhi con piccoli schizzi
brucianti.
«La
tua faccia è come un fiorire di girasoli in un campo
assolato di girasoli.»
Lizzie
spalanca gli occhi, terrorizzata, e questa volta
non ho nemmeno sentito le mie labbra muoversi da sole tanto è stato
fulmineo ed
estraneo alla mia volontà, mi è arrivata una voce alle orecchie e ci ho
messo
qualche secondo a capire che era la mia voce.
Gli
occhi di Lizzie sono ancora spalancati e fissi su di
me, ed esprimono ancora terrore, e non appena quello che ho appena
detto mi
riecheggia nelle orecchie anche i miei occhi si spalancano.
«Oh Godric, scusa»
dico con voce strozzata, prima di voltarmi e correre.
I
miei amici stanno ancora chiacchierando pacifici e
ignari delle cose terrificanti che accadono all’esterno di questa
stanza e
quando, dopo essermi fiondato dentro, getto la mia schiena contro la
porta
appena chiusa e resto così a fissare il vuoto con gli occhi spalancati,
mi
lanciano un’occhiata incerta.
«Remus?»
«Ti
sei scusato?»
Annuisco
frenetico, le labbra ben strette l’una contro
l’altra.
«E...?»
«E
devo scusarmi di nuovo» sospiro afflitto.
«Perché?
Che hai fatto?»
«Il
mio cervello» spiego, cercando di ricompormi. «Mi ha
fatto una finta, non avevo davvero ricominciato a pensare» E mentre lo
racconto
ai miei amici mi rendo conto che è esattamente questo che è successo,
sono
caduto in un falso senso di sicurezza: mai abbassare la guardia. «Ora
devo
andare a scusarmi di nuovo, ma non posso farlo senza uscire da questa
camera e
non posso uscire da questa camera mai più.»
«Cosa
hai fatto, Remus?» insiste James.
Ed
è questo, è questo il momento in cui il mio cervello
dovrebbe rimettersi a funzionare una volta per tutte e tenere le mie
labbra
incollate l’una all’altra, perché l’unico raggio di luce nell’orrore
che è appena
successo è che i miei amici non erano lì ad assistere, che i miei amici
non
sanno e non dovranno mai saperlo.
«Ho
detto a Lizzie che la sua faccia è come un fiorire di
girasoli in un campo assolato di girasoli.»
Se
non fosse che le mie labbra l’hanno fatto di nuovo.
È
un lungo istante di teso silenzio quello che segue le
mie parole, poi gli arti e il busto di James iniziano a muoversi in
modi
bizzarri come se stesse cercando di vincere un incontro di wrestling
con il
letto e stesse perdendo, e Sirius che è nel baldacchino proprio accanto
a lui
non pare nemmeno sentire le sue risate, ancora immobile a fissarmi con
gli
occhi spalancati, gelato in quell’espressione di terrore che è stata
anche la
reazione di Lizzie. Peter ha la bocca coperta da entrambe le mani e gli
occhi
equamente divisi tra lo shock e la voglia di ridere.
È
quando James, che nel frattempo è finito per terra, si
rialza ansimando, aggrappandosi alle coperte per reggersi in ginocchio
e si
toglie gli occhiali con uno scatto, svelando gli occhi umidi e le
guance rigate
di lacrime, e Sirius sillaba con un filo di voce ‘Un campo di...’ prima
che
James emetta un suono acuto che assomiglia alla parola assolato
e si ributta per terra, che cerco a tentoni la maniglia e
ricomincio a correre.
«Ci
sono libri in cui i complimenti sono spesso associati
ad immagini della natura ed in particolare ad eventi atmosferici o a
fiori»
Lizzie è nell’esatto punto della Sala Comune in cui l’ho lasciata e ha
ancora
lo stesso sguardo terrorizzato che è normale assumere quando le persone
paragonano la tua faccia a un campo di girasoli. «Questo naturalmente
ha senso
nei libri e non nella vita vera. È stato estremamente fuori luogo e le
mie
labbra hanno agito in totale autonomia, ti prego di credermi» Quando si
rende conto
della mia presenza e sposta gli occhi su di me, io sono già a metà del
mio
discorso. «Desidero dissociarmi completamente da quello che è accaduto.
Spero
che tu possa capire che solo perché vivo dentro la mia testa non
significa che
io debba per forza avere la responsabilità di quello che esce dalla mia
bocca. Devo
naturalmente, questo è stupido, mi assumo la responsabilità dei
girasoli, ma...
» Abortire, abortire l’operazione.
«Mi dispiace».
«Ok.
Non preoccuparti. È capitato. Può capitare.
Girasoli. Volevo dire, devo andare, grazie della cioccolata e buon
Natale».
«Siamo
a Febbraio».
«San
Valentino, volevo dire San Valentino, buon...ciao
Remus».
«San
Valentino» ripeto facendole un cenno del capo mentre
si allontana, prima di realizzare di aver detto San Valentino e non
ciao. Il
mio cervello ha un’ultima finale convulsione prima di accasciarsi su se
stesso.
«Credo
che non mi rivolgerà mai più la parola» annuncio
rientrando in camera.
«Credo
che non ti rivolgerò mai più la parola» replica
subito Sirius e non ha l’aria di stare scherzando.
«Un
campo assolato di girasoli?» James non è più per terra,
ma ha ancora gli occhi lucidi. «Un campo assolato di
girasoli?» E lo
rende felice ripeterlo, è evidente nel modo in cui si illumina tutto.
«Lo sai,
Moony, un giorno diventerò campione del mondo di Quidditch e nello
stesso
momento in cui la mia mano si chiuderà sul boccino che mi farà vincere
la Coppa
del mondo, batterò contemporaneamente il record di cattura di Roderick
Plupmton,
diventando così il Cercatore più veloce mai esistito. E anche allora
tuttavia
il momento più bello della mia vita resterà quello in cui tu hai detto
a Lizzie
che la sua faccia sembra un campo assolato di girasoli» C’è qualcosa di
ammirevole nel modo in cui anche mentre mi sfotte riesce comunque a
tirare in
ballo il Quidditch. «Il momento più bello della mia vita e non c’ero
nemmeno.
Oh Godric, perché non c’ero!»
«Come
fa la faccia di una ragazza a sembrare un campo di
fiori?» Peter mi lancia un’occhiata corrucciata dal suo letto.
«C’è
quella del quinto anno piena d’acne, la sua faccia
sembra effettivamente un campo di papaveri. Papaveri pieni di pus».
«Oh,
Godric, Sirius».
«Moony,
Moony, guardami» James inizia a gesticolare verso
di me come se avesse qualcosa di impellente da dirmi. «La mia faccia
assomiglia
più a un campo di margherite in fiore o a un mare percorso da banchi di
pesci
variopinti?»
Questa
volta anche Sirius e Peter si uniscono alle risate
ed io sospiro afflitto, perché questo è esattamente quello che mi
merito.
«Mi
ricorderesti di nuovo quanta cioccolata hai ricevuto
oggi, James?»
«Non
funziona, Moony, non è più depresso ora» mi informa
Sirius.
«No?»
Inarco un sopracciglio interrogativo, mentre James
scuote la testa soddisfatto.
«Il
mondo mi sorride di nuovo».
«Certo,
perché ti sei mangiato tutta la mia cioccolata».
«La
vedranno tutti» continua James ignorando
il risentimento di Sirius. «Non vedo l’ora che sia San Valentino del
prossimo
anno, quando avrò vinto la Coppa e sarò sommerso di cioccolata e allora
ricorderò questo momento e ad ogni ragazza che vorrà uscire con me dirò
sai, forse dovresti procurarti una giratempo
e portare questa cioccolata al me stesso del sesto anno, quando non ho
ricevuto
nulla ed ero solo al mondo. Qualcosa del genere, ma ancora più
sagace e
velenoso. Si pentiranno».
James
sembra molto convinto e lì per lì
decido di starmene zitto, che non sono nessuno per giudicare gli altri,
considerando che me ne vado in giro a dire cose ridicole sulla faccia
delle
persone, eccetto che ridimensionare i miei amici quando partono per la
tangente
è una delle mie principali occupazioni e così procedo e basta.
«James,
è San Valentino, nessuno ti ha
regalato cioccolata e tu stai già perfezionando la risposta con cui
rifiuterai
i quintali di cioccolata che hai deciso ti arriveranno il prossimo
anno,
davvero?»
«
Non ho detto che li rifiuterò, Moony, non
sono stupido. Solo che li accetterò con sdegno» precisa James, prima di
schiarirsi la voce. «Detto questo, non posso essere l’unico ad aver
notato che
la faccia di Sirius sembra un cielo stell- »
C’è
già l’accenno di un ghigno sulle labbra di James prima ancora che
finisca la
frase, e poi c’è il mio cuscino e il rumore di risate soffocate.
«Davvero
non so come tu possa sentirti onesto a sfoggiare quella spilla quando
non hai
nemmeno intenzione di far rispettare le regole, Moony».
James
mi lancia l’ennesima occhiata imbronciata, addentando la sua coscia di
pollo
con un’aggressività superflua.
«Non
sta facendo nulla di male, James» sospiro, lanciando un’occhiata a
Philips,
seduto all’altra estremità del tavolo accanto ad Evans, una rosa
appoggiata sul
tavolo tra i loro piatti. «Non posso togliergli punti solo perché ha
deciso di
cenare con la sua ragazza a San Valentino».
«Non
è un Grifondoro, non dovrebbe stare al nostro tavolo».
«Sarebbe
preferibile di no» concedo. «Ma non c’è scritto esplicitamente da
nessuna parte
che è contro le regole».
«Ok,
quindi questa è la tua posizione a riguardo» conclude James sbrigativo,
un
guizzo pericoloso negli occhi. «Tutto quello che non è esplicitamente
vietato
non è contro le regole e godrà del tuo pieno appoggio».
Questa
non è assolutamente la mia posizione a riguardo e sento che è di vitale
importanza farlo presente a James il prima possibile, ma Sirius, che ci
stava
prestando la stessa attenzione che dedica alla maggior parte delle
persone,
ovvero nulla, ci interrompe all’improvviso.
«Non
credo che sia legale, ragazzi» annuncia, gli occhi puntati alle mie
spalle «È
piccola».
«Fa
il quarto anno» replico voltandomi a guardare Peter e la ragazza dai
capelli
color carota al tavolo di Tassorosso. Non so cos’abbiano tutti i miei
amici con
le rosse, per l’appunto. «Non è solo lei, vedi, è una cosa generale,
ora li
fanno tutti più piccoli».
«Mmm»
Sirius scruta pensoso la folla schiamazzante sparsa per la Sala Grande,
prima
di arricciare le labbra divertito. «Può darsi che la ragazzina di prima
allora
non fosse del primo anno» aggiunge voltandosi verso James, che a inizio
cena ha
finalmente ricevuto della cioccolata da una ragazzina minuscola
palesemente del
primo anno. «Forse aveva almeno
dodici anni. È una notizia grandiosa, James, vai ancora forte tra le
dodicenni».
«Fottiti»
scandisce James, prima di puntare la sua bacchetta contro la caraffa di
succo
di zucca. Oltre i ghirigori disegnati nell’aria dalla scia arancione
che si
attorciglia in strani giochi acquatici per poi rituffarsi nella
caraffa, gli
occhi di James mi fissano con sfida.
«James.»
«Ti
dà fastidio la mia fontana, Moony? Ah, se solo trasformare una caraffa
in una fontana
fosse esplicitamente contro le
regole»
La
fontana di James mi dà fastidio,
perché continuano ad arrivarmi dei microscopici schizzetti addosso e
perché la
scia di succo non forma dei disegni casuali, come mi era parso
inizialmente, ma
delle parole, parole che nulla hanno a che fare con le regole del
galateo. Ma
non resta davanti a me a lungo, perché nessuna caraffa di succo di
zucca dura
mai nello stesso posto per più di qualche minuto a questo tavolo. Frank
la
passa a Mary e nessuno dei due sembra farsi domande sul perché il succo
di
zucca sia così volgare questa sera.
Quando
Peter torna al nostro tavolo, vorrei chiedergli
com’è andata, ma James mi precede e la sua voce è così profonda e
coinvolta
mentre lo dice.
«Pete,
la tua faccia è come un robusto albero da frutta carico
di grossa frutta succosa».
«Questa
è la cosa più pornografica che io abbia mai
sentito» stabilisce Sirius, mentre Frank alla mia destra inizia a
tossire
convulsamente, aggiungendo altri schizzi di succo ai lasciti della
fontana. Lo
guardo strozzarsi con la coda dell’occhio per qualche secondo,
soffermandomi a
riflettere su come sia vedere noi Malandrini dall’esterno per tutto il
tempo,
senza i retroscena, e infine decido di non soffermarmici affatto.
Non
faccio in tempo a riprendere in mano il cucchiaio,
che una busta giallognola piomba con uno splash
nel mio piatto, dando il colpo di grazia alla tovaglia e al mio
maglione.
Non so che problema abbiano i gufi di questo castello, o se abbiano un
problema
tanto per cominciare: ai primi anni pensavo si trattasse di cattiva
mira o
vista, od entrambe, ma dopo sei anni sono giunto alla conclusione che è
voluto,
c’è una qualche gara annuale tra i volatili e chi riesce a centrare più
piatti
e soprattutto più liquidi ha diritto ai posti migliori in Guferia.
La
busta, come scopro solo dopo averla ripescata ed
asciugata con la bacchetta, non è nemmeno la mia.
«Sono
ufficialmente zio» ci informa Sirius, riprendendo
la foto che aveva lasciato perplesso sul tavolo prima di leggere la
lettera. «E
l’ha chiamata Ninfadora».
C’è
un che di disgustato nel modo in cui lo dice, e non
riesco a biasimarlo al cento per cento, ma c’è anche una luce calda nel
suo
sguardo mentre si posa sulla foto della bambina, qualcosa di raro e
inaspettato
negli occhi di Sirius, quasi fuori posto.
È
una Black e si
vede.
Avrà
a malapena un
mese, ma un folto ciuffo di capelli neri come l’inchiostro svetta già
sulla
pelle chiara e gli occhi sono grandi ed espressivi, meno affilati di
quelli di
Sirius, ma dello stesso grigio glaciale. Non ho mai visto la cugina di
Sirius
né suo marito, ma non è difficile intuire da chi abbia preso la bambina.
«Anch’io
voglio essere zio, chiedi ad Andromeda se posso
essere lo zio Prongs» sta dicendo James entusiasta.
«Non
funziona così, James».
«Certo
che sì, e poi tua cugina mi adora» insiste James,
mentre io aggrotto la fronte, cercando di mettere meglio a fuoco la
foto: il
ciuffo di capelli che poco fa mi erano sembrati così palesemente color
petrolio, dello stesso identico ed intenso nero di Sirius, ora non
sembra più
così scuro. Riguardando la foto, sembra addirittura più castano che
nero. «Continuava
a ringraziarmi quando siamo andati a trovarla quest’estate».
«Grazie per aver
ospitato Sirius non vuol dire ti
prego diventa lo zio di mia figlia, James».
«Non
aveva gli occhi grigi prima?»
«Cosa?»
Sirius
mi lancia un’occhiata perplessa, mentre io gli
porgo la foto.
«Prima
aveva gli occhi grigi. Ora sono azzurri. È
normale?»
Sirius
alza le spalle.
«Non
ci ho fatto caso onestamente».
«Sei
già uno zio modello. Ti ci vedo a tornare dal parco
con la bambina sbagliata perché ‘non ci ho fatto caso onestamente’» lo
scimmiotta James, che evidentemente spera di guadagnare punti come
papabile zio
screditando quello vero.
«Aspettate,
ora sono verdi. Questa foto è rotta, perché
continua a cambiare colore?»
Questa
volta Sirius si spreca addirittura a prendermi la
foto dalle mani, e dopo averla scrutata per qualche secondo mi lancia
un’occhiata di compatimento.
«Moony,
stai delirando, sono azzurri, guarda» E il fatto
è che, come constato mentre mi mostra la foto, ora sono davvero
azzurri, ma
fino a venti secondi fa potrei giurare che fossero di un bel verde
acceso. «Azzurri
come quelli di Ted, il padre. Tutto nella norma.»
Peter
e James concordano evidentemente con Sirius, o
almeno è quello che mi dicono i loro sguardi perplessi fissi su di me,
ed io mi
sento molto astuto e molto stupido allo stesso tempo, perché sto
notando cose
che nessun altro vede e questo mi rende estremamente furbo e
intelligente, e
perché sto notando cose che nessun altro
vede, e questo mi rende pazzo.
«Posso?»
chiedo allungando la mano verso la lettera,
perché ho sempre avuto questa innata e disdicevole curiosità che mi
spinge ad
essere eccessivamente attratto dalle cose personali degli altri.
Fortunatamente
nessuno dei miei amici ha ben chiaro il concetto di privacy e così
Sirius
annuisce distratto.
Non
l’ho mai vista di persona, ma non è la prima volta
che leggo una sua lettera e per quel poco che posso dire di conoscerla,
mi
piace Andromeda. Mi piacerebbe a priori, anche se fosse la persona più
antipatica sulla faccia della terra, per il semplice fatto che è
gentile con
Sirius e gli vuole bene e non lo chiama traditore. Potrebbe mantenersi
uccidendo gattini a mani nude e le sarei comunque grato per essere una
delle
due persone nella famiglia Black a non odiare il mio amico, ma la
realtà è che
Andromeda non è affatto antipatica e non si mantiene uccidendo gattini,
e mi
piace davvero.
Ha
la stessa inconfondibile ironia un po’ pungente di
Sirius, ma è molto più dolce e affettuosa e c’è sempre un che di
materno nelle
sue lettere, nonostante abbia solo pochi anni in più di Sirius.
Sembra
più matura dell’età che ha ed è quando leggo di
quanto la madre di Ted l’abbia aiutata durante e dopo la gravidanza che
realizzo che ha solo vent’anni e che probabilmente se è così facile
dimenticarlo è proprio perché la sua di madre invece non c’è stata dal
giorno
in cui si è fidanzata con un Nato Babbano, e in un certo senso anche da
prima.
La
sorella di Ted passa da noi un giorno sì e uno no, ma Dora ha occhi
solo per
Alphard (così come li abbiamo sempre avuti noi d’altro canto). È qui ora, dice che è contento che sei
bloccato a scuola, così può godersi di essere lo zio preferito ancora
per un po’,
perché appena ti vedrà diventerai tu quello. Ha ragione naturalmente.
Mi secca
ammetterlo perché gradirei che lo zio preferito di mia figlia non fosse
un
ragazzino spericolato e con tendenze piromani, ma così è la vita.
Mi
renderai una madre apprensiva e seccante, sai, e potrai biasimare solo
te
stesso perché mi costringerai a sgridarti quando la trascinerai con te
in
situazioni assurde e totalmente non sicure, quando le porterai regali
inappropriati per una bambina e quando non avrai alcun filtro come tuo
solito,
e dato che allora sarò impegnata a riprenderti voglio dirtelo adesso:
grazie.
Grazie per tutti i casini che combinerai e per lo zio assolutamente
fuori di
testa che sarai per mia figlia, perché adesso come negli anni scorsi tu
sarai
sempre l’unica famiglia di cui ho bisogno.
Con amore,
MedaCon amore,
«Ahah!
Saluta James
e gli altri, James, e gli altri!»
James,
chinato su di me, esulta trionfante ed io
sobbalzo, mentre Sirius alza gli occhi al cielo.
«Di
nuovo, Prongs, è saluta
James, non saluta James e chiedigli
se vuole diventare zio».
«Hai
solo paura che ti ruberei
il ruolo di zio preferito. Cosa che farei, chiaramente».
«Finita
la scuola mi comprerò una moto,
James. Una moto. Sarò lo zio
preferito di chiunque nel raggio di miglia».
P.P.S.
Ho mandato la foto anche a Regulus e Narcissa.
Lo
so, non fare quella faccia: sono un’idiota
senza speranza e non risponderanno mai, ma
volevo che lo sapessero da me.
«Sirius, tutto nella norma un corno, i capelli di tua nipote sono appena diventati rosa».
**********
Sirius
è intrattabile da mesi e febbraio è
quasi giunto al termine quando succede quello che era solo questione di
tempo
che succedesse.
Peter
è da qualche parte con Hestia, come
sempre ultimamente, il che sarebbe classificabile come tradimento vero
e
proprio secondo le regole non scritte dei Malandrini, se non fosse che
fino a
qualche mese fa eravamo tutti convinti che sarebbe morto vergine,
quindi per
ora possiamo chiudere un occhio. Remus è alla riunione dei Prefetti
invece e
questo è tradimento a tutti gli effetti, mentre Sirius se ne sta
accanto a me
con le gambe a penzoloni e la schiena abbandonata contro l’ampia
vetrata di una
delle finestre del corridoio di Trasfigurazione, gli occhi annoiati che
vagano
tra i gruppetti di studenti che passeggiano senza meta di fronte a noi.
Le
figurine volanti in lontananza sono
sparite già da qualche minuto e scorgo ora una piccola processione che
si
allontana dal campo da Quidditch verso il castello, attraversando il
parco
illuminato da un sole inaspettatamente caldo. Frank e Mike stanno
chiacchierando a pochi passi da me e vorrei convincerli a buttarci in
un
allenamento dell’ultimo minuto, approfittando del bel tempo e del campo
libero,
se non fosse che c’è un motivo se sto indugiando qui invece di tornare
in Sala
Comune: sono quasi le sei, l’ora in cui Evans mi aspetta nell’aula di
Pozioni.
Sto appunto per congedarmi da Sirius, quando noto che la sua mascella
si è
irrigidita impercettibilmente e anche se quello è l’unico segno
visibile, ora
tutto in lui mi trasmette irritazione.
Mentre
ci sfilano davanti, Piton lancia
un’occhiata velocissima nella nostra direzione, senza soffermarsi
precisamente
su Sirius, e potrebbe quasi sembrare che stesse solo guardando il parco
alle
nostre spalle, se non fosse per l’evidente soddisfazione nei suoi
occhietti
neri. Dura qualche secondo appena e Regulus Black non pare notarlo,
mentre
continua a camminargli affianco e a parlare con Avery, fino a che tutti
e tre
non spariscono oltre l’angolo alla fine del corridoio.
Non
era così all’inizio, ci ha messo un po’
Piton ad accorgersi che la nuova aggiunta al suo gruppetto infastidiva
Sirius,
ma da quando l’ha notato – e che l’abbia notato nonostante Sirius non
abbia mai
detto una parola è solo l’ennesima prova di quanto sia ossessionato da
noi –
non manca mai di rivolgergli occhiate compiaciute, quasi a sfidarlo a
fare
qualcosa. E non è solo il fatto che è Piton e che Sirius lo odia, è che
tutti
qui a scuola sanno cos’hanno in comune lui, Avery, Dolov e ogni altro
membro di
quel gruppetto, che siano del settimo o del sesto anno: lo sa bene Mary
MacDonald, su cui Mulciber ha usato una maledizione senza perdono
l’anno scorso,
ed è più del semplice interesse per la magia nera, più dei sanguesporco
sussurrati con disprezzo tra una lezione e l’altra, e
la verità è che ogni tanto viene da chiedersi se non ce l’abbiano già
tatuato
sul braccio quel teschio spettrale, o se faccia una qualche differenza,
che
l’abbiano già oppure no.
«Sirius»
dico, e sto infrangendo le regole,
perché Sirius non ha mai nominato suo fratello da quando se n’è andato
di casa
e mi ha sempre fatto capire silenziosamente quanto non gradisca alcuna
intromissione nel suo fingere di essere figlio unico.
«Non
m’interessa» mi taglia subito infatti,
scendendo dal davanzale e guardandosi attorno come alla ricerca di
qualcosa da
fare. «Ho detto che non m’interessa» ripete freddo quando faccio per
aprire
bocca di nuovo. «Ora piantala di fissarmi e vai a fare esplodere le
pozioni in
faccia ad Evans, io ho da fare».
«Cosa
devi fare?» mi informo cautamente.
«Allagare
i sotterranei».
«Adesso?»
Non
è che allagare i sotterranei sia
sbagliato di per sé, allagare i sotterranei è anzi un’ottima idea, è il
nostro
piano di fine anno e questo è il punto: è il nostro piano
di fine anno,
da mettere in atto a fine anno e non ora, tutti insieme e non da soli,
quando
Remus avrà scoperto le tempistiche con cui Silente rafforza gli
incantesimi di
protezione del vetro e quando il piano non sarà solo una vaga idea
dell’obbiettivo ma effettivamente un piano, articolato e ben studiato
in modo
da non finire tutti in punizione o annegati.
«Adesso,
sì» replica Sirius, a cui tutto questo evidentemente non interessa.
«D’accordo,
ma dobbiamo ancora provare gli
incantesimi e tutto, e ci servono Remus e Peter» cerco di farlo
ragionare. «Non
puoi semplicemente...»
«Tu
sta’ a guardare» conclude Sirius con
sfida, facendo per allontanarsi, perché certo che può invece e non è
come se
ora io avessi qualche speranza di convincerlo a desistere.
«Sirius,
ti
prego, non posso farmi mettere in punizione prima della partita»
sussurro
esasperato, affrettando il passo per stargli dietro. Sirius si ferma e
si volta
scocciato.
«Non
ti ho chiesto di venire».
«Non
hai bisogno
di chiedermelo» replico infastidito, passandomi nervoso la mano tra
i
capelli. «Ok, aspetta un attimo» aggiungo con un sospiro, prima di
raggiungere
il gruppetto qui vicino con una veloce corsetta.
«Frank,
amico, avviseresti Evans che non
posso andare a ripetizioni oggi? Grazie!»
Prima
che Frank abbia il tempo di rispondere
sono di nuovo di fronte a Sirius.
«È
un suicidio, ma se vuoi allagare i
sotterranei adesso, completamente allo sbaraglio e senza uno straccio
di piano,
allagheremo i sotterranei adesso, completamente allo sbaraglio e senza
uno
straccio di piano. Andiamo, ho il mantello».
**********
È
ora di cena e la Sala Comune è praticamente
vuota, ma quando Potter fa il suo ingresso ogni singola testa si volta
verso di
lui, perché la notizia ha già fatto il giro della scuola.
«È
questo
che dovevi fare, Potter?» Lupin, che era a qualche poltroncina di
distanza
da me, si alza non appena vede il suo amico, ma la prima a raggiungerlo
sono
io. «Allagare la Sala Comune di
Serpeverde?»
Non
sono mai stata così furiosa con Potter in
vita mia ed è una bugia naturalmente, perché sono abbastanza sicura di
esserlo
stata ad un certo punto, anche più di una volta, che Potter è così
bravo a
farmi perdere le staffe, ma il punto resta: non sono mai stata così furiosa con Potter in vita
mia.
«Evans»
inizia stancamente e quello non è il
tono di chi sente di doversi scusare o di chi si sente anche solo
minimamente
in difetto, perché quando mai potrebbe capitare ovviamente. Mi lancia
un’occhiata stanca e vagamente esasperata ed io mi sento così
stupida. Questo non fa che irritarmi di più, perché non mi
piace sentirmi stupida, non sono stupida,
sono una brillante e promettente giovane strega, come ripete sempre
Lumacorno,
e allo stesso tempo la faccia tosta di Potter è proprio qui davanti a
me ora ed
è la prova lampante e innegabile di quanto io sia in realtà
incredibilmente
stupida.
«Mi
piace scrivere sui muri, Potter» sbotto cercando
di abbassare la voce. «Scrivere, disegnare, scarabocchiare, qualunque
cosa: mi
piace imbrattare i muri. E sai
perché? Perché non lo puoi fare quando sei in una casa babbana senza
magia»
Potter non ha chiaramente idea di quale sia il punto ed è chiaro dal
modo in
cui mi guarda che si sta sentendo stupido in questo momento, e la cosa
mi
suscita un appagamento maligno, che nessuno prima di lui mi aveva mai
fatta
sentire tanto stupida. «Non lo puoi fare perché non si cancella tutto
con un
tocco di bacchetta, devi uscire di casa, comprare un barattolo di
vernice e poi
passare la vernice, o guardare i tuoi che passano la vernice, e nessun
genitore
babbano è felice di passare la vernice e poi aspettare che l’odore
lasci
finalmente la stanza, ragione per cui ogni bambino babbano sa
che non può scrivere sui muri» Ed è così confuso ora.
«Questo non accade ad Hogwarts, dove tutti usano
la magia anche solo per scaccolarsi, quindi a
volte, quando mi gira, disegno sul muro della mia camera e poi
cancello
tutto con un tocco di bacchetta, in mezzo secondo, senza vernice
coinvolta. E
ti sto dicendo tutto questo» Potter pareva sul punto di volermi
interrompere,
ma qualcosa nei miei occhi e nel mio
tono deve avergli fatto cambiare idea. Credo anzi di aver appena dato
un pugno
a Potter con gli occhi. Sembra qualcosa di fisicamente impossibile, ma
sono
abbastanza certa che questo sia esattamente quello che ho appena fatto,
e che
fosse un gancio di tutto rispetto. «Perché scarabocchiare sulle pareti
della
mia camera per poi cancellare tutto è solo uno
degli infiniti modi in cui preferirei e
avrei preferito passare i miei venerdì sera invece che chiusa nei
sotterranei
con te che forse vuoi davvero imparare qualcosa o forse no, non è dato
sapere,
essendo tu un dannato aspirapolvere» A Potter non piace la parola
aspirapolvere
e di nuovo devo intensificare l’ostilità che emano tutta d’un colpo per
impedirgli di interrompermi. «E nonostante questo, ti è sembrato che io
fossi
in camera mia a scrivere sui muri lo scorso venerdì? Ho fatto anche
solo mezzo segno sul muro dell’aula di
Pozioni? No, perché so rispettare gli impegni presi. Impegno,
cercalo sul dizionario quando hai tempo. Se poi vuoi
strafare cerca anche rispetto».
«Questa
cosa è incredibilmente
melodrammatica, Evans».
E
gli basta così poco. Non c’è un perché, certe cose sono così e
basta e Potter è sempre stato tra tutti l’unico in grado di
risvegliarmi
sensazioni così forti, anche più di Deabourn, che era il mio ragazzo, e
di
Dean, che è il mio ragazzo. E sono sempre sensazioni negative,
com’è
naturale, agitate, ostili e incontrollabili, ed è parecchio frustrante
come
proprio Potter abbia il potere di insinuarsi così a fondo negli
equilibri del
mio controllo, e come gli venga naturale. Vorrei essere più lucida in
questo
momento, forse per trovare le parole migliori per farlo capire a lui,
che
davvero non se ne rende conto, o anche solo per realizzare io stessa
che non
vale la pena infuriarsi con Potter e cercare di spiegargli come ci si
comporta
tra essere umani decenti.
«Sei
viziato oltre il livello del ridicolo»
dico e mi trema la voce. «Così tanto che non te ne rendi nemmeno conto,
perché
ti pare scontato che le persone
stiano ai tuoi comodi, come se ti fosse dovuto, pronte a prodigarsi per
qualcosa di cui a te per primo importa meno di zero».
«Mi
importa,
Evans, o non te l’avrei chiesto». E ha di nuovo quel tono vagamente
stanco ed
esasperato, come se fosse lui quello che sta facendo un favore a me e
non il
contrario.
«Oh
sì, ti importa così tanto che nella tua
scala di priorità è subito sotto ad allagare la Sala Comune di
Serpeverde» Non
è l’aver accettato in primo luogo di aiutarlo a farmi sentire
particolarmente
stupida, è che quando Frank è venuto da me all’ultimo momento a
riferirmi il
suo messaggio, io ho effettivamente
pensato che Potter avesse avuto un contrattempo. L’ho dato per
scontato,
sei anni che lo conosco e nonostante questo ho dato per scontato che
avesse un
vero motivo per darmi buca all’ultimo secondo. Ed è ridicolo che non me
lo
aspettassi, che sentirlo dal resto della scuola il vero motivo mi abbia
spiazzata, perché che Potter semplicemente non avesse voglia e abbia
deciso di
volersi divertire coi Serpeverde è quanto di più naturale ci sia al
mondo e tuttavia non me lo aspettavo, per
qualche assurdo motivo io non me lo aspettavo, ed è questo che mi fa
sentire
così stupida ora, e che mi fa battere il cuore dalla rabbia. «Oggi ho
passato
tutto il pomeriggio in punizione, perché non sono rimasta sotto quel
dannato
mantello e il tutto sempre per aiutare te, e subito dopo sono scesa
nell’aula
di Pozioni, sempre per, indovina un po’, aiutare te e tu non ti sei
presentato
perché avevi l’urgenza di allagare i
sotterranei pare, e poi te ne vieni
qui con la tua faccia tosta, senza uno straccio di spiegazione, a dirmi
che
sono melodrammatica».
Il
mio sbuffo incredulo a coronare il tutto
dovrebbe aiutare Potter a processare quanto sia ridicola la situazione,
ma lui
pare essersi perso a metà strada.
«Non
ti ho mai chiesto di toglierti il mantello, Evans. Il
punto era proprio che
te lo tenessi addosso, pensa».
«Ma
mi hai chiesto di aiutarti con Pozioni, sì? O forse
me lo sono sognata,
sto facendo tutto io perché ho questa insana voglia di aiutarti, così a
caso».
Sbuffo con una risata. «E me lo sono tolta perché pensavo che fosse la
cosa
giusta, e che sotto sotto fossi in qualche modo una persona decente, e
invece mi
hai confermato per l’ennesima volta che non ti importa di niente e
nessuno, non
di diventare Auror, non di non farti buttare fuori dalla squadra di
Quidditch e
far perdere la tua squadra di nuovo, niente».
E
l’ultima cosa la aggiungo solo perché non gliene
frega nulla nemmeno di qualunque cosa io abbia detto ed è frustrante
che io sia
l’unica infuriata tra i due. «Né dei tuoi amici».
«Prego?»
«Black
è in punizione e tu no» replico con
un’alzata di spalle e un’occhiata eloquente. «Oh, fammi indovinare,
‘non
gliel’hai chiesto tu’».
Ed
è solo un lampo oltre le lenti quadrate
prima che una maschera di freddezza prenda il suo posto, ma finalmente
non sono
più l’unica ad aver perso le staffe, ed è evidente anche nel modo in
cui vibra
la sua voce apparentemente calma.
«Wow,
Evans. Devi insegnarmi come fai a
passare tutto il tempo a giudicare ogni singola cosa e riuscire ad
essere
comunque tu quella umile tra i due».
Ma
certo, rigira tutto.
«Sai
che c’è, Potter? Se non interessa a te,
non aspettarti che importi a me».
*
È
solo quando Lily sparisce oltre le scale
del dormitorio femminile senza voltarsi indietro, che James si accorge
dei miei
occhi puntati su di lui e del fatto che sono stato qui in piedi tutto
il tempo.
«Stai
aspettando per dare di matto anche tu?»
Sono
effettivamente in fila, non lo posso
negare, ed ora che è arrivato il mio turno non sono sicuro di cosa
dovrei
farci. Voglio dire, dare di matto è il primo e naturale istinto che mi
ha
portato ad alzarmi non appena James è entrato dal ritratto, ma non c’è
nulla di
più controproducente del dare di matto saltando la fase delle indagini
e degli
accertamenti.
«Sto
valutando».
«Beh,
mentre valuti io salgo in camera».
«Oppure
potresti dire qualcosa che mi aiuti a valutare» aggiungo seguendolo.
«Lo sai, è
un’opzione questa. Spiegare le cose
alle persone invece di innalzare un muro di ego ferito e frecciatine.»
«No,
non è un’opzione spiegare ad Evans che
cosa...e non dovrebbe essere necessario con te, lo sai già
che cos’è successo, ok? Dovresti saperlo.»
C’è
un che di sfiancato nel tono di James che
traspare anche dalla linea sconfitta delle spalle mentre mi precede
lungo il
corridoio del dormitorio, ma c’è anche una nota indispettita ed è così
evidente
quanto sarebbe più vantaggioso per tutti, lui in primis, se ogni tanto
mettesse
in pratica il consiglio che gli ho appena dato, quasi evidente quanto
il fatto
che non lo farà nel corso di questa vita.
La
porta della nostra camera si chiude alle
mie spalle ed io sospiro.
«Che
cos’ha?»
Non
sapevo cosa fosse successo fino a pochi
minuti fa, ma James ha detto che dovrei saperlo
ed in effetti lo so.
«Regulus
ha iniziato a girare con Piton e il
resto degli altri probabili aspiranti Mangiamorte» risponde e ora che
non si
sente più sotto accusa è sparita ogni traccia di ostilità dalla voce.
«Il che
fa di lui un probabile aspirante Mangiamorte.»
E
il fatto è che James era così chiaramente
l’idiota fino a pochi secondi fa, mentre ora sono io l’idiota. A mia
discolpa,
non c’è un particolare motivo per cui dovrei far caso alle
frequentazioni di un
Serpeverde di un anno indietro a noi, eccetto che c’è, eccetto che
James a
quanto pare lo ha fatto, ed ora Piton che finisce nel lago senza che
Sirius
tocchi neppure la bacchetta ha molto più senso.
«Dov’è
adesso?»
«Dal
preside, credo. Il mantello che si è
inzuppato ha reso complicata la ritirata e Sirius ha attirato
l’attenzione per
farmi dileguare» Non ci sarebbe stato nessun mantello fradicio se
avessimo
aspettato la fine dell’anno e pianificato il tutto come previsto, ma
non è come
se fosse un’informazione nuova per qualcuno nella stanza. «Pensano che
abbia
fatto tutto da solo – e non è difficile da credere, visto l’esito
disastroso.»
«Lo
sa tutta la scuola che non era solo,
James.»
«Non
lo sanno i professori» James alza le
spalle, prima di lasciarsi cadere a peso morto sul letto, ancora con le
scarpe.
«Lo
sa la tua squadra» insisto e James sposta
gli occhi dal soffitto del baldacchino per piantarli nei miei. «Che si
chiederà
se soffri di bipolarità, dall’impazzire per farti perdonare per l’anno
scorso al
rischiare tutto così prima della partita più importante.»
«Lo
sai perché l’ho fatto.»
«Io lo
so perché hai rischiato di mandare tutto all’aria di nuovo, certo che
lo so»
continuo spedito, vagamente consapevole del mio tono sempre più
infervorato. «Ma
la tua squadra non lo sa, Lily non lo sa, la McGranitt non lo sa e se
ti avesse
beccato sarebbe stata costretta a buttarti fuori dalla squadra. E tu
sei stato
praticamente costretto a farlo lo stesso, anche se non volevi, per il
semplice
fatto che non riesci a mettere nulla di fronte ai tuoi amici. E Sirius
lo sa.»
Si
è messo a sedere ora e capisco da come mi
guarda che ha capito dove voglio andare a parare e che non gli piace
per nulla,
ma io non mi lascio interrompere.
«No,
ascolta, è anche il mio migliore amico, lo so com’è
fatto, ok? Non c’è bisogno
che me lo dici. Lo so che a volte non pensa e tutto, è solo che sto
aspettando
che tu mi dica di non fargli nessuna scenata e lasciarlo stare quando
torna da
quando sei entrato in questa stanza, perché sappiamo entrambi che è
quello che
stai per dirmi, quindi se non posso farla a lui la faccio a te, e non
perché
sono un insopportabile Prefetto, non mi importa nulla delle regole, è
che è sbagliato e basta. Mi sento un idiota
per non essermi reso conto di Regulus e lo sai che passerò i prossimi
giorni a
scervellarmi nel trovare una soluzione a un problema senza soluzioni
perché è
anche il mio migliore amico e gli voglio bene, ma questo non lo
giustifica nel
fregarsene così degli altri. Di te.»
Il
silenzio segue le mie parole per diversi
secondi, mentre James si porta le mani alle tempie e chiude gli occhi,
sospirando.
«Perché
siete tutti così melodrammatici oggi?» scuote la testa, ma c’è un
mezzo
sorriso a piegargli le labbra mentre mi lancia un’occhiata di
sottecchi.
«Si
è praticamente consegnato a Lumacorno,
Moony» aggiunge.
«Lo
so. Non sto dicendo che non gli importa
nulla e non so perché sto facendo il melodrammatico.» Forse è perché
continuo a
pensare all’altra volta in cui Sirius
era arrabbiato per via della sua famiglia e ha agito senza pensare,
all’altra
persona di cui se n’è fregato quella volta, quando mi ha mandato
Severus Piton
alla Stamberga. «Sarà che ti ho appena visto incasinare ulteriormente
la tua
già precaria situazione con Lily pur di non tirarlo in ballo, e non è
con lui
che se la prenderanno i nostri compagni per la tempist...»
«Remus.»
E
il suo tono dice dacci un taglio ed
io ce lo do davvero, perché non c’è motivo.
Il
fatto che James pensi che Sirius abbia assolutamente ragione o
palesemente
torto non ha la minima rilevanza: lo difenderà comunque a priori, anche
a costo
di litigare con tutta Hogwarts, per il semplice fatto che è il suo
migliore
amico.
Ed
essere il migliore amico di James Potter è questo: passare
più tempo in punizione che a lezione e ritrovarsi spesso
corpi estranei e pericolosamente viscidi nelle mutande, ma anche avere
la
certezza assoluta che lui sarà al tuo fianco, indipendentemente da
quanto
grossa tu l’abbia combinata. James riesce
a darti quella sicurezza assoluta che ci sarà sempre, la stessa
sicurezza di
cui Sirius ha maledettamente bisogno.
E
una parte di me si sente appena un po’ frustrata da questo, perché è il
motivo
per cui ho appena fondamentalmente parlato al vento per dieci minuti,
ma tutte
le altre parti di me si sentono esattamente dove dovrebbero essere,
perché è la
stessa sicurezza di cui ho bisogno anch’io, la stessa sicurezza che è
alla base
di tutto.
Forse
non è giusto e sicuramente non è un rapporto perfetto, ma il punto dei
Malandrini è sempre stato questo, un sorriso in risposta al nostro lato
peggiore.
**********
«Quindi
tu sei sicuro che non abbia detto nulla su di me»
ripeto per l’ennesima
volta, fissando corrucciata gli strani caratteri del libro che sto
cercando di
decifrare da dieci minuti. Vorrei gettarlo nella sezione di Antiche
Rune e
basta, perché è lì che merita di stare dato che è un unico
incomprensibile
scarabocchio a partire dal titolo, ma la mia parte più diligente me lo
impedisce, perché so che non sono
rune, quello che non so è cosa diavolo siano. «E sei sicuro di non aver
mai
visto questi simboli? Forse è elfico? O maride?»
«Evans,
se vuoi che ti dica che non sei più in punizione te lo dirò» Black mi
lancia
un’occhiata esasperata, ignorando il volume che sto spingendo verso di
lui. «Ma
la McGranitt non mi ha detto di
dirtelo, non mi ha detto proprio nulla infatti». Finalmente Black pare
pronto
ad aiutarmi e afferra il libro tirandolo verso di sé. Sono ancora
corrucciata,
ma il suo gesto mi rallegra appena, perché in due riusciremo
forse a capire che razza di
alfabeto sia questo e in quale sezione ficcare il dannato libro, magari
troveremo anche un dizionario di questa strana lingua per poter
tradurre il
titolo e schedarlo correttamente, e poi la fata turchina scenderà tra
noi e
trasformerà tutto in zucchero filato. Non sono cose che succederanno
queste,
scopro mentre Black chiude il libro senza nemmeno sfogliarlo e lo va a
nascondere con nonchalance nella mensola più bassa di uno scaffale a
pochi
passi da noi.
Ho
passato abbastanza giorni quest’anno sotto le dipendenze schiavistiche
di
Madama Pince per sapere che cosa significa non schedare un libro e
soprattutto
non riporlo nella sezione giusta: quello che è appena successo qui,
quello di
cui mi sono resa complice con il mio silenzio, è il reato più grave
commettibile in una biblioteca. Abbiamo appena ucciso quel
libro. Black non è turbato dall’atto commesso, e si
risiede anzi al tavolo di fronte a me con una soddisfazione visibile in
volto.
«Se
Madama Pince scoprisse...»
«Siamo
già in punizione, Evans» Black alza
le spalle. «A tempo indeterminato. Che cosa possono fare?»
«È
esattamente quello che mi chiedo da
ieri, Black» E nello stesso momento in cui la mia voce sfiora il tono
massimo consentito,
sento l’occhiata fulminante di Madama Pince scottarmi la nuca. «Non
dovresti
essere più in punizione di me? Voglio
dire, avevamo la stessa punizione, ma ieri tu hai rischiato
l’annegamento
tentando di allagare i sotterranei, mentre io non l’ho fatto, ed ora
abbiamo di
nuovo la stessa punizione?».
Black
scrolla le spalle, non particolarmente interessato. «I vantaggi delle
punizioni
a tempo indeterminato, immagino».
«Se
io fossi la McGranitt» continuo pensosa. «E avessi due studenti
entrambi in punizione
a tempo indeterminato, e uno finisse di
nuovo in punizione, ci terrei a marcare la differenza. Nello
specifico,
farei finire la mia punizione subito,
così da raddoppiare il tuo carico di
lavoro, conseguentemente al tuo numero di punizioni. Questo
è quello che farei» Black non mi sta ascoltando, ma il mio ragionamento
fila così tanto da non necessitare della sua attenzione, mentre d’altro
canto
necessiterebbe invece solo di due sue paroline per tramutarsi in
realtà.
«Quindi tu mi confermi che la McGranitt non
ti ha detto di finire da solo».
«Mh-mh.
«E
non ti ha detto che io posso andare».
«Mh-mh.»
«Non
ti ha nemmeno fatto il mio nom-»
«Meno
parole» La voce piccata di Madama Pince è all’improvviso alle mie
spalle e mi
fa sobbalzare. «E più libri».
Con
un colpo secco prende uno dei volumi dalla pila al mio fianco e me lo
piazza
davanti, prima di aumentare il passo verso l’ala di Trasfigurazione.
«Signor
Potter, abbassi la voce!»
Non
vedo Potter dall’amabile scambio di ieri sera e in linea di massima non
sarei
particolarmente felice di condividere la stessa stanza con lui in
questo
momento, anche se è una stanza molto grande e piena di scaffali e
corsie che lo
nascondono alla vista, ma d’altro canto Madama Pince è sempre più
portata a
girare attorno al suo tavolo come uno squalo e lasciare a me un po’ di
respiro
quando c’è lui: ancora non le va giù che la McGranitt gli abbia dato il
permesso eccezionale di usare la magia in biblioteca durante le sue
ripetizioni
ai ragazzini del primo. Il pericolo di una fattura è chiaramente più
spaventoso
di quello di un’errata schedatura ai suoi occhi e così mi concedo di
stiracchiarmi ignorando il libro davanti a me ancora per un po’, quando
Black
rompe il silenzio.
«Era
un pessimo piano, sai.»
Lui
ha sempre qualcosa di arguto da ribattere ogni volta che gli rivolgo
accidentalmente la parola e così vorrei ricambiarlo con la stessa
moneta ora,
se non fosse che sono troppo spiazzata dal fatto che Black mi abbia
appena e a
tutti gli effetti rivolto la parola di sua spontanea volontà.
«Me
ne sono accorta» replico distaccata, sfogliando a caso le pagine sotto
di me e
simulando indifferenza. Sono in realtà curiosa come una scimmia, perché
ci
dev’essere un punto a cui vuole arrivare se si mette a parlare con me
più dello
stretto necessario.
«È
perché era pensato per quattro persone, non due» Anche se è lui quello
che sta
parlando, il modo in cui continua a copiare svogliatamente titoli di
libri
sulla sua lista senza guardarmi e il tono distratto fanno sì che sembri
comunque lui quello meno interessato alla conversazione. Il che è
ridicolo, ma
è anche probabilmente vero, visto che ora non posso più trattenermi dal
lanciargli occhiate di sottecchi: Sirius Black mi sta raccontando del
modo
disastroso in cui è finito in punizione e non c’è nulla nel nostro
comune
passato che lo spieghi. «E doveva ancora essere rifinito. Se avessimo
aspettato
la fine dell’anno, come previsto, avremmo effettivamente annegato mezza
Casa di
Serpeverde senza bagnarci un dito.»
«Tutto
e subito, tipico di Potter.»
Il
mio piano era non interromperlo e attendere in silenzio il punto, ma il
groviglio di livore e dispetto che mi si accende solitamente
all’altezza del
petto quando penso a Potter si è fatto più rumoroso da ieri sera.
Black
smette di scrivere e alza gli occhi su di me come a soppesarmi,
rigirandosi la
piuma tra le dita.
«James
non aveva voglia di dare l’assalto alla Sala Comune dei Serpeverde con
un piano
incompleto e potenzialmente suicida» dice dopo qualche secondo, prima
di
tornare a scrivere. Automaticamente sbircio la sua lista per
controllare che
non stia scarabocchiando cose a caso, essendo che io ad esempio non
sono in
grado di scrivere e parlare al tempo stesso, ma la calligrafia elegante
forma
effettivamente il titolo del libro che ha di fronte e immagino che
quello che
sta aggiungendo ora sia l’autore corretto. «Non aveva voglia nemmeno di
saltare
la vostra lezione.»
Lo
sbuffo sarcastico mi esce dritto dal cuore.
«Scommetto
che gli hai puntato la bacchetta alla gola per costringerlo a venire
con te
infatti.»
Black
alza le spalle.
«Non
ho insistito» E smette di nuovo di scrivere per guardarmi. «Non devo
mai
insistere.»
E
pare non abbia altro da aggiungere, ma continua a fissarmi dritto negli
occhi
ed è come se stesse ancora parlando, perché non c’è l’imbarazzo che
dovrebbe
per buonsenso esserci quando due tizi se ne stanno seduti in silenzio a
guardarsi e basta e non si stanno nemmeno simpatici, e non ho l’impulso
di dire
nulla né di staccare gli occhi dai suoi, proprio come se stessi ancora
ascoltando. C’è qualcosa di anomalo nel modo in cui mi guarda, senza la
solita
luce distaccata e vagamente beffarda, come se stesse effettivamente
cercando di
comunicare con me, e all’improvviso qualcosa fa click
e c’è Potter sulle scale del terzo piano che mi ride in
faccia di fronte al mio suggerimento di parlare con Black di qualunque
problema
abbia e poi la sua espressione esasperata di fronte alla mia
indignazione dopo
che mi ha dato buca e Black non ha dovuto
insistere.
È
come un lampo di luce all’interno di un aspirapolvere e Black riprende
a
scrivere senza più degnarmi.
«Ah.»
*********
Madama
Pince
continua a girare attorno al mio tavolo come un dannato squalo ed è
incredibilmente irritante. Pensa che non la veda solo perché si
nasconde tra
gli scaffali, come se non potessi sentire i suoi tacchetti fare tac tac tac sul marmo della biblioteca.
In
realtà non li
sento da un po’ ora e una parte del mio cervello mi sta infatti
gridando di
stare in allerta, che è tutto parte di un’imboscata e mi spunterà alle
spalle
da un momento all’altro, a piedi nudi e con un libro tra i denti, ma
tutte le
altre parti del mio cervello stanno dando una festa in una qualche
stanza del
castello molto lontana da qui, così continuo a fissare nel vuoto
vagamente
consapevole di avere la bocca socchiusa in un modo che probabilmente
non mi dà
l’aria brillante che si confà alla mia persona.
È
il bambino
brufoloso coi capelli rossi a destare la mia attenzione, e quando
ripete Fantastico James? per la terza volta mi
rendo conto che il sottofondo dei loro incantesimi borbottati si è
interrotto
da un pezzo.
«Sì,
Doug,
eccomi».
Ci
sono due Doug
tra questi tre bambini che la McGranitt ha reso miei e non ho ancora
capito
quali siano e quale invece non sia Doug, ma le statistiche parlano
chiaro e
così chiamare tutti Doug è per ora la strategia vincente, che ho solo
una
possibilità su tre di beccare invece Ron. Doug mi guarda con aria
perplessa
ora, ma questo non significa che non sia Doug, perché questi ragazzini
hanno
l’aria perplessa tutto il tempo, anche quando non vengono chiamati col
nome
sbagliato.
C’è
un fiammifero
di fronte a lui, a distinguersi dagli aghi degli altri due e a
proclamare il
suo trionfo, così gli do soddisfatto una pacca sulla spalla.
«Bravo
Doug» mi
complimento prendendo il fiammifero e studiandolo attentamente, prima
di
sollevarlo per farlo vedere agli altri. «Vedete, Doug è riuscito a
trasfigurare
il suo ago in un fiammifero perfetto, non è rimasta nessuna traccia di
colore
metallico o...»
«Ma
era già un fiammifero» protesta l’altro
Doug. «Ci hai detto di trasfigurare i fiammiferi in aghi! Noi ci siamo
riusciti, Doug no!»
Il
terzo Doug,
che forse è Ron, annuisce convinto, mentre io cerco di non cadere dalle
nuvole
in maniera troppo evidente.
«Giusto,
certo,
ritiro il bravo, Doug» Il primo Doug si riprende il fiammifero con aria
tutt’altro che felice e lancia un’occhiata ostile agli altri Doug,
prima di
avere un’idea malvagia e tornare a guardare me. Riesco a vederla mentre
gli
attraversa la mente come un lampo a ciel sereno e prima che me ne
accorga è
scoppiata una faida mortale tra i miei adepti.
«Non
è vero che
era già un fiammifero, tu ci hai dato degli aghi! Ron dice così solo
perché è
geloso che sono l’unico a cui è venuta la trasfigurazione!».
Ron,
che non era
Doug, non è d’accordo con questa affermazione e tutti e tre stanno
gridando
ora. È quando il Doug di sinistra prova ad accoltellare quello centrale
con il
suo ago che riprendo in mano la situazione – e l’ago.
«No,
Doug, fermo,
non si fa’! Zitti e fermi. Gli aghi a me, forza. Anche il fiammifero»
Non ho
un’idea precisa di quali danni fisici potrebbero arrecare con un
fiammifero, ma
il Doug centrale non sembra aver apprezzato lo sfiorato aghicidio e sta
chiaramente bramando vendetta. «Facciamo così, per oggi basta e venerdì
mi fate
vedere chi riesce a trasfigurare per primo il fiammifero.»
«Sì,
ma oggi chi
ha vinto?» insiste il Doug di destra.
«Io,
sono l’unico
che ci è riuscito» risponde subito il Doug centrale.
«No,
tu sei l’unico che non ci è
riuscito» Ed è un bene che il Doug di sinistra non abbia
più il suo ago.
«Oggi
è patta»
stabilisco. «Non c’è modo di scoprire chi sta mentendo. Esercitatevi
per
venerdì e vedremo.»
Non
è vero che
non c’è modo di scoprire chi sta mentendo, non c’è anzi proprio nulla
da
scoprire, che se anche non mi fossi ricordato che erano effettivamente
fiammiferi quelli da trasfigurare, uno degli aghi ha ancora la punta
rossa,
mentre l’altro ha la consistenza ruvida del legno, chiaro segno che
sono stati
trasfigurati malamente, ma provo troppa ammirazione per la prontezza
del Doug
centrale nel rigirare la situazione a suo favore per smascherarlo.
Il
solito coro di
ciao Fantastico James e poi i Doug si
allontanano ancora bisticciando tra loro, lasciandomi a riaccostare le
sedie al
tavolo con precisione millimetrica, così da non offrire a Madama Pince
ulteriori pretesti per puntare alla mia gola.
«Fantastico James?»
Uno
dei tre Doug,
quello che alla prima lezione e prima ancora di presentarsi mi ha
rinfacciato
di non aver preso il boccino all’ultima partita, non imprime mai nel
suo Fantastico James l’ammirazione e il
rispetto dovuti, ma non è nulla in confronto alla mancanza di
ammirazione e
rispetto con cui lo dice Evans.
«Mi
chiamavano
Signor Potter» spiego laconico. «Così gli ho detto che potevano invece
chiamarmi Fantastico James».
È
una storia
riduttiva e che salta diversi passaggi, a partire da quando gli ho
detto che
potevano chiamarmi James e loro hanno iniziato a chiamarmi Signor
James, per
passare a quando gli ho detto che potevano chiamarmi solo James e loro
hanno
letteralmente iniziato a chiamarmi Solo James, che era anche abbastanza
offensivo, come se James non fosse abbastanza, e in un altro momento
illustrerei ad Evans nel dettaglio la genesi di Fantastico James, ma al
momento
sono troppo impegnato a tenermi sulle mie.
Evans
mi fissa in
silenzio a qualche scaffale di distanza, mentre io faccio evanescere
gli aghi e
il fiammifero senza guardarla, ripassando mentalmente il litigio di
ieri nel
caso stesse per rinfacciarmi qualcosa.
«Ho
appena finito
la mia punizione» dice invece schiarendosi la voce. «Con Black.»
«Anche
io»
rispondo vago, iniziando a sondare il suo viso alla ricerca di indizi
sul suo
piano d’attacco. Sembra non averne uno, il che mi spiazza parecchio.
«Con i
Doug.»
«I
Doug?»
«I
miei adepti»
specifico accennando al tavolo, come se le loro entità fossero ancora
lì
sedute.
«Si
chiamano
tutti Doug?»
«La
maggior
parte.»
Evans
annuisce
pensierosa ed ecco di nuovo il silenzio vagamente teso di prima. La
fisso in attesa
per qualche altro secondo, mentre lei fa scorrere lo sguardo sulle
mensole
cariche di libri tutto attorno a noi, poi procedo guardingo. «Vuoi
qualcosa?»
«Sei
un idiota.»
L’indignazione
mi
assale potente, perché ero pronto e
invece è riuscita a colpire a tradimento lo stesso.
«Prego?»
«Black
me l’ha
detto» continua, indifferente al mio sdegno.
«Ti
ha detto che
sono un idiota?»
E
per un momento
Evans rispecchia la mia stessa aria perplessa.
«Che
cosa? No,
certo che no» scuote la testa. «Mi ha detto...tu perché
non me l’hai detto?»
«Oh,
io ti dovevo dire che sono un idiota»
sbuffo.
Evans
apre la
bocca e poi pare realizzare la mancanza di senso che ci aleggia attorno
e la
richiude. «Quindi» dice dopo un po’, come se si preparasse a risolvere
un
problema matematico. «Apparentemente non avevi pianificato di saltare
la
lezione di ieri sera» parla piano e c’è un implicito punto
interrogativo nel
suo tono e nei suoi occhi.
«Apparentemente»
confermo cauto.
«E
il motivo per
cui l’hai saltata» E di nuovo rallenta e mi guarda e se questo è un
gioco e si
aspetta che io finisca le sue frasi, sto perdendo miseramente. «Non
è...mi è
stata data l’impressione che non fosse tra i più egoistici al mondo».
Evans
parla al
rallentatore e anche il mio cervello va un po’ a rallentatore oggi, ma
pare che
Sirius abbia dato ad Evans l’impressione che il motivo per cui ho
saltato la
lezione non fosse tra i più egoistici al mondo, e sarei molto curioso
di sapere
come Sirius possa averle dato questa impressione e perché. Questo è uno
dei
punti di questa strana conversazione in cui Evans si aspetta il mio
intervento
e i suoi occhi sono molto espliciti a riguardo, così alzo le spalle e
faccio
una specie di smorfia che potrebbe voler dire diverse cose, tra cui
quella che
voleva sentirsi dire Evans pare, perché subito dopo riprende il suo
ritmo
veloce.
«E
non potevi
dirmelo?» sbotta infatti, con il tono di chi dice ovvietà. «Capisco non
entrare
nel dettaglio, ma tentare almeno di dare una qualche spiegazione? Un
‘non è
come sembra’?»
«Non
è come
sembra, davvero? Ha mai funzionato in almeno una
situazione al mondo?»
«No,
certo che
no, perché è una cosa ridicola da dire» ammette subito Evans. «Ma è
comunque un
tentativo. Una giustificazione ridicola è comunque meglio che startene
lì a darmi
della melodrammatica come se tu non avessi nulla da spiegare e io fossi
la
pazza.»
Immagino
che
Evans abbia anche ragione, ma non è come se questo cambiasse la mia
voglia di
ricominciare daccapo, che resta pari a zero, così trattengo un sospiro.
«Dobbiamo
farlo di nuovo?»
«No.»
«Okay»
annuisco
confuso. «Quindi cos’è questo?»
«Ti
sto dicendo
che ora so il motivo per cui mi hai dato buca, e che quello non è stata
colpa
tua, e quindi ci vedremo domani sera, stessa ora, e recupereremo la
lezione,
perché ho giudicato il tuo motivo stupido ma accettabile. E ti sto
dicendo che
invece il resto è colpa tua, perché invece
di dirmi semplicemente che non potevi spiegarmi il motivo ma
c’era un motivo, ti
sei messo a darmi della melodrammatica con quella tua faccetta da
schiaffi,
quindi anche se non è colpa tua, Potter, è comunque colpa tua. Buona
giornata.»
Evans
non aspetta la mia risposta e d’altro canto se anche non se ne fosse
andata
immediatamente dopo aver smesso di parlare non credo avrebbe fatto
differenza, essendo
che sono ancora qui a corrucciarmi sul perché debba essere faccetta
e non faccia, e su come questo influisca sulle sue
possibilità di attrazione per m-
«Signor
Potter se ne vada.»
Madama
Pince è così compiaciuta dei dieci
anni di vita che lascio cadere sul pavimento della Biblioteca prima di
scappare.
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Non mi dilungherò di nuovo su quanto significhi per me leggere le parole di chi ancora dopo tutti questi anni ha voglia di starmi dietro o di chi è appena arrivato, il fatto che questo sarebbe dovuto essere l'ultimo capitolo e invece dopo mesi di nulla ho finito anche il 32 contagiata dal vostro entusiasmo parla da sè. Grazie perchè è stato divertente tornare a muovere questi personaggi (e a sorpresa anche un certo Serpeverde che ma chi sarà mai) e almeno anche James potrà diventare maggiorenne ora (yep, ci sarà tra le altre cose il suo compleanno, nope, Lily non si scoprirà innamorata di lui allo scoccare della mezzanotte).