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Autore: malandrina4ever    01/04/2018    10 recensioni
«Perché sono il tuo migliore amico. E se c’è qualcosa che ti pesa, allora tocca a me portarla al posto tuo.»
~ James Potter
«E lui poteva appendermi a testa in giù tutte le volte che ne aveva voglia, ma questo non sarebbe mai cambiato. Perché Lily sorrideva a me e non a lui.»
~ Severus Piton
«Potrebbe essere un complimento, lo sarebbe, se solo non fossero la voce e gli occhi di Potter. È incredibile come riesca a far suonare anche le frasi più gentili come una presa in giro, socchiudendo appena gli occhi e imprimendo quella vena beffarda in ogni parola.»
~ Lily Evans
«La vocina acuta che continua a ripetere ‘Prefetto. Dovresti essere un Prefetto’ si attutisce appena di fronte ai sorrisi entusiasti dei miei amici.»
~ Remus Lupin
«Il Grifondoro che c’è in me crede che, forse, dovrei sentirmi almeno leggermente in colpa per aver barato. Ma il Malandrino che c’è in me continua a ghignare soddisfatto.»
~ Sirius Black
«James si sta approfittando spudoratamente della nostra volontà di risollevargli il morale, noi lo sappiamo, lui sa che noi sappiamo, ma finiremo comunque a dare l’assalto alla Sala Comune dei Serpeverde, perché a volte per essere un buon amico devi semplicemente essere bravo a lanciare bombe fatte di cacca.»
~ Peter Minus
«Alla fine Sirius sa essere un fratello impeccabile. Solo non il mio.»
~ Regulus Black
---
I'm not a perfect person
I never meant to do those things to you
And so I have to say before I go
That I just want you to know

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Ed improvvisamente non mi sento più così perfetto, perché Lily Evans sta baciando lui e non me.
Perché sarà sempre così, sarà sempre chiunque altro, piuttosto che me.
Ed è semplicemente l’ordine naturale delle cose, come sono sempre andate e sempre andranno, ma non riesco a togliermi dalla testa che è comunque tutto totalmente sbagliato.
Si fotta l’ordine naturale delle cose, dovrei essere io.
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I've found a reason to show
A side of me you didn't know
A reason for all that I do
And the reason is you.
Genere: Comico, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, James Potter, Lily Evans, Mangiamorte, Sirius Black | Coppie: James/Lily
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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CAPITOLO 31.









«Sirius!»
Come riemergo alla luce della Sala d’Ingresso, lasciandomi l’umidità buia dei sotterranei alle spalle, individuo subito la figura del mio migliore amico a pochi passi da me. Ottimo.
«Ehy, Sirius!» lo richiamo affrettando il passo per raggiungerlo mentre lui si dirige a passo sostenuto verso le scale, lo sguardo fisso davanti a sé.
«Sparisca, Potter.»
È solo quando mi liquida con un gesto secco della mano e una vibrazione furente nella voce che noto la presenza della mia Capocasa, che sta seguendo impettita Sirius a breve distanza.
«Certo, professoressa,» annuisco subito, sistemandomi automaticamente la cravatta.
Sirius e la McGranitt svaniscono al piano superiore ed io resto impalato come un cretino ai piedi delle scale, chiedendomi se ora posso salire o se la McGranitt lo saprà e appellerà la mia spilla da Capitano. Ci sono due Serpeverde vicino al portone che stanno ancora guardando le scale e parlottano tra loro, cospiratori. C’erano Serpeverde bisbiglianti anche per tutti i Sotterranei, ricordo improvvisamente, rivalutando la strana concitazione che sembrava percorrere i corridoi dall’aula di pozioni fino a qui.
I due fenomeni distinti dei sotterranei in fermento e di Sirius scortato dalla McGranitt non tardano a legarsi nella mia mente e subito vorrei che il contratto sociale di Hogwarts mi permettesse di rivolgere la parola ai Serpeverde, così potrei chiedere a quei due cos’è successo a Piton e quanto male gli ha fatto. Non posso naturalmente e così, dopo essere riuscito ad origliare solo qualcosa a proposito di un vetro, mi avvio verso la Torre, ottimista: considerando le sue abilità pari e, a sua detta, ma solo a sua detta, superiori alle mie in Trasfigurazione, sono abbastanza sicuro che la sua punizione sarà identica alla mia e dare ripetizioni ai primini insieme a Sirius si prospetta senz’altro più divertente che dare ripetizioni ai primini senza Sirius. Ottimo.


«Trenta punti in meno e devo archiviare un miliardo di libri insieme ad Evans.»
Sirius alza le spalle nella sua poltroncina di fianco al camino, con un’aria tutt’altro che sconfortata: è in realtà visibilmente appagato dall’azione fatta e più tranquillo di quanto lo sia da un po’. Assegnare Sirius all’archiviazione invece che alla trasfigurazione è pura follia ed è il chiaro frutto del perfido rifiuto della McGranitt di metterci in punizione insieme, cosa che mi cruccia molto. Anche Remus ha un’aria corrucciata.
«Hai fatto passare Piton al di là della vetrata della Sala Comune di Serpeverde facendolo finire nel lago,» ripete lentamente, gli occhi fissi su Sirius.
«Sì.»
«E lo hai fatto perché...»
Il tono e l’espressione di Remus invitano Sirius a concludere la frase al suo posto e lui non se lo fa ripetere.
«Per farlo finire nel lago,» risponde e io sogghigno.
«Era sconvolto,» ricorda Sirius con una luce sognante negli occhi che mi fa rimpiangere di non esserci stato: dev’essere effettivamente un’esperienza sconcertante essere all’interno della propria Sala Comune, al caldo e all’asciutto, e ritrovarsi all’improvviso nelle profondità scure e gelide del Lago Nero, ma poi già essere Piton e basta dev’essere un’esperienza sconcertante. «Continuava a spingere contro il vetro per rientrare invece di nuotare verso l’alto come chiunque dotato di un cervello avrebbe fatto,» continua. «Guardava dentro la Sala e così mi sono tolto il mantello perché la tentazione era troppo forte: ha rischiato di affogare quando mi ha visto,» Riesco perfettamente a immaginare lo shok e la collera sui lineamenti odiosi di Piton e perché non c’ero, dannazione. «Poi si è lanciato un Testa Bolla, ma a quel punto è arrivata la piovra.»
Questa parte l’ha già raccontata e subito mi unisco al suo sorriso beato, perché quello che è successo è il chiaro segno che Godric o chi per lui dall’al di là ci sorride: a quanto pare Silente in persona è ancora fuori nel parco che cerca di convincere la piovra gigante a lasciare Piton con le buone, per non rischiare di nuocerle con un incantesimo, mentre lei continua a trascinarlo qua e là lungo la superficie del lago, a suo modo delicata ma ostinata nel non mollarlo. È abbastanza atipico perché tendenzialmente non si interessa agli studenti, limitandosi a solleticarli di sfuggita coi tentacoli, ma c’è anche da dire che solitamente gli studenti non si spingono troppo al di là della riva e trovarne uno disgustoso come Piton a tali profondità dev’essere un’invasione di territorio bella e buona. Adoro il fatto che, non essendo Piton in pericolo di vita, Silente abbia deciso di preservare l’incolumità della piovra piuttosto che la sua già dubbia dignità: tutti gli studenti sono stati costretti a rientrare nel castello e Gazza è stato messo a guardia del portone d’ingresso, ma non così in fretta da impedire ad abbastanza studenti di ogni Casa di assistere alla scena e di diffonderla per il castello: nessuno può vederla coi propri occhi ora, ma in ogni Sala Comune sanno tutti cosa sta succedendo e a chi, e soprattutto lo sapranno domattina quando Piton entrerà in Sala Grande per la colazione. Se non fosse che il ricordo della McGranitt che mi chiede perentoria la spilla da Capitano è ancora troppo fresco e terrificante nella mia mente, mi infilerei sotto il mantello e sgattaiolerei nel parco per assistere coi miei occhi al trionfo: i Serpeverde hanno sempre avuto questa ridicola convinzione che il lago e le creature al suo interno fossero in qualche modo legate alla loro Casa, solo perché la loro Sala non ha nemmeno un soffitto che si rispetti e si affaccia su una porzione minuscola di lago, ma da oggi sarà chiaro a tutti che la piovra gigante è Grifondoro nell’anima.
«Quindi ti sei tolto il mantello davanti a tutti subito dopo averlo fatto,» rimugina Remus, la sottile ruga in mezzo alla fronte che non ha l’aria di voler gioire dell’umiliazione di Piton. «Sirius, dovevi saperlo che saresti finito in punizione. »
«E quindi?»
Sirius doveva saperlo e naturalmente lo sapeva e guarda Remus impassibile.
«Quindi,» continua Remus lento, gli occhi attenti a captare ogni reazione di Sirius. «Se lo hai fatto comunque ci dovevi tenere veramente tanto a nuocere a Piton e farglielo sapere.»
«Ok, e quindi?» C’è una nota irritata nel tono di Sirius ora. Io mi raddrizzo sulla mia poltroncina.
«Quindi,» prosegue Remus sempre più lentamente, evidentemente indeciso se continuare o no.
«Moony, è in punizione e allora? » lo blocco, decidendo al suo posto. «Anch’io sono in punizione. Non c’è nulla di male nell’essere in punizione.»
«Lo so, ma mi chiedevo... »
«Come festeggiare la momentanea liberazione da Piton, sì, me lo chiedo anch’io,» taglio corto, perché Remus è veramente fuori di testa se pensa di affrontare l’argomento e per di più la sera prima della luna piena. «Dobbiamo goderci la vista della scuola senza il suo naso untuoso il più a lungo possibile,» stabilisco, prima di alzarmi e portarmi entrambe le mani alla bocca, ad amplificare la voce. «PETER! Pete, scendi, dobbiamo uscire! »
«Muovetevi dai,» aggiungo vivace, prima di bloccarmi con lo sguardo su Remus, sul suo colorito pallido e la schiena abbandonata senza forze contro il divanetto, e darmi silenziosamente dell’idiota. Anche Sirius distoglie il suo sguardo di sfida da Remus per darmi un po’ più rumorosamente dell’idiota. «O magari possiamo stare qui e giocare a scacchi e pensare a Piton che invece non può perché è a mollo tra i tentacoli di una gigantesca creatura marina,» Mi correggo subito, con lo stesso entusiasmo. «Anche questo è un buon modo di festeggiare. PETE, EHY PETE, abbiamo votato! Devi condividere la tua scatola di Mielandia col gruppo, vieni giù! »
Dal corridoio dei dormitori maschili, oltre le scale, proviene un lamento sconfortato.
«Oh no, ma perché! »
«Decisione unanime, Pete, portala giù!» insisto. «E non nascondere nulla! Lo so che ci sono dieci Cioccorane! »
«Nove,» dice subito Remus, mentre io lo guardo interrogativo. «Sono nove ora.»
«Sette,» lo corregge Sirius e a quanto pare sono l’unico con una coscienza qua in mezzo: io gli ho rubato solo qualche zuccotto, perché nessuno si accorge mai se mancano gli zuccotti.


«Sirius.»
Il cavallo di Peter ha appena schiacciato l’alfiere di Remus sotto gli zoccoli, ma lui sembra troppo assorto nei suoi pensieri per farci caso. Sirius alza un sopracciglio interrogativo, distraendosi dalla nostra partita e dandomi così la possibilità di barare per la seconda volta consecutiva.
«Come hai fatto esattamente a far passare Piton attraverso la vetrata?» continua Remus assorto, attirando anche la mia attenzione ora. Sirius lo guarda, ma la sua mano sinistra va a rimettere con decisione al suo posto la torre che gli avevo appena spinto giù di soppiatto dalla scacchiera. «Voglio dire, non è solo vetro: è protetto da innumerevoli incantesimi atti ad assicurare tanto che il peso dell’acqua non lo sfondi quanto che non venga scalfito da qualunque urto o fattura proveniente dall’esterno come dall’interno. È pensato apposta perché niente e nessuno possa intaccarlo, non dev’essere una passeggiata farci passare qualcuno attraverso.»
È un’osservazione intelligente quella di Remus e subito sposto anch’io gli occhi su Sirius, che non ha l’aria di chi si è reso conto di aver trovato una falla a magie lanciate centinaia d’anni prima della nascita di tutti noi.
«Non lo so» dice lentamente, e sembra realizzare solo ora che non sarebbe dovuto essere in grado di farlo. «Ero...credo che sia stata magia involontaria.
«Magia involontaria?» ripete incredulo Remus, mentre io aggrotto la fronte.
«Non succede solo a chi non ha ancora una bacchetta?» chiede Peter confuso e non ha tutti i torti: le esternazioni spontanee di magia accidentale sono frequenti nei bambini, ma da quando il mago impara a canalizzare il suo potere nella bacchetta il fenomeno sparisce completamente nel novantanove percento dei casi.
Dovrei essere più stupito di così che Sirius abbia deciso di far parte dell’uno percento.
«Beh, avevo la bacchetta in mano, » specifica. «Ma non ho pensato a nessun incantesimo, è successo e basta: volevo fargli qualcosa e all’improvviso era dall’altra parte del vetro.
È tutto molto bizzarro ed io ho questo vago ricordo di un paragrafo sulla scuola di stregoneria brasiliana nel libro di mamma sulle scuole magiche nel mondo: se non ricordo male diceva qualcosa proprio su come sia la norma per loro studiare ed esercitarsi nell’utilizzo della magia senza bacchetta, ma non avevo neppure iniziato Hogwarts quando ho aperto quel libro l’ultima volta e non è come se mi fidassi davvero della mia memoria.
«Non saresti dovuto riuscirci, » insiste Remus che trova sempre fastidioso non trovare una spiegazione logica a tutto. «Neppure provandoci volontariamente e con un incantesimo ben preciso in mente, non saresti dovuto essere in grado di far passare nemmeno un granello di polvere attraverso quel vetro: in Storia di Hogwarts c’è scritto che gli incantesimi di protezione lanciati da Salazar in persona vengono rinnovati periodicamente dai presidi in carica per evitare che l’acqua sfondi il vetro inondando la Sala. Quel vetro è probabilmente il punto più protetto e magico di tutta Hogwarts e tu...»
«Aspetta, » lo interrompo all’improvviso, illuminandomi. «Ho capito dove vuoi arrivare. Godric, Moony, sei un genio! »
«Cosa? » Peter mi guarda perplesso. «Dove vuole arrivare?»
«Da nessuna parte, Pete, io... »
«Gli incantesimi di protezione, ma certo! » annuisce convinto Sirius, illuminandosi a sua volta e lanciandomi un’occhiata ispirata. «Che impediscono all’acqua di sfondare il vetro e inondare la Sala.
«È geniale,» ripeto ammirato.
«No ragazzi, che cosa... »
«Abbiamo la mossa di fine anno, » decreta Sirius.
«È ufficiale, » confermo.
«Rompere il vetro e allagare la Sala Comune di Serpeverde,» annuncia Sirius solenne e Peter emette uno squittio deliziato. Quello di Remus sembra un gemito.
«Dopo la partita, » specifico, portandomi protettivo una mano alla spilla. «Quando la coppa sarà già mia. »
«Subito dopo la partita, per annegarli nelle lacrime della sconfitta, » concorda Sirius. «Ma non ci faremo scoprire in ogni caso questa volta. »
«No certo, abbiamo mesi per organizzarlo: sarà tutto perfetto. »
«Moony, è l’idea migliore che tu abbia mai avuto. »
«Ma non l’ho avuta affatto, io... »
«Eccome se lo è. Rompere il vetro e inondare la Sala: non so come non ci sia venuto in mente prima, era così ovvio. »
«Innanzitutto, » Remus prende un profondo respiro, chiudendo gli occhi, e quando li riapre di quell’aria da che idea tremenda e amorale e contro la mia etica non c’è più traccia. «Far evanescere il vetro, non rompere: vogliamo solo bagnare, non trafiggere con enormi schegge mortali,» Ci osserva uno ad uno per assicurarsi che nessuno abbia obiezioni su questo punto, poi prosegue soddisfatto. «E come vi dicevo, non è il vetro in sé il problema, quello è solo vetro: sono gli incantesimi che gli fanno da scudo ad essere teoricamente impenetrabili, quindi se davvero vogliamo impegnare le nostre forze in questa impresa invece che, ad esempio, nello studio, come io consiglierei, sappiate che ci sarà da passare del tempo in biblioteca in ogni caso, perché dobbiamo scoprire ogni quanto vengono rinnovati gli incantesimi e di conseguenza il momento in cui sono meno resistenti. »
«Qualcosa mi dice che verranno rinnovati oggi,» ipotizzo.
«Sì, sicuramente dopo la trovata di Sirius, Silente non aspetterà nemmeno un giorno per rinforzarli, » annuisce Remus. «Sarà perplesso anche lui da come ci sia riuscito. Resta da scoprire ogni quanto li rinnova normalmente, così sapremo quando lo farà la prossima volta: dobbiamo colpire esattamente il giorno prima, quando saranno più vulnerabili.
«Per essere quello che non ha avuto l’idea, Moony, l’hai già pianificata abbastanza nel dettaglio,» ghigno divertito.
C’è del rosso ora sulle orecchie di Remus.
«Beh, se proprio dobbiamo farlo, dobbiamo farlo bene, » si schiarisce la gola colpevole. «In modo che nessuno anneghi sul serio o cose del genere.
«No, certo, sarebbe tragico.»
«Il mondo ha bisogno dei Serpeverde.»
«Piantatela.»
«È ora di cena,» annuncia Peter, che è in silenzio da un po’. C’è un implicito ‘discussione finita, ora mangiamo’ nella sua frase.
«Devo levarmi l’odore dei sotterranei di dosso,» Sirius si alza e io spingo con forza il suo re giù dalla scacchiera, perché nessuno interrompe a metà una partita con me senza essere colpito dalla sconfitta. «Faccio una doccia veloce e arrivo. »
Peter si alza di scatto e lo segue, ufficialmente per riportare la sua ormai alleggerita scatola di Mielandia in camera, ufficiosamente per cronometrare la doccia di Sirius e fargli pressione nel caso il suo stomaco la giudicasse troppo lunga.
Remus aspetta in silenzio ed immobile che spariscano oltre le scale che portano ai dormitori, accompagnandoli con lo sguardo, e non appena restiamo soli inizia a lanciarmi occhiate assorte. Io mi sono spostato sulla poltroncina di Peter davanti a lui per continuare la partita e vincere anche qua, giusto per mettere in chiaro la mia superiorità su ogni scacchiera presente nella stanza, ma qualcosa negli occhi di Remus mi suggerisce che non riuscirò a finire nemmeno questa partita.


*

Tendenzialmente dove c’è James c’è Sirius e non posso davvero sapere quando sarà la prossima volta in cui avrò a disposizione James da solo, così agisco e basta.
«James,» lo chiamo, facendogli alzare gli occhi dalla scacchiera su cui Peter mi stava stracciando e a cui lui si è prontamente appostato: ho sempre trovato singolare come i miei amici siano premurosi al massimo nei giorni precedenti il plenilunio, pronti a servirmi e riverirmi, ma allo stesso tempo non si facciano scrupoli a sfidarmi di continuo a scacchi proprio in quei giorni perché sanno che è l’unica occasione che avranno mai di vincere contro di me.
«Sì? »
«Non…non ti sembra che Sirius ultimamente sia,» Mi blocco pensoso. «Sia un po’... »
«Un po’ come?»
«Come se ci fosse qualcosa che lo cruccia. »
«C’è sempre qualcosa che cruccia Sirius,» James alza le spalle.
«Lo so, intendo...più del solito? » insisto, chiedendomi se io sia davvero l’unico ad averci fatto caso. «Come se ci fosse qualcosa in particolare che lo sta mandando fuori di testa?»
«Beh, sì, c’è, certo.»
James mi guarda impassibile ed io ricambio spiazzato.
«Sì? »
«Sì. »
«Quindi lo hai notato anche tu? » domando contento di non essere pazzo.
«Certo che l’ho notato, Moony, » annuisce. «È da mesi che è così. »
«Oh,» Dico colto alla sprovvista. «Mesi? Non me ne ero accorto,» E subito devo reprimere il senso di colpa. «Ma ne avete parlato? »
«No, non sono stupido,» James mi lancia un’occhiata eloquente ed io assento comprensivo.
«No, certo. Ma sai qual è il suo problema. »
«Sì.»
«Davvero?»
«Sì, è abbastanza palese,» James mi lancia un’occhiata stupita. «Tu non lo hai capito?»
«No.»
«Davvero?»
«Davvero.»
«Oh, » dice, improvvisamente a disagio. «Beh, te lo direi, Remus, ma a un certo punto cercheresti di fare qualcosa o di dargli dei consigli e finireste per litigare, sai.»
«È uno scenario plausibile,» sono costretto ad ammettere. «Quindi, non c’è niente che...»
«Remus,» James mi guarda dritto negli occhi e subito so che è inutile insistere. «Lascia perdere, è meglio,» decreta infatti, prima di tornare a guardare la scacchiera. «Concentrati sulla partita piuttosto, stai perdendo in maniera disastrosa. Se non fosse che sono io ad essere imbattibile, sarebbe veramente imbarazzante per te, Moony. »
Il mio cervello è ancora troppo impegnato a rimuginare su cosa possa essere così palese per James che ai miei occhi non lo è affatto e così non gli faccio notare che è tutta opera di Peter quella e che lui non ha ancora nemmeno mosso.
«Che fai, ti arrendi?»



«Lily, scusa, ti posso parlare un attimo?»
Non sono riuscito a mangiare molto per cena e sarei potuto tornare alla Torre già da un pezzo, ma mi sono attardato con gli altri apposta per aspettarla: non appena si alza dalla panca scatto in piedi anch’io, solo per poi portarmi una mano alla testa e attendere pazientemente che smetta di girare, poi la raggiungo nei pressi dell’uscita.
«Sì, certo, » Fa cenno ad Alice di proseguire, poi torna a osservarmi. «Dimmi tutto.»
«Per la ronda di domani sera, io... »
«Oh, giusto, mi ero dimenticata di avvisarti: è tutto apposto, abbiamo litigato furiosamente ed ora non ci possiamo vedere,» mi informa tranquilla, mentre io corrugo la fronte perplesso.
«Con chi hai litigato?»
«Con te.»
«Con me?»
«Sì, furiosamente,» ripete. «Ed ora non sopporto la tua vista, quindi ho chiesto a Davies di sostituirti domani sera, perché se facessi la ronda con te finirei per prenderti a pugni,» Automaticamente arretro di un passo, perché se Lily volesse prendermi a pugni adesso l’unica cosa che potrei fare a riguardo sarebbe soccombere. «Crede che io sia molto infantile e violenta, ma alla fine ha accettato. »
«Aspetta,» E all’improvviso l’illuminazione. «Tu intendi per finta. Abbiamo litigato per finta? »
«Certo che abbiamo litigato per finta, Remus. Chi mai litigherebbe con te per davvero?»
«Io litigo con le persone,» puntualizzo subito, cercando di pensare a quando è stata l’ultima volta. «Anche violentemente,» aggiungo. Continua a tornarmi alla mente questo ricordo di un me stesso di qualche anno più giovane che sgualcisce stizzito le coperte del baldacchino di Sirius, come punizione per aver finito la mia ultima boccetta d’inchiostro: non c’è niente di peggio di dormire in un letto sfatto. «Aspetta, come sapevi che sarebbe stato opportuno litigare per finta proprio prima della ronda di domani?»
«Beh, non so se questo ora può darti fastidio e portarci a litigare violentemente come tu sai sicuramente fare, ma visto che ne abbiamo parlato esplicitamente, e che ora tu sai che io so, ho pensato che tanto valeva sapere fino in fondo e controllare... » Si lancia un’occhiata attorno, abbassando la voce. «Il calendario lunare, per essere utile in qualche modo.»
Lo dice come se fosse una cosa ovvia da fare ed io non riesco ad articolare una risposta.
«Sai, uno degli indizi più evidenti per me da quando siamo diventati Prefetti è sempre stato il fatto che proprio ogni singolo mese te ne spuntavi con una scusa per saltare la ronda, così ho pensato che sarebbe meno sospetto se d’ora in poi fossi io a chiedere cambi. E senza offesa, Remus, ma tu non sei particolarmente creativo con le scuse, mentre io sono sempre stata portata a inventarne di credibili, quindi... »
Lily si stringe nelle spalle ed io mi trovo a balbettare spiazzato.
«Oh. Beh. Questo è... »
«Questo è nulla,» Lily agita distrattamente una mano a zittirmi. «Per quello che ne sai potrei anche farlo solo perché ho una cotta segreta per Davies e voglio passare più tempo possibile con lui ad ascoltare all’infinito la storia della fantomatica tresca tra la sua trisavola e Merlino. »
«È una storia affascinante,» annuisco.
«Vero? Inizi ad apprezzarla davvero solo alla quinta o sesta volta, perché prima non noti tutte le sfumature.»
«Grazie, Lily.»
«Non è nulla.»
«No, è...è tanto invece,» insisto. «Vuol dire tanto.»
«Prego allora.»
Mi sorride ed anch’io le sorrido e ci guardiamo sorridendo fino a quando invece lei non sbotta:
«Sei così stupido che mi stupisce che tu riesca anche solo a metterti la divisa dalla parte giusta.»
Vorrei solo che non fossero tutti fuori di testa qui ad Hogwarts.
«Cosa?»
«Davies. È appena passato,» bisbiglia, facendo un cenno del capo verso il Corvonero a pochi passi da noi. «Dimmi qualcosa di offensivo ad alta voce, presto.»
«Oh. Emm,»Non sono bravo nell’essere offensivo a comando, quando passo in realtà la maggior parte del tempo proprio a tradurre con parole meno offensive le cose che i miei amici dicono. «La tua faccia sembra il luogo del frontale ad altissima velocità tra due Tornado, prima che vengano raccolti tutti i pezzi.»
Un mormorio perplesso e curioso si spande lentamente attorno a noi, ma Lily sembra soddisfatta e si allontana facendomi un occhiolino complice.
«Abbasso Remus Lupin!» esclama ad alta voce subito prima di uscire dalla Sala.


«Remus, credi davvero che la faccia di Evans sembri il luogo del frontale tra due Tornado?»
«No, James.»
«Oh, ok. Anche perché bisogna essere stupidi per fare un frontale con una Tornado, sai, sono estremamente ricettive ai comandi.»






**********

Martedì 3 Febbraio 1976, Biblioteca.



Madama Pince non è felice che io sia di nuovo qui, alle sue dipendenze per la seconda volta in pochi mesi. Continua a lanciarmi quelle occhiate scontente e a darmi indicazioni con tono di sufficienza, come se la mia presenza qui non le recasse altro che fastidio e mi facesse un favore a permettermi di catalogare e riordinare i libri al posto suo. Lo trovo estremamente ipocrita da parte sua, che non ci credo nemmeno per sogno che non è contenta di avere qualcuno a cui sbolognare il lavoro sporco –e impolverato, e parzialmente ammuffito, e si può sapere dove erano conservati questi libri prima della donazione? Accatastati in una soffitta impolverata? Ho dato retta ad Alice e a quegli squinternati dei Malandrini, d’accordo, merito questa punizione, ma resto dell’idea che Madama Pince dovrebbe essere grata di avere una studentessa sciagurata qui alle prese con questa macchia disgustosa, appiccicosa e puzzolente sulla copertina di un enorme volume ingiallito dal tempo, mentre lei è libera di girovagare tra i tavoli ad effettuare il solito terrorismo psicologico tra gli studenti.
Comprendo e sostengo pienamente invece la scintilla di ostilità che le accende lo sguardo quando Black fa il suo ingresso annoiato, andando dritto verso di lei: se fossi la persona responsabile della biblioteca e di ogni volume al suo interno, anch’io inorridirei a vederci apparire un soggetto dalle potenzialità distruttive di Sirius Black. So perché è qui naturalmente: non sono chiare le dinamiche, ma tutte le voci più autoritarie nel panorama del gossip di Hogwarts, tra cui Alice, confermano che il motivo per cui Severus ieri pomeriggio sia stato in balia della piovra gigante per quasi un’ora c’entri in qualche modo con Black, che è difatti stato avvistato uscire dall’ufficio della McGranitt proprio in quelle ore. Le voci insistono in realtà anche sul coinvolgimento di Potter, che sarebbe stato visto risalire dai sotterranei subito dopo l’accaduto, e non esiterei a crederci, perché quando mai Potter non è coinvolto in qualcosa di contrario alle regole, se non fosse che Potter era in effetti nei sotterranei insieme a me.
Probabilmente, essendo il destino così ingiusto e incline ai favoritismi, Black è stato punito con la stessa non punizione di Potter, che ho visto diversi minuti fa ad un tavolo isolato della biblioteca insieme ai ragazzini delle ripetizioni, mentre andavo a mettere a posto alcuni libri. Gli sono passata alle spalle mentre lui mostrava ai primini come trasfigurare uno spillo in qualcosa di suppongo diverso da uno spillo, e sono stata molto silenziosa nel portare a termine il mio compito, ma il suo ehy, Evans è lo stesso arrivato puntuale e immancabile. Il mio zero contatti, Potter, seguito da una ritirata tattica, è arrivato ancora più puntuale, così come le risatine dei primini, che ora non vedranno mai e poi mai in lui una figura rispettabile da cui attingere sapere e conoscenza, ma d’altro canto non so come avrebbero potuto in ogni caso trovare tale figura in una persona con dei capelli del genere.
Il punto è, il tavolo di Potter è in tutt’altra zona della biblioteca rispetto all’ampio tavolo circondato di carrelli carichi di libri e muffe tossiche in cui sto sprecando i miei anni migliori, quindi non capisco perché Black, dopo un breve scambio con Madama Pince, si stia ora dirigendo proprio qui, verso di me, invece che raggiungere il suo amico e scontare la sua punizione lontano dal mio campo visivo. Si lascia cadere svogliato sulla sedia davanti alla mia, col carrello dei libri alla sua destra, e nessuna apparente intenzione di dichiarare le sue intenzioni. Non ricordo di avere invitato Black al mio tavolo e non ricordo nemmeno un qualche motivo per cui Black dovrebbe voler essere invitato al mio tavolo, e così gli pianto addosso uno sguardo perforante, ignorando le montagne di libri che attendono di essere smistate. Nemmeno Black, che è sempre molto avanti nell’arte dell’ignorare le altre persone, può fare finta di nulla di fronte all’insistenza dei miei occhi e così dopo qualche secondo alza i suoi e inarca un sopracciglio.
«Che c’è?»
«Ti sei seduto al mio tavolo, » lo informo pacata.
Il suo sopracciglio si inarca ulteriormente.
«Davvero?»
«Perché ti sei seduto al mio tavolo?» insisto ignorando il suo sarcasmo. Non so come siano abituati gli altri, ma non è così che funziona nel mio mondo: ci sono linee da rispettare, rapporti e antipatie che vanno mantenuti costanti nel tempo e persone che non si vanno semplicemente a sedere con altre persone senza un motivo preciso.
«Ero in Sala Comune ad annoiarmi e non riuscivo a smettere di pensare a quanto più divertente sarebbe stato venire qui ad aiutarti a riordinare un miliardo di libri che nessuno leggerà mai» Black mi lancia un’occhiata ironica che contiene degli impliciti e offensivi riferimenti alla mia perspicacia ed io mi raddrizzo sulla sedia infastidita. «Seriamente, Evans, cosa credi che ci faccia qui? Sono in punizione.»
«Sei in punizione» ripeto atona, cercando di venire a patti con la cosa. «Qui, con me.
«Quello, o soffri di allucinazioni, una delle due.»
«Informazione estemporanea, Black: c’è un limite di sarcasmo che puoi usare in una sola conversazione prima che ti arrivi un bombarda sui denti, lo sai, sì?»
Non è come se Black non fosse sempre una persona eccessivamente sarcastica, ma oggi sembra esserlo più del solito, un sarcasmo più scontroso e scocciato del normale, e il fatto è, non m’importa se è caduto dal letto questa mattina, non può semplicemente piombare qui e sfogare i suoi malumori su di me solo perché gli gira.
«Informazione estemporanea, Evans: hai la manica sinistra completamente immersa nella boccetta d’inchiostro. Lo sai, sì?»
Oppure, beh, oppure può.



Giovedì 4 Febbraio 1976, Aula di Pozioni.



«Bene, per oggi è tutto» Lumacorno, che si è appena portato via altre due ore della mia vita, si alza e ci rivolge un sorriso stretto tra le guance paonazze, come se poi ci fosse qualcosa di cui essere felici ad insegnare Pozioni. «Consegnatemi i temi sulle lacrime di fenice e poi potete andare.»
C’è in realtà qualcosa di cui essere felici, ricordo all’improvviso, estraendo soddisfatto il tema dalla borsa e posizionandolo sul banco, pronto per essere appellato. È una sensazione strana, avere il tema richiesto quando richiesto e persino della lunghezza richiesta, senza aver usato alcuno stratagemma come la calligrafia enorme o un uso spropositato degli avverbi per arrivarci. È qualcosa che raramente mi è capitato nella mia carriera scolastica e subito avverto un’ondata di diligenza pervadermi da capo a piedi e sono sicuro che persino Lumacorno possa vederla dalla sua cattedra dall’altra parte della stanza, anche se non mi sta affatto guardando. Naturalmente le cose non possono mai essere così perfette dentro l’aula di Pozioni, che è di suo un luogo infausto e di sventura, e così noto subito con la coda dell’occhio Remus irrigidirsi al mio fianco e spalancare gli occhi in preda al panico, perché d’altro canto nella sua carriera scolastica non sono frequenti momenti come questo. Se ne sta lì, con le mani pallide inerti ai bordi del banco e l’aria smarrita, senza neppure fare il gesto di chinarsi sulla sua tracolla, perché evidentemente si è appena ricordato dell’esistenza del tema di Pozioni assegnato qualche giorno fa. Non credo sia un gran problema, perché Remus è uscito dall’infermeria solo ieri sera e onestamente solo quello psicotico del professor Mason potrebbe aspettarsi che si metta a pensare ai compiti il giorno dopo la luna piena quando è già un miracolo che riesca ad alzarsi dal letto il tempo di farsi vedere a cena, e Lumacorno non è Mason, quindi davvero, nessun problema, glielo farà semplicemente recuperare per la prossima lezione fingendo un tono appena un po’ severo davanti ai nostri compagni.
Solo che Remus assumerà quella sua espressione mortificata, perché lui invece è persino più pazzo di Mason e si aspetta eccome da se stesso proprio questo, ricordarsi degli stupidi temi di Pozioni nei momenti in cui nessuno se ne ricorderebbe e quindi la mia bacchetta scatta automatica verso la pergamena giallognola di fronte a me e al posto del mio nome compare il suo, appena un attimo prima che Lumacorno appelli i fogli.
Remus non si accorge di nulla e devo abbassargli di forza il braccio prima che attiri l’attenzione di Lumacorno su di sé per confessare la sua mancanza. Mi lancia un’occhiata spiazzata e a questo punto è il mio braccio ad alzarsi.
Lumacorno non è così stupito della mia mancanza e si limita a una breve lavata di capo, assegnandomi due rotoli di pergamena sugli usi del Bezoar per la prossima volta.
Dovrebbe essere debilitato per la recente luna piena, ma credo che mi comparirà un livido lì dove Remus mi ha colpito.
È nello stesso esatto punto già dolorante del mio braccio che qualche minuto dopo le dita di Evans si stringono con forza intercettandomi nella mia traversata dell’aula, strattonandomi in un angolo lontano dai miei amici e dal fiume di studenti in fuga verso la libertà.
«Potter, ma che diavolo...?» Mi pianta in viso gli occhi stupefatti e nel suo tono sussurrante c’è una chiara nota irritata. «Lo abbiamo fatto insieme quel compito, lo avevi, a che servono le ripetizioni se tu non ti impegni nemmeno a portare il tema a lezione? »
«L’ho dimenticato, Evans, ok?» replico sulla difensiva, perché è mattina, ho ascoltato Lumacorno cianciare per due ore ed ora mi sento così poco apprezzato. «Non l’ho fatto apposta.»
«Beh, potevi dirglielo e fare una corsa a prenderlo» insiste. «Non te ne frega proprio nulla?»
«Non potevo andare a prenderlo.»
«E perché, se lo avevi...»
«L’ho dato a Remus» ammetto, interrompendola.
Lei si blocca perplessa e mi lancia un’occhiata confusa.
«Tra la luna e tutto si è dimenticato di farlo e così ho messo il suo nome sul mio,» spiego abbassando la voce. «Non è come se la mia media potesse peggiorare granché comunque» Alzo le spalle. «E lui ha già le altre materie da recuperare.»
Evans continua a guardarmi spiazzata per diversi secondi, le labbra socchiuse che si muovono appena senza emettere un suono, ed ora sono io quello confuso.
«Oh,» dice alla fine, sempre con quell’aria disorientata negli occhi. «Oh,» ripete. «Beh, ok. Questo è...sei stato…» Si schiarisce la voce, portandosi nervosamente una ciocca rossa dietro l’orecchio. «Comunque, questa sera prima di cena lavoreremo sui due rotoli. »
Non è una domanda e prima che io possa dire qualcosa è già sparita in corridoio, lasciandomi qui come un idiota a chiedermi cosa diavolo sia appena successo.



«James, sei sicuro che non vuoi che te li scriva io i due rotoli?»
«Moony, quale parte di Evans mi aiuterà non hai recepito?»
«Perché lo dici come se fosse Evans farà sesso con me? Non farà sesso con te, Prongs, lo sai, sì?»
«Non l’ho detto in nessun modo, Padfoot, sta’ zitto.»
«L’hai detto in quel modo» concorda Remus, alzandosi dalla panca. «Ma se ne sei convinto credo che andrò a riposarmi un po’ in Sala Comune prima di Erbologia, a più tardi.»
Remus si allontana dal tavolo di Grifondoro e si confonde con il vociare di studenti che affollano la Sala Grande ed io mi volto verso Sirius.
«L’ho detto in quel modo» confesso cospiratorio.
«Certo che l’hai detto in quel modo» ribadisce Sirius.
«Ora posso farlo, sai» aggiungo a bassa voce e causando una notevole inclinazione di Peter verso di me. La sua bocca è troppo piena di pollo per permettergli di partecipare alla conversazione, ma le orecchie sono libere e nel mezzo di un’intensa attività di spionaggio. «Dirlo in quel modo e tutto.»
Sirius inarca un sopracciglio.
«E come mai?»
«Perché ho un nuovo piano» spiego con un sorrisetto gongolante. «Uno di quelli brillanti, persino più dell’ultimo.»
«Beh, allora dev’essere geniale
Chiederei a Sirius se ha mai pronunciato in vita sua un’intera frase senza essere sarcastico, ma poi non è come se avesse senso farlo: sarebbe come chiedere a una persona bionda se ha mai fatto qualcosa senza essere bionda, con la differenza che Sirius non può davvero tingere la sua anima.
«Sembrava brillante al momento» scrollo le spalle. «Ma questo lo è davvero, state a sentire: farò ad Evans esattamente quello che lei ha fatto a me.»
«Chiederai a Lizzie di baciarla con le tue sembianze?»
Il pollo non è più nella bocca di Peter ora ed io mi chiedo perché.
«No, Pete. Quello non rientra in nessuna definizione di brillante.»
«Prongs, sto per finire il dolce» mi avvisa Sirius, che ha sempre un margine d’attenzione misurato da dedicare alle persone che parlano, anche quando le persone sono il suo migliore amico in tutto l’universo tutto.
«Okay, allora: lei mi ha, in un momento imprecisato di questi anni, fatto inavvertitamente prendere una cotta significativa per lei, giusto?»
«Significativa» annuisce Peter.
«Non particolarmente significativa» aggiungo subito sollecito. «Ma sufficientemente significativa, ecco.»
«Sufficientemente» concorda Peter.
«Quindi ora io faccio lo stesso a lei» li informo trionfante.
«Nel senso che vuoi...»
«La farò innamorare di me» annuncio in un sussurro. «Del tipo, perdutamente.»
Peter mi scruta accigliato.
«A mo’ di vendetta?»
«A mo’ di legittima difesa.»
Sirius ha l’aria pensosa e si accorge del mio sguardo fisso su di lui solo dopo qualche secondo.
«Sì» sentenzia infine. «È un piano astuto.»
Alza in alto la mano aperta ed io ci sbatto contro la mia con entusiasmo, prima di cogliere qualche sguardo sospettoso su di noi, perché a quanto pare dopo il terzo anno non posso più dare il cinque al mio migliore amico senza che qualcuno tema un’improvvisa invasione di Snasi nel castello.
«Sì, ma come?»
Peter ha l’aria perplessa.
«Come cosa?»
«Come fai a farla innamorare di te?»
Peter continua a guardarmi concentrato ed io boccheggio, scambiandomi un’occhiata smarrita con Sirius. Che razza di domanda è come? Ho trovato il piano perfetto e Peter chiede come?
«Come sarebbe a dire come?» sbuffo incredulo. Dove sono l’appoggio e la fiducia? Dov’è l’assenza di domande stupide? «In qualche modo, Pete!» spiego con tono ovvio.
«Sì, ma quale modo?» insiste.
«Beh, nel modo migliore, chiaramente» dico lentamente, riflettendoci. «Quello che funzionerà.»
«E quale sarebbe?»
Peter aggrotta le sopracciglia e anche io.
Sirius si serve un’altra fetta di dolce.
«Il modo che funzionerà è...quello che la farà innamorare di me.»
Peter mi fissa.
Io lo fisso.
Lui sbatte le palpebre.
«Oh, ok» dice. «È un buon piano allora, sì.»
«Grazie, Pete» alzo la mano davanti alla sua faccia e subito anche lui mi dà il cinque, lasciandomi un’impronta di unto di pollo sul palmo. Ew.
«Non farete comunque sesso questa sera» ribadisce Sirius.



Siamo appena usciti dalla fiumana di corpi in Sala Grande quando un ragazzino che mi arriva appena al petto si avvicina circospetto a Sirius.
«Ciao, sono Ernie MacMillan, quarto anno» si presenta imbarazzato.
Sirius gli rivolge un sorrisetto sornione.
«E io che ci posso fare, Ernie?»
«Ecco, io» Lancia un’occhiata incerta a me e Peter, prima di abbassare la voce. «La prossima settimana ho il compito in classe di Pozioni e in giro si dice che tu, che voi, insomma» Si schiarisce la voce. «Che potete... aiutare.»
Sia io che Peter ci lanciamo un’occhiata attorno, controllando il perimetro della Sala d’Ingresso: nessun professore in vista.
«Pozioni sta a sette galeoni» sta intanto dicendo Sirius.
Ernie lo scruta dubbioso.
«Mi avevano riferito cinque.»
«Cinque sono gli uffici in superficie» Spiega professionale. «Per quello di Lumacorno dobbiamo scendere nei sotterranei e si aggiunge il rischio Serpeverde.»
«Oh, ok allora» E si guarda attorno a disagio. «Il compito è martedì pomeriggio.
«Aula abbandonata al terzo piano lunedì all’ora di cena, pagamento anticipato e in contanti, non accettiamo Cioccorane o Caccabombe» recita Sirius annoiato. «Fai circolare le risposte tra i tuoi compagni e avverranno trasfigurazioni spiacevoli nelle tue mutande.»
«Non lo farò» Ernie scuote forte la testa, un barlume di preoccupazione negli occhi.
«Lumacorno non si accorge mai di nulla, ma se venissi beccato...»
«Bocca cucita.»
«Esattamente.»
Ernie si sbilancia appena sotto l’energica pacca sulle spalle assestatagli da Sirius e viene così congedato. Peter nel frattempo ha già estratto il quadernetto e lo sfoglia attento alla ricerca della pagina giusta.
«Compito di Pozioni del quarto anno entro lunedì sera per Ernie MacMillan» ripete concentrato tra sé, spingendomelo contro la schiena per tenerlo fermo mentre scrive.
Poi sfoglia di nuovo il quadernetto.
«Qualcuno deve prendere il compito di Incantesimi del settimo anno questa sera, Marlene McKinnon lo vuole per domani» annuncia, scorrendo poi fino all’ultima pagina. «Sta a James.»
«Ok» sospiro programmando mentalmente la spedizione: Vitious pone sempre mille subdoli incantesimi a difesa della sua scrivania ed ha il sonno leggerissimo, cosa che dimezza l’utilità del mantello; l’unica è farlo quando sarà a cena. Il che vuol dire che io non sarò a cena.
«Quanto ci manca?» Sirius si china sul quadernetto, sbirciando oltre la spalla di Peter.
«Con Pozioni sono altri sette» risponde Peter. «La cassa comune è quasi piena di nuovo: altri due lavoretti e possiamo fare rifornimento da Zonko.»
«Bene, perché sono finite anche le ultime Caccabombe.»
«Tra due settimane quelli del quinto hanno Storia della Magia» ricordo soddisfatto. «Diventeremo ricchi.»
«Bene» Peter fa sparire il quadernetto nella borsa e si guarda attorno con gli occhi persi e l’espressione assorta di quando pensa intensamente. «Allora io vado.»
«Allora io vado? E ci hai dovuto pensare?» ridacchio divertito. «Puoi fare di meglio, Pete, avanti.»
«Sì, Pete, dov’è che vai?»
Peter ricambia lo sguardo mio e di Sirius per diversi secondi, dubbioso.
«Nelle cucine» decide infine, il petto in fuori a dar valore alle sue parole.
«Sei sicuro che sia una risposta astuta, Pete? Fossi in te la cambierei, perché ora Sirius potrebbe dire ‘ottima idea, vengo anch’io’ e ti troveresti con le spalle al muro. È qualcosa che diresti, sì, Sirius?»
«Lo direi, sì» Sirius annuisce. «In effetti, credo che andrò nelle cucine.»
«Abbiamo appena finito di pranzare» sottolineo perplesso. «Del tipo, in questo esatto momento.»
«Mi serve un muffin» dichiara. «Non c’erano muffin a pranzo, dico bene?»
«No, non c’erano.»
«Ecco.»
« Ti accompagno allora» stabilisco, perché Sirius che si aggira da solo in prossimità dei sotterranei ora come ora non mi suona come la migliore delle idee. I miei occhi devono avere un’aria meno casuale della mia voce, perché Sirius mi lancia un’occhiata indagatoria. «Pete, noi andiamo nelle cucine. Tu dove vai?»
Peter nel frattempo ha avuto tutto il tempo di pensare indisturbato e risponde subito e con una certa sicurezza.
«In infermeria: ho mangiato troppo e ora ho mal di stomaco.»
«Ora, questa è una risposta astuta» mi complimento. «Nessuno vuole andare in infermeria.»
Peter annuisce soddisfatto.
«Ci vediamo a cena allora, quando starò meglio.»
«Va bene» annuisco. «Pete, ce la devi presentare, hai capito?» aggiungo ad alta voce mentre lui raggiunge il portone d’ingresso aperto sulla luce dorata del parco. «Ti diamo un’altra settimana al massimo e poi ci presenteremo da soli! Sappiamo chi è!»
Peter sparisce all’esterno ed io mi volto verso Sirius.
«Sappiamo chi è, sì?»
«Ci sto lavorando.»



**********
«Che fai?»
Potter, che se n’è stato fino ad ora relativamente tranquillo a riempire il primo rotolo di pergamena seguendo la scaletta che gli ho stilato, alza la testa all’improvviso, stranito, come se si fosse appena reso conto di non essere il solo con una piuma in mano.
«Scrivo» replico laconica, lanciandogli un’occhiata distratta e riprendendo a far scorrere veloce la mano sulla pergamena. Il libro di Pozioni è aperto sul tavolo proprio in mezzo a noi, ma nel mio caso è perfettamente inutile: so tutto del Bezoar, che è sempre stato il mio antidoto preferito. È la risposta praticamente a tutto. Anche quando Lumacorno parla di veleni di cui non hai mai sentito parlare o che forse dovresti conoscere e invece non li ricordi, non importa quanto potenti e bizzarri siano, la risposta è sempre e comunque Bezoar. Magari ci sono anche altre risposte possibili, certo, altri antidoti più specifici e complicati, ma con il Bezoar non si sbaglia mai.
«E cosa scrivi?»
La voce perplessa di Potter mi fa perdere il filo per la seconda volta ed io sollevo gli occhi a incrociare i suoi.
«Una lista di tutte le domande stupide che mi fai» lo informo, causandogli una smorfia contrariata. «Devi scrivere due rotoli di pergamena, Potter. Uno,» Indico la sua pergamena piena per metà. «E due» Ed indico la mia che è già quasi completa.
Potter osserva la mia pergamena e poi il mio viso ed infine si illumina di comprensione.
«Oh, lo stai facendo tu
«Metà tu e metà io, sì» annuisco.
«Quindi stiamo ingannando Lumacorno.
Ed è così divertito e soddisfatto mentre lo dice.
«Quello che stiamo facendo, Potter, è assicurarci di non arrivare tardi a cena. C’è lo spezzatino stasera.»
«Stiamo ingannando Lumacorno!» Potter esulta trionfante e una Serpeverde dal tavolo accanto gli lancia un’occhiataccia. «E per lo spezzatino. Oh, Evans, sei davvero meno Prefetto di quanto pensassi.»
«Questo è ridicolo, non ci sono gradi nell’essere un Prefetto, e se ci fossero li avrei tutti» ribatto subito, facendogli anche segno di abbassare la voce, a riprova delle mie parole e del mio grande amore e talento per l’essere un Prefetto. «E non stiamo ingannando nessuno, perché tecnicamente tu il tema lo avevi scritto, quindi tutto questo è inutile.»
«Lumacorno è inutile, sono così d’accordo con te, Evans.»
«Non è in alcun modo quello che ho detto» specifico incolore. «Ora scrivi, veloce.»
La cena sarà servita tra pochi minuti ed io sono bloccata qui, a fissare corrucciata la pergamena di Potter ed in particolare gli ultimi due centimetri. Vuoti. Dannazione.
«Ho usato un sacco di avverbi, Evans, te lo giuro.»
Basterebbe una frase, solo un’altra frase, ma tutte le frasi pensabili sul Bezoar sono già state usate e quei due centimetri vuoti di pergamena continuano a ricambiare derisori il mio sguardo frustrato.
«Perché scrivi così piccolo, Potter?» sbuffo.
«Non è piccolo, guarda, è larghissimo.»
Ogni lettera è effettivamente larga in modo ridicolo, ma non abbastanza.
«Non abbastanza» puntualizzo infatti. «Hai usato avverbi sufficientemente lunghi?»
È una situazione critica, ma non posso fare a meno di sorridere compiaciuta con me stessa, perché sufficientemente d’altro canto è così lungo come avverbio.
«Per chi mi hai preso, Evans? Sono il re degli avverbi eccessivamente lungi» si vanta Potter, immediatamente smentito da quei due centimetri che continuano a rimanere vuoti. «Ascolta, ho un’idea: tagliamo la pergamena. Sono solo due centimetri, Lumacorno non se ne accorgerà mai.»
«È l’idea più stupida che chiunque al mondo abbia mai avuto» annuncio.
Potter mi guarda ed io guardo lui, e poi guardo invece l’orologio della biblioteca che batte le otto. «Diffindo» aggiungo agitando la bacchetta contro la pergamena e subito quei due centimetri vengono separati con un taglio netto dal resto della pergamena. Non più così spacconi ora, mh?
«Ecco fatto» commento soddisfatta porgendo la pergamena a Potter, che sta invece usando le sue abilità da fuorilegge per rendere con un colpo di bacchetta la mia calligrafia identica alla sua. Getto le mie cose alla rinfusa nella borsa il più velocemente possibile e quando sfreccio a passo sostenuto verso l’uscita della Biblioteca noto con dispiacere che Potter è stato altrettanto veloce e sta tenendo il passo, il che è ridicolo, perché lui non mi è sembrato affatto in ansia all’idea dello spezzatino già in balia dei nostri compagni. Avrei preferito percorrere la strada da qui alla Sala Grande da sola, ma dato che Potter ha altri piani tanto vale cercare di volgere la situazione a mio favore.
«Che cos’ha Black?» chiedo quindi con tono volutamente casuale mentre imbocchiamo il corridoio.
Potter smette di rovistare nella borsa a tracolla e mi fissa spiazzato.
«Prego?»
«Black» ripeto. «Il tuo amico. Sirius Black. Moro, faccia da schiaffi, hai presente?»
«Sì, certo che ho presente. In che senso cos’ha?»
«Nel senso, cosa lo rende più odioso del solito?»
«Sirius non è odioso» replica subito imbronciato.
«D’accordo» annuisco condiscendente. «Ma perché sembra che voglia uccidere tutti più del solito?»
La differenza tra Potter e un pesce fuor d’acqua che boccheggia in modo ridicolo senza emettere suono si annulla all’istante ed io mi rendo conto di quanto il mio interesse risulti inaspettato e fuori luogo senza contesto.
«Voglio dire, non mi aspetto che tu lo dica a me chiaramente e non lo voglio davvero sapere» chiarisco veloce. «È solo che condivideremo la stessa punizione per una quantità considerevole di tempo e se sarà sempre così scontroso a un certo punto la McGranitt dovrà assegnarmi un’ulteriore punizione per aggressione fisica o qualcosa del genere e probabilmente anche lui a un certo punto otterrà una nuova punizione, perché è quello che fate, e allora finiremo di nuovo in punizione insieme e lui sarà ancora intrattabile e ci sarà una nuova aggressione da parte mia e capisci che è un circolo vizioso che solo tu puoi fermare.»
Mi pare tutto perfettamente cristallino, ma Potter mi rivolge un’occhiata sorpresa.
«Io?»
«Tu, certo. Non è compito tuo farlo?»
«Fare cosa, esattamente?»
«Che ne so, qualcosa» Alzo le spalle. «Renderlo meno intrattabile in qualche modo. Non è la cosa logica da fare?»
«Rendere meno intrattabile Sirius la cosa logica da fare, Evans, ti ascolti quando parli?
Potter mi guarda scettico ed io alzo gli occhi al cielo.
«Potter, il tuo amico è pazzo o ha un problema, le alternative sono queste. Ora, se ammettiamo che non è pazzo, e questo è un grande se, e ha effettivamente un problema, la cosa logica da parte tua non sarebbe, per l’appunto, scoprire e risolvere il problema? Non è questo che gli amici fanno?»
Potter mi studia accigliato e prima di rispondere ci pensa per diversi secondi, cosa piuttosto atipica per lui.
«Se ci fosse un modo per risolvere questo fantomatico problema» inizia lentamente. «Problema che io non ho mai detto esistere, precisiamo, non credi che, sempre ipoteticamente parlando, l’avrei già fatto?»
«Non ho idea di cosa tu faresti o non faresti, Potter» dichiaro. «Specialmente da quando ti ho visto mettere la mostarda sui pancake.»
«Quello è stato un incidente.»
«È quello che direi anch’io se avessi dei gusti orripilanti, certo» lo liquido distrattamente. «Fatto sta che quando il castello crollerà sarai l’unico responsabile di non aver parlato a Black.»
«Questo è incredibilmente melodrammatico» ribatte Potter, fermandosi di scatto giusto un attimo prima che la scala di fronte a noi decida di staccarsi dal pavimento per andarsi a congiungere a quello del piano superiore. Ed è questo che è melodrammatico, che le scale di Hogwarts tentino astutamente di uccidere Potter e non ci riescano. «E comunque gli parlo tutti i giorni.»
«Intendo parlargli del suo problema» specifico.
«Parlargli del suo problema!» Potter emette una risata incredula e mi guarda come se fossi pazza, perché certo che la cosa più normale da fare gli suona come una follia, essendo lui l’unico pazzo nei dintorni. «Di cui continuo a non dichiarare l’esistenza, precisiamo.»
«Non è un’idea assurda, Potter» lo informo. «È quello che fanno di solito le persone, parlare delle cose invece di ignorarle.»
Non so cosa mi spinga a insistere nello spiegare ad un aspirapolvere il regolare funzionamento dei rapporti tra esseri umani normali, ma Potter scuote la testa e mi lancia un’occhiata di compatimento, e probabilmente ha ragione, perché se lui è un aspirapolvere Godric solo sa cos’è Black.
«Evans, perché credi che io e Sirius non litighiamo mai?» mi chiede con un sopracciglio inarcato, mentre io ingoio all’istante una vasta gamma di risposte più o meno offensive. «Perché so quando non parlargli.»
«Va bene, non interrompere il circolo vizioso allora» rinuncio contrariata. «Resterò in punizione in eterno.»


*

E poi sarei io il melodrammatico.
Evans ha ancora quell’aria ostentatamente sconsolata, forse perché crede di farmi cambiare idea o forse perché si è dimenticata di averla, ma quando le scale che siamo infine riusciti a prendere cambiano direzione per aria con un brusco scossone spalanca gli occhi ed io stacco subito le dita dal corrimano per mostrarle il mio totale sprezzo del pericolo. Questo la impressiona molto positivamente, anche se non lo dà a vedere, ed io sorrido soddisfatto. Lei mi guarda pensosa ora, gli occhi assottigliati, e quando apre la bocca sono già pronto a rispondere ai suoi interrogativi su come io possa essere così valoroso ed intrepido, ma non è quello che mi chiede.
«Quindi non hai mai litigato con Black? A parte, ovviamente, quella volta» E fa un cenno eloquente con la testa.
«No, non davvero» rispondo subito, perché non riesco a ricordare un litigio vero e proprio con Sirius, a parte, ovviamente, quella volta.
«Mai?»
Ed è così incredula.
«Perché pensate tutti che sia strano, si può sapere? Non vedo perché dovrei litigare con i miei amici quando c’è così tanta altra gente con cui litigare, come ad esempio l’intera Casa di Serpeverde.»
«Mai» ripete scettica.
Sospiro.
«Beh, c’è stata quella volta al terzo anno in cui ero arrabbiato con lui e così pur essendo nelle cucine non gli ho portato la torta al cioccolato, come è regola» ricordo. «Me la sono fatta dare per Remus e per Peter e per me, ma non per lui. Ho detto agli elfi domestici niente torta per Sirius oggi, è uno stronzo, e me ne sono andato. Proprio così, senza voltarmi indietro. È stato un momento molto forte.»
Evans mi osserva in silenzio con un’espressione indecifrabile, evidentemente colpita dalla mia durezza.
«E lui?» chiede infine, aggrottando la fronte.
«No, niente» Agito una mano incurante. «Poi mi sono sentito in colpa e arrivato in camera gli ho dato la mia fetta dicendo che non mi andava. Ma non è quello il punto, è il pensiero che conta, ed io avevo deciso di non portargli nulla» spiego, perché ho la sensazione che Evans si stia perdendo nei dettagli. «È questo il fulcro.»
Evans mi fissa con le labbra socchiuse e gli occhi eccessivamente concentrati ora.
Già che ci sono mi passo una mano tra i capelli, così che si concentri anche su quelli.
«Eri così arrabbiato che gli hai dato la tua fetta di torta al cioccolato?»
Ha un tono molto perplesso e il suo è un riassunto incredibilmente sbagliato e fuorviante della vicenda che le ho appena raccontato.
Mi porto di nuovo la mano ai capelli, questa volta involontariamente, e la mia bocca resta socchiusa qualche secondo di troppo mentre rifletto intensamente alla ricerca di qualcosa di brillante e definitivo da dire, che cancelli questa parentesi imbarazzante.
«Questo è...» Evans mi sta ancora fissando in quel modo strano ed io ho già pronto il anche la tua faccia sulla lingua, perché è la risposta perfetta a qualunque aggettivo offensivo uscirà ora dalla sua bocca. « ...carino. Ci sono delle cose carine in te, Potter. Questo ti rende ancora più odioso, perché potresti essere una persona tutto sommato piacevole e invece non lo sei.»
Qualcosa dentro la mia testa lotta per prendere il sopravvento per diversi interminabili secondi, mentre tutte le altre forze dentro di me lottano per mantenere l’impassibilità e l’immobilità assoluta sul mio viso, e fino a che la cosa non viene placata e ridotta al silenzio la mia faccia resta come sotto l’effetto di un Pietrificus Totalus. Poi il dominio su tutto il mio corpo viene ristabilito ed io socchiudo gli occhi.
«Non sono piacevole?» chiedo stranito.
«No» risponde subito lei, tranquilla.
«Io credo di essere piacevole, Evans.»
« Oh, lo so che lo credi, lo so.»
Siamo quasi arrivati alla Sala Grande ed io la scruto in silenzio per diversi secondi, pensoso.
«Quindi non sono piacevole» ripeto dopo un po’.
«Esatto.»
«Però sono carino.»
«Non è quello che ho detto.»
«Grazie, Evans» concludo compiaciuto, ignorandola. «Anche tu sei carina.»
«Non è quello che ho detto» ripete lei e di nuovo io la ignoro, perché è totalmente quello che ha detto.
È solo quando arriviamo al primo piano che spezzo di nuovo il silenzio.
«D’accordo, parlami di queste cose carine che ci sono in me.»
Evans sospira rumorosamente.
«Te ne ho appena parlato e me ne sono già pentita.
«No, no, tu ne hai menzionata una» la riprendo subito. «Ma hai detto cose carine. Plurale. Quante sono? Puoi almeno contarle o sono troppe?»
Questa volta è lei ad ignorare me, aumentando il passo.
«Una sono gli occhiali, vero?» continuo trionfante. «Sei attratta dai tipi con gli occhiali, lo sapevo. È per l’aria da intellettuale che mi danno probabilmente, non ti biasimo. Se non fossi me anch’io sarei attratto da m−−» Sto spiegando ad Evans la naturalezza del suo essere pazza di me e sono molto immerso nel discorso quando all’improvviso i miei occhiali abbandonano con uno scatto traditore il mio naso, lasciandomi con gli occhi socchiusi per lo sforzo a seguire la macchia sfocata che è Evans correre via.
«Evans! Ehy! Torna qua, sono cieco!»
«Questo mi piace di te, Potter!» La sento gridare in lontananza. «Che hai un sacco di punti deboli!»
«Accio occhiali» mormoro e subito sento le lenti sbattermi contro la fronte con un rumore secco. Ahi.



**********
«Ho visto la tua gatta prima» Frank è una delle poche persone, forse l’unica, in grado di produrre frasi perfettamente intellegibili anche con la bocca stracolma di pollo. «Era di nuovo nel corridoio dei dormitoi maschili.»
«Lo so» sospiro abbattuta, mentre Mary al mio fianco ridacchia. Lei d’altro canto non è Frank, e non è in grado nemmeno di produrre una risata intellegibile con la bocca piena, così Alice le lancia un’occhiata preoccupata per controllare che non si stia in realtà strozzando. «Continua a infilarsi in camera dei Malandrini.»
Cerco di non imprimere alcuna vena accusatoria nella voce, perché non è davvero colpa di Frank, anche se è in realtà tutta colpa di Frank, che l’ha lasciata incoscientemente nelle mani di Potter e le ha permesso di passare la sua prima notte in questo castello proprio nella loro camera. È drammatico, perché ora lei continua a tornarci e a gironzolargli attorno ogni volta che li vede nella Sala Comune, e sembra nutrire un amore particolare per Potter, che chissà cosa le ha fatto quella notte.
È questo il motivo, la sua prima notte nella sua nuova casa l’ha passata tra le grinfie inaffidabili di Potter e il suo amore per lui ne è la naturale conseguenza, nulla di più: non è un gatto stupido, come ho temuto a lungo, un gatto che di sua spontanea volontà ha deciso di affezionarsi a Potter, tutt’altro, è solo un felino vittima delle circostanze.
«Forse non va sempre nella loro camera» interviene Alice. «Magari le piace semplicemente di più il dormitorio maschile.»
«No, va dai Malandrini» insisto sicura, estraendo con un gesto deciso un pezzetto stropicciato di pergamena e stendendolo sul tavolo ben in vista. «Era attorcigliato attorno alla sua coda.»
«Sono uno stupido gatto stupido e se non la smetto di infilarmi nei dormitori altrui sarò uno stupido gatto morto» legge Mary concentrata, prima di lasciarsi andare a una sghignazzata. «Questo è sicuramente Black, hai ragione.»
Lo trovano divertente, a quanto pare, attaccare bigliettini sulla mia gatta ogni volta che sconfina nel loro territorio. L’ho scoperto per la prima volta un paio di giorni fa, mentre in uno dei rari momenti di tenerezza che periodicamente mi concede, me la stavo coccolando sotto le coperte, quando all’improvviso ho sentito tra il pelo caldo la superficie ruvida della pergamena. ‘Ho dormito nel letto di James Potter. Di nuovo’, recitava. L’ho spinta giù dal letto con uno scatto e questo ha distrutto il rapporto di fiducia faticosamente instaurato in precedenza, oltre ad aggiungere un graffio alla mia nuova collezione, come se poi fossi io ad avere colpe in questo rapporto interumano: non sono io che passo le notti nel letto del nemico per poi tornare indietro con la coda tra le zampe.
«A proposito, Lily» dice Frank, pensieroso. «Le hai trovato un nome, poi?»
Non le ho trovato un nome, ma Frank si aspetta che io lo abbia fatto e Frank non è una persona che mi piace deludere, così apro la bocca e sputo fuori le prime lettere che mi vengono in mente. «Emma.»
«Emma è carino, mi piace» approva Frank.
«Emma, Evans? È totalmente privo di originalità.»
La voce proviene dal posto vuoto di fianco a Frank, che improvvisamente non è più vuoto.
«Il tuo gatto si chiama Elvendork, Potter, sparisci.»
«Sei invidiosa, lo capisco: non tutti possono essere inventivi come me nel trovare fantastici nomi unisex per i propri animali» Potter prosegue indifferente, riempiendosi il piatto con le poche pietanze sopravvissute fino ad ora: l’ho lasciato a pochi corridoi di distanza dalla Sala Grande mezz’ora fa e non sembra essere riuscito a trovare la strada per la Sala fino ad ora, a riprova della sua generale incompetenza alla vita. «Te l’ho già detto, ti do il permesso di chiamarla Elvendork se proprio non riesci a trovarle un nome altrettanto bello.»
Avrei così tante cose da dire sulla bellezza del nome Elvendork, ma dalla metà del tavolo di Grifondoro, oltre un folto gruppetto del quinto anno, i Malandrini restanti iniziano a chiamare Potter apparentemente oltraggiati dalla sua postazione lontano da loro e lui afferra subito il suo piatto, alzandosi, mentre io li ringrazio mentalmente.
«I miei amici primari sono gelosi, scusate» ci informa. «Evans, per la storia della tua attrazione nei miei confronti, ne prendo atto e ne riparliamo appena hai finito con Philips, d’accordo? Intanto grazie per la sincerità, la apprezzo.»
La mia bocca è ancora deformata in una smorfia indignata quando lui si allontana senza lasciarmi possibilità di replica e Frank e Alice spostano gli occhi su di me.
«Aspirapolvere di ultimissima generazione» sospiro dopo qualche secondo, incredula. «Apre la bocca e puff, tutta la polvere nel castello sparisce.»
Frank e Alice mi osservano perplessi ed io gli faccio segno di lasciar perdere.







Lunedì 14 Febbraio 1976, Aula di Storia della Magia.




«Pertanto i Goblin, di fronte a un’onta di tale portata, si riunirono in consiglio e stabilirono di dichiarare guerra a...»
Mentre Ruff continua a mormorare la sua nenia soporifera, la mia attenzione viene improvvisamente attirata da qualcos’altro e così non saprò mai a chi i Goblin stabilirono di dichiarare guerra. Non che questa sia poi una gran perdita, quando parliamoci chiaro, i Goblin sono dei gran rompicoglioni che non fanno che dichiarare guerra a chiunque e prendono qualunque fatto mai accaduto al mondo come un’onta vergognosa nei loro confronti. Ora, quella che io considero un’onta vergognosa è venire colpito sulla fronte da un oggetto volante non identificato mentre mi fingo uno studente modello e capto persino qualcosa dei discorsi di Ruff. Mi massaggio infastidito la fronte, poi abbasso lo sguardo sull’oggetto non più misterioso che è atterrato sul mio banco: un aereoplanino di pergamena incantato a cui è legata una tavoletta di cioccolata di Mielandia con doppio strato alle nocciole, la mia preferita. Non più scocciato, spiego allegro la pergamena che si rivela essere un bigliettino di San Valentino piuttosto imbarazzante, come d’altro canto lo è ogni singolo biglietto di San Valentino, che è di per sé una festa imbarazzante e ridicola, ma anche molto utile, perché mi frutta cioccolata alle nocciole nel bel mezzo di Storia della Magia. Poi arrivo alla fine del biglietto, dove c’è un nome e finalmente capisco perché la ragazza a tre banchi dal mio, quella che continua a fissarmi e pare aver spedito il biglietto, non sembra emozionata o allegra, quanto piuttosto seccata e mi fa gesti tutt’altro che carini. Con uno sbuffo spingo la cioccolata e il biglietto sul banco accanto al mio, dove Sirius è nel mezzo di un sonnellino o di un coma irreversibile, una delle due.
«Sveglia, Padfoot, cioccolata per te da una Corvonero con una pessima mira.»
Non posso credere che è San Valentino già da tutta la mattinata e nessuna ragazza mi abbia ancora regalato nulla.
«Sirius» dico mentre il mio amico si riscuote dal suo sonno tranquillo e inizia a scartare avidamente la tavoletta di fronte a lui. «Perché nessuno mi dà della cioccolata quest’anno?»
Lui aggrotta la fronte, riflettendoci su.
«Sei il Capitano di una squadra colata a picco» conclude infine, infilandosi distrattamente uno scacchetto tra le labbra. «Non esattamente quello che le ragazze trovano sexy.»
Sirius continua a sgranocchiare la sua cioccolata con nonchalance, apparentemente ignaro di non poter dare alla gente notizie del genere con tanta leggerezza. È questo che sta succedendo dunque? Sapevo di non essere più accerchiato dalla gloriosa aura dorata di Capitano vincente dalla disastrosa disfatta di giugno scorso, e immaginavo che iniziare il campionato di quest’anno con una sconfitta plateale non avesse migliorato la situazione, ma non mi ero accorto che mi avesse addirittura gettato giù dalla cima della gerarchia di Hogwarts. Non avrei dovuto accorgermene, se fosse davvero successo? Della caduta in picchiata e tutto? Come posso semplicemente perdere la prima partita dell’anno, non accorgermi di nulla e improvvisamente trovarmi ad essere considerato troppo perdente per avere diritto a della cioccolata di San Valentino?
«Lo sai qual è la parte migliore quando una squadra cola a picco?» chiedo all’improvviso rinvigorito dall’oltraggio, la voce vibrante d’orgoglio.
«Che non sia la tua squadra?»
Sirius mi guarda pacifico, le mani colme della cioccolata che la sua posizione ancora salda nell’olimpo sociale gli provvede ed evidentemente così poca voglia di collaborare.
«No» sbuffo spazientito. «Beh, sì, se non è la tua squadra tutto è la parte migliore ovviamente, ma se è la tua squadra, e con tua intendo mia, perché quando mai tu potresti avere una squadra che non sia di, che so, sociopatia agonistica. Beh, in ogni caso, la parte migliore è» Mi blocco per qualche secondo in una pausa tattica per la suspense. Sirius sbatte gli occhi, segno che non sta nella pelle. «Che puoi solo risalire.»
«Ma non è vero» ribatte dopo un po’, lentamente. «Puoi anche restare lì nel fondo, inerte» Ha un tono e un’espressione molto pacata e una parte di me, mentre ricambio impassibile il suo sguardo flemmatico, crede che in realtà stia ancora dormendo, ma lui continua a parlare. «Per sempre. Fino a quando diventi un relitto arrugginito con i pesci che depongono le uova dentro di te.»
Il silenzio segue le sue parole giusto il tempo di farmi venire a patti con la mia vita.
«Ora spiegami perché hai dovuto dire una cosa del genere.»
Sirius aggrotta la fronte, perplesso.
«Era offensiva?»
«No, solo incredibilmente poco incoraggiante» specifico. «Puoi essere più incoraggiante mentre parlo della mia rivalsa contro la scuola e l’universo tutto?»
Sirius assottiglia gli occhi, l’aria vagamente concentrata, e riesco quasi a percepire le sue doti relazionali attivarsi alla ricerca della sequenza di parole più adatta ad esprimere il massimo dell’incoraggiamento possibile da parte sua.
«Non credo che i pesci deporranno uova dentro di te» annuncia infine, guardandomi dritto negli occhi.
Io ricambio il suo sguardo, soppesando le sue parole.
«Grazie» stabilisco soddisfatto, sistemandomi gli occhiali sul naso.
Sostegno incondizionato da parte dei miei amici, sfiducia offensiva e di conseguenza motivante da parte del resto della scuola, la promessa della faccia sconvolta dei Corvonero tutti e di uno in particolare quando gli strapperò la coppa dalle mani, e naturalmente il mio innegabile talento: tutto quello che mi serve per la rimonta più spettacolare nella storia di Hogwarts.
«Me ne dai un pezzo?»
«No.»
*********
«Ehy.»
Lizzie alza gli occhi dal suo libro di Erbologia con aria perplessa, prima di incrociare il mio sguardo e sorridere.
«Oh, ehy Remus.»
La Sala Comune è insolitamente quieta, con lo scoppiettare tranquillo delle fiamme nel camino e il lieve chiacchiericcio proveniente dalle scale che portano al dormitorio femminile. Dalle tende scarlatte filtra l’ancora più insolitamente caldo sole di un atipico pomeriggio di febbraio e non c’è da stupirsi che la maggior parte dei nostri compagni si sia riversata nel parco. Avvicinandomi alla finestra probabilmente riuscirei a scorgere anche da qua le sagome minuscole delle coppiette passeggiare attorno alla riva del lago nero e i gruppetti più folti a gironzolare nel verde dell’erba imbacuccati nei mantelli scuri. Anche noi Malandrini avevamo una mezza idea di confonderci tra gli altri, ma quando Sirius ha estratto il bottino e lo ha finalmente messo sul suo letto a disposizione di tutti l’idea è sfumata e quando trenta secondi fa sono uscito dalla camera l’orgoglio ferito di James stava ancora agonizzando tra le coperte e le cartacce di cioccolatini a forma di cuore.
«Come stai? Ti ho portato della cioccolata.»
«Oh, wow» Lizzie afferra sorpresa la tavoletta che le porgo, l’aria di essere stata colta completamente alla sprovvista. «Grazie.»
«Non è cioccolata di San Valentino» specifico subito, realizzando all’improvviso le implicazioni che il dare della cioccolata a una ragazza il giorno di San Valentino tenderebbe a portare con sé. «Voglio dire, è cioccolata di San Valentino, ma non è mia. È di Sirius.»
Lizzie inarca un sopracciglio, perplessa.
«Black mi ha mandato della cioccolata?
«No, no, Sirius non lo sa nemmeno» scuoto la testa, trattenendo una risata all’assurdità del pensiero. «Ma non è un problema, ogni anno riceve così tanta cioccolata da non opporsi al fatto che una volta entrata in camera diventi proprietà condivisa» spiego e non sto neppure mentendo, perché è effettivamente così che vanno le cose, e non è importante che sia così più per rassegnazione che per vera volontà di condivisione. «Il grosso lo riceve sempre da quelle dei primi anni, per le quali non pare nemmeno più essere Sirius il punto, credo sia una sorta di affermazione sociale tra loro, chi gli regala più cioccolata o chi gli regala quella migliore acquisisce più potere o una cosa del genere.»
«Le solite cose da primi anni, certo» annuisce Lizzie comprensiva.
«A ognuno il suo» commento con un’alzata di spalle. «Ai nostri tempi per noi maschi dipendeva tutto da quanto slacciata portassimo la cravatta.»
Lizzie aggrotta la fronte.
«Non te l’ho mai vista nemmeno allentata.»
«No, infatti al primo anno non trovavo mai posto al tavolo prima di fare amicizia con gli altri» ricordo. «Loro avevano tutti gradi molto alti di ribellione della cravatta, quindi potevano procurarsi il posto anche per me.»
Lizzie sorride, il sorriso appena accennato e accondiscendente di chi aspetta che l’interlocutore smetta di divagare probabilmente, e ha ancora quella tavoletta di cioccolata in mano.
«Quello che volevo dire» riprendo schiarendomi la voce. «È che la nostra stanza è piena di cioccolata e ho pensato che magari te ne andava un po’.»
«Oh. Beh, hai pensato bene» Lizzie si rigira la tavoletta tra le mani, il sorriso che si estende ora anche agli occhi. «Mi va infatti. Grazie.»
«Prego» sorrido.
«Lo sai, non credo che tu sia nella norma» dice Lizzie all’improvviso dopo qualche secondo.
Non mi sembra una cosa particolarmente gentile da dire e subito aggrotto la fronte, spiazzato.
«Nel senso che ho dei problemi? – indago cautamente.
«No, esteticamente parlando, - specifica Lizzie e la mia fronte si aggrotta ancora di più. - Ieri ti ho detto che sei nella norma, ma in realtà non lo sei affatto.
Mi sono guardato allo specchio meno di un’ora fa, prima di uscire dalla camera, mentre mi lavavo le mani in bagno e scrutavo a fondo i miei occhi riflessi come faccio sempre, in quel modo stupido e assolutamente inutile che ho di guardarmi allo specchio, come se avessi un’altra persona davanti e dovessi sostenere il suo sguardo e non potessi invece soffermarmi sulla mia faccia e basta, sulla mia fronte e le mie guance e sui bordi rialzati delle mie cicatrici, nel modo in cui le persone normali si guardano allo specchio, quel modo che ti fa essere conscio di come tutta la tua faccia risulta alla vista e non ti permette di farti cogliere impreparato quando gli altri te lo comunicano all’improvviso.
«Non sono...normale, esteticamente?
E dev’essere la cicatrice, quella lunga e spessa e così perfettamente visibile. Ho sempre pensato di avere un naso strano, piazzato proprio lì nel mezzo, con quell’aria fuori posto, come se si fosse trovato lì per caso, ma deve essere la cicatrice.
«Sei più carino della norma, Remus. Questo ti sto dicendo.»
«Oh» Mi sento dire stupito, le dita ancora a grattarmi nervosamente il lato sinistro del naso, esattamente da dove parte la cicatrice. «Oh beh» Deglutisco allontanando la mano dal mio naso, un po’ perso, perché non è la cicatrice, la cicatrice non ha nulla a che fare con questo e la mia faccia può esistere anche separatamente dalla cicatrice a quanto pare. «Beh, è, beh, è sicuramente, beh, è chiaramente una cosa soggettiva, non...»
Sto dicendo beh più volte di quanto sia socialmente accettabile per un non ovino e una parte del mio cervello inizia subito a lavorare in solitaria per trovare una soluzione in proposito, e forse è perché le parti del mio cervello non lavorano sempre tutte in sincrono che la soluzione non arriva.
«Soggettivamente ti trovo più carino della norma» mi interrompe Lizzie, che è stranamente più decisa e tranquilla rispetto al solito, o forse è solo il contrasto col mio cervello disgregato che la fa risaltare.
«Oh. Certo, è la tua opinione. Soggettiva. Io...» mi schiarisco la gola, cercando di ricompormi, poi realizzo di essere appena stato definito carino e subito sento un calore indesiderato affluirmi alle guance, e più penso a quanto questo calore debba avere anche un colore visibile più lo sento intensificarsi. «Sì, opinione. Soggettività. Queste cose.»
Lizzie ridacchia ed io mi ricordo all’improvviso di non essere un idiota. Sono quello intelligente, ed è per questo che mi sento così strano e spiazzato ora, perché è Sirius quello carino, o altre volte lo è James, ma non sono mai stato io, nemmeno una volta, ma è proprio perché sono quello intelligente che mi rendo perfettamente conto di non poter dirottare un complimento sui miei amici solo perché inaspettato e ricordo anche che ai complimenti si risponde.
«Anche tu hai un’opinione più...più carina della norma.» dico imbarazzato, ma sentendomi di nuovo in controllo delle mie facoltà mentali.
«Un’opinione?
La sensazione non dura a lungo.
«Una faccia» mi correggo subito. «La tua faccia. Soggettività. Devo andare.»
Lizzie ha un’aria molto perplessa, ma non fa in tempo a dire nulla perché io sono già astutamente scappato. La porta della mia camera è ora contro le mie spalle ed io fisso dritto davanti a me, cercando di ricordarmi i fondamenti di tutta quella storia dell’essere intelligente.
«Ehy Moony, dov’eri sparito?
Non lo sto guardando, ma la voce impastata mi suggerisce che James stia ancora dilapidando il patrimonio di Sirius. Ho appena fatto una deduzione e così mi concedo un’occhiata veloce al mio amico per valutare il mio livello attuale di intelligenza: labbra sporche di cioccolata e guance rigonfie. Corretto.
«Ho smesso di pensare» annuncio pratico.
«Cosa?»
«Non sto pensando e dico cose stupide quando non penso, lasciatemi ricominciare a pensare.»
C’è un secondo di silenzio nella stanza, poi i miei amici riprendono a chiacchierare tra loro, mentre io continuo a fissare la finestra e riassegnare i giusti compiti a tutte le mie facoltà mentali, prima di riscuotermi.
«Ecco fatto» annuncio soddisfatto dopo un po’. «Devo andare a scusarmi, scusate.»




Lizzie è dove l’ho lasciata e mi osserva interrogativa mentre mi avvicino a lei e mi schiarisco la gola.
«Volevo scusarmi per prima» inizio mortificato. «Non so se l’hai notato, ma mi sono imbarazzato e ho perso la capacità del linguaggio.»
«Sì, avevo notato qualcosa.»
L’angolo destro della sua bocca è piegato in modo strano, come a trattenere un sorriso o una smorfia. Probabilmente una smorfia.
«È stato fuori luogo, mi dispiace» continuo diplomatico, assaporando il gusto di essere di nuovo al comando del mio cervello. «Nessuno mi aveva mai detto che sono più carino della norma.»
Subito in un angolo remoto di me inizia a vibrare leggero il senso di colpa e la voce di mia nonna mentre ripete a chiunque che bel ragazzo io sia, ma è sempre labile il grado di affidabilità di chi definisce bellissimi e appende al frigo gli scarabocchi fatti da un bambino.
«È stato fuori luogo anche cercare di ricambiare il complimento così velocemente, come a dirlo in obbligo» aggiungo pacato. «Non è qualcosa che fa suonare sinceri i complimenti, mentre io volevo davvero dire qualcosa sulla tua faccia.»
«Che tipo di cosa?»
«Soggettiva» Lizzie inarca un sopracciglio ed io cerco di fare mente locale perché lo sto facendo di nuovo. «E carina.»
«Beh, è il pensiero che conta» Si stringe nelle spalle. «Grazie.»
«Prego.»
Prego è una risposta così appropriata a grazie, una combinazione di botta e risposta chiara e perfetta, a cui ho contribuito con un tempismo notevole nel rispondere la cosa giusta pur non avendo idea di cosa stessimo in realtà parlando, e mi sento così in pace con me stesso per questa nuova ristabilita capacità di dialogo e logica.
E poi succede e basta, all’improvviso, come una bolla di sapone che esplode dal nulla e irrita gli occhi con piccoli schizzi brucianti.
«La tua faccia è come un fiorire di girasoli in un campo assolato di girasoli.»
Lizzie spalanca gli occhi, terrorizzata, e questa volta non ho nemmeno sentito le mie labbra muoversi da sole tanto è stato fulmineo ed estraneo alla mia volontà, mi è arrivata una voce alle orecchie e ci ho messo qualche secondo a capire che era la mia voce.
Gli occhi di Lizzie sono ancora spalancati e fissi su di me, ed esprimono ancora terrore, e non appena quello che ho appena detto mi riecheggia nelle orecchie anche i miei occhi si spalancano.
«Oh Godric, scusa» dico con voce strozzata, prima di voltarmi e correre.




I miei amici stanno ancora chiacchierando pacifici e ignari delle cose terrificanti che accadono all’esterno di questa stanza e quando, dopo essermi fiondato dentro, getto la mia schiena contro la porta appena chiusa e resto così a fissare il vuoto con gli occhi spalancati, mi lanciano un’occhiata incerta.
«Remus?»
«Ti sei scusato?»
Annuisco frenetico, le labbra ben strette l’una contro l’altra.
«E...?»
«E devo scusarmi di nuovo» sospiro afflitto.
«Perché? Che hai fatto?»
«Il mio cervello» spiego, cercando di ricompormi. «Mi ha fatto una finta, non avevo davvero ricominciato a pensare» E mentre lo racconto ai miei amici mi rendo conto che è esattamente questo che è successo, sono caduto in un falso senso di sicurezza: mai abbassare la guardia. «Ora devo andare a scusarmi di nuovo, ma non posso farlo senza uscire da questa camera e non posso uscire da questa camera mai più.»
«Cosa hai fatto, Remus?» insiste James.
Ed è questo, è questo il momento in cui il mio cervello dovrebbe rimettersi a funzionare una volta per tutte e tenere le mie labbra incollate l’una all’altra, perché l’unico raggio di luce nell’orrore che è appena successo è che i miei amici non erano lì ad assistere, che i miei amici non sanno e non dovranno mai saperlo.
«Ho detto a Lizzie che la sua faccia è come un fiorire di girasoli in un campo assolato di girasoli.»
Se non fosse che le mie labbra l’hanno fatto di nuovo.
È un lungo istante di teso silenzio quello che segue le mie parole, poi gli arti e il busto di James iniziano a muoversi in modi bizzarri come se stesse cercando di vincere un incontro di wrestling con il letto e stesse perdendo, e Sirius che è nel baldacchino proprio accanto a lui non pare nemmeno sentire le sue risate, ancora immobile a fissarmi con gli occhi spalancati, gelato in quell’espressione di terrore che è stata anche la reazione di Lizzie. Peter ha la bocca coperta da entrambe le mani e gli occhi equamente divisi tra lo shock e la voglia di ridere.
È quando James, che nel frattempo è finito per terra, si rialza ansimando, aggrappandosi alle coperte per reggersi in ginocchio e si toglie gli occhiali con uno scatto, svelando gli occhi umidi e le guance rigate di lacrime, e Sirius sillaba con un filo di voce ‘Un campo di...’ prima che James emetta un suono acuto che assomiglia alla parola assolato e si ributta per terra, che cerco a tentoni la maniglia e ricomincio a correre.




«Ci sono libri in cui i complimenti sono spesso associati ad immagini della natura ed in particolare ad eventi atmosferici o a fiori» Lizzie è nell’esatto punto della Sala Comune in cui l’ho lasciata e ha ancora lo stesso sguardo terrorizzato che è normale assumere quando le persone paragonano la tua faccia a un campo di girasoli. «Questo naturalmente ha senso nei libri e non nella vita vera. È stato estremamente fuori luogo e le mie labbra hanno agito in totale autonomia, ti prego di credermi» Quando si rende conto della mia presenza e sposta gli occhi su di me, io sono già a metà del mio discorso. «Desidero dissociarmi completamente da quello che è accaduto. Spero che tu possa capire che solo perché vivo dentro la mia testa non significa che io debba per forza avere la responsabilità di quello che esce dalla mia bocca. Devo naturalmente, questo è stupido, mi assumo la responsabilità dei girasoli, ma... » Abortire, abortire l’operazione. «Mi dispiace».
«Ok. Non preoccuparti. È capitato. Può capitare. Girasoli. Volevo dire, devo andare, grazie della cioccolata e buon Natale».
«Siamo a Febbraio».
«San Valentino, volevo dire San Valentino, buon...ciao Remus».
«San Valentino» ripeto facendole un cenno del capo mentre si allontana, prima di realizzare di aver detto San Valentino e non ciao. Il mio cervello ha un’ultima finale convulsione prima di accasciarsi su se stesso.



«Credo che non mi rivolgerà mai più la parola» annuncio rientrando in camera.
«Credo che non ti rivolgerò mai più la parola» replica subito Sirius e non ha l’aria di stare scherzando.
«Un campo assolato di girasoli?» James non è più per terra, ma ha ancora gli occhi lucidi. «Un campo assolato di girasoli?» E lo rende felice ripeterlo, è evidente nel modo in cui si illumina tutto. «Lo sai, Moony, un giorno diventerò campione del mondo di Quidditch e nello stesso momento in cui la mia mano si chiuderà sul boccino che mi farà vincere la Coppa del mondo, batterò contemporaneamente il record di cattura di Roderick Plupmton, diventando così il Cercatore più veloce mai esistito. E anche allora tuttavia il momento più bello della mia vita resterà quello in cui tu hai detto a Lizzie che la sua faccia sembra un campo assolato di girasoli» C’è qualcosa di ammirevole nel modo in cui anche mentre mi sfotte riesce comunque a tirare in ballo il Quidditch. «Il momento più bello della mia vita e non c’ero nemmeno. Oh Godric, perché non c’ero
«Come fa la faccia di una ragazza a sembrare un campo di fiori?» Peter mi lancia un’occhiata corrucciata dal suo letto.
«C’è quella del quinto anno piena d’acne, la sua faccia sembra effettivamente un campo di papaveri. Papaveri pieni di pus».
«Oh, Godric, Sirius».
«Moony, Moony, guardami» James inizia a gesticolare verso di me come se avesse qualcosa di impellente da dirmi. «La mia faccia assomiglia più a un campo di margherite in fiore o a un mare percorso da banchi di pesci variopinti?»
Questa volta anche Sirius e Peter si uniscono alle risate ed io sospiro afflitto, perché questo è esattamente quello che mi merito.
«Mi ricorderesti di nuovo quanta cioccolata hai ricevuto oggi, James?»
«Non funziona, Moony, non è più depresso ora» mi informa Sirius.
«No?» Inarco un sopracciglio interrogativo, mentre James scuote la testa soddisfatto.
«Il mondo mi sorride di nuovo».
«Certo, perché ti sei mangiato tutta la mia cioccolata».
«La vedranno tutti» continua James ignorando il risentimento di Sirius. «Non vedo l’ora che sia San Valentino del prossimo anno, quando avrò vinto la Coppa e sarò sommerso di cioccolata e allora ricorderò questo momento e ad ogni ragazza che vorrà uscire con me dirò sai, forse dovresti procurarti una giratempo e portare questa cioccolata al me stesso del sesto anno, quando non ho ricevuto nulla ed ero solo al mondo. Qualcosa del genere, ma ancora più sagace e velenoso. Si pentiranno».
James sembra molto convinto e lì per lì decido di starmene zitto, che non sono nessuno per giudicare gli altri, considerando che me ne vado in giro a dire cose ridicole sulla faccia delle persone, eccetto che ridimensionare i miei amici quando partono per la tangente è una delle mie principali occupazioni e così procedo e basta.
«James, è San Valentino, nessuno ti ha regalato cioccolata e tu stai già perfezionando la risposta con cui rifiuterai i quintali di cioccolata che hai deciso ti arriveranno il prossimo anno, davvero?»
« Non ho detto che li rifiuterò, Moony, non sono stupido. Solo che li accetterò con sdegno» precisa James, prima di schiarirsi la voce. «Detto questo, non posso essere l’unico ad aver notato che la faccia di Sirius sembra un cielo stell- »
C’è già l’accenno di un ghigno sulle labbra di James prima ancora che finisca la frase, e poi c’è il mio cuscino e il rumore di risate soffocate.




«Davvero non so come tu possa sentirti onesto a sfoggiare quella spilla quando non hai nemmeno intenzione di far rispettare le regole, Moony».
James mi lancia l’ennesima occhiata imbronciata, addentando la sua coscia di pollo con un’aggressività superflua.
«Non sta facendo nulla di male, James» sospiro, lanciando un’occhiata a Philips, seduto all’altra estremità del tavolo accanto ad Evans, una rosa appoggiata sul tavolo tra i loro piatti. «Non posso togliergli punti solo perché ha deciso di cenare con la sua ragazza a San Valentino».
«Non è un Grifondoro, non dovrebbe stare al nostro tavolo».
«Sarebbe preferibile di no» concedo. «Ma non c’è scritto esplicitamente da nessuna parte che è contro le regole».
«Ok, quindi questa è la tua posizione a riguardo» conclude James sbrigativo, un guizzo pericoloso negli occhi. «Tutto quello che non è esplicitamente vietato non è contro le regole e godrà del tuo pieno appoggio».
Questa non è assolutamente la mia posizione a riguardo e sento che è di vitale importanza farlo presente a James il prima possibile, ma Sirius, che ci stava prestando la stessa attenzione che dedica alla maggior parte delle persone, ovvero nulla, ci interrompe all’improvviso.
«Non credo che sia legale, ragazzi» annuncia, gli occhi puntati alle mie spalle «È piccola».
«Fa il quarto anno» replico voltandomi a guardare Peter e la ragazza dai capelli color carota al tavolo di Tassorosso. Non so cos’abbiano tutti i miei amici con le rosse, per l’appunto. «Non è solo lei, vedi, è una cosa generale, ora li fanno tutti più piccoli».
«Mmm» Sirius scruta pensoso la folla schiamazzante sparsa per la Sala Grande, prima di arricciare le labbra divertito. «Può darsi che la ragazzina di prima allora non fosse del primo anno» aggiunge voltandosi verso James, che a inizio cena ha finalmente ricevuto della cioccolata da una ragazzina minuscola palesemente del primo anno. «Forse aveva almeno dodici anni. È una notizia grandiosa, James, vai ancora forte tra le dodicenni».
«Fottiti» scandisce James, prima di puntare la sua bacchetta contro la caraffa di succo di zucca. Oltre i ghirigori disegnati nell’aria dalla scia arancione che si attorciglia in strani giochi acquatici per poi rituffarsi nella caraffa, gli occhi di James mi fissano con sfida.
«James.»
«Ti dà fastidio la mia fontana, Moony? Ah, se solo trasformare una caraffa in una fontana fosse esplicitamente contro le regole»
La fontana di James mi dà fastidio, perché continuano ad arrivarmi dei microscopici schizzetti addosso e perché la scia di succo non forma dei disegni casuali, come mi era parso inizialmente, ma delle parole, parole che nulla hanno a che fare con le regole del galateo. Ma non resta davanti a me a lungo, perché nessuna caraffa di succo di zucca dura mai nello stesso posto per più di qualche minuto a questo tavolo. Frank la passa a Mary e nessuno dei due sembra farsi domande sul perché il succo di zucca sia così volgare questa sera.
Quando Peter torna al nostro tavolo, vorrei chiedergli com’è andata, ma James mi precede e la sua voce è così profonda e coinvolta mentre lo dice.
«Pete, la tua faccia è come un robusto albero da frutta carico di grossa frutta succosa».
«Questa è la cosa più pornografica che io abbia mai sentito» stabilisce Sirius, mentre Frank alla mia destra inizia a tossire convulsamente, aggiungendo altri schizzi di succo ai lasciti della fontana. Lo guardo strozzarsi con la coda dell’occhio per qualche secondo, soffermandomi a riflettere su come sia vedere noi Malandrini dall’esterno per tutto il tempo, senza i retroscena, e infine decido di non soffermarmici affatto.
Non faccio in tempo a riprendere in mano il cucchiaio, che una busta giallognola piomba con uno splash nel mio piatto, dando il colpo di grazia alla tovaglia e al mio maglione. Non so che problema abbiano i gufi di questo castello, o se abbiano un problema tanto per cominciare: ai primi anni pensavo si trattasse di cattiva mira o vista, od entrambe, ma dopo sei anni sono giunto alla conclusione che è voluto, c’è una qualche gara annuale tra i volatili e chi riesce a centrare più piatti e soprattutto più liquidi ha diritto ai posti migliori in Guferia.
La busta, come scopro solo dopo averla ripescata ed asciugata con la bacchetta, non è nemmeno la mia.



«Sono ufficialmente zio» ci informa Sirius, riprendendo la foto che aveva lasciato perplesso sul tavolo prima di leggere la lettera. «E l’ha chiamata Ninfadora».
C’è un che di disgustato nel modo in cui lo dice, e non riesco a biasimarlo al cento per cento, ma c’è anche una luce calda nel suo sguardo mentre si posa sulla foto della bambina, qualcosa di raro e inaspettato negli occhi di Sirius, quasi fuori posto.
È una Black e si vede.
Avrà a malapena un mese, ma un folto ciuffo di capelli neri come l’inchiostro svetta già sulla pelle chiara e gli occhi sono grandi ed espressivi, meno affilati di quelli di Sirius, ma dello stesso grigio glaciale. Non ho mai visto la cugina di Sirius né suo marito, ma non è difficile intuire da chi abbia preso la bambina.
«Anch’io voglio essere zio, chiedi ad Andromeda se posso essere lo zio Prongs» sta dicendo James entusiasta.
«Non funziona così, James».
«Certo che sì, e poi tua cugina mi adora» insiste James, mentre io aggrotto la fronte, cercando di mettere meglio a fuoco la foto: il ciuffo di capelli che poco fa mi erano sembrati così palesemente color petrolio, dello stesso identico ed intenso nero di Sirius, ora non sembra più così scuro. Riguardando la foto, sembra addirittura più castano che nero. «Continuava a ringraziarmi quando siamo andati a trovarla quest’estate».
«Grazie per aver ospitato Sirius non vuol dire ti prego diventa lo zio di mia figlia, James».
«Non aveva gli occhi grigi prima?»
«Cosa?»
Sirius mi lancia un’occhiata perplessa, mentre io gli porgo la foto.
«Prima aveva gli occhi grigi. Ora sono azzurri. È normale?»
Sirius alza le spalle.
«Non ci ho fatto caso onestamente».
«Sei già uno zio modello. Ti ci vedo a tornare dal parco con la bambina sbagliata perché ‘non ci ho fatto caso onestamente’» lo scimmiotta James, che evidentemente spera di guadagnare punti come papabile zio screditando quello vero.
«Aspettate, ora sono verdi. Questa foto è rotta, perché continua a cambiare colore?»
Questa volta Sirius si spreca addirittura a prendermi la foto dalle mani, e dopo averla scrutata per qualche secondo mi lancia un’occhiata di compatimento.
«Moony, stai delirando, sono azzurri, guarda» E il fatto è che, come constato mentre mi mostra la foto, ora sono davvero azzurri, ma fino a venti secondi fa potrei giurare che fossero di un bel verde acceso. «Azzurri come quelli di Ted, il padre. Tutto nella norma.»
Peter e James concordano evidentemente con Sirius, o almeno è quello che mi dicono i loro sguardi perplessi fissi su di me, ed io mi sento molto astuto e molto stupido allo stesso tempo, perché sto notando cose che nessun altro vede e questo mi rende estremamente furbo e intelligente, e perché sto notando cose che nessun altro vede, e questo mi rende pazzo.
«Posso?» chiedo allungando la mano verso la lettera, perché ho sempre avuto questa innata e disdicevole curiosità che mi spinge ad essere eccessivamente attratto dalle cose personali degli altri. Fortunatamente nessuno dei miei amici ha ben chiaro il concetto di privacy e così Sirius annuisce distratto.
Non l’ho mai vista di persona, ma non è la prima volta che leggo una sua lettera e per quel poco che posso dire di conoscerla, mi piace Andromeda. Mi piacerebbe a priori, anche se fosse la persona più antipatica sulla faccia della terra, per il semplice fatto che è gentile con Sirius e gli vuole bene e non lo chiama traditore. Potrebbe mantenersi uccidendo gattini a mani nude e le sarei comunque grato per essere una delle due persone nella famiglia Black a non odiare il mio amico, ma la realtà è che Andromeda non è affatto antipatica e non si mantiene uccidendo gattini, e mi piace davvero.
Ha la stessa inconfondibile ironia un po’ pungente di Sirius, ma è molto più dolce e affettuosa e c’è sempre un che di materno nelle sue lettere, nonostante abbia solo pochi anni in più di Sirius.
Sembra più matura dell’età che ha ed è quando leggo di quanto la madre di Ted l’abbia aiutata durante e dopo la gravidanza che realizzo che ha solo vent’anni e che probabilmente se è così facile dimenticarlo è proprio perché la sua di madre invece non c’è stata dal giorno in cui si è fidanzata con un Nato Babbano, e in un certo senso anche da prima.


La sorella di Ted passa da noi un giorno sì e uno no, ma Dora ha occhi solo per Alphard (così come li abbiamo sempre avuti noi d’altro canto). È qui ora, dice che è contento che sei bloccato a scuola, così può godersi di essere lo zio preferito ancora per un po’, perché appena ti vedrà diventerai tu quello. Ha ragione naturalmente. Mi secca ammetterlo perché gradirei che lo zio preferito di mia figlia non fosse un ragazzino spericolato e con tendenze piromani, ma così è la vita.
Mi renderai una madre apprensiva e seccante, sai, e potrai biasimare solo te stesso perché mi costringerai a sgridarti quando la trascinerai con te in situazioni assurde e totalmente non sicure, quando le porterai regali inappropriati per una bambina e quando non avrai alcun filtro come tuo solito, e dato che allora sarò impegnata a riprenderti voglio dirtelo adesso: grazie. Grazie per tutti i casini che combinerai e per lo zio assolutamente fuori di testa che sarai per mia figlia, perché adesso come negli anni scorsi tu sarai sempre l’unica famiglia di cui ho bisogno.
Con amore,
Meda
P.S. Saluta James e gli altri,


«Ahah! Saluta James e gli altri, James, e gli altri!»
James, chinato su di me, esulta trionfante ed io sobbalzo, mentre Sirius alza gli occhi al cielo.
«Di nuovo, Prongs, è saluta James, non saluta James e chiedigli se vuole diventare zio».
«Hai solo paura che ti ruberei il ruolo di zio preferito. Cosa che farei, chiaramente».
«Finita la scuola mi comprerò una moto, James. Una moto. Sarò lo zio preferito di chiunque nel raggio di miglia».


P.P.S. Ho mandato la foto anche a Regulus e Narcissa.
Lo so, non fare quella faccia: sono un’idiota senza speranza e non risponderanno mai, ma volevo che lo sapessero da me.




«Sirius, tutto nella norma un corno, i capelli di tua nipote sono appena diventati rosa».




**********


Sirius è intrattabile da mesi e febbraio è quasi giunto al termine quando succede quello che era solo questione di tempo che succedesse.
Peter è da qualche parte con Hestia, come sempre ultimamente, il che sarebbe classificabile come tradimento vero e proprio secondo le regole non scritte dei Malandrini, se non fosse che fino a qualche mese fa eravamo tutti convinti che sarebbe morto vergine, quindi per ora possiamo chiudere un occhio. Remus è alla riunione dei Prefetti invece e questo è tradimento a tutti gli effetti, mentre Sirius se ne sta accanto a me con le gambe a penzoloni e la schiena abbandonata contro l’ampia vetrata di una delle finestre del corridoio di Trasfigurazione, gli occhi annoiati che vagano tra i gruppetti di studenti che passeggiano senza meta di fronte a noi.
Le figurine volanti in lontananza sono sparite già da qualche minuto e scorgo ora una piccola processione che si allontana dal campo da Quidditch verso il castello, attraversando il parco illuminato da un sole inaspettatamente caldo. Frank e Mike stanno chiacchierando a pochi passi da me e vorrei convincerli a buttarci in un allenamento dell’ultimo minuto, approfittando del bel tempo e del campo libero, se non fosse che c’è un motivo se sto indugiando qui invece di tornare in Sala Comune: sono quasi le sei, l’ora in cui Evans mi aspetta nell’aula di Pozioni. Sto appunto per congedarmi da Sirius, quando noto che la sua mascella si è irrigidita impercettibilmente e anche se quello è l’unico segno visibile, ora tutto in lui mi trasmette irritazione.
Mentre ci sfilano davanti, Piton lancia un’occhiata velocissima nella nostra direzione, senza soffermarsi precisamente su Sirius, e potrebbe quasi sembrare che stesse solo guardando il parco alle nostre spalle, se non fosse per l’evidente soddisfazione nei suoi occhietti neri. Dura qualche secondo appena e Regulus Black non pare notarlo, mentre continua a camminargli affianco e a parlare con Avery, fino a che tutti e tre non spariscono oltre l’angolo alla fine del corridoio.
Non era così all’inizio, ci ha messo un po’ Piton ad accorgersi che la nuova aggiunta al suo gruppetto infastidiva Sirius, ma da quando l’ha notato – e che l’abbia notato nonostante Sirius non abbia mai detto una parola è solo l’ennesima prova di quanto sia ossessionato da noi – non manca mai di rivolgergli occhiate compiaciute, quasi a sfidarlo a fare qualcosa. E non è solo il fatto che è Piton e che Sirius lo odia, è che tutti qui a scuola sanno cos’hanno in comune lui, Avery, Dolov e ogni altro membro di quel gruppetto, che siano del settimo o del sesto anno: lo sa bene Mary MacDonald, su cui Mulciber ha usato una maledizione senza perdono l’anno scorso, ed è più del semplice interesse per la magia nera, più dei sanguesporco sussurrati con disprezzo tra una lezione e l’altra, e la verità è che ogni tanto viene da chiedersi se non ce l’abbiano già tatuato sul braccio quel teschio spettrale, o se faccia una qualche differenza, che l’abbiano già oppure no.
«Sirius» dico, e sto infrangendo le regole, perché Sirius non ha mai nominato suo fratello da quando se n’è andato di casa e mi ha sempre fatto capire silenziosamente quanto non gradisca alcuna intromissione nel suo fingere di essere figlio unico.
«Non m’interessa» mi taglia subito infatti, scendendo dal davanzale e guardandosi attorno come alla ricerca di qualcosa da fare. «Ho detto che non m’interessa» ripete freddo quando faccio per aprire bocca di nuovo. «Ora piantala di fissarmi e vai a fare esplodere le pozioni in faccia ad Evans, io ho da fare».
«Cosa devi fare?» mi informo cautamente.
«Allagare i sotterranei».
«Adesso?»
Non è che allagare i sotterranei sia sbagliato di per sé, allagare i sotterranei è anzi un’ottima idea, è il nostro piano di fine anno e questo è il punto: è il nostro piano di fine anno, da mettere in atto a fine anno e non ora, tutti insieme e non da soli, quando Remus avrà scoperto le tempistiche con cui Silente rafforza gli incantesimi di protezione del vetro e quando il piano non sarà solo una vaga idea dell’obbiettivo ma effettivamente un piano, articolato e ben studiato in modo da non finire tutti in punizione o annegati.
«Adesso, sì» replica Sirius, a cui tutto questo evidentemente non interessa.
«D’accordo, ma dobbiamo ancora provare gli incantesimi e tutto, e ci servono Remus e Peter» cerco di farlo ragionare. «Non puoi semplicemente...»
«Tu sta’ a guardare» conclude Sirius con sfida, facendo per allontanarsi, perché certo che può invece e non è come se ora io avessi qualche speranza di convincerlo a desistere.
«Sirius, ti prego, non posso farmi mettere in punizione prima della partita» sussurro esasperato, affrettando il passo per stargli dietro. Sirius si ferma e si volta scocciato.
«Non ti ho chiesto di venire».
«Non hai bisogno di chiedermelo» replico infastidito, passandomi nervoso la mano tra i capelli. «Ok, aspetta un attimo» aggiungo con un sospiro, prima di raggiungere il gruppetto qui vicino con una veloce corsetta.
«Frank, amico, avviseresti Evans che non posso andare a ripetizioni oggi? Grazie!»
Prima che Frank abbia il tempo di rispondere sono di nuovo di fronte a Sirius.
«È un suicidio, ma se vuoi allagare i sotterranei adesso, completamente allo sbaraglio e senza uno straccio di piano, allagheremo i sotterranei adesso, completamente allo sbaraglio e senza uno straccio di piano. Andiamo, ho il mantello».




**********

È ora di cena e la Sala Comune è praticamente vuota, ma quando Potter fa il suo ingresso ogni singola testa si volta verso di lui, perché la notizia ha già fatto il giro della scuola.
«È questo che dovevi fare, Potter?» Lupin, che era a qualche poltroncina di distanza da me, si alza non appena vede il suo amico, ma la prima a raggiungerlo sono io. «Allagare la Sala Comune di Serpeverde?»
Non sono mai stata così furiosa con Potter in vita mia ed è una bugia naturalmente, perché sono abbastanza sicura di esserlo stata ad un certo punto, anche più di una volta, che Potter è così bravo a farmi perdere le staffe, ma il punto resta: non sono mai stata così furiosa con Potter in vita mia.
«Evans» inizia stancamente e quello non è il tono di chi sente di doversi scusare o di chi si sente anche solo minimamente in difetto, perché quando mai potrebbe capitare ovviamente. Mi lancia un’occhiata stanca e vagamente esasperata ed io mi sento così stupida. Questo non fa che irritarmi di più, perché non mi piace sentirmi stupida, non sono stupida, sono una brillante e promettente giovane strega, come ripete sempre Lumacorno, e allo stesso tempo la faccia tosta di Potter è proprio qui davanti a me ora ed è la prova lampante e innegabile di quanto io sia in realtà incredibilmente stupida.
«Mi piace scrivere sui muri, Potter» sbotto cercando di abbassare la voce. «Scrivere, disegnare, scarabocchiare, qualunque cosa: mi piace imbrattare i muri. E sai perché? Perché non lo puoi fare quando sei in una casa babbana senza magia» Potter non ha chiaramente idea di quale sia il punto ed è chiaro dal modo in cui mi guarda che si sta sentendo stupido in questo momento, e la cosa mi suscita un appagamento maligno, che nessuno prima di lui mi aveva mai fatta sentire tanto stupida. «Non lo puoi fare perché non si cancella tutto con un tocco di bacchetta, devi uscire di casa, comprare un barattolo di vernice e poi passare la vernice, o guardare i tuoi che passano la vernice, e nessun genitore babbano è felice di passare la vernice e poi aspettare che l’odore lasci finalmente la stanza, ragione per cui ogni bambino babbano sa che non può scrivere sui muri» Ed è così confuso ora. «Questo non accade ad Hogwarts, dove tutti usano la magia anche solo per scaccolarsi, quindi a volte, quando mi gira, disegno sul muro della mia camera e poi cancello tutto con un tocco di bacchetta, in mezzo secondo, senza vernice coinvolta. E ti sto dicendo tutto questo» Potter pareva sul punto di volermi interrompere, ma qualcosa nei miei occhi e nel mio tono deve avergli fatto cambiare idea. Credo anzi di aver appena dato un pugno a Potter con gli occhi. Sembra qualcosa di fisicamente impossibile, ma sono abbastanza certa che questo sia esattamente quello che ho appena fatto, e che fosse un gancio di tutto rispetto. «Perché scarabocchiare sulle pareti della mia camera per poi cancellare tutto è solo uno degli infiniti modi in cui preferirei e avrei preferito passare i miei venerdì sera invece che chiusa nei sotterranei con te che forse vuoi davvero imparare qualcosa o forse no, non è dato sapere, essendo tu un dannato aspirapolvere» A Potter non piace la parola aspirapolvere e di nuovo devo intensificare l’ostilità che emano tutta d’un colpo per impedirgli di interrompermi. «E nonostante questo, ti è sembrato che io fossi in camera mia a scrivere sui muri lo scorso venerdì? Ho fatto anche solo mezzo segno sul muro dell’aula di Pozioni? No, perché so rispettare gli impegni presi. Impegno, cercalo sul dizionario quando hai tempo. Se poi vuoi strafare cerca anche rispetto».
«Questa cosa è incredibilmente melodrammatica, Evans».
E gli basta così poco. Non c’è un perché, certe cose sono così e basta e Potter è sempre stato tra tutti l’unico in grado di risvegliarmi sensazioni così forti, anche più di Deabourn, che era il mio ragazzo, e di Dean, che è il mio ragazzo. E sono sempre sensazioni negative, com’è naturale, agitate, ostili e incontrollabili, ed è parecchio frustrante come proprio Potter abbia il potere di insinuarsi così a fondo negli equilibri del mio controllo, e come gli venga naturale. Vorrei essere più lucida in questo momento, forse per trovare le parole migliori per farlo capire a lui, che davvero non se ne rende conto, o anche solo per realizzare io stessa che non vale la pena infuriarsi con Potter e cercare di spiegargli come ci si comporta tra essere umani decenti.
«Sei viziato oltre il livello del ridicolo» dico e mi trema la voce. «Così tanto che non te ne rendi nemmeno conto, perché ti pare scontato che le persone stiano ai tuoi comodi, come se ti fosse dovuto, pronte a prodigarsi per qualcosa di cui a te per primo importa meno di zero».
«Mi importa, Evans, o non te l’avrei chiesto». E ha di nuovo quel tono vagamente stanco ed esasperato, come se fosse lui quello che sta facendo un favore a me e non il contrario.
«Oh sì, ti importa così tanto che nella tua scala di priorità è subito sotto ad allagare la Sala Comune di Serpeverde» Non è l’aver accettato in primo luogo di aiutarlo a farmi sentire particolarmente stupida, è che quando Frank è venuto da me all’ultimo momento a riferirmi il suo messaggio, io ho effettivamente pensato che Potter avesse avuto un contrattempo. L’ho dato per scontato, sei anni che lo conosco e nonostante questo ho dato per scontato che avesse un vero motivo per darmi buca all’ultimo secondo. Ed è ridicolo che non me lo aspettassi, che sentirlo dal resto della scuola il vero motivo mi abbia spiazzata, perché che Potter semplicemente non avesse voglia e abbia deciso di volersi divertire coi Serpeverde è quanto di più naturale ci sia al mondo e tuttavia non me lo aspettavo, per qualche assurdo motivo io non me lo aspettavo, ed è questo che mi fa sentire così stupida ora, e che mi fa battere il cuore dalla rabbia. «Oggi ho passato tutto il pomeriggio in punizione, perché non sono rimasta sotto quel dannato mantello e il tutto sempre per aiutare te, e subito dopo sono scesa nell’aula di Pozioni, sempre per, indovina un po’, aiutare te e tu non ti sei presentato perché avevi l’urgenza di allagare i sotterranei pare, e poi te ne vieni qui con la tua faccia tosta, senza uno straccio di spiegazione, a dirmi che sono melodrammatica».
Il mio sbuffo incredulo a coronare il tutto dovrebbe aiutare Potter a processare quanto sia ridicola la situazione, ma lui pare essersi perso a metà strada.
«Non ti ho mai chiesto di toglierti il mantello, Evans. Il punto era proprio che te lo tenessi addosso, pensa».
«Ma mi hai chiesto di aiutarti con Pozioni, sì? O forse me lo sono sognata, sto facendo tutto io perché ho questa insana voglia di aiutarti, così a caso». Sbuffo con una risata. «E me lo sono tolta perché pensavo che fosse la cosa giusta, e che sotto sotto fossi in qualche modo una persona decente, e invece mi hai confermato per l’ennesima volta che non ti importa di niente e nessuno, non di diventare Auror, non di non farti buttare fuori dalla squadra di Quidditch e far perdere la tua squadra di nuovo, niente».
E l’ultima cosa la aggiungo solo perché non gliene frega nulla nemmeno di qualunque cosa io abbia detto ed è frustrante che io sia l’unica infuriata tra i due. «Né dei tuoi amici».
«Prego?»
«Black è in punizione e tu no» replico con un’alzata di spalle e un’occhiata eloquente. «Oh, fammi indovinare, ‘non gliel’hai chiesto tu’».
Ed è solo un lampo oltre le lenti quadrate prima che una maschera di freddezza prenda il suo posto, ma finalmente non sono più l’unica ad aver perso le staffe, ed è evidente anche nel modo in cui vibra la sua voce apparentemente calma.
«Wow, Evans. Devi insegnarmi come fai a passare tutto il tempo a giudicare ogni singola cosa e riuscire ad essere comunque tu quella umile tra i due».
Ma certo, rigira tutto.
«Sai che c’è, Potter? Se non interessa a te, non aspettarti che importi a me».


*
È solo quando Lily sparisce oltre le scale del dormitorio femminile senza voltarsi indietro, che James si accorge dei miei occhi puntati su di lui e del fatto che sono stato qui in piedi tutto il tempo.
«Stai aspettando per dare di matto anche tu?»
Sono effettivamente in fila, non lo posso negare, ed ora che è arrivato il mio turno non sono sicuro di cosa dovrei farci. Voglio dire, dare di matto è il primo e naturale istinto che mi ha portato ad alzarmi non appena James è entrato dal ritratto, ma non c’è nulla di più controproducente del dare di matto saltando la fase delle indagini e degli accertamenti.
«Sto valutando».
«Beh, mentre valuti io salgo in camera».
«Oppure potresti dire qualcosa che mi aiuti a valutare» aggiungo seguendolo. «Lo sai, è un’opzione questa. Spiegare le cose alle persone invece di innalzare un muro di ego ferito e frecciatine.»
«No, non è un’opzione spiegare ad Evans che cosa...e non dovrebbe essere necessario con te, lo sai già che cos’è successo, ok? Dovresti saperlo.»
C’è un che di sfiancato nel tono di James che traspare anche dalla linea sconfitta delle spalle mentre mi precede lungo il corridoio del dormitorio, ma c’è anche una nota indispettita ed è così evidente quanto sarebbe più vantaggioso per tutti, lui in primis, se ogni tanto mettesse in pratica il consiglio che gli ho appena dato, quasi evidente quanto il fatto che non lo farà nel corso di questa vita.
La porta della nostra camera si chiude alle mie spalle ed io sospiro.
«Che cos’ha?»
Non sapevo cosa fosse successo fino a pochi minuti fa, ma James ha detto che dovrei saperlo ed in effetti lo so.
«Regulus ha iniziato a girare con Piton e il resto degli altri probabili aspiranti Mangiamorte» risponde e ora che non si sente più sotto accusa è sparita ogni traccia di ostilità dalla voce. «Il che fa di lui un probabile aspirante Mangiamorte.»
E il fatto è che James era così chiaramente l’idiota fino a pochi secondi fa, mentre ora sono io l’idiota. A mia discolpa, non c’è un particolare motivo per cui dovrei far caso alle frequentazioni di un Serpeverde di un anno indietro a noi, eccetto che c’è, eccetto che James a quanto pare lo ha fatto, ed ora Piton che finisce nel lago senza che Sirius tocchi neppure la bacchetta ha molto più senso.
«Dov’è adesso?»
«Dal preside, credo. Il mantello che si è inzuppato ha reso complicata la ritirata e Sirius ha attirato l’attenzione per farmi dileguare» Non ci sarebbe stato nessun mantello fradicio se avessimo aspettato la fine dell’anno e pianificato il tutto come previsto, ma non è come se fosse un’informazione nuova per qualcuno nella stanza. «Pensano che abbia fatto tutto da solo – e non è difficile da credere, visto l’esito disastroso.»
«Lo sa tutta la scuola che non era solo, James.»
«Non lo sanno i professori» James alza le spalle, prima di lasciarsi cadere a peso morto sul letto, ancora con le scarpe.
«Lo sa la tua squadra» insisto e James sposta gli occhi dal soffitto del baldacchino per piantarli nei miei. «Che si chiederà se soffri di bipolarità, dall’impazzire per farti perdonare per l’anno scorso al rischiare tutto così prima della partita più importante.»
«Lo sai perché l’ho fatto.»
«Io lo so perché hai rischiato di mandare tutto all’aria di nuovo, certo che lo so» continuo spedito, vagamente consapevole del mio tono sempre più infervorato. «Ma la tua squadra non lo sa, Lily non lo sa, la McGranitt non lo sa e se ti avesse beccato sarebbe stata costretta a buttarti fuori dalla squadra. E tu sei stato praticamente costretto a farlo lo stesso, anche se non volevi, per il semplice fatto che non riesci a mettere nulla di fronte ai tuoi amici. E Sirius lo sa.»
Si è messo a sedere ora e capisco da come mi guarda che ha capito dove voglio andare a parare e che non gli piace per nulla, ma io non mi lascio interrompere.
«No, ascolta, è anche il mio migliore amico, lo so com’è fatto, ok? Non c’è bisogno che me lo dici. Lo so che a volte non pensa e tutto, è solo che sto aspettando che tu mi dica di non fargli nessuna scenata e lasciarlo stare quando torna da quando sei entrato in questa stanza, perché sappiamo entrambi che è quello che stai per dirmi, quindi se non posso farla a lui la faccio a te, e non perché sono un insopportabile Prefetto, non mi importa nulla delle regole, è che è sbagliato e basta. Mi sento un idiota per non essermi reso conto di Regulus e lo sai che passerò i prossimi giorni a scervellarmi nel trovare una soluzione a un problema senza soluzioni perché è anche il mio migliore amico e gli voglio bene, ma questo non lo giustifica nel fregarsene così degli altri. Di te.»
Il silenzio segue le mie parole per diversi secondi, mentre James si porta le mani alle tempie e chiude gli occhi, sospirando.
«Perché siete tutti così melodrammatici oggi?» scuote la testa, ma c’è un mezzo sorriso a piegargli le labbra mentre mi lancia un’occhiata di sottecchi.
«Si è praticamente consegnato a Lumacorno, Moony» aggiunge.
«Lo so. Non sto dicendo che non gli importa nulla e non so perché sto facendo il melodrammatico.» Forse è perché continuo a pensare all’altra volta in cui Sirius era arrabbiato per via della sua famiglia e ha agito senza pensare, all’altra persona di cui se n’è fregato quella volta, quando mi ha mandato Severus Piton alla Stamberga. «Sarà che ti ho appena visto incasinare ulteriormente la tua già precaria situazione con Lily pur di non tirarlo in ballo, e non è con lui che se la prenderanno i nostri compagni per la tempist...»
«Remus
E il suo tono dice dacci un taglio ed io ce lo do davvero, perché non c’è motivo.
Il fatto che James pensi che Sirius abbia assolutamente ragione o palesemente torto non ha la minima rilevanza: lo difenderà comunque a priori, anche a costo di litigare con tutta Hogwarts, per il semplice fatto che è il suo migliore amico.
Ed essere il migliore amico di James Potter è questo: passare più tempo in punizione che a lezione e ritrovarsi spesso corpi estranei e pericolosamente viscidi nelle mutande, ma anche avere la certezza assoluta che lui sarà al tuo fianco, indipendentemente da quanto grossa tu l’abbia combinata. James riesce a darti quella sicurezza assoluta che ci sarà sempre, la stessa sicurezza di cui Sirius ha maledettamente bisogno.
E una parte di me si sente appena un po’ frustrata da questo, perché è il motivo per cui ho appena fondamentalmente parlato al vento per dieci minuti, ma tutte le altre parti di me si sentono esattamente dove dovrebbero essere, perché è la stessa sicurezza di cui ho bisogno anch’io, la stessa sicurezza che è alla base di tutto.
Forse non è giusto e sicuramente non è un rapporto perfetto, ma il punto dei Malandrini è sempre stato questo, un sorriso in risposta al nostro lato peggiore.



**********
«Quindi tu sei sicuro che non abbia detto nulla su di me» ripeto per l’ennesima volta, fissando corrucciata gli strani caratteri del libro che sto cercando di decifrare da dieci minuti. Vorrei gettarlo nella sezione di Antiche Rune e basta, perché è lì che merita di stare dato che è un unico incomprensibile scarabocchio a partire dal titolo, ma la mia parte più diligente me lo impedisce, perché so che non sono rune, quello che non so è cosa diavolo siano. «E sei sicuro di non aver mai visto questi simboli? Forse è elfico? O maride?»
«Evans, se vuoi che ti dica che non sei più in punizione te lo dirò» Black mi lancia un’occhiata esasperata, ignorando il volume che sto spingendo verso di lui. «Ma la McGranitt non mi ha detto di dirtelo, non mi ha detto proprio nulla infatti». Finalmente Black pare pronto ad aiutarmi e afferra il libro tirandolo verso di sé. Sono ancora corrucciata, ma il suo gesto mi rallegra appena, perché in due riusciremo forse a capire che razza di alfabeto sia questo e in quale sezione ficcare il dannato libro, magari troveremo anche un dizionario di questa strana lingua per poter tradurre il titolo e schedarlo correttamente, e poi la fata turchina scenderà tra noi e trasformerà tutto in zucchero filato. Non sono cose che succederanno queste, scopro mentre Black chiude il libro senza nemmeno sfogliarlo e lo va a nascondere con nonchalance nella mensola più bassa di uno scaffale a pochi passi da noi.
Ho passato abbastanza giorni quest’anno sotto le dipendenze schiavistiche di Madama Pince per sapere che cosa significa non schedare un libro e soprattutto non riporlo nella sezione giusta: quello che è appena successo qui, quello di cui mi sono resa complice con il mio silenzio, è il reato più grave commettibile in una biblioteca. Abbiamo appena ucciso quel libro. Black non è turbato dall’atto commesso, e si risiede anzi al tavolo di fronte a me con una soddisfazione visibile in volto.
«Se Madama Pince scoprisse...»
«Siamo già in punizione, Evans» Black alza le spalle. «A tempo indeterminato. Che cosa possono fare?»
«È esattamente quello che mi chiedo da ieri, Black» E nello stesso momento in cui la mia voce sfiora il tono massimo consentito, sento l’occhiata fulminante di Madama Pince scottarmi la nuca. «Non dovresti essere più in punizione di me? Voglio dire, avevamo la stessa punizione, ma ieri tu hai rischiato l’annegamento tentando di allagare i sotterranei, mentre io non l’ho fatto, ed ora abbiamo di nuovo la stessa punizione?».
Black scrolla le spalle, non particolarmente interessato. «I vantaggi delle punizioni a tempo indeterminato, immagino».
«Se io fossi la McGranitt» continuo pensosa. «E avessi due studenti entrambi in punizione a tempo indeterminato, e uno finisse di nuovo in punizione, ci terrei a marcare la differenza. Nello specifico, farei finire la mia punizione subito, così da raddoppiare il tuo carico di lavoro, conseguentemente al tuo numero di punizioni. Questo è quello che farei» Black non mi sta ascoltando, ma il mio ragionamento fila così tanto da non necessitare della sua attenzione, mentre d’altro canto necessiterebbe invece solo di due sue paroline per tramutarsi in realtà. «Quindi tu mi confermi che la McGranitt non ti ha detto di finire da solo».
«Mh-mh.
«E non ti ha detto che io posso andare».
«Mh-mh.»
«Non ti ha nemmeno fatto il mio nom-»
«Meno parole» La voce piccata di Madama Pince è all’improvviso alle mie spalle e mi fa sobbalzare. «E più libri».
Con un colpo secco prende uno dei volumi dalla pila al mio fianco e me lo piazza davanti, prima di aumentare il passo verso l’ala di Trasfigurazione. «Signor Potter, abbassi la voce!»
Non vedo Potter dall’amabile scambio di ieri sera e in linea di massima non sarei particolarmente felice di condividere la stessa stanza con lui in questo momento, anche se è una stanza molto grande e piena di scaffali e corsie che lo nascondono alla vista, ma d’altro canto Madama Pince è sempre più portata a girare attorno al suo tavolo come uno squalo e lasciare a me un po’ di respiro quando c’è lui: ancora non le va giù che la McGranitt gli abbia dato il permesso eccezionale di usare la magia in biblioteca durante le sue ripetizioni ai ragazzini del primo. Il pericolo di una fattura è chiaramente più spaventoso di quello di un’errata schedatura ai suoi occhi e così mi concedo di stiracchiarmi ignorando il libro davanti a me ancora per un po’, quando Black rompe il silenzio.
«Era un pessimo piano, sai.»
Lui ha sempre qualcosa di arguto da ribattere ogni volta che gli rivolgo accidentalmente la parola e così vorrei ricambiarlo con la stessa moneta ora, se non fosse che sono troppo spiazzata dal fatto che Black mi abbia appena e a tutti gli effetti rivolto la parola di sua spontanea volontà.
«Me ne sono accorta» replico distaccata, sfogliando a caso le pagine sotto di me e simulando indifferenza. Sono in realtà curiosa come una scimmia, perché ci dev’essere un punto a cui vuole arrivare se si mette a parlare con me più dello stretto necessario.
«È perché era pensato per quattro persone, non due» Anche se è lui quello che sta parlando, il modo in cui continua a copiare svogliatamente titoli di libri sulla sua lista senza guardarmi e il tono distratto fanno sì che sembri comunque lui quello meno interessato alla conversazione. Il che è ridicolo, ma è anche probabilmente vero, visto che ora non posso più trattenermi dal lanciargli occhiate di sottecchi: Sirius Black mi sta raccontando del modo disastroso in cui è finito in punizione e non c’è nulla nel nostro comune passato che lo spieghi. «E doveva ancora essere rifinito. Se avessimo aspettato la fine dell’anno, come previsto, avremmo effettivamente annegato mezza Casa di Serpeverde senza bagnarci un dito.»
«Tutto e subito, tipico di Potter.»
Il mio piano era non interromperlo e attendere in silenzio il punto, ma il groviglio di livore e dispetto che mi si accende solitamente all’altezza del petto quando penso a Potter si è fatto più rumoroso da ieri sera.
Black smette di scrivere e alza gli occhi su di me come a soppesarmi, rigirandosi la piuma tra le dita.
«James non aveva voglia di dare l’assalto alla Sala Comune dei Serpeverde con un piano incompleto e potenzialmente suicida» dice dopo qualche secondo, prima di tornare a scrivere. Automaticamente sbircio la sua lista per controllare che non stia scarabocchiando cose a caso, essendo che io ad esempio non sono in grado di scrivere e parlare al tempo stesso, ma la calligrafia elegante forma effettivamente il titolo del libro che ha di fronte e immagino che quello che sta aggiungendo ora sia l’autore corretto. «Non aveva voglia nemmeno di saltare la vostra lezione.»
Lo sbuffo sarcastico mi esce dritto dal cuore.
«Scommetto che gli hai puntato la bacchetta alla gola per costringerlo a venire con te infatti.»
Black alza le spalle.
«Non ho insistito» E smette di nuovo di scrivere per guardarmi. «Non devo mai insistere.»
E pare non abbia altro da aggiungere, ma continua a fissarmi dritto negli occhi ed è come se stesse ancora parlando, perché non c’è l’imbarazzo che dovrebbe per buonsenso esserci quando due tizi se ne stanno seduti in silenzio a guardarsi e basta e non si stanno nemmeno simpatici, e non ho l’impulso di dire nulla né di staccare gli occhi dai suoi, proprio come se stessi ancora ascoltando. C’è qualcosa di anomalo nel modo in cui mi guarda, senza la solita luce distaccata e vagamente beffarda, come se stesse effettivamente cercando di comunicare con me, e all’improvviso qualcosa fa click e c’è Potter sulle scale del terzo piano che mi ride in faccia di fronte al mio suggerimento di parlare con Black di qualunque problema abbia e poi la sua espressione esasperata di fronte alla mia indignazione dopo che mi ha dato buca e Black non ha dovuto insistere.
È come un lampo di luce all’interno di un aspirapolvere e Black riprende a scrivere senza più degnarmi.
«Ah.»



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Madama Pince continua a girare attorno al mio tavolo come un dannato squalo ed è incredibilmente irritante. Pensa che non la veda solo perché si nasconde tra gli scaffali, come se non potessi sentire i suoi tacchetti fare tac tac tac sul marmo della biblioteca.
In realtà non li sento da un po’ ora e una parte del mio cervello mi sta infatti gridando di stare in allerta, che è tutto parte di un’imboscata e mi spunterà alle spalle da un momento all’altro, a piedi nudi e con un libro tra i denti, ma tutte le altre parti del mio cervello stanno dando una festa in una qualche stanza del castello molto lontana da qui, così continuo a fissare nel vuoto vagamente consapevole di avere la bocca socchiusa in un modo che probabilmente non mi dà l’aria brillante che si confà alla mia persona.
È il bambino brufoloso coi capelli rossi a destare la mia attenzione, e quando ripete Fantastico James? per la terza volta mi rendo conto che il sottofondo dei loro incantesimi borbottati si è interrotto da un pezzo.
«Sì, Doug, eccomi».
Ci sono due Doug tra questi tre bambini che la McGranitt ha reso miei e non ho ancora capito quali siano e quale invece non sia Doug, ma le statistiche parlano chiaro e così chiamare tutti Doug è per ora la strategia vincente, che ho solo una possibilità su tre di beccare invece Ron. Doug mi guarda con aria perplessa ora, ma questo non significa che non sia Doug, perché questi ragazzini hanno l’aria perplessa tutto il tempo, anche quando non vengono chiamati col nome sbagliato.
C’è un fiammifero di fronte a lui, a distinguersi dagli aghi degli altri due e a proclamare il suo trionfo, così gli do soddisfatto una pacca sulla spalla.
«Bravo Doug» mi complimento prendendo il fiammifero e studiandolo attentamente, prima di sollevarlo per farlo vedere agli altri. «Vedete, Doug è riuscito a trasfigurare il suo ago in un fiammifero perfetto, non è rimasta nessuna traccia di colore metallico o...»
«Ma era già un fiammifero» protesta l’altro Doug. «Ci hai detto di trasfigurare i fiammiferi in aghi! Noi ci siamo riusciti, Doug no!»
Il terzo Doug, che forse è Ron, annuisce convinto, mentre io cerco di non cadere dalle nuvole in maniera troppo evidente.
«Giusto, certo, ritiro il bravo, Doug» Il primo Doug si riprende il fiammifero con aria tutt’altro che felice e lancia un’occhiata ostile agli altri Doug, prima di avere un’idea malvagia e tornare a guardare me. Riesco a vederla mentre gli attraversa la mente come un lampo a ciel sereno e prima che me ne accorga è scoppiata una faida mortale tra i miei adepti.
«Non è vero che era già un fiammifero, tu ci hai dato degli aghi! Ron dice così solo perché è geloso che sono l’unico a cui è venuta la trasfigurazione!».
Ron, che non era Doug, non è d’accordo con questa affermazione e tutti e tre stanno gridando ora. È quando il Doug di sinistra prova ad accoltellare quello centrale con il suo ago che riprendo in mano la situazione – e l’ago.
«No, Doug, fermo, non si fa’! Zitti e fermi. Gli aghi a me, forza. Anche il fiammifero» Non ho un’idea precisa di quali danni fisici potrebbero arrecare con un fiammifero, ma il Doug centrale non sembra aver apprezzato lo sfiorato aghicidio e sta chiaramente bramando vendetta. «Facciamo così, per oggi basta e venerdì mi fate vedere chi riesce a trasfigurare per primo il fiammifero.»
«Sì, ma oggi chi ha vinto?» insiste il Doug di destra.
«Io, sono l’unico che ci è riuscito» risponde subito il Doug centrale.
«No, tu sei l’unico che non ci è riuscito» Ed è un bene che il Doug di sinistra non abbia più il suo ago.
«Oggi è patta» stabilisco. «Non c’è modo di scoprire chi sta mentendo. Esercitatevi per venerdì e vedremo.»
Non è vero che non c’è modo di scoprire chi sta mentendo, non c’è anzi proprio nulla da scoprire, che se anche non mi fossi ricordato che erano effettivamente fiammiferi quelli da trasfigurare, uno degli aghi ha ancora la punta rossa, mentre l’altro ha la consistenza ruvida del legno, chiaro segno che sono stati trasfigurati malamente, ma provo troppa ammirazione per la prontezza del Doug centrale nel rigirare la situazione a suo favore per smascherarlo.
Il solito coro di ciao Fantastico James e poi i Doug si allontanano ancora bisticciando tra loro, lasciandomi a riaccostare le sedie al tavolo con precisione millimetrica, così da non offrire a Madama Pince ulteriori pretesti per puntare alla mia gola.
«Fantastico James?»
Uno dei tre Doug, quello che alla prima lezione e prima ancora di presentarsi mi ha rinfacciato di non aver preso il boccino all’ultima partita, non imprime mai nel suo Fantastico James l’ammirazione e il rispetto dovuti, ma non è nulla in confronto alla mancanza di ammirazione e rispetto con cui lo dice Evans.
«Mi chiamavano Signor Potter» spiego laconico. «Così gli ho detto che potevano invece chiamarmi Fantastico James».
È una storia riduttiva e che salta diversi passaggi, a partire da quando gli ho detto che potevano chiamarmi James e loro hanno iniziato a chiamarmi Signor James, per passare a quando gli ho detto che potevano chiamarmi solo James e loro hanno letteralmente iniziato a chiamarmi Solo James, che era anche abbastanza offensivo, come se James non fosse abbastanza, e in un altro momento illustrerei ad Evans nel dettaglio la genesi di Fantastico James, ma al momento sono troppo impegnato a tenermi sulle mie.
Evans mi fissa in silenzio a qualche scaffale di distanza, mentre io faccio evanescere gli aghi e il fiammifero senza guardarla, ripassando mentalmente il litigio di ieri nel caso stesse per rinfacciarmi qualcosa.
«Ho appena finito la mia punizione» dice invece schiarendosi la voce. «Con Black.»
«Anche io» rispondo vago, iniziando a sondare il suo viso alla ricerca di indizi sul suo piano d’attacco. Sembra non averne uno, il che mi spiazza parecchio. «Con i Doug.»
«I Doug?»
«I miei adepti» specifico accennando al tavolo, come se le loro entità fossero ancora lì sedute.
«Si chiamano tutti Doug?»
«La maggior parte.»
Evans annuisce pensierosa ed ecco di nuovo il silenzio vagamente teso di prima. La fisso in attesa per qualche altro secondo, mentre lei fa scorrere lo sguardo sulle mensole cariche di libri tutto attorno a noi, poi procedo guardingo. «Vuoi qualcosa?»
«Sei un idiota.»
L’indignazione mi assale potente, perché ero pronto e invece è riuscita a colpire a tradimento lo stesso.
«Prego?»
«Black me l’ha detto» continua, indifferente al mio sdegno.
«Ti ha detto che sono un idiota?»
E per un momento Evans rispecchia la mia stessa aria perplessa.
«Che cosa? No, certo che no» scuote la testa. «Mi ha detto...tu perché non me l’hai detto?»
«Oh, io ti dovevo dire che sono un idiota» sbuffo.
Evans apre la bocca e poi pare realizzare la mancanza di senso che ci aleggia attorno e la richiude. «Quindi» dice dopo un po’, come se si preparasse a risolvere un problema matematico. «Apparentemente non avevi pianificato di saltare la lezione di ieri sera» parla piano e c’è un implicito punto interrogativo nel suo tono e nei suoi occhi.
«Apparentemente» confermo cauto.
«E il motivo per cui l’hai saltata» E di nuovo rallenta e mi guarda e se questo è un gioco e si aspetta che io finisca le sue frasi, sto perdendo miseramente. «Non è...mi è stata data l’impressione che non fosse tra i più egoistici al mondo».
Evans parla al rallentatore e anche il mio cervello va un po’ a rallentatore oggi, ma pare che Sirius abbia dato ad Evans l’impressione che il motivo per cui ho saltato la lezione non fosse tra i più egoistici al mondo, e sarei molto curioso di sapere come Sirius possa averle dato questa impressione e perché. Questo è uno dei punti di questa strana conversazione in cui Evans si aspetta il mio intervento e i suoi occhi sono molto espliciti a riguardo, così alzo le spalle e faccio una specie di smorfia che potrebbe voler dire diverse cose, tra cui quella che voleva sentirsi dire Evans pare, perché subito dopo riprende il suo ritmo veloce.
«E non potevi dirmelo?» sbotta infatti, con il tono di chi dice ovvietà. «Capisco non entrare nel dettaglio, ma tentare almeno di dare una qualche spiegazione? Un ‘non è come sembra’?»
«Non è come sembra, davvero? Ha mai funzionato in almeno una situazione al mondo?»
«No, certo che no, perché è una cosa ridicola da dire» ammette subito Evans. «Ma è comunque un tentativo. Una giustificazione ridicola è comunque meglio che startene lì a darmi della melodrammatica come se tu non avessi nulla da spiegare e io fossi la pazza.»
Immagino che Evans abbia anche ragione, ma non è come se questo cambiasse la mia voglia di ricominciare daccapo, che resta pari a zero, così trattengo un sospiro. «Dobbiamo farlo di nuovo?»
«No.»
«Okay» annuisco confuso. «Quindi cos’è questo?»
«Ti sto dicendo che ora so il motivo per cui mi hai dato buca, e che quello non è stata colpa tua, e quindi ci vedremo domani sera, stessa ora, e recupereremo la lezione, perché ho giudicato il tuo motivo stupido ma accettabile. E ti sto dicendo che invece il resto è colpa tua, perché invece di dirmi semplicemente che non potevi spiegarmi il motivo ma c’era un motivo, ti sei messo a darmi della melodrammatica con quella tua faccetta da schiaffi, quindi anche se non è colpa tua, Potter, è comunque colpa tua. Buona giornata.»
Evans non aspetta la mia risposta e d’altro canto se anche non se ne fosse andata immediatamente dopo aver smesso di parlare non credo avrebbe fatto differenza, essendo che sono ancora qui a corrucciarmi sul perché debba essere faccetta e non faccia, e su come questo influisca sulle sue possibilità di attrazione per m-
«Signor Potter se ne vada.»
Madama Pince è così compiaciuta dei dieci anni di vita che lascio cadere sul pavimento della Biblioteca prima di scappare.











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Non mi dilungherò di nuovo su quanto significhi per me leggere le parole di chi ancora dopo tutti questi anni ha voglia di starmi dietro o di chi è appena arrivato, il fatto che questo sarebbe dovuto essere l'ultimo capitolo e invece dopo mesi di nulla ho finito anche il 32 contagiata dal vostro entusiasmo parla da sè. Grazie perchè è stato divertente tornare a muovere questi personaggi (e a sorpresa anche un certo Serpeverde che ma chi sarà mai) e almeno anche James potrà diventare maggiorenne ora (yep, ci sarà tra le altre cose il suo compleanno, nope, Lily non si scoprirà innamorata di lui allo scoccare della mezzanotte).

   
 
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