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Autore: bulmasanzo    02/03/2018    0 recensioni
Alfred ha accantonato il suo sogno di diventare un musicista per aprire un negozio di ciambelle, ma fatica ancora a definirsi un fallito. Le cose si fanno particolarmente bizzarre quando crede di concludere un affare per l'ottenimento di un ingrediente segreto per rendere le sue ciambelle più dolci, che però causa un effetto completamente inaspettato.
Genere: Commedia, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 11


 

Alla fine, Alfred riuscì a scoprire che Suzanne aveva realmente un sarto privato che le realizzava abiti su misura, cosa che fino a quel momento aveva solamente sospettato. Era un amico di famiglia, glieli passava a un prezzo stracciato, pur garantendo sulla qualità dei tessuti. Non che Alfred ne capisse troppo di moda, ma aveva già immaginato che fossero qualcosa di differente da ciò che si trova normalmente nei negozi. Suzanne aveva un suo stile tutto personale e una cosa che non gli aveva detto, era che i vestiti se li disegnava da sola.

E quindi insistette perché anche lui, per una volta, si rivolgesse proprio a tale sarto. Alfred non voleva, inizialmente, qualcosa gli diceva che non fosse completamente corretto, una simile qualità doveva essere valutata maggiormente. Ma si lasciò corrompere da tante moine e coccole, e alla fine si fece confezionare qualcosa che, a detta dell'esperto, gli stava a pennello.

Si trattava di un completo molto diverso da quell'unico elegante che possedeva, era privo di quelle orrende spalline enormi che lo facevano assomigliare a una figura geometrica, aveva un taglio molto più adatto al suo fisico, che gli calzava perfettamente, aderendo alle sue forme virili, come fosse un guanto, esaltandogliele.

Suzanne era anche riuscita a convincerlo ad andare dal barbiere per farsi sistemare il taglio di capelli. Alfred non aveva letteralmente messo un piede in una di quelle botteghe da anni e ne aveva una vaga paura.

Fu una sfida anche per il professionista, che non appena vide la gran massa aggrovigliata che aveva al posto della normale chioma che chiunque altro avrebbe dovuto avere al suo posto, afferrò un grosso paio di forbici che tese, come fosse un crocifisso per scacciare un vampiro.

Non appena entrato, Alfred voleva di nuovo scappare via, aveva il terrore che glieli avrebbe tagliati troppo. Non li aveva praticamente mai portati corti, era convinto che non gli sarebbero mai piaciuti.

Il barbiere si mise a trattare con lui per venire incontro alle sue esigenze. Alfred non era convinto di nessuna delle soluzioni che l'uomo proponeva per rimediare a quel disastro che aveva in testa.

Si fece promettere che, se avesse sforato il limite stabilito di due centimetri, si sarebbe fermato lì e non avrebbe preteso di essere pagato.

Ovviamente Alfred lo avrebbe ricompensato comunque, poiché dopotutto non sarebbe stato giusto, ma con tale assicurazione era molto più tranquillo che il barbiere avrebbe fatto il suo dovere.

Non era per niente convinto quando lo vide prendere il rasoio, ma fu sollevato di scoprire che lo avrebbe utilizzato soltanto per sfoltire.

Tagliò dentro ma li lasciò lunghi fuori, scalò senza esagerare. Alla fine, Alfred si guardò nello specchio e non riusciva a credere di essere la stessa persona del riflesso. Dov'era finita la sua caratteristica foresta di rovi? Aveva un aspetto molto più curato. Si sentiva quasi bello, e non aveva mai utilizzato tale aggettivo per definire se stesso.

Suzanne invece lo definì fantastico. Stava certamente esagerando.

Era lei a essere fantastica, e ne ebbe la conferma quando la vide avanzare, lenta e decisa, lungo la navata, con indosso quel meraviglioso abito bianco a sirena con lo scollo a cuore e lo strascico lunghissimo... Anche questo lo aveva, naturalmente, disegnato lei stessa. Era impreziosito da gemmette luccicanti lungo tutto il corpetto, e al collo c'era un modestissimo filo argenteo che ne bilanciava la brillantezza.

Sembrava impaziente di raggiungerlo, il velo le svolazzava liberamente alle spalle, il bouquet di rose bianche veniva squassato da ogni parte.

A un lato dell'altare, Steve suonava la marcia nuziale con il suo basso, una cosa che funzionava nella sua particolare bizzarria.

Alfred accolse la sposa aprendo le braccia, lei vi si gettò dentro senza esitazioni, come era suo solito fare per qualsiasi cosa. Sorrideva radiosa, gli occhi le brillavano.

Alfred non diceva niente, era perso nell'irrealtà di quel momento. Era tutto precisamente come lo aveva sempre sognato, solo in parte diverso.

Per esempio, c'era un criceto che reggeva il cuscinetto con le fedi.

Erano ovviamente presenti i genitori di Alfred, suo fratello con la fidanzata e alcuni zii.

Jon, con sua moglie e i bambini, era in prima fila, seguito da persone che Alfred non si era aspettato insistessero di presenziare al suo matrimonio, molti dei suoi clienti, tra cui i due poliziotti che approfittavano sempre dell'offerta del pomeriggio.

Vanna aveva invece rifiutato l'invito, Alfred non aveva capito il motivo. Che si fosse sentita offesa ché aveva smesso di andare da lei? Non lo avrebbe mai saputo, ma in verità non se ne preoccupava più di tanto.

Gli altri facevano parte della famiglia di Steve e Suzanne. La mamma di Steve infine lo aveva perdonato, anche se quando aveva scoperto che suo figlio non era realmente morto, aveva avuto una certa voglia di ucciderlo lei... Ma poi avevano vinto il sollievo e l'amore. E i suoi amici lo avevano schiaffeggiato a turno.

Steve e Alfred si erano promessi che non ci sarebbero più stati segreti o, per quanto possibile, incomprensioni tra di loro, che avrebbero cercato di chiarirsi sempre e imparare da tutti gli sbagli che avevano commesso.

La loro amicizia sembrava risorta dalle sue ceneri, più grande e più forte.

Nel frattempo, Steve sembrava essersi rimesso in carreggiata, aveva finalmente trovato un lavoro senza lasciarlo dopo solo poche settimane, faceva il commesso in un supermercato, non era niente di particolare, ma almeno aveva modo di pagare le bollette...

E dopo il lavoro, lui e Alfred si incontravano per suonare insieme. Finalmente avevano rimesso insieme la band e al momento vi stavano cercando un nome, oltre ad altri membri.

Alfred prese l'anello che gli porgeva il buon Harvey e lo infilò nel dito anulare della donna che stava per diventare sua moglie.

Pronunciò le sue promesse senza incepparsi, le aveva memorizzate per bene, e la guardò fisso negli occhi per tutto il tempo, senza mai abbassare lo sguardo.

Suzanne fece lo stesso, ma si sentì una incrinatura nella sua voce alla fine, data probabilmente dall'emozione.

Il celebrante li benedisse. Suggellarono l'unione con un bacio e, intorno a loro, la gente si mise ad applaudire.

Poi uscirono dalla chiesa e si fecero tirare addosso riso e petali di rosa.

Alfred pensava che quello fosse il giorno migliore della sua vita, tutto quanto si era sistemato da sé e non sapeva quale forze superiori avrebbe dovuto ringraziare.

Mentre Suzanne ringraziava gli invitati e si approcciava al tradizionale lancio del bouquet, Alfred vide un'ombra comparire dietro un angolo della chiesa.

Poteva essere qualsiasi cosa, un gatto, un cane, un pinguino, perché no? Ma qualsiasi cosa fosse, Alfred si sentì trascinare verso di essa. Le sue gambe si mossero da sole verso quella direzione, come calamitate, in uno scatto talmente fulmineo che nessuno lo vide andarsene.

Lo riconobbe principalmente per la sua bassezza, prima ancora di vederlo in faccia, quella brutta faccia che non aveva mai più potuto dimenticare. Eppure aveva qualche cosa di diverso.

La sua pelle sembrava avere un colorito più salutare, la sua barba e i capelli non erano più bianchi come quell'unica volta in cui lo aveva visto, ma neri, eppure non davano l'impressione di essere stati tinti, e il viso era meno segnato, privo di macchie e rughe, sembrava ringiovanito di venti anni almeno.

Alfred avanzò incerto verso di lui. Aveva una strana sensazione, ritrovarlo lì proprio in quel giorno sembrava qualcosa di programmato, era come se un cerchio mai completato, ciò che aveva dato origine a tutta quella serie di eventi assurdi, si stesse infine chiudendo.

"Ehi, lei!" lo chiamò.

Lo gnomo gli sorrise beffardamente, distendendo tutto il viso in tale smorfia. "Buonasera, Alfred" disse. Perfino la sua voce sembrava più giovane "Come va?" lo accolse gentilmente.

"Va... Benissimo" rispose Alfred, rallentando il passo "Mi sono sposato" continuò.

"Questo lo vedo" annuì lo gnomo, squadrandolo "Mi piace molto il tuo vestito, davvero chic."

"Grazie..." Alfred esitò. Il tono in cui lo aveva complimentato non sembrava sincero, in esso era nascosta malamente una evidente punta di ironia. Sentiva di dovergli fare tante domande.

"Senta" incominciò "Lei... Lei mi ha procurato quella sostanza che mi permette di diventare un supereroe..."

"Di cosa hai bisogno, ragazzo? L'hai già finita e te ne occorre dell'altra?"

"No, non è questo... Io... Non le ho mai potuto chiedere perché lo ha fatto. Non era ciò che le avevo chiesto. Lei... lei mi ha imbrogliato, eppure il suo imbroglio mi ha in qualche modo migliorato la vita..."

"Ricordi che hai firmato un contratto con il tuo sangue?" lo interruppe lui, all'improvviso. La cordialità mostrata poco prima era svanita e la sua espressione ora si era indurita, lo guardava come se lo biasimasse "Sbaglio, o avevamo detto che non dovevi dirlo a nessuno? Era una clausola del contratto che ricordo benissimo di averti sottolineato. E tu avevi accettato di non rompere mai questa regola. E ora, ci sono ben quattro persone che conoscono il tuo segreto..."

"Aspetti... Quattro?"

Ci pensò per pochi secondi. Chi era che lo sapeva? Jon, che lo aveva riconosciuto fin dal principio. Suzanne, che poi lo aveva scoperto. Steve... e poi chi c'era... L'uomo che per poco non aveva ucciso durante quell'attacco di pazzia! Ecco la quarta persona. Non sapeva neppure che fine avesse fatto, non poteva essere sicuro che non avesse raccontato a nessun altro la verità.

"Beh... tecnicamente, io non l'ho detto di mia iniziativa, sono stati loro a scoprirlo e... non ho potuto negare l'evidenza."

"Evidentemente, non capisci quanto sia importante questa cosa..." disse lo gnomo "Poiché sei un ingenuo e non hai idea di cosa posso farti."

Alfred sgranò gli occhi. Una vaga sensazione di allarme si diffuse sul suo petto. Il tono usato dall'omino era minacciosamente serio e inquietante.

"Forse sarebbe stato meglio se lo avessi letto per bene, prima di firmare. Non credi?" ghignò lo gnomo. Tra le sue mani comparve quel foglio di carta che Alfred riconobbe istantaneamente, perché in fondo c'era la sua firma, tracciata malamente con il sangue, ormai asciugatosi e divenuto nero e secco. Alfred Matthews. Era il suo nome, troneggiava alla fine della pagina catturando l'attenzione di chi lo guardava. Alcune volte, ad Alfred era capitato di ripensare al giorno in cui lo aveva firmato, e si era chiesto se non si fosse in realtà trattato di un sogno bizzarro. Gli eventi avevano già smentito questa idea, ma ora c'era la finale riprova che ciò fosse realmente accaduto.

"Fammi vedere" fece Alfred, aveva inconsciamente abbandonato il lei.

Si fece dare il contratto tra le mani. Lo gnomo allungò un dito sulla carta e indicò un paragrafo in particolare.

Alfred lo scorse e sentì il sangue che gli si ghiacciava nelle vene:

 

"Il sottoscritto si impegna,

qualora rompesse l'accordo ivi presente,

a concedere in garanzia la propria anima"...

 

Anima.

La rilesse più volte.

Quella parola doveva essere sbagliata.

Perché mai si sarebbe dovuto parlare di un concetto così astratto in un formale contratto di compravendita?

"La propria anima" ripetè "La mia anima? Ma non è possibile..." Non aveva senso. L'anima è qualcosa di impalpabile. Alfred non poteva dire di capirne tantissimo di spiritualità, anzi ammetteva di essere davvero molto ignorante in materia, ma per quel poco che ne sapeva lui, l'anima dovrebbe essere quella cosa che ci rende coscienti, che ci fa accorgere di essere vivi. Il principio vitale dell'uomo, la sua parte immateriale e immortale, l'origine e il centro del pensiero, del sentimento, della volontà, della coscienza morale. Quella essenza che abita il nostro corpo, e che lo abbandona nel momento in cui moriamo. Qualcosa della cui esistenza alcuni perfino dubitano. Qualcosa che ci è stato concesso dalle divine forze superiori che controllano l'esistenza sulla Terra, se non sull'intero Universo. L'anima è indefinibile. Non la si può toccare, non la si può imbottigliare e, soprattutto, non la si può dare in cambio di un bene materiale.

O si può?

"Cosa vuol dire?" chiese, stupidamente.

"Vuol dire che, nel momento in cui i tuoi amici hanno scoperto la verità, la tua anima è divenuta di mia proprietà. TU mi appartieni. Il che significa che io posso fare di te tutto quello che voglio." esultò l'ometto.

Alfred lo guardò, mentre gli si allargava una certa sensazione di disagio anche allo stomaco.

"Pensavi veramente che ti avrei concesso un simile potere, completamente gratis? Ricordi quando ti sentivi trascinato da quelle forze negative? Quando hai pensato che uccidere qualcuno fosse qualcosa di accettabile, pur di proteggere quel segreto che in verità avevi già dato via sin dal primo giorno? Quando hai voluto gettare via la sostanza, ma ti sei sentito fisicamente bloccare? Quella mano inesistente che ti ha fermato, che ti sei sentito materialmente addosso, quella presenza che ti osservava costantemente nel buio? Questo accade perché non avevi già più il controllo sulla tua volontà."

"Io ho il controllo!" protestò Alfred "Quelli erano stati solo momenti di debolezza, che mi facevano immaginare cose inesistenti... Non c'è nessuno che mi manipola, sono io a decidere!"

"Ah, sei tu, eh? Ne sei davvero convinto" fece il suo opponente, ridendo di lui.

"Certo... E comunque, tu come fai a sapere queste cose... Chi sei, in realtà?"

"Dovresti averlo capito. Io sono il tuo burattinaio" i suoi occhi rossi rilucevano di una sorta di rabbia e gioia mescolate insieme.

Nel momento in cui disse questa ultima parola, sollevò le mani a metà, piegando i gomiti, e dei filamenti, scarlatti come i suoi occhi, comparvero dal nulla.

Questi filamenti erano come sottili cavi, attorno ai quali si diramavano delle piccole saette blu, come fossero elettrificati. Ed erano attaccati ad Alfred. Erano fusi alla sua pelle, gli entravano nelle membra, erano collegati alle braccia, alle gambe, al busto, alla testa. Come fosse diventato una marionetta.

Alfred urlò istintivamente, li afferrò tentando di strapparseli via. Ma non ce la faceva.

Lo gnomo tirò i fili verso di sé e Alfred cadde in avanti.

Le parti del suo corpo si muovevano contro la sua volontà.

Si tirò in piedi e avanzò, perché era lui che voleva che lo facesse.

"Sono il tuo padrone" disse lo gnomo. E rideva, e l'eco di quella risata maligna e tossica si insinuò nel cervello di Alfred. E lo iniziò a divorare, come un cane che rosichi un osso.

"No!" esclamò Alfred, cercando di opporsi. Tese le braccia per trarre i filamenti verso di sé. L'ometto li trattenne. Si creò una tensione, entrambi tiravano per averla vinta, ma alla fine l'omino aprì le mani e Alfred recuperò il controllo su se stesso, ma perse l'equilibrio rischiando di cadere stavolta all'indietro.

Il contratto che aveva ancora in mano volò dolcemente a terra, nella polvere.

"Non ti è piaciuto questo, eh?" fu schernito.

"Perché?" tornò a chiedere Alfred "Perché stai facendo questo?"

"Perché sei la persona giusta"

"Giusta per cosa?"

"Per darmi forza e nutrimento. Per darmi un corpo che mi serva."

I filamenti scomparvero così come erano apparsi. Lo gnomo si sollevò dal suolo, aprì le braccia e dal suo corpo scaturirono come delle fiamme nere.

"Lo vuoi sapere il motivo per cui ho aspettato così tanto per rifarmi vivo?" gli chiese, con i suoi occhi che diventavano completamente bianchi, luminosi "Perché dovevi sperimentare la felicità. Ma prima, la paura, la perdita, il dolore, il dubbio... Sono tutte quante emozioni. Ed è di questo che noi demoni ci nutriamo."

Alfred era sconvolto. Sollevò lo sguardo, in tempo per vedere il fuoco infernale che si protendeva su di lui e lo avvolgeva. Perse completamente il respiro e si accasciò su se stesso, come un pupazzetto di carta.

  
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