Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: evelyn80    03/03/2018    8 recensioni
Anthea è una maga, custode dei draghi. Il suo compito è proteggere Nyvgue, l'ultima dragonessa rimasta in vita dopo che tutti i suoi simili sono stati uccisi dagli Sterminatori di draghi. Per secoli si sono tenute nascoste in una piccola grotta sottomarina ma, durante una tempesta, decidono di uscire allo scoperto per salvare la vita di un giovane pescatore finito in acqua. La comparsa della dragonessa scatenerà la furia degli abitanti del villaggio di origine del pescatore, e toccherà alla maga, con il dialogo, convincere tutti che Nyvgue non è una creatura malvagia.
Prima classificata al contest "Leggende, Luoghi misteriosi e Miti" indetto da Fiore di Cenere sul forum di EFP
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo Due
 
 
     Il villaggio si era svegliato presto. Ancora prima dell’alba gli uomini si erano radunati nella grande sala comune. Ognuno aveva portato con sé le proprie armi. Arpioni, fiocine, falci e forconi, qualche daga e persino una spada lunga giacevano a terra, sul pavimento di legno, mentre il fabbro le passava in esame per giudicare quale di esse fosse pronta all’uso e quale, invece, avesse bisogno di essere affilata.
     Nel frattempo, le donne si erano riunite a casa di Gyllian e Albrecht, i genitori di Myrcus e Lyuk, per la veglia funebre. Anche se non avevano un corpo da vegliare né Gyllian né Lucylle, la promessa sposa del giovane pescatore divorato dal mostro, erano volute andare contro la tradizione. Entrambe sedevano l’una accanto all’altra vicino al camino, dove il fuoco scoppiettava allegro a dispetto dell’atmosfera funerea, mentre le altre donne del paese intonavano nenie e lamenti funebri.
     La fanciulla aveva voluto indossare, a tutti i costi, il più bell’abito da festa che possedeva. Era stata sua madre a confezionarglielo, in previsione delle sue future nozze, ma ora non le sarebbe più servito a quello scopo. Nonostante sua madre e le sue sorelle avessero tentato a lungo di dissuaderla dall’indossarlo, Lucylle era stata irremovibile. La lunga gonna di tessuto verde tenue e il corpetto ornato di pizzi e ricami stridevano con il velo nero che aveva posato sul capo in segno di lutto. Molte delle donne presenti alla veglia avevano storto il naso al vederle indossare quell’abito, considerando la sua scelta di cattivo gusto. Ma la giovane aveva rifiutato categoricamente di mettersi un altro vestito che non fosse quello, e la mancata suocera aveva accettato la sua scelta, facendole cenno di mettersi seduta vicino a lei e mettendo a tacere tutte le altre.
     Mentre i lamenti funebri risuonavano cupi nell’aria, la ragazza non poté fare a meno di tornare col pensiero al bel viso del suo promesso sposo: il morbido caschetto di capelli biondo cupo, gli occhi verde erba, la bocca dal taglio deciso ma sensuale. Non avrebbe più assaggiato le sue labbra morbide, non avrebbe più sentito i suoi sussurri alle orecchie, non avrebbe più avvertito il tocco ruvido delle sue dita callose.
     Grosse lacrime le scesero ancora dagli occhi. Aveva pianto per tutta la notte ed aveva creduto di non avere più niente da versare, ma evidentemente si sbagliava. Aggiustò il lungo velo sui capelli biondi dai ricci ribelli e prese a dondolarsi avanti e indietro sullo sgabello al fianco di Gyllian che, invece, era perfettamente immobile, come una statua di sale. Le sue labbra si muovevano al ritmo delle litanie, ma nessun suono fuoriusciva dalla sua gola. Pareva completamente annientata dal dolore e Lucylle poteva capirla alla perfezione. Chi più di una madre poteva soffrire per la perdita di un figlio?
     Il sole sorse lentamente, illuminando il mondo esterno. Un raggio penetrò dalla finestra fino a raggiungere i piedi della giovane che, pian piano, alzò lo sguardo. Fuori dei vetri vide passare Myrcus alla testa di un piccolo drappello di giovani, tra cui suo fratello appena dodicenne. L’uomo stava gridando qualcosa ad alta voce, disturbando la veglia.
     Alcune delle donne più vicine alla porta della casupola si alzarono in piedi e gli intimarono di fare silenzio. Lucylle si accodò a loro, la lunga gonna verde chiaro che frusciava sul pavimento di legno.
     «Dove state andando, Myrcus?», chiese la fanciulla, suscitando stupore tra le presenti. Secondo la tradizione, infatti, sarebbe dovuta rimanere seduta a piangere in silenzio per l’anima del defunto, senza curarsi di ciò che avveniva attorno a lei.
     «Stiamo andando a cercare le tracce di quel mostro, per trovare la sua lurida tana», le rispose il fratello del suo promesso. «Cosa ci fai qui, in piedi sulla soglia? Dovresti pregare per la morte di mio fratello, senza occuparti di altro», aggiunse subito dopo, fissandola con sguardo di fuoco.
     Lucylle non si lasciò intimorire e rispose alla sua occhiata da sotto al velo. «Stai portando con te mio fratello Matwes, che è ancora un bambino. Non ti permetto di mettere a rischio anche la sua vita!».
     «È stato tuo padre a spingerlo a partire. Non impicciarti di affari che non ti riguardano, donna! Torna a sedere e a pregare per l’anima di Lyuk, che possa trovare pace!». Si voltò verso il suo piccolo seguito e fece un ampio cenno con il braccio. «Voi altri, con me!», gridò prima di riprendere la marcia verso il lago.
     Lucylle serrò i pugni, già pronta a strapparsi il velo nero e a gridare tutta la sua rabbia e la sua indignazione, ma le donne che la circondavano la spinsero dentro e richiusero la porta. Quando fu di nuovo seduta al suo posto, Gyllian le si avvicinò. «Capisco quello che provi, figlia mia», le sussurrò, «hai timore che anche tuo fratello faccia la fine del mio povero Lyuk. Ma non temere. Myrcus sa quello che fa».
     La ragazza non rispose ma chiuse gli occhi, sperando con il tutto il suo cuore che la donna avesse ragione.
 
 
* * *
 
 
     Lyuk fu svegliato di soprassalto dal forte scrosciare di acqua in brusco movimento. Si tirò a sedere di scatto giusto in tempo per vedere Nyvgue riemergere dal lago sotterraneo, grossi rivoli che le scorrevano tra i barbigli e lungo la pelle ruvida del collo. Tra le fauci, la dragonessa stringeva un grosso pesce che lasciò cadere ai suoi piedi. Il giovane pescatore la fissò estasiato, meravigliandosi della sua possanza ed eleganza e chiedendosi, al tempo stesso, come avesse potuto lasciare il fondo della grotta senza calpestarlo, considerando quanto poco spazio avesse avuto la grossa bestia per muoversi.
     Nyvgue diede un colpo col muso al pesce, spingendolo verso Lyuk, poi sbuffò facendo fremere le grosse froge argentee. Il giovane allungò la mano, titubante, e la dragonessa protese la gola verso di lui, in cerca di una carezza. Il giovane la accontentò, ascoltando rapito i bassi gorgoglii di soddisfazione emessi dalla creatura.
     «Buongiorno, mio giovane amico. Vedo che Nyvgue ti ha portato la colazione. Non c’è che dire, hai proprio fatto colpo su di lei».
     La voce di Anthea lo fece sussultare. La maga era appena apparsa alle sue spalle, come partorita dalla nuda roccia. La dragonessa si allontanò un poco da Lyuk e accostò il muso alla donna, che la baciò sulla punta del naso. Il giovane rimase suo malgrado incantato da quell’immagine: Anthea e Nyvgue sembravano proprio fatte l’una per l’altra. Trattenne a stento un sospiro. Avrebbe tanto voluto anche lui esser parte della loro comunione.
     La maga lesse il suo pensiero. «Mi lusinga sapere che vorresti rimanere con noi, ma tu devi tornare dalla tua famiglia». Si mise seduta al suo fianco mentre, con la magia, cuoceva il pesce portato dalla dragonessa. «Sono appena stata all’esterno. Tutto è calmo e tranquillo, e quindi posso arrischiarmi ad accompagnarti fino ai margini del tuo villaggio. Mangia, ora, rimettiti in forze», aggiunse passandogli una grossa porzione di pesce arrostito. «Partiremo non appena ti sarai rifocillato».
     Lyuk obbedì e divorò la sua razione. In effetti, aveva una fame da lupi. La dragonessa lo guardò spolpare il pesce fino alla lisca, leccandosi di tanto in tanto le labbra con la sua lunga lingua biforcuta. Quando il giovane lanciò via i miseri resti del suo pasto lei fu lesta ad afferrarli al volo, deglutendoli con un unico movimento della lingua muscolosa. Poi, prima che il ragazzo potesse alzarsi in piedi, lo travolse con un colpo del muso, mandandolo a finire lungo disteso sulla sabbia dorata che ricopriva il fondo della grotta. Lyuk si lasciò sfuggire un grido, convinto che, nonostante tutte le sue buone impressioni, alla fine la bestia avesse deciso di divorarlo. Invece, la dragonessa adagiò la grossa testa accanto a lui, socchiudendo gli occhi ed emettendo un basso ringhio gutturale.
     Anthea sorrise. «Vuole una tua ultima carezza. Perdonala se te l’ha fatto capire con un po’ troppa irruenza».
     Il ragazzo si sforzò di rispondere al sorriso, il cuore che gli batteva tumultuoso nel petto per lo spavento. Nyvgue aprì gli occhi ed emise un gorgoglio più acuto.
     «Ti chiede scusa», spiegò la maga, avvicinandosi, «per non aver dosato la sua forza. A volte dimentica quanto siate deboli voi esseri umani».
     «Non fa nulla…», rispose debolmente Lyuk rivolto alla dragonessa mentre si rimetteva seduto. Le passò entrambe le mani tra i barbigli, grattandole la spessa pelle verrucosa al di sotto, facendola grugnire di piacere.
     «È ora di andare», li interruppe Anthea dopo poco. Il ragazzo si alzò in piedi e si allontanò da Nyvgue, che lo guardò con occhi tristi.
     «Addio Nyvgue», disse Lyuk facendole un cenno con la mano. «Grazie per avermi salvato la vita».
     La dragonessa scosse il capo e sbuffò, facendo ondeggiare i lunghi barbigli d’argento.
     La maga gli fece cenno di seguirlo, precedendolo verso il fondo della grotta. La roccia era compatta e non presentava segni di aperture. Il giovane pescatore stava giusto domandandosi dove fosse la strada per uscire da lì quando Anthea poggiò entrambe le mani sulla parete di pietra, pronunciando una formula magica. Le rocce scricchiolarono pesantemente mentre si separavano le une dalle altre, formando uno stretto passaggio in salita. La donna evocò una sfera di luce e si incamminò lungo il percorso tortuoso, con Lyuk alle calcagna.
     I due camminarono a lungo nelle viscere della terra, mantenendo un rigoroso silenzio. Il giovane pensava all’avventura che aveva vissuto e a come avrebbe potuto raccontarla ai suoi familiari. Sapeva che la maga temeva la vendetta da parte loro, ma lui era convinto che non fosse quello il caso. Suo padre e suo fratello erano sempre stati uomini tranquilli, pacifici pescatori dediti ad una vita calma e serena. Per la prima volta da quando si era risvegliato dopo la tempesta il suo pensiero corse a Lucylle, la sua promessa sposa. In quel momento lo stava di sicuro piangendo, e lui non vide l’ora di correre a casa per far vedere a tutti che era ancora vivo. A mano a mano che si allontanava dalla grotta, il forte desiderio di rimanere con Anthea e Nyvgue stava pian piano scemando, sovrastato dalla voglia di tornare dai suoi genitori, da suo fratello maggiore e dalla sua promessa.
     La maga, che percepiva i suoi pensieri, ne fu contenta, perché nessuno sarebbe mai potuto rimanere con lei. Lei sola era la custode dei draghi e così sarebbe sempre dovuto essere.
     All’improvviso il budello di pietra finì ed emersero alla luce del sole, alla base di una parete di roccia strapiombante. Le ultime case del villaggio di pescatori cui Lyuk apparteneva si intravedevano appena tra la foschia dell’alba appena sorta.
     Anthea accompagnò il ragazzo per alcuni passi lungo il prato che si stendeva alla base del dirupo. L’odore dei fiori che lo punteggiavano era reso ancora più penetrante dalla pioggia che aveva appena cominciato a evaporare. La donna infine si fermò e si volse verso di lui.
     «Addio, mio giovane amico», sussurrò, posandogli entrambe le mani sulle spalle e protendendo il viso per baciarlo. Lyuk alzò il volto socchiudendo gli occhi, convinto nel profondo di se stesso che la donna stesse per baciarlo sulla bocca. Invece, le labbra di Anthea si posarono sulla sua fronte, leggere come il battito d’ali di una farfalla. Rimase a fissarla per un istante negli occhi, senza avere il coraggio di dire nulla, poi le voltò le spalle e si incamminò lentamente verso la sua casa.
     La maga rimase a guardarlo allontanarsi tra l’erba cosparsa di fiori colorati, poi si girò e sparì nelle viscere della terra, sigillando la roccia dietro di sé.
 
 
* * *
 
 
     Lucylle aveva ormai perso la cognizione del tempo. Non sapeva da quanto se ne stava lì seduta, ad ascoltare i lamenti funebri delle donne del villaggio. Ormai aveva pianto tutte le sue lacrime, non solo per la morte di Lyuk ma anche per la paura che potesse accadere qualcosa al suo fratellino Matwes, che aveva seguito Myrcus senza battere ciglio. Si era meravigliata a lungo di suo padre che l’aveva lasciato andare, ma poi il canto delle donne, monotono e lamentoso, aveva avuto un effetto soporifero su di lei, spingendola in una sorta di dormiveglia che la estraniava dalla realtà.
     Era talmente confusa e alienata da se stessa da non accorgersi nemmeno che la porta della casupola si era spalancata ancora una volta, e che un nuovo arrivato stava disturbando la veglia funebre. Solo quando Gyllian, ancora seduta al suo fianco, lanciò un grido lancinante e cadde riversa al suolo, incosciente, trovò la forza di alzare il capo e di guardarsi intorno per capire cosa stesse accadendo.
     L’uomo che era entrato nella stanza aveva un caschetto di capelli biondo cupo arruffati e sporchi di sabbia, e la pelle sotto ai suoi occhi era ombrata di nero. I suoi vestiti erano macchiati e strappati in alcuni punti. Lucylle si alzò in piedi: avrebbe riconosciuto quell’uomo ovunque. Era Lyuk. Allo stesso modo l’aveva riconosciuto sua madre, e lo spavento per lei era stato tale da farle perdere conoscenza.
     Le donne cominciarono ad urlare, gridando e strappandosi i capelli. La giovane, ancora in piedi, mormorò il nome del suo promesso sposo. «Lyuk… Non puoi essere tu… Sei stato divorato dalla bestia…».
     Il ragazzo mosse qualche passo in avanti, tendendo le braccia verso di lei.
     «Lucylle, sono io. Sono vivo. Il drago non mi ha mangiato, mi ha salvato la vita!».
    Lyuk tentò di raggiungere la madre, ancora stesa a terra, e la sua promessa, ma le donne del villaggio glielo impedirono. Si raccolsero intorno a lui, formando una sorta di cerchio vivente, e incrociarono i loro indici formando delle croci rudimentali.
     «Vade retro, demone! Non avvicinarti! Non osare fare un altro passo!», gridò la più audace, sbattendogli la sua croce di dita sulla faccia.
     Lyuk la scacciò con un gesto infastidito. «Spostatevi, pazze! Fatemi raggiungere mia madre, non vedete che ha bisogno di cure?».
     Le donne ripresero a gridare ancora più forte. Lucylle, pietrificata dalla paura, rimase a fissare il giovane che si dimenava tentando di liberarsi dalla massa inferocita e atterrita allo stesso tempo.
     «Lucylle!», gridò ancora Lyuk. «Non capisci che sono vivo? Non ho paura delle loro croci, non sono un demone! Aiutami, falle smettere!».
     Ma la fanciulla non riuscì a fare altro che a chinarsi verso una ragazzina, che si era nascosta dietro la sua sedia insieme con alcune compagne quando il morto aveva fatto il suo ingresso nella stanza, e a pregarla di correre alla sala comune a chiamare gli uomini. Quella annuì brevemente e corse via, strisciando lungo la parete per non avvicinarsi troppo al gruppo di donne urlanti e al demone biondo che gridava più di loro.
 
 
* * *
 
 
     Lyuk continuò a farsi largo, spingendosi verso la sagoma inerte di sua madre. Ogni qual volta toccava una donna per spingerla da parte, quella gettava urla stridule di panico e lanciava scongiuri, facendo il gesto delle corna con entrambe le mani rivolte al cielo e sputando per terra al contempo. Il giovane pescatore aveva immaginato che la sua ricomparsa avrebbe causato stupore e paura, ma non certo di essere additato come demone tornato dall’inferno. Aveva invocato più volte la sua promessa, supplicandola di credergli, ma persino la sua adorata Lucylle si era tirata indietro, blaterando frasi sconnesse. Ora il suo unico pensiero era di raggiungere la madre, che continuava a giacere inerte a terra, ignorata da tutte le altre. Era quasi arrivato a pochi passi da lei quando, dalla porta ancora aperta della casupola, si riversarono all’interno gli uomini più anziani del villaggio, armati di falci e bastoni.
     «Fermati, demone! Non osare avvicinarti ancora a mia moglie!», intimò la voce di suo padre.
     Lyuk si voltò ed ebbe paura, perché non lo aveva mai visto così risoluto come in quel momento. Con un grosso ramo nodoso levato verso l’alto l’uomo si avvicinò minaccioso, pronto a colpirlo.
     Lyuk alzò le braccia per proteggere la testa. «Padre, sono proprio io! Non sono uno spirito dell’inferno, sono vivo! Almeno voi, credetemi!».
     «Mio figlio è stato divorato dal mostro del lago», urlò in risposta Albrecht. «Tu sei solo la sua pallida ombra, creata dalle arti oscure di quella bestia immonda! Ritorna da dove sei venuto!». L’uomo piegò le braccia all’indietro, stringendo il bastone con entrambe le mani per imprimere la maggior forza possibile, quando un ruggito squarciò l’aria all’esterno della casupola ed una raffica di vento improvvisa fece tremare le pareti di legno.
 
 
* * *
 
 
     Da quando Anthea era tornata, da sola, nella grotta, Nyvgue era stata irrequieta. C’era qualcosa che la turbava nel profondo della sua anima, un qualcosa che riguardava il giovane che aveva salvato dalle acque tempestose del lago. Era la prima volta da secoli che incontrava un essere umano che non fosse la sua guardiana, e la novità era stata sorprendentemente piacevole. Aveva sondato il cuore del giovane pescatore e l’aveva trovato puro e innocente come un cucciolo appena nato. Si era meravigliata non poco, perché sapeva per esperienza che l’animo degli uomini era spesso nero e cupo come la morte.
     Forse era per questa sua bontà d’animo che si era affezionata a Lyuk e già ne sentiva la mancanza.
     Sbuffò seccamente, facendo fremere le froge, e si mosse a disagio nello stretto pertugio di roccia. Il suo grosso dorso ruvido sfregò contro gli speroni puntuti che pendevano dal soffitto, e ciò le provocò una sensazione di fastidio che si andò ad aggiungere al disagio. Si sentiva inquieta, temeva che potesse succedere qualcosa al suo nuovo amico, e per il nervosismo continuava ad agitare la coda, sbattendola pesantemente a terra.
     Anthea percepì il suo stato d’animo. «Cosa ti turba, amica mia?».
     La dragonessa grugnì e la maga annuì in risposta. «Capisco cosa provi. Anch’io temo che il suo ritorno possa venire accolto come una maledizione, piuttosto che un dono del cielo».
     Nyvgue avvicinò la grossa testa e guardò Anthea negli occhi, mugolando una richiesta. La donna annuì ancora. «Va bene, Nyvgue. Anch’io sarò più tranquilla dopo aver visto cosa sta accadendo».
    La maga riempì una ciotola di terracotta con l’acqua del lago sotterraneo. Sistemò il contenitore a terra e vi si inginocchiò accanto. Attese che l’acqua tornasse immobile poi stese la mano destra sulla ciotola, mormorando una formula magica. Pian piano il riflesso delle rocce nere del soffitto fu sostituito dall’immagine dell’interno di un’abitazione di legno. Un gruppo di persone, per la maggior parte donne, si stava ammassando attorno ad un’unica figura maschile dai capelli biondi. Alle spalle della massa un uomo alto e dai capelli bianchi, armato di un pesante bastone, si stava facendo largo tra la folla, diretto verso il giovane.
     La dragonessa riconobbe subito chi era il minacciato e lanciò un forte ruggito che riverberò sotto la bassa volta della caverna. I suoi occhi rossi si accesero di rabbia improvvisa, come se alte fiamme avessero iniziato a divampare dentro di essi. Si voltò rabbiosamente verso il lago, graffiandosi la schiena e le ali contro le rocce appuntite del soffitto, e fece per immergersi.
     Anthea la richiamò seccamente. «Nyvgue, aspettami! Non rischiamo di commettere delle sciocchezze!».
    La dragonessa si fermò e fissò la sua custode, ruggendo. Niente le avrebbe impedito di andare a salvare per la seconda volta il suo nuovo, giovane amico.
    La maga salì agilmente sul suo dorso e, con un gesto della mano, evocò una sfera d’aria che la circondò come una bolla, per permetterle di respirare sott’acqua. Si aggrappò con forza alla cresta dorsale e con un semplice cenno del capo fece capire alla dragonessa di essere pronta a partire. Nyvgue si immerse, agile come un pesce, percorrendo il più rapidamente che poté lo stretto budello roccioso che univa il laghetto sotterraneo al lago vero e proprio. Una volta libera dalla costrizione della pietra, nuotò veloce verso la superficie e la squarciò con un ruggito possente. Finalmente in aria, spiegò le sue enormi ali membranose che subito catturarono le correnti ascensionali e la spinsero ancora più in alto. Quando fu soddisfatta dell’altezza raggiunta si voltò verso il villaggio di pescatori, disteso placido sulle rive, e si buttò in picchiata verso la casa che aveva veduto nella visione.
     Mentre si avvicinava, un altro possente ruggito le proruppe dalla gola. Prima che Anthea potesse impedirglielo contrasse i muscoli possenti della lingua, comprimendo le sacche ricolme di acido che aveva sotto le mascelle. Sfregò le placche ossee all’interno della bocca le une contro le altre, e le scintille che ne scaturirono incendiarono il liquido. Una lunga fiammata proruppe dalle sue fauci spalancate e subito il tetto di paglia della casupola prese fuoco.
     Le persone al loro interno iniziarono a gridare e dalla porta ancora spalancata presero a riversarsi all’esterno, per venire investite dalle raffiche di vento provocate dalle sue enormi ali che sbattevano. Fu con grande gioia che mandò a gambe all’aria l’uomo, che ancora stringeva tra le mani il bastone con cui aveva minacciato Lyuk.
     La dragonessa contrasse ancora una volta la gola e lanciò un’altra fiammata, più piccola, proprio sul grosso randello, incenerendolo all’istante. L’uomo, spaventatissimo, lo gettò via con un grido acuto. Nel frattempo, le donne si accalcavano contro la porta della capanna il cui basso soffitto era ormai completamente in fiamme, bloccandosi l’uscita l’una con l’altra.
     Nyvgue diede un colpo secco con le ali, riguadagnando qualche metro di quota. Attraverso la paglia del tetto, caduta in alcuni punti, riuscì ad intravedere l’interno della casupola illuminata dai bagliori rossi delle fiamme. Lyuk era accucciato vicino ad una donna stesa bocconi sul pavimento di tavole mentre una ragazza bionda stava in piedi al suo fianco, fissandolo impietrita. Le donne del villaggio ancora all’interno spingevano con foga quelle che già si accalcavano contro l’uscio, gridando per la paura e per il dolore. Un altro colpo d’ali della dragonessa fece cadere la porzione del soffitto che le sovrastava. Paglia e legno ardenti piombarono su di loro, incendiando i loro abiti e i loro capelli. Le grida salirono di intensità, tramutandosi in strilli isterici di terrore.
     La dragonessa era già pronta a contrarre la gola per la terza volta quando Anthea la bloccò.
    «Basta, Nyvgue! Ricordati del giuramento che abbiamo fatto entrambe davanti al Consiglio! Noi non dobbiamo fare del male agli esseri umani! Non avresti dovuto incendiare la capanna! Ora quelle donne rischiano la vita!».
     Nyvgue emise un basso brontolio di gola, voltando il grosso capo verso la maga.
    «So che non volevi che facessero del male a Lyuk, ma non era questo il modo! Ora tutta questa gente ti vedrà come un demonio!».
    La dragonessa scosse la testa, facendo ondeggiare i lunghi barbigli argentei che gliela adornavano. A lei non importava proprio un bel niente di come l’avrebbero giudicata quei minuscoli esseri. Voleva soltanto che Lyuk stesse bene. Non capiva per quale motivo si fosse affezionata a tal punto a quel giovane pescatore, ma non le importava nemmeno di saperlo, in fondo. Con un tonfo penetrò attraverso ciò che rimaneva del tetto della casupola, atterrando pesantemente sul pavimento di legno. Allungò il collo e, con le ali stese, lanciò un altro ruggito verso il cielo.
     Lyuk alzò lo sguardo su di lei. «Nyvgue! Anthea! Perché state facendo tutto questo?».
    La maga scese agilmente dal dorso della dragonessa e impose le mani sulle fiamme, facendole estinguere all’istante. Con una parola magica distrusse la parete della casupola, liberando le donne ancora intrappolate e, subito, si prese cura delle loro ferite. Gli abitanti del villaggio erano ancora troppo terrorizzati per riuscire a dire o a fare alcunché, così Anthea poté lavorare indisturbata, senza che nessuno avesse la forza di fermarla.
     Il giovane pescatore era ancora chinato al fianco della donna che giaceva svenuta. La fanciulla bionda non sapeva più dove rivolgere lo sguardo, spostandolo alternativamente ora sul ragazzo, ora sulla dragonessa.
    Nyvgue allungò il collo, avvicinando il capo a Lyuk. Emise un basso brontolio dal fondo della gola e sbuffò pesantemente, sfiorandolo con la punta del muso. Gli stava chiedendo scusa per tutto il caos che aveva provocato, l’aveva fatto solo perché non voleva che quell’uomo con il bastone gli facesse del male. Lui parve capire, perché gli passò una mano tra i lunghi barbigli, grattandola dolcemente sulla mascella. La dragonessa socchiuse gli occhi godendosi quelle attenzioni quando delle urla maschili interruppero quel breve momento. Protese il collo al di sopra del tetto distrutto in tempo per vedere un gruppo di uomini che avanzava correndo tra le case del villaggio, armati di fiocine e forconi. Il giovane che correva davanti a tutti gli altri, una cascata di ricci castani che gli ondeggiava ai lati del viso al ritmo della corsa, lanciò un grido e scagliò il suo arpione con tutta la forza che aveva. Nyvgue ebbe solo il tempo di rendersi conto di quanto somigliasse al suo amico Lyuk quando il lungo ferro la colpì all’occhio sinistro. Il dolore la invase in modo acuto, repentino. Scosse violentemente il capo a destra e a sinistra, nel tentativo di togliere il pungiglione che le straziava il bulbo oculare, con il solo risultato di lacerare maggiormente la superficie delicata della cornea. Spalancò le ali, contrasse la gola e lanciò una fiammata verso il cielo. Poi, con un ultimo ruggito di dolore, spiccò il volo e si allontanò in direzione del lago, dove sparì tuffandosi, sollevando un’onda gigantesca che venne ad infrangersi sulla riva.
  
Leggi le 8 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: evelyn80