Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: evelyn80    05/03/2018    8 recensioni
Anthea è una maga, custode dei draghi. Il suo compito è proteggere Nyvgue, l'ultima dragonessa rimasta in vita dopo che tutti i suoi simili sono stati uccisi dagli Sterminatori di draghi. Per secoli si sono tenute nascoste in una piccola grotta sottomarina ma, durante una tempesta, decidono di uscire allo scoperto per salvare la vita di un giovane pescatore finito in acqua. La comparsa della dragonessa scatenerà la furia degli abitanti del villaggio di origine del pescatore, e toccherà alla maga, con il dialogo, convincere tutti che Nyvgue non è una creatura malvagia.
Prima classificata al contest "Leggende, Luoghi misteriosi e Miti" indetto da Fiore di Cenere sul forum di EFP
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo Tre


     Quando Myrcus, di ritorno dalla sua esplorazione sulla riva del lago alla ricerca delle tracce del mostro, in compagnia del gruppo di giovani del villaggio, aveva rivolto lo sguardo verso la sua casa e aveva visto la bestia volare sopra di essa gettando fiammate, aveva capito che le sue peggiori previsioni si erano avverate. Come aveva predetto, ora che il drago aveva assaggiato la carne di un essere umano, la sua bramosia per averne altra lo aveva spinto a lasciare il suo nascondiglio infernale e ad assalire i poveri inermi abitanti del villaggio, che ora sentiva gridare, in lontananza, di dolore e paura.
     I suoi compagni avevano seguito il suo sguardo e, alla vista della bestia, si erano fatti prendere dallo sconforto. Matwes, il fratello minore di Lucylle, si era lasciato cadere in ginocchio, coprendosi la faccia con le mani per non vedere.
     «Avanti! Non siate codardi!», aveva gridato Myrcus voltandosi verso di loro. «Non siamo forse venuti a cercare quel mostro proprio per ucciderlo e difendere il nostro villaggio? Questa è l’occasione che cercavamo!».
    «Ci ucciderà tutti, Myrcus…», aveva balbettato Matwes, senza togliere le mani dal viso. «Ci farà arrosto e poi ci mangerà in un sol boccone…».
     Gli altri giovani avevano mormorato frasi di assenso, ma il pescatore aveva ribattuto: «No, se lo affronteremo tutti insieme! Lui sarà anche enorme, ma noi siamo in dieci, siamo giovani e forti, e abbiamo le nostre armi!». Aveva agitato al vento il suo lungo arpione da pesca. «Corriamo al villaggio e uccidiamolo come se fosse uno dei pesci del lago, avanti!». Aveva fatto per mettersi a correre, ma gli altri avevano esitato. «Possibile che nessuno di voi abbia il coraggio di voler difendere le proprie famiglie? Siete dei cacasotto!».
     A quell’accusa infamante i suoi compagni si erano finalmente decisi e, dopo aver stretto bene in pugno le loro armi e aver lanciato un grido di guerra, tutti avevano spiccato la corsa verso il villaggio.
     Ora, dopo aver lanciato il suo ferro dritto nell’occhio di quel mostro, provocandone la fuga, Myrcus si concesse di guardarsi attorno per constatare quali danni la bestia avesse inflitto al villaggio e ai suoi abitanti. La sua casa era stata completamente distrutta dalla furia delle fiamme del drago, ma pareva essere l’unica. Una donna che non conosceva era chinata vicino a Marghrete, una delle mogli dei pescatori che lavoravano sul peschereccio di suo padre, che aveva i capelli completamente bruciati.  Aveva lo sguardo rivolto al cielo, proprio dove la bestia era appena sparita diretta verso il lago, e la sua bocca era spalancata in un’esclamazione di muto orrore. Molte delle donne che avevano partecipato alla veglia funebre in onore di suo fratello erano chine a terra, alcune sfigurate da orrende bruciature, altre solo vittima del terrore ancestrale che aveva accompagnato la venuta della bestia. I loro mariti e alcuni dei loro figli le stavano soccorrendo, aiutando quelle illese a rialzarsi in piedi e a tornare barcollanti verso la propria casa.
     I suoi compagni, fino ad allora rimasti immobili con i loro ferri in pugno, parvero riscuotersi e presero a gridare di gioia, acclamando la sua impresa eroica. Lo circondarono e lo sollevarono in alto, portandolo in trionfo, mentre gli altri abitanti del villaggio ancora si lamentavano per il dolore e la paura.
     Mentre Myrcus stava godendo dell’esultanza dei suoi compagni, vide una figura maschile ancora all’interno di ciò che restava della casupola della sua famiglia, chinata al fianco di sua madre. Benché stordito dalle acclamazioni, per lui non fu difficile riconoscere il caschetto di capelli dorati che gli incorniciava il volto.
     «Lyuk…?!», mormorò. «Mettetemi giù, adesso! Basta, smettetela!», urlò, dimenandosi per essere messo a terra. I suoi compagni obbedirono, senza smettere di ridere e darsi pacche sulle spalle, congratulandosi per l’audacia del loro capitano.
     Myrcus corse dentro la casupola, saltando le travi bruciate e aggirando i mucchi di paglia ridotta in cenere, fino ad arrivare di fronte al fratello. Lucylle era in piedi poco lontano, impalata, come se non sapesse cosa fare.
     Lyuk alzò il capo e fisso il fratello negli occhi, senza sorridere.
     «Myrcus… Perché l’hai colpita? Perché hai colpito Nyvgue?».
     Il maggiore guardò l’altro con stupore. Come poteva suo fratello essere ancora in vita, dopo essere stato divorato da quel mostro? Come poteva essergli sfuggito? E, soprattutto, come poteva non essergli grato per aver messo in fuga quel demone alato?
     «Che cosa sei…?», chiese allora, comprendendo all’improvviso. «Tu non sei mio fratello! Quel mostro ti ha trasformato in una creatura oscura!».
     Lyuk si alzò e lo fronteggiò. «Possibile che nemmeno tu riesca a comprenderlo, Myrcus? Io sono vivo! La dragonessa cui hai appena cavato un occhio mi ha salvato dalla morte quando ero in balia della tempesta! È venuta fin qui dal suo nascondiglio per difendermi dalla furia delle donne e di nostro padre! Lei è una creatura buona, che ha a cuore le nostre vite!».
     «E tutto questo tu lo chiami “avere a cuore le nostre vite”?», chiese il maggiore, facendo un cenno col braccio a indicare la casupola distrutta e le donne ancora riverse sulla nuda terra. «Quel mostro è venuto a concludere ciò che aveva iniziato quando ti ha divorato!». Si interruppe per un istante, come riflettendo, per poi riprendere. «Ma perché mi rivolgo a te come se fossi realmente mio fratello? Mio fratello Lyuk non c’è più, è stato divorato dal demone alato, e tu sei solo la sua pallida ombra oscura!». Senza esitare, Myrcus estrasse dalla sua bisaccia il corto pugnale che di solito usava per sviscerare i pesci e portò il braccio all’indietro, pronto a sferrare il suo attacco contro quella che riteneva essere solo una stregoneria. Con la coda dell’occhio vide Lucylle portare le mani davanti alla bocca, come a voler trattenere un grido di orrore. Stava per sferrare un fendente diritto al petto della creatura così simile a suo fratello minore, che era rimasta immobile quasi offrendoglielo, quando una voce di donna risuonò nell’aria.
     «Fermo!».
     Una forza irresistibile gli strappò il coltello dalle dita. Si voltò indietro per vedere cosa stesse succedendo e vide la donna sconosciuta, che fino a poco prima era rimasta chinata accanto a Marghrete, avvicinarsi a lui con la mano destra protesa in avanti. La donna pronunciò alcune parole oscure e Myrcus si sentì sbalzare all’indietro, come se qualche presenza invisibile l’avesse colpito brutalmente al petto. Barcollò e cadde a sedere mentre la donna, con un balzo sovrumano, colmò la distanza che lo separava dall’essere che aveva il sembiante di suo fratello.


 
* * *


     Anthea spinse via il giovane dai lunghi ricci castani dopo avergli sottratto magicamente il coltello, poi evocò una sfera invisibile, a protezione sua e di Lyuk, che ancora fissava attonito colui che aveva appena cercato di ucciderlo.
     La maga era sconvolta. Nyvgue era stata ferita all’occhio sinistro ed era fuggita scomparendo tra le acque del lago. Lei, che avrebbe dovuto proteggerla, e che avrebbe dovuto impedire che tutto quello accadesse, non era stata in grado di svolgere bene il suo compito. Se il suo vecchio maestro l’avesse vista in quel momento, le avrebbe riservato non poche parole di biasimo. Doveva correre a cercare la dragonessa, ma prima doveva far capire al giovane che gli stava di fronte, e a tutti gli altri abitanti del villaggio, che Lyuk era ancora vivo e non chissà quale oscuro demone generato dalla loro umile fantasia di poveri pescatori.
     «Quest’uomo è tuo fratello, non è vero, Lyuk?», chiese al ragazzo alle sue spalle che ancora lo fissava, sconvolto dalla sua reazione. Lyuk ebbe solo la forza di annuire.
     Nel frattempo, anche i giovani che avevano accompagnato Myrcus fin lì erano entrati nella casupola e avevano aiutato il loro capitano a rimettersi in piedi. Il più giovane di loro, un ragazzino armato di una lunga falce, si fece avanti con coraggio e incoscienza e si scagliò contro Lyuk. Il suo assalto fu respinto dalla sfera magica che lo proteggeva e anch’egli finì con il sedere per terra, vicino alla ragazza dai lunghi capelli biondi che, fino a quel momento, era rimasta in piedi, immobile come una statua, vestita di un lungo abito da festa che contrastava col velo nero che gli copriva il capo.
     Come risvegliandosi da un sogno, la giovane si chinò ad abbracciare il ragazzino appena caduto. «Matwes, fratellino mio, stai bene?», chiese, con voce strozzata.
     Anthea la ignorò, tornando a rivolgere la sua attenzione ai due giovani fratelli, ora in piedi l’uno di fronte all’altro, separati solo dalla barriera magica invisibile.
     «Lyuk», disse, poggiando la mano sulla spalla del giovane, «dimostra a questa gente che sei veramente tu. Racconta loro cose che solo il vero Lyuk potrebbe sapere».
     Il giovane pescatore si voltò verso di lei, come in cerca di sostegno. Quando la maga annuì, lui si rivolse al fratello iniziando a sbottonare la casacca di pelle conciata che indossava, fino a mettere in mostra il petto magro ricoperto da una sottile peluria bionda. Al centro del suo pettorale sinistro, proprio sopra al capezzolo, spiccava, rossa sulla pelle lattea, una piccola cicatrice a forma di mezzaluna.
     «Ti ricordi, Myrcus, quando mi facesti questa cicatrice? Tu avevi dodici anni ed io sette. Mi dicesti che, se volevo diventare un uomo, avrei dovuto affrontare una prova di coraggio e mi tagliasti con lo stesso coltello con cui ora hai cercato di uccidermi. Nostro padre ti batté con la cintura fino a farti sanguinare la schiena».
     Il fratello abbassò per un istante gli occhi, colmo forse di vergogna e di dolore a quel ricordo. Lyuk si voltò a guardare uno dei giovani che ancora stringeva in pugno il suo arpione.
     «E tu, Friedrik, ricordi quando mi confessasti di voler diventare un cantastorie, ma che temevi l’ira di tuo padre? Io ti dissi di seguire il tuo cuore e di fare ciò che più amavi, e quando tu lo facesti tuo padre venne a punire anche me, perché ti avevo messo strane idee in testa. E tu, Lucylle», continuò Lyuk rivolgendosi alla fanciulla bionda ancora stretta al ragazzino, «ricordi quando ci scambiammo il primo bacio? Era la sera stessa in cui avevamo pronunciato la nostra promessa, e la luna brillava alta sulle acque del lago. Tu mi dicesti che non lo avresti mai dimenticato. L’hai forse fatto ora?».
     La giovane si coprì il volto con le mani. «No… io non ho dimenticato…», mormorò prima di scoppiare in lacrime.
     Il giovane pescatore continuò a fissarla. «Neanche io. La tua pelle profumava di lavanda ed era morbida come una pesca quando la sfiorai, e il mio cuore prese a battere all’impazzata quando le tue labbra toccarono le mie. Anche adesso batte alla stessa maniera ogni volta che ti guardo. E allora come puoi non credere, Lucylle, che io sia ancora vivo? Come potrei ricordare tutte queste cose se non fossi veramente io?».
     Le parole di Lyuk parvero fare breccia nel cuore degli interpellati. Anthea gli strinse dolcemente la spalla sorridendo alle sue parole accorate, quando una voce rauca e stridente ruppe il silenzio appena calato. Era la donna dai capelli bruciati, quella che aveva tentato di curare prima che Nyvgue venisse ferita, che si avvicinava barcollando.
     «Strega! Quella donna è una strega!», gridò puntandole il dito contro. «Ha cercato di uccidermi con le sue parole di morte!».
     Tutti si voltarono a guardarla avvicinarsi, l’indice contorto ancora puntato contro la maga.
     Anthea le si rivolse gentilmente, cercando di farle capire le sue reali intenzioni. «Le mie non erano parole di morte. Volevo solo risanare la tua pelle bruciata, per evitare che si infettasse. Se mi permetti, posso finire di farlo prima di andarmene». Tolse la mano dalla spalla di Lyuk che si accasciò visibilmente. La sua schiena si incurvò e i suoi occhi si fecero vitrei, come se avesse perduto di colpo la sua energia vitale. Senza volere, Anthea gli aveva trasmesso un fluido magico mentre lo incoraggiava a parlare.
     Myrcus notò quel movimento e gridò a sua volta. «Marghrete ha ragione, è una strega! Guardate come il corpo della creatura che gli sta a fianco si è accasciata non appena ha tolto la mano. Era lei a comandarlo come una marionetta, con la sua magia nera! Quell’essere non è Lyuk, non è mio fratello!».
     Myrcus si fece avanti di nuovo ma fu respinto dalla barriera magica che ancora circondava la maga e Lyuk. Il giovane pescatore, allora, si riscosse e riprese il suo appello.
     «Myrcus, fratello mio! Nemmeno vedere la mia cicatrice e ricordare le tue non ti ha fatto capire che sono proprio io?».
     «Taci, demone dell’inferno! Non chiamarmi fratello! Tu sei sotto il controllo di quella strega che comanda la bestia e che ci vuole tutti morti!».
     «Non sai cosa dici, Myrcus! Anthea non è una strega! Lei è la custode dei draghi!», insisté Lyuk, ma la maga tornò a posargli la mano sulla spalla.
     «È inutile insistere, amico mio. I tuoi parenti e i tuoi amici non vogliono capire…».
     «Mia madre sarebbe in grado di riconoscermi!», gridò il giovane biondo, indicando il corpo ancora incosciente riverso a terra. «Potresti farla tornare in sé, affinché possa parlarle?».
     Anthea annuì, anche se temeva che sarebbe stato inutile, ma quando provò ad avvicinarsi alla donna svenuta Myrcus si gettò nuovamente su di lei, e ancora venne respinto dalla barriera.
     «Non toccare mia madre! Non ti permetterò di farle del male!».
     Coloro che erano ancora in grado di camminare avevano iniziato a radunarsi intorno a loro. Molti degli abitanti del villaggio stavano assistendo alla scena e chi aveva ancora le armi in pugno aveva preso ad agitarle selvaggiamente sopra la testa. Anthea sapeva che la sua barriera magica non avrebbe potuto durare ancora a lungo, poiché le richiedeva l’impiego di molte energie, quindi decise che, per il momento, sarebbe stato più saggio ritirarsi, portando di nuovo Lyuk con sé. Avrebbero pensato con calma a cosa fare per convincere i suoi parenti che era ancora vivo, e non una creatura demoniaca come credevano loro. Inoltre, avrebbe dovuto trovare Nyvgue e curarla. Aveva già disatteso anche troppo al suo compito di custode. Prese Lyuk per mano e, dopo aver pronunciato alcune parole magiche, sparì.


 
* * *


     Lucylle si rese conto di aver trattenuto il fiato solo quando la donna e il suo promesso sposo scomparvero all’improvviso, svanendo nel nulla. Stava ancora abbracciando forte suo fratello Matwes, che prese a dimenarsi per essere lasciato libero e raggiungere i suoi compagni.
     Myrcus, nel frattempo, si era gettato sul corpo incosciente della madre, dandole degli schiaffetti per farla tornare in sé. La donna aprì lentamente gli occhi, guardandosi intorno come alla ricerca di qualcuno.
     «Dov’è Lyuk? Dov’è mio figlio?», chiese con voce roca, tentando di mettersi seduta.
     Il figlio maggiore la sostenne mentre le rispondeva. «Madre, Lyuk è morto, divorato dal drago, lo sai…».
     «No», lo interruppe lei, «Lyuk è tornato, l’ho visto con i miei occhi prima di perdere i sensi per la gioia».
     Il tono di Myrcus si fece dolce e comprensivo. «Madre, i tuoi occhi sono stati ingannati da una visione malefica, creata dalla strega custode della bestia mefitica che ha divorato mio fratello. Non so per quale motivo abbia voluto ingannarci in tale modo, ma ti assicuro che quel giovane non era Lyuk».
     Gyllian fissò il figlio maggiore con incredulità prima di scuotere il capo. «Figlio mio, credi forse che io non sappia riconoscere il frutto del mio grembo?».
     Nel frattempo anche suo marito, dopo essersi ripreso dallo spavento per aver visto il suo bastone incenerito dall’alito del drago, si era avvicinato. Si chinò vicino alla donna e le prese la mano. «Moglie mia adorata, non lasciarti ingannare…», prese a dire, sostenendo il figlio maggiore, ma Gyllian lo fissò inorridita e ritrasse la mano di scatto, smorzando le sue parole.
     «Albrecht, mi meraviglio di te! Anche tu dovresti essere in grado di riconoscere il frutto dei tuoi lombi ad occhi chiusi!».
     L’uomo chinò il capo, come vergognandosi per essere stato ripreso dalla moglie, e Myrcus si volse verso la giovane che ancora non aveva accennato a muoversi. Lucylle lesse nei suoi occhi la muta implorazione di un sostegno, per far intendere a sua madre che non doveva farsi irretire dalle visioni di una strega, ma lei non ebbe la forza di accogliere la sua supplica.
     In realtà, lei stessa era piena di dubbi. Sapeva che Lyuk era stato divorato dal drago, perché così le era stato raccontato, e il suo promesso era mancato da casa per un giorno intero per poi riapparire vivo e vegeto. Tutto ciò aveva del miracoloso o, peggio, del demoniaco. Ma quando l’aveva udito parlare del loro primo bacio, nel profondo del suo cuore aveva capito che un’anima dannata non avrebbe mai potuto mettere tutto quel sentimento nelle sue parole. Scosse quindi il capo e, dopo aver raccolto tra le braccia la lunga gonna dell’abito da festa, ormai bruciacchiato e inservibile, corse via saltando agilmente le macerie ancora fumanti, scivolando tra le persone assembrate fuori della casupola.
     Sentì suo fratello Matwes che la chiamava indietro, ma lei non si fermò finché non fu sulle rive del lago, tornato di nuovo calmo dopo che il drago vi era sparito dentro. Se era vero che quella donna misteriosa era la custode di quella bestia, allora era probabile che anche lei e Lyuk fossero ricomparsi lì, da qualche parte.
     Si mise a cercare freneticamente tra i sassi della riva, nella sciocca speranza di trovare l’ingresso di qualche spelonca nascosta, o qualche altro segno che potesse indicarle dove poter trovare il suo promesso e dirgli che, almeno lei, gli credeva. Girovagò per molto tempo senza trovare nulla ma, invece di darsi per vinta cominciò a invocare il suo nome, nella speranza che almeno potesse udirla.
    «Lyuk… Lyuk dove sei? Fatti trovare, ti prego! Io ti credo, so che sei veramente tu!».
    Si arrampicò su una roccia imponente che si protendeva sopra le acque del lago, rese scure dal crepuscolo, e raccogliendo tutto il fiato che aveva, gridò: «Ti amo, Lyuk!».


 
* * *


     Non appena riapparvero nella grotta segreta, Anthea lasciò che Lyuk scivolasse con la schiena appoggiata alla parete rocciosa, poi corse a prendere un po’ d’acqua in una ciotola per divinare la dragonessa. Si chinò in fretta e, non appena la superficie del liquido divenne immobile, vi impose la mano destra fino a che non apparvero delle immagini. Nyvgue stava nuotando nelle profondità più remote del lago, con l’arpione ancora conficcato nell’occhio sinistro. La maga la vide fermarsi vicino ad un gruppo di rocce e sfregare il capo contro le pietre, nel tentativo di cavarsi via il ferro di dosso.
     «Devo fermarla. Se continua così farà danni ancora maggiori. Spero di essere ancora in tempo per poterle salvare l’occhio», esalò rivolgendosi a Lyuk che, nel frattempo, si era avvicinato carponi e stava fissando a sua volta le immagini nella ciotola. Senza indugiare oltre si rialzò in piedi e, dopo aver evocato la bolla magica che le consentiva di respirare sott’acqua, si immerse correndo verso il centro del lago.
     Muovendosi veloce come un pesce grazie alla magia, in breve tempo riuscì a raggiungere la dragonessa che ancora sfregava la grossa testa contro le rocce, circondata dall’alone rosso cupo del suo sangue mischiato all’acqua.
     «Nyvgue!», esclamò. La dragonessa si fermò solo per un istante, emettendo un forte brontolio, prima di riprendere ad agitarsi. «Non fare così, amica mia, stai solo peggiorando la ferita!», insisté la maga.
     Nyvgue parve ignorarla, così la bloccò con un incantesimo.
     «Mi dispiace, amica mia. Non sono stata in grado di difenderti da quel colpo lanciato a tradimento! Ma ora, se me lo consenti, sanerò la tua ferita e, se non è troppo tardi, forse potrò anche salvare la tua vista».
     La dragonessa ruggì ancora, emettendo una miriade di bollicine dalla bocca e dal naso. Tentò di muoversi ma non riuscì a vincere l’incantesimo che la bloccava, così chinò il grosso capo e sbuffò irritata, le grandi froge frementi di dolore e disappunto.
     Anthea le salì in groppa e la sciolse dall’incantesimo per permetterle di tornare alla grotta.
     Non appena emersero dall’acqua, la maga si lasciò scivolare giù dal suo dorso e si avvicinò all’arpione. Nello sfregarsi contro le rocce, Nyvgue aveva spezzato l’asta di legno dell’attrezzo, ma il terminale di ferro acuminato sporgeva ancora dalla superficie vitrea dell’occhio della dragonessa.
     Lyuk si fece loro incontro, come a voler dare una mano, ma Anthea lo respinse. «Non avvicinarti, amico mio. Il sangue di drago brucia più del suo alito e, se una goccia dovesse colpirti, patiresti le pene dell’inferno. Aspetta che abbia sanato la ferita, poi potrai accostarti, se vuoi».
     Il giovane annuì e si fece da parte mentre la maga, con uno strattone, estraeva l’arpione dalla punta ricurva. Nyvgue lanciò un ruggito di dolore che riverberò contro le pareti della caverna, facendo cadere qualche sassolino dal soffitto. Scosse vigorosamente la testa, grosse gocce di sangue che cadevano sulle rocce facendole sfrigolare. Poi, stremata, si accasciò a terra, con il corpo per metà all’asciutto e per metà ancora immerso nelle acque fredde del lago.
     La maga impose entrambe le mani sopra l’occhio ferito, che la dragonessa aveva coperto con la membrana nittitante, e prese a mormorare una litania in una lingua antica, ormai conosciuta solo ai custodi dei draghi. Dalle sue dita iniziò a diffondersi una lieve luminescenza lattiginosa che sembrava riversarsi, liquida, nella ferita della dragonessa. Alle sue spalle, Lyuk trattenne rumorosamente il fiato, pieno di meraviglia per ciò che stava vedendo. Anthea non riuscì a trattenere un sorriso per la dolcezza e la curiosità del giovane, mentre le forze la abbandonavano velocemente, prosciugate dalla potenza dell’incantesimo.
     Infine, con un sospiro sfiatato abbandonò le mani in grembo e si appoggiò pesantemente alla parete di roccia, respirando con affanno.
     Lyuk le si fece vicino. «Va tutto bene?», chiese in tono accorato.   
    «Sì, mio giovane amico», rispose la maga dopo aver ripreso fiato. «L’incantesimo di guarigione che ho usato su Nyvgue ha prosciugato quasi tutte le mie energie. Temo che abbia perso definitivamente l’uso dell’occhio sinistro, ma sono almeno riuscita a rimarginare tutti i tessuti. Ora puoi avvicinarti a lei, se vuoi».
     Il giovane si accostò carponi alla dragonessa, passando una mano tra i lunghi barbigli che le coronavano il muso. Nyvgue aprì debolmente l’occhio destro, mentre l’altro rimase coperto dalla membrana biancastra. Emise un basso gorgoglio e sfregò la punta del muso contro il petto del giovane, con delicatezza.
     «Sta dicendo che le dispiace aver spaventato gli abitanti del tuo villaggio, ma temeva che quegli uomini e quelle donne ti avrebbero fatto del male, e non poteva permetterglielo», spiegò Anthea, ancora accasciata contro la roccia.
     Lyuk carezzò dolcemente la pelle verrucosa della dragonessa. «Ti ringrazio per averlo fatto, Nyvgue. Credono che sia un demone e per questo mi avrebbero senz’altro ucciso. Mi dispiace solo che mio fratello ti abbia ferito». Si sporse per posare un lieve bacio sulla guancia della dragonessa, che emise un altro borbottio dal fondo della gola.
     Anthea sorrise. «Dice che, per un altro tuo bacio, sarebbe disposta a perdere anche l’altro occhio».
     Lyuk arrossì. «Non credo che sia necessario», rispose dandole un altro bacio, e Nyvgue socchiuse l’occhio sano, gorgogliando.
    «Sono stata una pessima guardiana», riprese la maga dopo qualche attimo di silenzio. «Avrei dovuto prevedere la mossa di tuo fratello e impedire all’arpione di colpirla». Con il mento indicò l’occhio ferito, coperto dalla membrana nittitante. «Il mio maestro mi direbbe che sono stata un’incapace, e che non sono degna di svolgere il mio compito…».
     Lyuk scosse la testa. «Non è stata colpa tua. Stavi curando le ferite di Marghrete e non hai potuto vedere ciò che stava facendo Myrcus. La colpa è stata mia, che ho creduto di poter tornare al mio villaggio senza pensare che gli altri avrebbero potuto scambiarmi per un’anima dannata. In fondo, mi hanno visto sparire tra le sue fauci». Si mosse verso la dragonessa, appoggiandosi con tutto il corpo alla grossa testa argentea. «Mi dispiace… per tutto quanto».
     Anthea chiuse gli occhi e i tre rimasero in silenzio per molto tempo.
     All’improvviso, sia la maga sia la dragonessa rizzarono il capo, in ascolto di qualcosa. Il giovane pescatore, che si era assopito, trasalì per il movimento improvviso della grossa testa di Nyvgue.
     «Qualcuno sta invocando il tuo nome», disse Anthea, dopo aver ascoltato per un attimo. «È la voce di una ragazza… Sta dicendo che ti crede, e che ti ama».
     Lyuk si rizzò in piedi. «Lucylle! È la mia promessa sposa! Deve essere lei, per forza!». Si guardò attorno, come se sperasse di vederla apparire nella grotta segreta da un momento all’altro.
     La maga sorrise. «Vorresti vederla? Vorresti parlare con lei?».
     Il giovane pescatore annuì vigorosamente e la donna si alzò in piedi a sua volta. «Allora la porterò da te».
     Detto questo, congiunse le mani davanti al petto e, dopo aver sussurrato una parola magica, sparì.


 
* * *



     Ancora in piedi sulla roccia protesa sul lago, Lucylle si strinse nelle braccia rabbrividendo per il freddo. Il sole era ormai calato del tutto, l’aria fredda della notte aveva preso a spirare sul lago e il suo abito, così ricco di pizzi e trine, non era adatto a proteggerla dai rigori della sera. Fece un passo indietro e si voltò lentamente, con le lacrime agli occhi. Lyuk non aveva risposto al suo appello. Forse si era sbagliata, dopotutto. Il suo promesso era davvero morto e quella che era giunta al villaggio era solo la sua ombra malefica.
     Fece un balzo e tornò sulla riva, pronta a incamminarsi mestamente verso il villaggio, quando una sfera di luce apparve davanti a lei. Fu costretta a schermarsi gli occhi con la mano per proteggerli dal bagliore. Non appena si fu dissolto, riuscì a intravedere una figura di donna, immobile sul sentiero in penombra.
     «Tu sei Lucylle?», chiese la donna misteriosa, alzando un braccio verso di lei.
     «Sì», rispose, incerta, facendo un passo avanti. La donna rivolse il palmo della mano destra verso l’alto e sussurrò qualcosa. Subito dopo, una piccola sfera luminosa le apparve tra le dita ripiegate a conca, illuminando il suo viso.
     Lucylle la riconobbe. Era la strega che aveva portato via il suo Lyuk.
    «Tu sei la strega che controlla il drago…», balbettò, facendo un passo indietro.
    «Il mio nome è Anthea, e sono una maga. Una custode dei draghi, per la precisione. Anche se, oggi, ho miseramente fallito il mio compito».
     La donna aveva pronunciato quelle parole lentamente, in tono mesto. Lucylle, senza sapere bene perché, provò pena per lei.
    «Perché hai portato via il mio promesso sposo?», chiese la giovane, prendendo coraggio.
    «Per salvarlo da chi voleva ucciderlo. Nessuno di voi ha saputo riconoscerlo. Lo avete considerato un demone, mentre è soltanto un giovane che ha avuto il privilegio di essere stato salvato dall’ultima dragonessa ancora esistente sulla Terra».
     Lucylle si avvicinò di un passo alla maga, pronta a voltarsi e a fuggire se le avesse visto fare qualche strano gesto. Ma la donna rimase immobile e la giovane le arrivò lentamente di fronte.
     «Dov’è Lyuk?», chiese, quasi timorosa di udire la risposta.
    «Al sicuro, nella grotta nascosta in cui viviamo Nyvgue e io. Finché i tuoi simili non comprenderanno che stanno sbagliando, lui corre un grave pericolo».
     Lucylle scosse il capo, pensierosa. «La mia paura è che non lo capiranno mai. Sono soggiogati da Myrcus, il fratello del mio promesso. E finché lui non si renderà conto del suo errore, nessun altro lo farà».
     Anthea annuì. «Infatti, ho intenzione di andare a parlare con lui, da sola, non appena le acque si saranno calmate. Nel frattempo, vorresti vedere il tuo promesso sposo?».
     «Sì, lo desidero molto. Voglio potergli dire che io gli credo».
     La maga la prese per mano e pronunciò una parola arcana. Subito una sfera di luce le circondò, avvolgendole in un tepore lieve. La giovane chiuse gli occhi, il cuore che le batteva all’impazzata per la paura. Quando li riaprì, si rese conto di non essere più all’aria aperta, ma di trovarsi all’interno di un’ampia caverna dalle pareti di roccia nera, illuminata fiocamente da una debole luce rossastra. Anthea le lasciò la mano e lei si voltò per guardarsi intorno.
     Quando vide Lyuk si lasciò sfuggire un grido spaventato. Il suo promesso era seduto con la schiena appoggiata alla parete rocciosa, la grossa testa affusolata del drago appoggiata al suo fianco. Con le mani, il giovane stava carezzando dolcemente la mascella della bestia che emetteva un rumore basso e costante, molto simile alle fusa di un gatto.
     Il pescatore si alzò in piedi facendo grugnire la dragonessa, che aprì l’unico occhio che le rimaneva. La sua iride rossa si fissò su Lucylle, come se avesse voluto incenerirla, e la giovane si ritrovò a tremare.
     «Non avere paura», le disse Lyuk avvicinandosi a lei. «Nyvgue non ti farà del male».
     La giovane fissò il suo promesso per alcuni istanti, prima di scoppiare a piangere e buttarsi tra le sue braccia.
     «Oh, Lyuk! Sei vivo… sei vivo! Non potevo credere che non ti avrei mai rivisto!».
     Il giovane la strinse dolcemente al petto. «Mentre lottavo tra le onde del lago, il mio ultimo pensiero è stato per te», disse quando i singhiozzi della sua amata si furono diradati. «Pensavo che non avrei mai più potuto baciarti, che non avrei mai potuto sposarti e avere dei bambini. E, invece, Nyvgue e Anthea mi hanno salvato la vita».
     Le sfiorò le labbra con le proprie mentre la dragonessa, ancora ferma sulla riva del lago sotterraneo, si lasciava sfuggire un ringhio sordo. Lyuk si voltò a fissarla senza riuscire a trattenere un sorriso.
     «Credo che Nyvgue sia gelosa di te…», mormorò con incredulità.
    Anthea confermò i suoi sospetti. «Hai proprio ragione, mio giovane amico». Si avvicinò alla dragonessa e le carezzò il collo. «Amica mia, non devi essere gelosa di Lucylle. So che sei affezionata a Lyuk, ma non puoi avere alcuna pretesa su di lui».
     La dragonessa sbuffò nervosamente facendo fremere le grosse froge argentee, poi si voltò e con un movimento sinuoso si immerse, sparendo nelle acque azzurrine del lago sotterraneo.
     Lucylle rimase a fissare la superficie dell’acqua finché non fu tornata perfettamente immobile. «Mi dispiace molto di averla offesa», disse poi, portando le mani giunte all’altezza del petto. «Non credevo che una bestia immonda potesse provare sentimenti».
    «I draghi non sono bestie immonde», disse secca la maga. «Siete voi esseri umani a ritenerli tali. I draghi sono creature antichissime, nate agli albori della Terra, che hanno sempre vissuto rispettando le leggi della natura e seguendo il loro istinto. Sono cacciatori, è vero», ammise, «ma come tutti gli altri animali carnivori. Essi hanno, in più rispetto alle altre bestie, una coscienza. E tale coscienza li ha spinti, spesso, ad avvicinarsi agli esseri umani, che loro consideravano come loro pari, essendo anch’essi dotati di coscienza». Si interruppe per un istante. «O forse dovrei dire "dovrebbero essere", giacché spesso molti di loro se ne sono dimostrati totalmente privi».
     Lucylle conosceva la leggenda del drago mangia uomini che aveva divorato un fanciullo, e così rispose: «Ma uno di essi, tantissimi secoli fa, ha divorato un bambino!».  
     Anthea si voltò a guardarla con occhi colmi di tristezza. «La storia che voi conoscete è stata creata e plasmata dagli uomini, per far sì di giustificare la mattanza dei draghi avvenuta negli anni successivi al fatto. Ma, come ho già raccontato anche a Lyuk, le cose non si sono svolte così come narra la vicenda. Quel drago, il cui nome era Nyner, voleva semplicemente proteggere quel fanciullo dall’assalto di un branco di lupi. Ma, per un disgraziatissimo incidente, il drago calpestò il cespuglio sotto al quale il bambino si era nascosto. I suoi famigliari non hanno mai voluto capire, nonostante il mio maestro avesse cercato più volte di spiegare come erano andati i fatti». La maga si interruppe, asciugando una lacrima che le era colata giù per la guancia.
     «Come fai ad essere così sicura di quello che stai raccontando?», chiese Lucylle, fissandola.
     «Perché io ero presente».
     La giovane guardò incredula il suo promesso, che annuì. «Anche a me ha raccontato la stessa cosa», ammise Lyuk, «e io le credo».
     Lucylle non disse altro e il silenzio cadde nuovamente nella grotta. La fanciulla si rannicchiò ancora tra le braccia del suo promesso, che la serrò a sé prima di sospingerla a sedere sulla riva sabbiosa. Lyuk poggiò la schiena contro le rocce e Lucylle appoggiò il capo sul suo petto.
     La maga rimase ancora in piedi, a fissare pensierosa le acque del lago per parecchio tempo, poi disse con un sospiro.
     «Voi due non potete rimanere qui con me e Nyvgue. Appartenete al vostro villaggio, ed è lì che dovete tornare. Ma prima», aggiunse voltandosi verso i due giovani, «dovrò convincere gli abitanti, e soprattutto tuo fratello, che sei ancora in carne e ossa».
     «Come pensi di fare?», chiese Lyuk, fissandola preoccupato.
     «Nell’unico modo che il mio maestro ha sempre considerato giusto: con il dialogo. Noi custodi dei draghi abbiamo giurato, di fronte al nostro ordine, che non avremmo mai usato violenza contro gli esseri viventi, e io intendo mantenere quel giuramento».
     «Temo che mio fratello non vorrà darti ascolto», replicò il giovane pescatore.
    «Invece, io sono convinta del contrario. Quando gli hai mostrato la cicatrice che ti ha fatto, ho visto insinuarsi il dubbio sul suo volto. Si era quasi ricreduto, quando la donna che avevo tentato di guarire ha iniziato a gridare, chiamandomi strega».
     Lyuk portò la mano al petto. Sotto la camicia poté sentire la pelle infossata a forma di mezzaluna.
    «Se riuscirò a convincere lui, di conseguenza tutti gli altri mi crederanno. È stato lui a guidare i giovani del vostro villaggio contro Nyvgue, e sarà ancora lui a convincere gli abitanti che sei vivo», concluse la maga.
     Lucylle alzò la testa dal petto di Lyuk e fissò Anthea negli occhi. «Io verrò con te. Ho visto il mio promesso con i miei occhi, l’ho toccato con le mie mani, l’ho baciato con le mie labbra, e posso testimoniare a suo favore. Con le mie parole posso aiutarti a convincerlo!».
     La maga fece un cenno di assenso col capo nella sua direzione. «Apprezzo molto il tuo aiuto, Lucylle. Solo così potrete vivere in pace, sposarvi e avere una famiglia tutta vostra».
     «Potremmo farlo anche andandocene dal villaggio, e trasferendoci altrove», disse Lyuk, stringendosi nelle spalle.
     «Ma saresti sempre tacciato di essere un demone, mio giovane amico», replicò Anthea, «e condanneresti tua moglie e i tuoi figli a vivere per sempre in miseria, marchiati dall’onta che aleggia su di te». La maga voltò di nuovo le spalle ai due, tornando a volgersi verso il lago. «Purtroppo, ogni volta in cui un drago ha deciso di aiutare un essere umano, ci sono sempre state tristi conseguenze. Quando tutto questo sarà finito sigillerò questa grotta e questo lago, bloccando il passaggio che conduce al mondo esterno, per preservare Nyvgue da qualsiasi altro contatto con voi uomini». Si interruppe per trarre un profondo respiro. «Lei è l’ultima della sua specie e non posso permettere che venga barbaramente uccisa. Ho già fallito una volta, permettendo a Myrcus di cavarle un occhio. Non posso permettermi di sbagliare ancora».
     Lucylle e Lyuk si fissarono negli occhi.
    «Ha ragione, amore mio. Dobbiamo riportare la pace al villaggio, se vogliamo vivere sereni», mormorò la fanciulla, e il suo promesso annuì, siglando le sue parole con un bacio.
    «Bene, allora così è deciso», disse la maga, alzando il tono di voce. «Domani, tu e io, Lucylle, andremo al villaggio a parlare con Myrcus. Tu, Lyuk, rimarrai qui con Nyvgue. Non voglio che ti facciano del male. Quando tutto sarà chiarito, allora verrò a prenderti e ti condurrò dalla tua famiglia, poi l’ultima dragonessa e io spariremo per sempre».
  
Leggi le 8 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: evelyn80