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Autore: ClaireOwen    14/03/2018    5 recensioni
[Bellarke - Modern.AU]
“Mi dispiace.”
Sussurra timidamente.
E sa che dovrebbe porgere le sue scuse ad ognuno di loro ma vuole essere sicura che sia proprio lui ad udirle per primo.
Ad ogni modo se c'è una cosa che Bellamy Blake sa fare è stupire e stavolta lo fa riservandole un sorriso docile, spiazzante; china leggermente il capo, prega che nessuno si sia reso conto di quella sua impercettibile reazione perché di certo non è riconosciuto dagli altri come una di quelle persone affabili e gioiose, effettivamente non è dispensando sorrisi che il maggiore dei fratelli Blake si è guadagnato il rispetto da quel branco di scapestrati.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin, Octavia Blake, Raven Reyes, Un po' tutti
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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XIV

 
Il respiro di Clarke arriva alle sue orecchie in modo sempre più leggero e regolare eppure percepisce ancora le braccia ancorate con una certa pressione al suo busto, da quel piccolo dettaglio comprende che la giovane Griffin deve essere in un precario mondo dei sogni, il suo corpo non si è lasciato andare totalmente al sonno e lei sembra essere pronta a scattare sull’attenti da un momento all’altro.
Dal suo canto Bellamy Blake riconosce sulle palpebre sempre più pesanti tutta la stanchezza che quella maledetta notte gli sta riservando, ci sono degli istanti in cui, impotente, lascia che esse si chiudano facendo spazio al buio primitivo e a quell’innato senso di pace che ha percepito fin dal momento in cui l’ha stretta tra le sue braccia.
Eppure decide di non estraniarsi da quel luogo infimo, di combattere fino all’ultimo quel senso di spossatezza.
Le sue orecchie infatti rimangono in tensione ed i suoi polpastrelli ben stretti al profilo di quella ragazza incredibile, non ha la minima intenzione di recidere quel contatto, la paura di perderla improvvisamente potrebbe lacerarlo, sente con tutto sé stesso il profondo bisogno di saperla al sicuro.
Almeno lei deve esserlo.
Del resto non è stato in grado di tenere lontano dalla sofferenza suo padre e poi sua sorella, non può fare ancora una volta lo stesso errore.
Deve trovare il modo e la forza di farlo quanto meno con lei.
E’ quel senso di responsabilità ma anche la voglia di vedere Clarke nuovamente sorridere che lo tengono saldamente attaccato alla realtà e Bellamy cerca di aggrapparvisi con ogni brandello di volontà.
Così, quando un rumore attira la sua attenzione, il maggiore dei Blake ha smesso da un pezzo di concentrarsi sullo scorrere del tempo, i secondi e poi i minuti si sono susseguiti senza che lui potesse controllarli esattamente come i suoi pensieri.
Quindi distrattamente volge il suo sguardo verso la porta d’ingresso, quasi come avesse dimenticato di attendere visite e nel momento in cui finalmente scorge i visi dei suoi amici e di sua sorella, le sue labbra si allargano in un’espressione distesa e a tratti sorpresa.
Li osserva muoversi goffamente nella sala pallida, non sono abituati ad avere a che fare con luoghi simili così nota la spensieratezza volare via dai loro visi in un attimo per poi lasciare spazio ad un principio di sollievo quando i loro occhi identificano i corpi ammassati che appartengono a lui e Clarke.
Sono rapidi a raggiungerli, i primi a capitolare al suo cospetto sono Raven e Murphy, poco dietro vede Octavia e velocemente intuisce il motivo del suo restare in disparte.
“Sta riposando.”
Si affretta ad annunciare regolando il volume della sua voce che fuoriesce roca e stanca, non bada ai convenevoli.
Sa che alle orecchie dei suoi amici quello appare come un semplice dato di fatto, una giustificazione per il suo mancato saluto.
Ma vuole essere prima di tutto una sorta di rassicurazione per sua sorella, non è ancora il momento di affrontare antichi rimorsi.
Anche se non può ancora osservarla la percepisce tirare un sospiro di sollievo.
E’ piuttosto convinto di conoscere perfettamente ciò che le passa per la testa; probabilmente si sta maledicendo, non aveva previsto d’incontrarla così, di essere costretta ad avere a che fare nuovamente con lei in un momento talmente delicato.
Ormai O’ è abbastanza matura da sapere che non può fare altro che mettere da parte il suo orgoglio e soprattutto il suo risentimento ma, privata di quegli atteggiamenti che nel corso degli anni sono diventati il suo scudo protettivo, ora deve essere completamente presa dal panico.
Per questo nel momento in cui vede emergere il suo viso tra le spalle di Raven e John cerca di regalarle un sorriso d’incoraggiamento, non è certo che lo abbia recepito però, ha subito notato che il suo interesse non è affatto per lui quanto per Clarke ancora dormiente e ignara di quanto stia accadendo attorno a lei.
Ad attirare nuovamente il suo sguardo è John che si gratta il capo e viene prontamente seguito da Raven che verosimilmente ha l’incredibile capacità di tradurre quel gesto in una frase di senso compiuto.
“Bell non sei costretto a raccontarci nulla se non vuoi… Ma se hai bisogno di condividere qualsiasi cosa… Bhè siamo qui per questo.”
Il ragazzo accanto a lei annuisce guardandolo dritto negli occhi mentre Octavia si avvicina silenziosamente e piuttosto lentamente fino a prendere posto accanto a lui.
Il maggiore dei Blake non può rimanere in silenzio, lo ha fatto per troppo tempo, sa che se scegliesse di non dire nulla impazzirebbe del tutto eppure non ha la minima idea di come iniziare.
“E’ accaduto tutto così velocemente…”
Sputa fuori quel pensiero senza rendersene realmente conto, parlando più a sé stesso che agli altri.
“Lei sta bene?”
Octavia deve aver captato perfettamente il significato di quella sua frase, una richiesta d’aiuto, il bisogno di percepirli accanto non solo fisicamente per non essere costretto a rivivere quell’inferno da solo.
Si limita ad annuire inizialmente.
“E’ in coma indotto e la prognosi è riservata ma ci hanno detto che entro stamane sarà svegliata, credo stiano conducendo degli accertamenti… E’ caduta dal terzo piano di un appartamento, Marcus ha detto che è un miracolo che sia ancora qui.”
Non riesce ad essere più specifico di così, non se la sente di condividere il resto della storia, non vuole appesantire anche loro con quei dettagli che restano gravi ed indelebili nella mente.
Abbassa il suo sguardo dopo aver pronunciato l’ultima sillaba, lo rivolge al viso di Clarke affossato sul suo petto, è convinto che anche lei sarebbe d’accordo con la sua decisione.
John si accovaccia sulle ginocchia per raggiungere il suo volto con quegli occhi glaciali, gli posa una mano sul ginocchio esercitando una leggera pressione ed è un gesto di conforto veloce, quasi incerto ma per Bellamy acquista un valore indecifrabile.
“Ve la caverete.”
Sussurra facendo oscillare il suo sguardo da lui a Clarke.
“Certo che lo farete e anche Charlotte starà bene, dobbiamo crederci, nulla è ancora perduto ok? E lo so che adesso sembra tutto così insormontabile ma siamo insieme, proprio come ai vecchi tempi…”
Raven s’interrompe sorridendo flebilmente ad O’ per poi riprendere
“Sono sicura che questa notte diventerà presto solo un brutto ricordo sbiadito dai più belli che verranno.”
E Bellamy vorrebbe davvero crederci ma sente di non avere assolutamente la forza per farlo, tuttavia  piega il viso di lato e rivolge loro un ghigno di gratitudine, sforzandosi di farlo risultare il meno provato possibile.
“Pensavamo di prendere qualcosa prima di arrivare qui ma O’ ha insistito a rimandare. Qualcosa di caldo però ci farebbe bene, non trovate? C’è una caffetteria qui nei paraggi, io e Rav’ potremmo prendere qualcosa che ne dite?”
“Buona idea…”
Bellamy risponde velocemente a John pensando che ormai il cappuccino offertogli da Kane ha smesso di fare il suo effetto e lo congeda con un cenno del capo.
Così il giovane uomo dalla capigliatura color faggio cinge premurosamente in vita Raven con il suo braccio e volta le spalle alle tre figure rimaste sulle sedie.
Bellamy non si sofferma più di tanto su quel gesto, non elabora alcuna considerazione eppure non può proprio fare a meno di notarlo.
 
“Come stai?”
Gli occhi di Octavia si fanno grandi e carichi di apprensione in fretta.
Bell scuote solo appena la testa, vuole evitare che quel leggero movimento possa in qualche modo infastidire Clarke.
“Non lo so. Sono stanco e purtroppo penso di stare fin troppo bene.”
Sua sorella scrolla le spalle, è un gesto sbarazzino ed anche il suo naso che si arriccia appena e le sue labbra fine sembrano voler esprimere una certa leggerezza.
“Fino a qualche tempo fa non avrei mai immaginato di vedere nulla di simile…”
Octavia rivolge un leggero cenno a quello strano groviglio di braccia e teste che sono diventati lui e Clarke, sorride e Bellamy intravede una nota d’orgoglio in quella sua strana espressione.
Non credeva capace sua sorella di riuscire a mettere da parte così bene tutto il resto, quella matassa di sentimenti che per troppo tempo le hanno lacerato il petto e l’hanno rigonfiata di rancore, risentimento e di sguardi tesi e muti.
Il maggiore dei Blake si ritrova a soffocare una risata goffa e quasi timida.
Lo fa per tante ragioni diverse ma sicuramente perché si vede colpevole di provare nel profondo una gioia remota e confortante, capace di scaldarlo e farlo andare avanti.
 
-
 
Sente delle voci in lontananza, è come se provenissero da una stanza adiacente a quella in cui si trova eppure le capta ed inspiegabilmente un principio di calore si fa largo nel suo petto.
Il torpore non vuole proprio saperne di abbandonare il suo corpo, né tantomeno la sua mente, fa fatica a fare mente locale, non deve aver dormito un granché perché sente i muscoli incordati e qualche formicolio di troppo.
Prova a riconcentrarsi sulle voci, non è facile distinguerle eppure…
C’è qualcosa in quei sussurri, qualcosa che aiuta il suo cuore a pulsare il sangue alle vene, è come un richiamo, un ricordo felice, è famiglia.
“Quindi siete venuti qui insieme?”
A parlare è una ragazza, giovane, quel tono le ricorda qualcosa, qualcuno eppure nessun volto fa ancora capolino nella mente appena sveglia della Griffin.
“Si, te l’ho detto. La macchina è andata, domani… Domani se tutto va bene… andrò a controllare e a capire di che si tratta.”
Bellamy.
Fa presto a riconoscerlo perché c’è qualcosa di diverso nel modo in cui ascolta ciò che dice, non è più lontano come sembrava poco prima l’altra voce, è vicino, troppo vicino, così tanto da percepire ogni vibrazione, così da riconoscere quasi ogni sussulto del suo diaframma e da udire i respiri che si susseguono tra una pausa e l’altra, tra il silenzio e le parole.
E’ come se il corpo di Bellamy Blake fosse il suo, così vicino da…
Clarke si forza, apre gli occhi.
La luce bianca del neon la acceca, è tutto sfocato e dannatamente confuso ciò che vede o che meglio non riesce a mettere a fuoco, è esattamente ciò che c’è nella sua testa: un groviglio d’informazioni poco chiare, occultate dall’assenza di lucidità.
Solo con i secondi ogni cosa sembra riacquistare i propri contorni, i propri odori.
Le pareti bianche, i camici blu che svolazzano da un angolo all’altro della sala, l’odore acre e asettico dell’ammoniaca.
Il vestito sgualcito di Bellamy, troppo vicino al suo viso, il profumo fresco dell’ammorbidente.
E il profilo di quella ragazza che adesso ha un nome e un cognome ben distinti.
Tutto torna in superficie, ogni immagine si ricollega ai suoi pensieri e improvvisamente ogni traccia di confusione svanisce.
Il torpore tipico di chi si è appena svegliato l’abbandona strattonandola, sbattendole in faccia la cruda realtà che chissà per quale assurdo motivo era riuscita davvero ad accantonare.
“Charlotte…”
Sussurra con la bocca ancora impastata, senza riuscire nemmeno a terminare la frase e a capire se qualcuno sia riuscita ad ascoltarla.
Solo in quel momento percepisce la mano di Bellamy scivolare via dalla sua guancia, Clarke la rimpiazza velocemente con la sua, tocca quello stesso punto: è caldo, bollente, testimone del gesto attento che deve essere stato continuo fino a quell’istante.
Velocemente si sente liberare anche i fianchi, sempre cinti dal braccio del maggiore dei Blake. Non può ancora vederlo in viso ma la repentinità di quei gesti le fa pensare all’imbarazzo, lo stesso identico che sente infiammare le sue gote.
Così, come a ricambiare il favore, scosta il resto del corpo dal suo e rivolge il viso ai due fratelli, sperando ingenuamente che i capelli scompigliati nascondano in modo adeguato il disagio incastonato nella sua espressione.
“Hei… Va tutto bene?”
Il tono caldo di Blake ora è di nuovo il solito, ad una distanza di sicurezza accettabile.
Annuisce incapace di aprire bocca.
Non si tratta di Bellamy stavolta.
E’ Octavia il problema, ora che è proprio lì davanti a lei, come per tanto tempo ha sperato, non ha la benché minima idea di come approcciarsi a lei ma non può certo ignorarla.
Così, approfittando dell’ultimo brandello di confusione lasciatole dal sonno, le rivolge un cenno con la mano.
“Hei…”
Dice incerta.
“Clarke.”
Rispondelei accompagnando quella sottospecie di saluto muovendo appena il capo.
“Ci sono anche Raven e Murphy, sono usciti a prendere qualcosa di caldo già da un po’, dovrebbero essere di ritorno presto.”
I suoi occhi brillano alla notizia datale da Bellamy e il gelo avvertito poco prima a causa di quella strana formalità tra lei e la piccola di casa Blake si affievolisce appena.
Ma ben presto Clarke scuote la testa, scacciando via i pensieri più superficiali…
“Ci sono novità?”
Chiede ancora.
L’attesa è diventata insostenibile, non sa nemmeno da quant’è che sono lì ed odia aver lasciato solo Bellamy, essersi permessa di addormentarsi in una simile situazione.
“Non ancora ma… se entro un’oretta non ci dicono nulla, voglio provare a parlare direttamente con chi se ne occupa.”
“Sì… è una buona idea.”
Di nuovo il silenzio tra i tre si fa imperante, Clarke vorrebbe dire così tante cose ma la presenza di Octavia le rende tutto più difficile.
Vorrebbe scusarsi con Bellamy ad esempio, chiedere perdono per averlo lasciato solo, per essersi permessa di dormire in un momento così delicato, per non esserci davvero stata.
E poi vorrebbe abbracciare O’, urlarle contro con tutto il fiato che ha in corpo che adesso nulla conta, che ha capito finalmente, solo ora che ha scoperto come tutto può cambiare da un momento all’altro lo ha fatto, ora che sa che perdere una persona è facile quanto trovarla, se non di più.
Avrebbe il desiderio di alzarsi, abbandonare quella sala d’aspetto che ormai è diventata una gabbia, cercare qualcuno che possa darle un briciolo d’informazione, vedere il viso di Charlotte, assicurarsi che sia ancora qui, con loro, al sicuro.
Eppure non ne è capace, la sua mente non riesce a liberare le parole né a far muovere il suo corpo, Clarke Griffin rimane immobile sulla sedia, si guarda intorno, fugge gli sguardi dei fratelli Blake e si concentra su stupidi e superficiali particolari.
Nota il filo del telefono teso, il punto di blu dei camici dei pochi addetti ai lavori presenti in sala, le vetrate della porta d’ingresso appannate e poi il cielo fuori che non è più di quel nero pesto ma presenta un chiarore all’orizzonte, anche oggi il sole sorgerà e lo farà presto.
Clarke Griffin pensa che se dovesse dare un tratto alla speranza, rappresentarla sulla tela, disegnerebbe quel cielo.
Ed è proprio quando sta per distogliere lo sguardo dalle vetrate che le vede schiudersi, lasciare libero il passaggio a Raven e Murphy.
Li vede sorridersi per poi ricomporsi, farsi seri.
Nota il braccio forte del ragazzo cingere il fianco della sua amica e un leggero sorriso si incastona nelle sue labbra, speranza, è di nuovo quella parola a darle la forza, la riesce a vedere perfettamente in quel gesto di pura e semplice affezione.
Improvvisamente Clarke Griffin trova uno spiraglio di luce, qualcosa in cui credere, una seppur fievole voglia di sperare che alla fine tutto andrà bene.
“Ben svegliata!”
La voce di Raven arriva prima del suo corpo che si scapicolla ad accorrere dall’amica.
“Sapevo che il nostro arrivo ti avrebbe fatto perdere il sonno e infatti ho pensato anche a te.”
Le porge il caffè ristretto senza darle il tempo di ribattere.
Clarke sorride. Non è facile, fa una leggera fatica ma sente di volerlo fare, capisce che non c’è nulla di male nel farlo.
Finalmente lo sente, lo riconosce quell’amore che li ha portati fin qui, ad essere di nuovo tutti insieme. Non si è mai spento, definisce chi sono, è capace di cancellare qualsiasi cosa ed è la chiave di tutto.
Non si ferma quando il desiderio di volgere il suo sguardo a Bellamy si fa impellente.
E’ grazie a lui che sono quel che sono.
E’ lui che li ha accolti, li ha guidati quando erano ancora troppo acerbi per comprendere quanto fosse importante esserci l’uno per l’altro e la gratitudine per averci creduto per primo le gonfia il petto.
Quando tutto sarà finito, si ripromette di dirglielo, è quasi sicura che in pochi lo abbiano fatto e forse è arrivato il momento della riconoscenza.
 
“Clarke Griffin e Bellamy Blake?”
Un’infermiera si approssima al gruppo di ragazzi. Ha una cartellina in mano e la sua voce è squillante.
‘E’ un buon segno.’ Pensa la bionda. ‘Deve esserlo.’ Lo fa mentre scatta in piedi seguita a ruota dal maggiore dei Blake.
“Siamo noi.”
Si affretta a dire il ragazzo quasi in affanno.
“Bene. Seguitemi.”
Il viso della donna non lascia trapelare nulla. Gli occhi scuri sono vacui, privi d’espressione, il suo volto non è corrugato, né disteso. Clarke si chiede come sia possibile, si domanda se anche sua madre sia in grado di rimanere così impassibile di fronte a ciò che vede ogni giorno. Ma lo fa mentre l’infermiera ha già dato loro le spalle e decide quindi di ignorare quelle stupide domande che non porteranno a nulla mentre il suo corpo segue ciecamente quello della donna.
Si ferma un istante solo quando sente le dita di Bellamy sfiorare le sue, è poco dietro di lei, la cerca senza dire nulla e Clarke accoglie quella richiesta stringendo la sua mano.
‘Insieme.’
Riesce solo a pensare a quella che è suonata come una promessa, con la consapevolezza che lui stia facendo lo stesso.
 
-
 
 
Hanno percorso un paio di corridoi, lo hanno fatto senza quasi respirare, aggrappandosi l’uno all’altra e ora che sono a pochi metri dalla verità, dal verdetto finale, tutto intorno a loro sembra sbiadire, perdere significato o importanza.
“Marcus Kane mi ha lasciato i vostri nomi per avvertirvi qualora ci fossero stati sviluppi, tuttavia non avete alcuna parentela con la ragazza, giusto?”
Bellamy percepisce Clarke digrignare i denti, si sta trattenendo, come se tutto questo adesso avesse davvero importanza…
“Esatto, siamo solo i tutori legali durante il progetto di sostegno al quale partecipa. Ma…”
Non riesce a sillabare, ha paura della risposta.
“Si è svegliata?”
La voce di Clarke è impaziente, angosciata ma completa alla perfezione la sua frase, è coraggiosa, più di lui.
La dottoressa annuisce chiudendo appena le palpebre.
Bellamy sospira, sente il sollievo riscaldarlo, vorrebbe piangere, gioire, persino urlare eppure non riesce a fare nulla di tutto questo. Rimane fermo immobile, sente gli occhi arrossarsi ma non accade nulla, le lacrime di gioia faticano a farsi largo e l’incredulità domina il suo volto.
Sente la mano di Clarke stringersi ancora di più alla sua, la percepisce tremare, fremere e comprende di non essere l’unico a non saper gestire bene i miracoli, non ha bisogno di guardarla, lo sente.
“Vi ho chiesto se per caso foste dei parenti perché volevo sapere se Charlotte sia in grado di riconoscervi.”
“Credo di si…”
Lo dice senza pensarci due volte, facendo un passo avanti verso l’infermiera, agitandosi e gesticolando più del dovuto.
E’ piuttosto sicuro che tutto ciò che desidera di più al mondo adesso è vederla, accertarsi con i propri occhi che tutto ciò che sta accadendo non sia solo un’illusione.
Deve convincerla, non può permettersi di fallire.
“E’ ancora in uno stato leggermente confusionale e vorremmo metterla a suo agio, ci vorrà molto tempo per assimilare tutto ciò che le è accaduto e non vogliamo procurarle ulteriori traumi, è bene che le prime persone che veda siano in grado di infonderle sicurezza, capite?”
Annuisce con enfasi.
“Le assicuro che andrà tutto bene. Non ha nessuno, sua madre è ricoverata e non sappiamo ancora…”
La donna lo interrompe con un gesto veloce.
“Sappiamo già tutto, volevo solo assicurarmi che fosse la scelta migliore anche per voi.”
Ora l’infermiera sorride docilmente, mette da parte la sua professionalità di fronte a tanta determinazione, dinnanzi alla preoccupazione quasi paterna di Bellamy Blake.
E tutto sembrerebbe andare finalmente per il verso giusto se non fosse per quel che si appresta a dire la giovane Griffin
“Vai tu.”
Bellamy non è sicuro di aver capito bene
“Come scusa?”
“Entra tu. Io ti aspetterò qui fuori, è la cosa migliore da fare.”
Le sue pupille scure si dilatano mentre cercano di scrutare il volto di Clarke, ovviamente sta eludendo il suo sguardo, il suo capo è chino, volto verso le maioliche grandi e bianche del pavimento.
“Mi scusi, può lasciarci un attimo soli?”
Dice tra i denti quella frase senza nemmeno guardare la semisconosciuta a cui è rivolta.
La donna si allontana facendo aleggiare nell’aria una frase che in quel momento suona come una specie di monito
“Certo, sono in fondo al corridoio, avvertitemi quando siete pronti.”
Il maggiore dei Blake aspetta che l’infermiera si allontani prima di ottenere l’attenzione di Clarke
“Si può sapere che diavolo ti prende?”
Una parte di lui è arrabbiata, non ci mette molto a capirlo, tuttavia cerca di moderarsi, le parole escono gravi ma mantiene un tono di voce fermo e basso.
“Te l’ho già detto, è meglio così.”
Continua ad eludere i suoi occhi.
Ma Bellamy non si accontenta, quella frase arrendevole non ha senso per lui.
“Guardami.”
E’ imperativo, severo.
“Non sono sicura di riuscirci.”
Sospira prima di risponderle, deve mantenere la calma, trovare la pazienza necessaria a tutti i costi, non può crollare proprio ora che le cose stanno ricominciando ad andare per il verso giusto.
“D’accordo. Allora spiegami perché non ci riesci, dimmi perché non vuoi entrare, dammi anche solo un buon motivo per cui credi che a Charlotte non faccia bene vederti e ti lascerò in pace. Ma per favore… Dammi delle risposte.”
“Se lo facessi, se ti guardassi adesso, cederei e non posso permettermelo. Non è giusto.”
“Nei confronti di chi? Diamine Clarke…”
“Di Charlotte! Non voglio entrare per il suo bene. Io… non sono adatta, non sono in grado, te l’ho già detto mi pare, no? Sei stato tu a capire davvero che qualcosa non andava, tu le sei stato vicino a modo tuo, non io… Io non ho fatto un bel niente, per lei la mia presenza non significa nulla, rischierei solo di metterla in imbarazzo.”
Le ultime parole risuonano spezzate nel corridoio vuoto.
E quello è esattamente ciò che fa crollare Bellamy Blake.
Non c’è più alcuna traccia della rabbia provata attimi prima, la fragilità di Clarke ha cancellato ogni stupido e cieco risentimento.
Pensava che avesse capito ma evidentemente ha ancora bisogno di una spinta o di un sostegno.
“Si, me l’hai già detto è vero ma mi pare di averti risposto. Io senza di te non vado da nessuna parte. Tu in questa dannatissima storia non hai alcuna colpa, vedi di mettertelo bene in testa.”
“Ma…”
Bellamy è veloce, più veloce delle sue parole, si china leggermente e posa un dito sulle labbra di Clarke, sente l’umidità del suo fiato appena spezzato sulla pelle e questo gli basta per tirare un sospiro.
Poi con la stessa mano scosta delicatamente una ciocca dei suoi capelli biondi, la ripone con delicatezza dietro l’orecchio destro, quel tanto che basta per raggiungere i suoi occhi che scopre lucidi.
Sono vicini, come lo sono stati poche volte, ma per la prima volta non ha paura di limitare le distanze.
“Non ho dimenticato un bel niente Clarke. Insieme, ricordi?”
La vede sollevare il mento, adagiarsi contro il muro e annuire.
“Era una promessa, vero?”
 Non si aspettava una domanda simile, non si aspettava nulla più a dirla tutta.
Così sorride, non può farne a meno stavolta.
“Certo. Vogliamo andare?”
Lo dice mentre lascia scivolare il suo braccio sulle spalle della ragazza, quasi avesse paura di perderla, sente il cuore più leggero ma resta comunque quell’inevitabile paura per ciò che accadrà dopo.
Eppure saperla vicino lo fa sentire forte.
 
-
 
 
Ha osservato per tutto il tempo Bellamy, non lo ha perso di vista un attimo mentre ascoltava attentamente tutto quello che l’infermiera aveva da dirgli. Ha preso tempo, ha delegato a lui il lavoro sporco, quello ufficiale, burocratico, fatto di chiacchiere, dati e numeri telefonici. Ma non si è allontanata, è rimasta al suo fianco proprio come promesso, lasciando che i suoi occhi percorressero il suo profilo mille e più volte, che si adagiassero insistentemente sul suo volto teso eppure incredibilmente lucido.
E’ certa ormai di conoscere a memoria ogni tratto che lo compone, ogni ruga o increspatura della pelle. Se glielo chiedessero saprebbe disegnare ad occhi chiusi ogni punto esatto in cui le sue lentiggini si posano sulla pelle olivastra o prevedere in che direzione i riccioli neri, spostati dal vento, ricadrebbero, coprendo disordinatamente la sua fronte, spesso corrugata.
Tuttavia non si stanca mai; osservarlo, saperlo così vicino da poter vedere nitidamente ogni dettaglio, da poterlo toccare, la fa sentire serena.
E mai come ora Clarke Griffin sente il bisogno di trovare un porto sicuro.
Ha paura.
Le cose dette a Bellamy pochi istanti prima non erano un gioco, le ha pensate davvero.
Non è sicura di riuscire ad affrontare Charlotte e tutto ciò che ne consegue, ha il gigantesco timore di peggiorare in qualche modo la situazione, di dire o fare la cosa sbagliata.
Ma non può lasciare tutto sulle spalle di Bellamy, lo ha promesso del resto e in fondo al suo cuore sente il bisogno di accertarsi con i propri occhi che quella ragazza stia davvero bene, ha un’incredibile voglia di vederla, di saperla salva.
Mille contraddizioni si fanno spazio nel suo animo e l’unico modo per tenerle a bada, per non perdere il controllo è focalizzarsi su di lui, ancora una volta.
 
“Bene…”
Percepisce uno sguardo estraneo sulla sua pelle, lo sostiene stavolta, è lei, l’infermiera.
“Direi che è tutto pronto, potete entrare, tra una mezz’ora busserò alla porta, è prestissimo, prendetelo come un saluto, se avrete voglia nel pomeriggio potrete tornare, d’accordo?”
Annuisce repentinamente, tutta quell’attesa, quelle formalità, la straziano.
“Sarò qui fuori per qualsiasi cosa.”
“Grazie, davvero.”
Percepisce un goccio di impazienza anche nella voce di Bellamy che dopo aver pronunciato a fior di labbra quella frase sbrigativa la cerca con lo sguardo.
Non c’è bisogno di parlare, comprende tutto ciò che è racchiuso in quegli occhi neri come il carbone.
‘Insieme’ sembrano dire di nuovo, e quel mantra si ripete nella sua mente senza sosta, è capace di donarle il coraggio e l’energia necessari per affrontare tutto quello che sta per succedere.
Serrano le labbra quando i loro occhi, contemporaneamente, si lasciano per posarsi sulla porta appena socchiusa. La mano del maggiore dei Blake trema quando si posa sulla superficie bianca e fredda ma non si tira indietro ed in men che non si dica varcano il confine, chiudono il mondo fuori, alle loro spalle e rimangono inermi in quella stanza, lontani da tutto e tutti, soli con Charlotte di cui percepiscono subito il flebile respiro.
Tutto scompare, le paure, le insicurezze, ogni cosa perde importanza non appena la vede, e senza nemmeno pensarci si avvicina.
Vederla sdraiata lì a due passi, osservare il profilo del suo corpo coperto dal lenzuolo candido le ha fatto dimenticare ogni timore, ogni paranoia.
Il suo istinto la guida fino al suo fianco e stavolta è Bellamy a rimanere indietro di qualche passo.
Finalmente il viso di Charlotte si rivela ai suoi occhi.
E’ pulito nei limiti di ciò che le è accaduto, i medici devono aver fatto un ottimo lavoro, ci sono graffi ovunque, e qualche punto in cui la pelle, ora infiammata, è destinata a diventare livida ma dietro quelle ferite riconosce i suoi lineamenti ed è indescrivibile ciò che prova nel rivederli, lì, intatti, vivi e pulsanti.
La osserva muoversi quasi impercettibilmente, deve averli sentiti arrivare, ci mette poco ad aprire gli occhi ma Clarke non le sta addosso, le lascia lo spazio per ricominciare a riconoscere.
Così le sue pupille si spostano velocemente da una parte all’altra della stanza per qualche istante, rimbalzano sul suo corpo e su quello di Bellamy quasi incredule, poi si gonfiano, si appannano, lasciano spazio a un paio di lacrimoni che scendono giù silenziosi.
Clarke percepisce Bellamy colmare la distanza tra loro, lo sente stringersi a lei, cercare conforto dinnanzi a quel dolore muto e straziante.
“Hei, piccola…”
E’ lui a parlare per primo, a spezzare timidamente il silenzio, nonostante la sua voce sia incerta e flebile.
Charlotte reagisce velocemente a quell’appello, cerca di slanciarsi verso di loro ma le fasciature glielo impediscono e ciò che esce dalla sua bocca sono solo mesti gemiti di dolore.
E’ Clarke ad avvicinarsi, posa una mano sulla spalla della bimba, delicatamente quasi come fosse una carezza più che un avvertimento
“Devi solo cercare di riposare adesso, va bene?”
“Gr-grazie.”
E’ matura, più di quanto ci si possa aspettare da una ragazzina di quell’età e quella singola parola, pronunciata con affanno, acquista un significato molto più ampio di quanto si possa anche solo osare immaginare. Rimbomba nella testa della bionda, la scuote, la fa sentire viva.
Quando Clarke sta per ritrarre la mano dalla piccola spalla, sente quella di Bellamy raggiungerla, posarsi esercitando una pressione leggerissima tra il camice di Charlotte e la sua pelle.
Forse ha ragione, non è ancora tempo di recidere quel contatto.
E’ uno di quei casi in cui parlare non serve a molto, contano i gesti, gli sguardi, la vicinanza e lo nota osservando ancora una volta la piccola Charlotte che adesso, nonostante gli occhi ancora lucidi, abbozza un sorriso prima di lasciare spazio ad un goffo sbadiglio che provoca inevitabilmente un riso nel maggiore dei Blake.
E’ buffo notare come anche i più piccoli sintomi di vitalità contino in determinate circostanze e questo spiega la sua reazione.
Si può essere felici per uno sbadiglio?
“E’ tardi piccoletta, credo che la cosa migliore che tu possa fare sia cercare di dormire, sai?”
Bellamy Blake è portentoso, è in grado di calibrare perfettamente serietà e dolcezza e Charlotte non può fare altro che annuire lentamente.
“Tornerete, non è vero?”
“Sempre.”
Clarke sillaba piano quella parola come fosse una nenia oltre che una sincera promessa e solo allora la piccola Charlotte si permette di serrare le palpebre e abbandonarsi al sonno.


Angolo Autrice
Non so davvero da dove iniziare, devo essere sincera. E forse l'unica cosa che posso dirvi è Grazie. 
Grazie a chi ha continuato a scrivermi, a chi ha recensito fino a qualche giorno fa, grazie a chi proprio adesso è arrivato fin qui.
Sono stati mesi intensi e stressanti, essere stata lontana da qui mi ha fatto male ma non ho potuto fare altrimenti, purtroppo crescere fa parte di questo gioco e il tempo scarseggia sempre di più.
Non posso promettervi nulla su tempistiche future ma una cosa posso dirvela, non ho alcuna intenzione di abbandonare questa storia, non importa quanto ci metterò per finirla, prima o poi tornerò sempre qui ad aggiornare e spero che sarete con me.
La gestazione di questo capitolo è stata lunga e a tratti stressante, non voglio di certo ammorbarvi con i miei 'problemi', eppure non c'è stato un giorno in cui non ho pensato al suo svolgimento, alla sua costruzione, anche se poi lasciavo il file a marcire nel mio PC, i miei pensieri erano spesso con Clarke, Bellamy e Charlotte e non sapete quanto io sia felice adesso di poter finalmente condividere con voi tutto questo.
Spero che nonostante il ritardo imperdonabile e quasi vergognoso, siate riusciti a ritrovarvi nelle mie parole.
Aspetto qualsiasi vostra reazione con ansia e vi abbraccio fortissimamente.
Chiara.
   
 
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