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Autore: Il Professor What    16/03/2018    1 recensioni
Il Dottore, come sappiamo, viaggia nel tempo e nello spazio, a bordo della sua macchina e con i suoi compagni. La serie e gli altri media ci hanno fatto vedere che, occasionalmente, il nostro Signore del Tempo preferito ha visitato anche il nostro paese. Ma se ci fossero state altre avventure, che la serie non ci ha mostrato?
Questa è la prima di tredici storie dove il Dottore interagisce con la storia del nostro paese. Nell'abbazia di San Gaudenzio, 1302, Dante Alighieri e i Guelfi Bianchi si sono riuniti per cercare di tornare a Firenze. Un misterioso Monaco promette loro una sicura vittoria, con l'aiuto di qualche arma strana. Dante si oppone strenuamente, ed è appoggiato dal Primo Dottore e dal suo compagno, Steven Taylor, che quel Monaco lo conoscono bene...
Genere: Avventura, Science-fiction, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Doctor - 1
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Doctor Who: The Italian Adventures'
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E incredibile ma vero, signore e signori, ecco un nuovo capitolo! Sì, l'ho detto che avrei aggiornato o il 10 o il 20, ma poi mi sono ritrovato con un po' di tempo libero e un'occasione da festeggiare, ed eccomi qua! E con questo, il ritardo di fine febbraio è recuperato, dal 20 riprende la pubblicazione usuale. Come sempre, buona lettura!
 
"PER SEGUIR VIRTUTE E CONOSCENZA"
Parte 3

 
Dante Alighieri cominciò a sentirsi male già la mattina dopo: un forte mal di testa, accompagnato da una tremenda nausea, gli impedì di alzarsi dal letto. Ben presto, cominciò a scottare per la febbre, e solo con molta fatica Lapo riuscì a fargli ingurgitare qualcosa. Provò a dormire, ma senza successo: continuava a rigirarsi nel letto, come se soffrisse di un gran caldo, e sudava copiosamente. Alla sera, le sue condizioni erano così peggiorate che Scarpetta Ordelaffi, preoccupato, suggerì di chiamare un dottore.

“Posso occuparmene io” disse il Monaco. “Le mie conoscenze in fatto di cura dei corpi sono equivalenti a quelle delle armi. E purtroppo, temo che il vostro amico sia preda di un terribile maleficio.”
“Davvero?” domandò Scarpetta. “Adesso tirate in ballo la magia, padre?”
“Se volete, potete sempre chiamare dei dottori, ma non vi diranno più di quanto vi ho già detto. Il morbo che affligge messer Dante è qualcosa che sorpassa, e di molto, le loro conoscenze.”

I fatti diedero ragione al Monaco. Nei due giorni successivi, vari medici si alternarono al capezzale del poeta, e nessuno di loro riuscì a identificare il suo malessere, o suggerire una cura. Dante era sempre più debole, e sul suo corpo avevano iniziato a spuntare strane bolle nere, che il Monaco definì “bubboni”, dicendo che segnalavano la fine imminente.

“Se volete salvare il vostro amico” insisteva “dovete affidarlo a me. Se non riuscirò a guarirlo, almeno potrò scoprire cosa ha causato il suo male.”

Le insistenze del Monaco erano vivamente appoggiate da Bastiera dei Tosinghi, il quale si diceva convinto che Dante fosse stato vittima di una qualche stregoneria operata dai Neri, che volevano impedire loro di usare le armi del Monaco per rientrare a Firenze. Scarpetta, ovviamente, si opponeva con tutte le proprie forze, ma più la salute del poeta peggiorava, più la convinzione di Bastiera faceva presa sugli altri membri del loro schieramento. Il Monaco non interveniva sulla questione, ma il suo silenzio poteva essere interpretato in tanti modi. All’alba del terzo giorno, Dante era così debole che persino Scarpetta fu costretto a credere alle parole del Monaco: se non si faceva qualcosa, e presto, non avrebbe superato la notte. Bastiera allora cominciò a insistere che si affidasse il poeta al Monaco, come si sarebbe dovuto fare fin dall’inizio, e questa volta molti dei Bianchi si schierarono con lui. Scarpetta sapeva che ormai non poteva attendere molto, e tuttavia, restava convinto che non fosse la mossa giusta da compiere: due giorni prima, lui e Dante avevano condiviso la stessa sfiducia nei confronti di quell’individuo. Ma allora, cosa fare, si domandò infuriato, mentre percorreva avanti e indietro il chiostro dell’abbazia, cercando di riflettere.

“Messer Ordelaffi?” disse Lapo, avvicinandosi cautamente. “Posso parlarvi un attimo?”
“Certo, Lapo, dimmi” sospirò quest’ultimo.
“C’è qualcosa che vi devo dire. Ho esitato finora perché non ne ero sicuro, ma adesso credo sia opportuno sappiate. Tre giorni fa, prima di ammalarsi, il mio padrone ha ricevuto una visita.”
“Da chi?”
“Un certo Dottore, non ha voluto dire il suo nome. È arrivato qui mentre stava componendo, e insisteva tantissimo per parlare con lui. Alla fine, l’ho fatto entrare, e poi… be’…” esitò Lapo, arrossendo, “confesso di avere origliato. Ero curioso, e…”
“Va bene, va bene, taglia le scuse e va’ avanti!”
“Parlavano del Monaco, messere. Il Dottore ha detto di conoscerlo da molto tempo, e ha incoraggiato il mio padrone a non fidarsi di lui, e opporsi all’utilizzo delle sue armi. Ha detto di essere giunto qui per fermarlo, e ha chiesto che, non appena possibile, il mio padrone gli passasse delle informazioni… voleva sapere in particolare dove alloggiava. Il padrone ha accettato, e lui se ne è andato dicendo che un suo compagno lo avrebbe contattato presto.”
“E tu perché lo dici solo ora?” chiese Scarpetta, iniziando ad alterarsi.
“E come potevo dirlo prima, messere? Quel Dottore ha insistito sulla massima segretezza riguardo la sua presenza qui, e con messer Bastiera che dice che il mio padrone è stato oggetto di stregoneria… Insomma…”
“D’accordo, penso di aver capito” rispose Scarpetta, recuperando la calma. Non aveva senso prendersela con il povero Lapo, che aveva solo eseguito quelli che, se Dante avesse potuto darli, sarebbero stati i suoi ordini. “E questo compagno si è fatto vivo?”
“Proprio oggi, messere. È venuto da me un’ora fa, dicendomi che veniva da parte del Dottore. Io gli ho detto tutto, e lui ha insistito per parlare con voi. Dice che il Dottore potrebbe curarlo.”
“Allora che aspetti? Portami da lui!”
***

Assolutamente fuori discussione!”
“Dottore, da quanto ho capito quell’uomo è in fin di vita! Il Monaco gli deve aver fatto qualc…”
La vita di Dante, e la stesura della Commedia, sono un punto fisso nel tempo. Ho controllato prima di venire qui. Non gli può capitare nulla di serio.”

Dalla sua posizione, nella stanza dell’abbazia riservata a Ordelaffi, Steven Taylor grugnì di frustrazione attraverso la radio con cui lui e il Dottore parlavano. Il vecchio era in uno dei suoi momenti di ostinazione, a quanto pare, quelli in cui Steven faceva parecchia fatica a non prendere qualcosa e lanciarglielo addosso, o se non altro urlargli contro fino a perdere la voce. Il Dottore sembrava un adolescente, in quei momenti: umorale e testardo, anche di fronte alle cose più ovvie e banali. E ovviamente toccava a lui, Steven, che già di pazienza non è che ne avesse poi molta, darsi da fare per farlo ragionare.

“Ok, Dottore, sarà come dice lei, ma rifletta un attimo. Stiamo parlando del Monaco, che ha già cercato di cambiare quei… punti fissi di cui parla. Anzi, se non sbaglio, è quello che sta facendo ora, no?”
Sì, così sembrerebbe.”
“Bene, e Dante Alighieri l’ha ostacolato. Mi dica, Dottore, in tutta franchezza, davvero lei ritiene…”

La porta dello studio cominciò ad aprirsi proprio in quel momento, costringendo Steven a chiudere la comunicazione in fretta. Scarpetta Ordelaffi entrò nella stanza, gli occhi fissi sul giovane, cui ordinò perentoriamente di sedersi. Steven obbedì, mentre si preparava mentalmente a rispondere alle domande che sarebbero arrivate.

“Avete un nome, messere?”
“Stefano” disse Steven. “Stefano Sarti” aggiunse poi, italianizzando il proprio nome, come gli aveva suggerito il Dottore.
“Bene, messer Sarti. Lapo mi ha detto quanto è accaduto fra voi e il vostro padrone. Potreste, di grazia, rispiegarmi il tutto?”
“Certamente” disse Steven, prima di ripetere, in breve, quanto il Dottore gli aveva detto di riferire. Disse che il Dottore e il Monaco si conoscevano da tempo, che avevano studiato insieme, ma che poi della loro scienza avevano fatto un uso diverso. Il Dottore aveva le stesse conoscenze del Monaco, e poteva intervenire e rimediare; inoltre, egli era assolutamente contrario a qualsiasi sua azione. Aveva contattato messer Dante, due giorni fa, perché aveva bisogno di informazioni, e Dante era sembrato il più fiero oppositore del Monaco, perciò…
“E per quale motivo il Dottore vorrebbe sapere dove alloggia il Monaco?” domandò Scarpetta.
“Noi riteniamo” spiegò Steven, paziente “che il Monaco tenga tutti gli strumenti con cui opera in un certo posto. Il piano era che messer Alighieri ce ne avrebbe fornito l’ubicazione, e noi poi saremmo intervenuti per distruggerli, o quanto meno renderli inefficaci. Abbiamo atteso qualche giorno perché il Monaco non sospettasse la nostra presenza.”
“Avete detto che il Dottore ha le stesse conoscenze del Monaco. Questo include la medicina?”
“M-ma certo!” si affrettò ad aggiungere Steven, soffocando il ricordo delle numerose volte in cui il Dottore aveva detto di non essere quel tipo di dottore. “Anzi, è nostra convinzione che dietro la malattia del poeta vi sia proprio il Monaco. Se mi lasciate andare, porterò qui il Dottore, e lui potrà dargli un’occhiata.”

“Io ho un’idea migliore” disse Scarpetta, alzandosi. “Perché non mi accompagnate da questo vostro Dottore? Così potrò parlargli di persona.”
“D-da lui?” domandò Steven, sorpreso. Questa domanda era del tutto inaspettata. “Be’…” disse, prendendo tempo per pensare. Il Dottore era stato tassativo: nessuno doveva avvicinarsi al TARDIS, nessuno doveva scoprirli. D’altra parte, però, che altre vie d’uscita aveva? Dargli l’ubicazione perché andassero da soli sarebbe stato ancora peggio, e almeno in tal modo, pensò alla fine Steven, il Dottore non si sarebbe potuto esimere dall’intervenire.
“D’accordo” sospirò alla fine. “Prepari alcuni uomini, vi porto da lui.”
***
 
Li sta portando qui, gli sussurrò il TARDIS, mentre il Dottore cercava ancora di riattivare la comunicazione.
“Cosa?” esclamò il Dottore, preoccupato e arrabbiato. “Che vuol dire, li sta portando qui?”
Quel che ho detto, rispose la macchina.
“Oh per la…” ansimò il Dottore. Lo sapeva che sarebbe dovuto andare di persona, invece di mandare Steven! “Tra tutte le cose che non doveva fare…”
Devi aiutarli.
“Devo? Devo?” domandò il Dottore, in tono di sfida. “E perché dovrei? Cosa sono diventato, la bambinaia degli esseri umani? E poi, non si può riscrivere la storia, l’ho già detto a Barbara una volta!”
E quindi, lascerai che lo faccia il Monaco?
“No, ovviamente no, lo fermerò se posso, ma non ho alcuna intenzione di farmi coinvolgere nelle beghe degli abitanti di questo pianeta! L’ultima volta che l’ho fatto, Nerone ha incendiato Roma!”
E la volta prima, la Terra è stata liberata dai Dalek. Direi che le due cose si equilibrano.
“Non è questo il punto! Per la miseria, ho rubato un TARDIS e sono ricercato, non posso andare in giro per l’universo a lasciar tracce della mia presenza…”
Nemmeno se questo comporta salvare una vita?
“E con quale diritto dovrei salvare la sua vita?” esclamò all’improvviso il Dottore, in un così totale e improvviso slancio di onestà che lasciò perplesso lui per primo, e che non riuscì a fermare in tempo. “Perché? Tutti vivono, tutti muoiono, le stelle scompaiono, perfino i Signori del Tempo alla fine cessano di rigenerarsi! Chi mi ha dato il diritto di decidere chi vive e chi muore? Non è per questo che me ne sono andato da Gallifrey, per diventare una sorta di… di… guardiano dell’universo!”
E allora perché?
“Perché…” iniziò il Dottore, solo per venire interrotto dal suono di qualcuno che bussava alla porta del TARDIS. Senza che lui si muovesse, lo scanner da solo si accese, mostrandogli Steven accompagnato dagli uomini di Scarpetta, in piedi di fronte alla porta d’entrata dell’astronave. “Mi hai distratto” mormorò allora, rivolto alla macchina, in un misto di rabbia e di sorpresa.
Naturalmente, fu l’ironica risposta.
***
 
“Che razza di abitazione è questa?” stava chiedendo intanto Scarpetta a Steven, osservando meravigliato le pareti blu della cabina telefonica. “Ho visto alcune cose curiose anch’io, ma questa le batte tutte.”
“È qualcosa di speciale” ribatté Steven, cercando di stare sulla difensiva. Non intendeva certo dare informazioni sul TARDIS a un signore feudale del XIV secolo – anche se probabilmente non le avrebbe nemmeno capite.
“E come è possibile che una persona ci viva?”
“È più grande all’interno” replicò Steven con un’alzata di spalle, cercando di farla sembrare una battuta. Scarpetta fece per rispondere, forse per ridere, ma in quel momento la porta si aprì e il Dottore ne venne fuori, con indosso il suo panciotto e la giacca nera, e in mano il bastone da passeggio.
“Buon pomeriggio, messer Ordelaffi” disse, rivolgendosi subito al capo della comitiva. “Stefano” aggiunse poi con un cenno del capo, rivolto al suo compagno, in tono freddo.
“Dottore” rispose Steven, senza staccare gli occhi da Scarpetta, che osservava il Dottore con diffidenza e sospetto.
“So cosa volete chiedermi” aggiunse subito quest’ultimo, rivolto al signore di Forlì. “Il mio compagno mi ha informato della malattia di messer Alighieri.”
“Ha anche detto che voi potete curarla” disse Scarpetta. “La vostra sapienza deve essere grande, nessuno dei medici che ho fatto consultare si è nemmeno avvicinato a riconoscerla.”
“Davvero?” domandò il Dottore, tamburellando con le dita sul pomo del bastone. “Potrebbe darsi, messere, potrebbe darsi. Posso chiedere quali sintomi presenta il poeta?”
“Febbre alta, brividi, nausea… fatica a mangiare… e ha una sorta di… di tumore sotto l’ascella, e sullo stomaco. Bubbone, lo chiama il Monaco.” Quest’ultimo dettaglio, Steven se ne accorse, sembrò catturare l’attenzione del Dottore, i cui lineamenti si tesero.
“Ha detto così? Bubbone?” chiese il Signore del Tempo, e quando Scarpetta glielo ebbe confermato, aggiunse: “Bene, allora non mi meraviglia che i vostri medici non l’abbiano riconosciuta. Siamo cinquant’anni prima che…”
“Poche storie, Dottore!” tagliò corto Scarpetta, minaccioso. “Voi la sapete curare, questa malattia, o…”
“Certo che lo posso fare!” replicò il Dottore, alterato. “E sarà meglio per tutti che mi portiate da messer Alighieri al più presto, invece di litigare! E tu” disse il Dottore, sbuffando d’impazienza “potevi dirmelo che si trattava di peste bubbonica!”
“E come facevo a saperlo?” provò a difendersi Steven, ma il Dottore già non lo ascoltava più: afferrato Scarpetta per un braccio, lo stava trascinando verso l’abbazia a passo sostenuto. Steven, scuotendo la testa, si affrettò a seguirli – non prima di ringraziare mentalmente il TARDIS che, ne era sicuro, doveva essere intervenuto in qualche modo. Non fu nemmeno poi così tanto sorpreso quando gli sembrò di sentire la macchina articolare un Prego nella sua testa.

NOTE DI FINE CAPITOLO

- La prima epidemia di peste bubbonica documentata risale al 1347-50, quindi circa cinquant'anni dopo la nostra storia. E' quindi altamente improbabile che un medico l'avrebbe riconosciuta prima di allora. Il Monaco l'ha iniettata a Dante, per motivi che potete immaginare; nel prossimo capitolo verrà detto come mai la malattia non si riveli contagiosa.
- Alla fine di "The Romans", quarto serial della seconda stagione classica, il Primo Dottore effettivamente dà a Nerone l'idea di incendiare la città. L'incidente viene accennato anche nella seconda puntata della quarta stagione della serie nuova, quando Dieci dice a Donna: "Prima che tu me lo chieda, non c'entro niente con quell'incendio" (regola numero 1 di River Song?). La Terra liberata dai Dalek, invece, è la conseguenza del secondo serial della stessa stagione, "The Daleks Invasion of Earth".

Bene, direi che per il momento è tutto. Non mi resta che darvi appuntamento fra cinque giorni, al 20, per il prossimo capitolo. Alla prossima!
  
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