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Autore: shilyss    21/03/2018    7 recensioni
Ecco a voi una raccolta di shot legate alla fanfiction "Tutte le tue bugie." Nonostante alcuni riferimenti alla long fic, potete leggere i vari capitoli anche considerandoli come testi scollegati rispetto alla storia madre.
Dal capitolo 1: Se Loki fosse stato meno sarcastico, se nei suoi occhi chiari Odino avesse visto l’ombra di un sincero pentimento, le cose sarebbero potute andare diversamente. Ma Lingua d’Argento era stato sprezzante e tronfio e si era presentato ammantato di tutta la sua feroce eleganza di fronte al padre adottivo che non lo aveva chiamato figlio, ma prigioniero. Un altro imperdonabile errore dovuto non alla mancanza di discernimento di Odino, ma all’amara constatazione di come Loki, il suo brillante figlio, non fosse poi così acuto come pensava e sembrava.
Dal cap. 4: Solo che Loki era un furfante travestito da principe, un cantastorie come nemmeno nelle piazze più oscure della città se ne trovava uno uguale.
Non tutto è come appare, quando di mezzo c'è il dio dell'inganno in persona.
Capitoli 3-9: Barbare usanze;
Cap. 10 - Forse era scritto nel destino.
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Loki, Odino, Sigyn, Thor
Note: Lime, Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La tela degli inganni'
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Se solo riuscissi a pregare
 

La lama affondò nella carne con incredibile vigore e Loki rise per la precisione con cui il colpo era andato a segno. Thor gli rivolse un’occhiata laterale breve e fugace: conosceva suo fratello e non si aspettava da lui niente di meno che quella crudele violenza, ma non resistette al desiderio di farglielo notare.
“Sfoga le tue repressioni più rapidamente e su un numero maggiore di nemici,” suggerì caustico.
Il dio degli inganni estrasse con un gesto rapido del braccio il lungo pugnale. “Sono qui per farti un favore, fratello. Lo hai dimenticato?”
I capelli neri e scarmigliati contribuivano ad accentuare l’aria feroce dell’Ase assieme al ghigno perennemente obliquo, compiaciuto e tronfio che definiva le sue labbra ironiche e sottili e allo sguardo brillante. Tracce di polvere, terra e sangue non suo gli macchiavano uno zigomo violaceo e gli abiti scuri.

“Sei qui per fare un favore a te stesso. Da quant’era che non combattevi?” Loki sorrise scoprendo i bei denti bianchi perché suo fratello aveva ragione, non gli capitava di affondare gli stivali nel fango e tra i cadaveri dei suoi nemici da mesi e lui era un guerriero Asi: scontrarsi con avversari potenti era un piacere, un bisogno, qualcosa che lo faceva sentire vivo.
“Dietro di te,” gridò e si tolse rapido l’elmo cornuto per usarlo come arma impropria su uno degli uomini che si stava avventando contro di loro. Anche questa volta il colpo andò tragicamente a segno.

“Vedi?” notò Thor roteando il martello, “tu infierisci.”
“I miei non si rialzano,” puntualizzò il dio degli inganni.

Combattevano schiena contro schiena, replicando uno schema perfetto che avevano messo a punto un’infinità di volte, sfoggiando un affiatamento che avrebbe reso solamente più sconvolgente e assurda l’idea che un tempo i due guerrieri si fossero scontrati in una guerra quasi mortale. La forza bruta di Thor si mescolava ai fendenti rapidi ed efficaci di Loki, dando vita a una danza mortale che non risparmiava nessuno di quelli che si azzardavano ad avvicinarsi a loro. Il fatto era che si conoscevano da una vita intera e avevano condiviso ogni cosa per un periodo così lungo di tempo, da poter indovinare l’uno le mosse dell’altro prima ancora di vederle in atto.

Qualcuno aveva tremato, nei Nove Regni, quando era corsa la voce che le divergenze tra i due figli di Odino si erano momentaneamente appianate. Se quando erano ancora ragazzi scapestrati e fin troppo vivaci avevano sconvolto mondi con le loro bravate, ora che erano uomini fatti e finiti cosa sarebbe successo? Il dio degli inganni lanciò un incantesimo atroce congelando i suoi avversari per permettere al fratello di colpirli definitivamente con il Mjollnir in un tripudio di scintille, dolore e ghiaccio. Erano vere macchine da guerra, gli Asi, e in mezzo a loro Thor e Loki rappresentavano le punte di diamante. Il desiderio di Odino di vedere i suoi figli primeggiare sui campi di battaglia si era realizzato con assoluta precisione.

Il sole tramontò sul campo di battaglia sancendo una prima importante vittoria per i soldati di Asgard; si festeggiò con canti, balli e idromele versato a fiumi. Anche i due principi degli Asi brindarono alla buona sorte e risero e scherzarono, ma si ritirarono dopo poco in un’ampia tenda allestita a quartier generale. Somigliava, nell’aspetto, a quelle dove Odino vestito con la sua armatura scintillante pianificava attacchi e sortite. Loki osservava con aria severa la mappa spiegata della zona. Piccoli punti indicavano dove erano stanziate le truppe avversarie rispetto alle loro, e tutta la sua figura agile e nervosa era protesa verso il tavolo. Le dita di mago ancora portavano i segni degli scontri recenti.
“Aggirandoli non è detto che li sorprenderemo.” Fissò Thor negli occhi. La penombra della tenda gli restituì un’immagine del dio del tuono più solenne di quanto non fosse realmente.

“Oggi abbiamo vinto,” notò il primo figlio di Odino.
“Non è un buon motivo per cullarci dietro a questo risultato.” Il dio degli inganni girò attorno al tavolo ingombro di mappe, con la fronte aggrottata e le mani incrociate dietro la schiena. L’istinto del cacciatore che albergava dentro di lui gli diceva che stavano sottovalutando qualcosa, un dettaglio importante che forse una buona dormita e del riposo gli avrebbero reso più facile afferrare, ma che ora, dopo ore passate a combattere sul campo di battaglia, era più difficile individuare. Il rumore flebile della tenda che si sollevava attirò immediatamente l’attenzione di entrambi i comandanti su un messaggero incerto e dall’aria agitata.

“Un messaggio per Sua Altezza. Da Vanheim,” disse porgendo a Loki un foglio spiegazzato. L’ingannatore lo congedò con un cenno distratto del capo e ruppe il sigillo. Non era una lettera di Sigyn. Lei usava una carta di colore diverso e quando leggeva le sue righe l’Ase piegava involontariamente un angolo della bocca in un mezzo sorriso. Il mittente era differente e la notizia non certo buona. Thor vide suo fratello scorrere più volte con gli occhi sulle frasi vergate con cura e notò come avesse serrato la mascella affilata.

“Che è successo?”
Una pausa. Loki accartocciò il foglio, lo tenne stretto nel palmo. “È iniziato il travaglio,” spiegò con una voce innaturalmente incolore.
“Non è presto? Non doveva finire il tempo tra un paio di settimane? Voi due siete degli sprovveduti,” lo redarguì Thor. “Non sapete quando lo avete concepito, non sapete quando nascerà. Avevate dubbi persino su come è potuto accadere,” ricordò esasperato.
La risposta del dio degli inganni tardò ad arrivare perché gli sembrò che la lingua altrimenti svelta si fosse incollata improvvisamente al suo palato. Deglutì, non riuscendo nemmeno a offendersi per le frasi del fratello che trovò nella loro rudezza consolanti. “Non ci siamo sbagliati sul tempo. Sta nascendo prima e basta.”

Il Re degli Asi non si perse d’animo. “Vai. Heimdall, apri il Bifrost!” gridò. Il portale si aprì immediatamente in un fascio di luce biancastra, lasciando a terra un reticolo di rune potenti, antiche.

“Siamo nel mezzo di una battaglia,” Loki non era così indifferente alla notizia da non voler andare, tutt’altro, ma lasciare il fronte in quel momento era rischioso. Vincere una battaglia non significava affatto uscire trionfanti da una guerra, e per quanto lui e il dio del tuono fossero tornati a essere l’imbattibile squadra di un tempo, la rigida educazione di guerriero degli Asi lo frenava. E poi c’era il resto, quello che non aveva detto a suo fratello e che aveva intuito nella frase spiccia e accorata di Freya.

“Cos’è questo attacco di improvvisa responsabilità? Non me ne faccio niente di te, se stai con la testa altrove!” Il tono di Thor era severo, perentorio, inflessibile. Parlava con la stessa assertività di Padre Tutto per non avendone ereditato la malizia retorica. Il suo tono era quello di un Re e di un fratello maggiore. “Vai a Vanheim, bacia tua moglie e tuo figlio e torna qui. Non vinceremo né domani né dopodomani!”

Il dio degli inganni annuì e si lanciò nel portale scintillante e luminoso. Non appena fu sparito all’interno della colonna di luce, Thor chiamò di nuovo Heimdall. “Che cazzo gli hanno detto?” Sentita la risposta, si passò una mano sulla fronte. “Fottute Norne,” sospirò.
 
***
 
Fottute Norne. A Vanheim pioveva perché l’estate era finita e, sebbene ormai fosse quasi l’alba, il cielo continuava ad essere gonfio di pioggia, tetro, nero. Loki aveva le nocche sanguinanti ed escoriate e sedeva sull’unica poltrona non ancora distrutta dal seidr. La sua figura altrimenti altera e fiera era protesa in avanti senza tentare di mascherare l’ansia che l’attesa straziante gli provocava. Teneva gli avambracci posati sulle gambe e gli occhi fissi sulla porta chiusa a chiave di fronte a lui e con la suola degli stivali ancora inzaccherati di fango, tamburellava nervosamente il pavimento di legno.

Avrebbe potuto invocare Skuld e pregarla di risparmiarle, ma scoprì di non avere voce per quella richiesta. Cosa avrebbe detto alla bambina terribile che fila il destino degli dei e degli uomini e, implacabile, decide il loro futuro? Per quale stramaledetta ragione lui doveva essere così fortunato ed essere risparmiato da una sorte infausta? Era Loki di Asgard, il dio degli inganni, e una profezia antica, la Voluspa, diceva che un giorno avrebbe svegliato Surtur e distrutto il mondo così com’era e lui lo sapeva e così Thor, Odino, Frigga persino.

Sua madre, con una voce cantilenante e dolce che raramente ricordava, gli aveva detto per consolarlo che le veggenti spesso non sono in grado di scorgere con estrema chiarezza quello che hanno filato le Norne impietose, e che rivelando i loro sogni spesso fanno avverare la premonizione. Conoscere il futuro non era altro che una maledizione ingiusta, ma a rendere tutta la questione decisamente più crudele, era l’interpretazione che occorreva dare alle parole ambigue delle veggenti. Cosa significava, gli aveva suggerito la brillante Frigga accarezzandogli i capelli scuri, che voleva dire distruggere il mondo?
“Che non sarò un buon Re o non sarò affatto un Re. I miei antenati sono ricordati per le loro imprese eroiche e brindano nel Valhalla, mentre io…”

La voce di Loki, non ancora mutata, si era incrinata di fronte alla spaventosa tragedia che le parole di una vecchia pazza avevano mostrato. La sua fervida immaginazione di ragazzino era corsa a disegnare gli infiniti e disperati scenari possibili in cui un se stesso diverso, adulto e pieno di altezzoso sdegno, condannava Asgard a bruciare nel fuoco di Muspellheim. Ma che ne sarebbe stato di Thor, in tutto questo? Avrebbe impugnato lui il Mjollnir, la spettacolare reliquia degli Asi? Assieme a suo fratello si erano sempre raccontati un futuro diverso, luminoso, brillante, in cui avrebbero vendicato una volta di più i morti che li guardavano dal Valhalla affrontando e sconfiggendo Laufey e i suoi Jotunn dallo sguardo di fuoco, come aveva fatto Padre Tutto. Solo che ora il futuro era diverso e aveva i colori e i toni di un universo al contrario, dove lui e Thor non erano alleati.

“Il fuoco non distrugge solamente, Loki. Purifica. Permette la rinascita. Non guardare ogni cosa dal lato sbagliato,” lo ammonì con dolcezza. Il giovanissimo Ase dovette fare uno sforzo tremendo per cacciare indietro le lacrime e il magone che già gli stringevano la gola. La Regina degli Asi forse se ne accorse, perché continuò a tranquillizzarlo parlandogli del Caos che lui governava come di qualcosa di non necessariamente infausto. Era il mutamento, piuttosto, il disordine che dava vita al genio e poneva le basi per l’ordine, la giustizia, le regole. Tutti elementi di fondamentale importanza che ogni tanto dovevano mutare e rinnovarsi per permettere il cambiamento.

“Ma io porto il Caos e non posso beneficiare dell’Ordine.  Ci hai sempre detto che non può esserci luce senza che ci sia anche l’ombra, che non esiste la felicità se non c’è stata prima la tristezza, ma in questo perfetto equilibrio io sono il Caos e non posso fuggire dalla mia natura.” Queste parole non gliele disse mai con la voce che ancora tratteneva in sé le tracce dell’infanzia, ma con quella sardonica dell’età adulta, resa leggermente più roca dall’umidità dei sotterranei dove lo aveva rinchiuso Odino. Camminando avanti e indietro entro i pochi metri quadrati della cella, le aveva gettato contro quella verità scomoda che solo chi, come lui, era un maestro nel mentire, sapeva riconoscere come inutilmente cruda.

Il Caos è una promessa di libertà, è l’ebrezza che si prova prima di un lancio di dadi, la disperazione di un campo di battaglia e la furia cieca che fa roteare più rapidamente le spade e le mazze dei soldati. Spaventoso e magnifico allo stesso tempo, vive anche nel disordine dei capelli biondi di Sigyn al mattino e nella serie di spasmi voluttuosi e nervosi che la colgono quando fa l’amore con lui. Per questo non poteva pregare le Norne sorde e spietate, perché Loki conosceva le regole del gioco e le apprezzava. Contestarle ora che ne aveva bisogno sarebbe stato vile. Avrebbe potuto minacciarle, però. Estorcere loro la promessa che sarebbero sopravvissute a quella notte, far cessare le grida che gli laceravano i nervi e fare sì che quell’attesa tremenda finisse, finalmente.

Sospirando si passò una mano tra i capelli scuri. Aveva distrutto la stanza in un impeto d’ira, spaccandosi le nocche contro la porta chiusa di fronte a lui, giurando sull’Yggdrasill che avrebbe punito con la morte qualsiasi errore o mancanza perché non poteva rimanere ad ascoltare le grida di dolore di Sigyn senza poter fare niente. Soffriva, e con lei la bambina e lui era lì, seduto su una poltrona, inutilmente vicino e disperatamente lontano.

Niente era mai stato davvero impossibile, per Loki di Asgard: c’era sempre un modo per manipolare a proprio piacimento gli eventi e far accadere ciò che desiderava: impedire a Thor di essere Re non era stato facile, ma senz’altro si era rivelato divertente, anche se il prezzo da pagare era stato altissimo. Tornare nei Nove Regni aveva avuto il suo prezzo e non sarebbe stato privo di ripercussioni – ma questo Loki non poteva ancora saperlo. Persino accarezzare il trono di Asgard, sedervi e governare anche se sotto mentite spoglie, per quanto assurdo e folle potesse sembrare, aveva trovato un posto nelle personali gesta di Loki Laufeyson. Ma salvare sua moglie e sua figlia no, non poteva farlo.

Se Njord non gli avesse concesso la mano di sua nipote, Loki non si sarebbe arreso né perso d’animo, anzi. Il rifiuto avrebbe inorgoglito il suo petto e lo avrebbe spinto a fare ogni cosa lecita e illecita, pur di avere Sigyn. Radere al suolo Vanheim e gettare sopra le sue rovine il sale, assaltare la nave che l’avrebbe portata al Tempio, mettere contro i Vanir i restanti Otto Regni, erano stati tutti piani che l’Ase aveva valutato e calcolato nella sua testa e avrebbe realizzato senz’altro, se gli fosse servito. Eppure, nonostante tutto, piegare un re e distruggere un regno intero era più fattibile che salvare una giovane donna al suo primo parto.

Il dio degli inganni contrasse la mascella affilata. Non era una giovane donna, quella: era Sigyn, la sua Sigyn. Desiderio vago, amante proibita poi perduta e ritrovata, infine moglie. Quando lui non c’era rovistava nel suo armadio e si infilava una sua tunica sulla pelle nuda, per addormentarsi con il suo odore addosso e a lui poi toccava svegliarla e spogliarla o addormentarsi accanto a lei conscio del fatto che, verso l’alba, si sarebbe destata quel tanto che bastava per cercarlo con una mano e assicurarsi che fosse tornato e rimanesse lì, accanto a lei. Le rimproverava di impiegare troppo tempo a prepararsi e la prendeva in giro perché la loro stanza da bagno era invasa da boccette di oli, creme, unguenti e cosmetici; lei, da parte sua, riteneva insopportabile che lui dovesse poggiare i lunghi pugnali sul comodino prima di addormentarsi – lo trovava inquietante, diceva, ma passavano le serate a ridere e a baciarsi e lui accettava di buon grado che lo viziasse massaggiandogli sui muscoli contratti e stanchi i suoi intrugli Vanir, perché adorava essere adorato.
Oltre la porta Sigyn gridava e Loki rabbrividendo rivide la sua fronte imperlata di sudore e i capelli sciolti, sentì nuovamente la stretta disperata della sua mano affranta. Una porta laterale si aprì, un paio di pesanti stivali si avvicinarono, ma l’Ase non alzò il capo verso il nuovo venuto. Non ce n’era bisogno: aveva riconosciuto il passo deciso del dio del tuono, avvertito senz’altro da Heimdall della gravità della situazione.

“Non vinceremo né domani né dopodomani né mai, se nessuno comanda l’esercito,” fu il suo solo commento.

Thor osservò la stanza distrutta, le mani insanguinate del fratello e gli si sedette di fianco. “Asgard vinceva le sue guerre prima di me e te,” rispose stappando il fiasco di idromele e porgendoglielo. Il dio degli inganni storse le labbra sottili in una smorfia e rifiutò con un cenno della testa l’alcool.
“All’epoca aveva Odino, Vili, Bor.”

La secca battuta non scalfì affatto il giovane re degli Asi. Gli passò una pezza umida imbevuta d’acqua e bevve un lungo sorso di alcool contenuto nel fiasco prima di offrirglielo nuovamente.
“Bevi, piaga. Bevi e datti una pulita. Fai davvero schifo, li spaventerai.” Il suo era stato un tono, allo stesso tempo, severo e bonario, detto con voce profonda e accompagnato da una sonora pacca sulla spalla che per poco non sbilanciò Loki.

“Le.”
“Cosa?”
“Le. È femmina,” confessò l’ingannatore.
“Da quanto lo sapevi?” si risentì l’altro. “L’unica volta che quella tua boccaccia malefica doveva parlare, te ne sei stato zitto.”

In una circostanza diversa, l’affermazione del dio del tuono avrebbe senz’altro scatenato una mezza tragedia. Lingua d’Argento si sarebbe infuriato e lo avrebbe zittito con qualcuna delle sue battute sardoniche e affilate, perché non avrebbe dovuto dare alcuna spiegazione su quello che decideva di condividere o meno della sua vita privata. Invece si limitò ad annuire senza nemmeno guardarlo, e così i due Asi rimasero in silenzio nella stanza distrutta per un tempo che parve interminabile a entrambi. Erano abituati ai mutismi reciproci: avevano vissuto insieme per anni, decenni, e si conoscevano loro malgrado in una maniera profonda e inevitabile. Lentamente e senza dare nessuna importanza al gesto, Loki iniziò togliersi il sangue che gli macchiava il dorso delle mani e le nocche spellate, concentrando tutta l’attenzione di questo mondo sul fazzoletto che stringeva e sulla sua pelle ora pulita.

La severa gravità del profilo dell’ingannatore aveva qualcosa di antico e familiare. A Thor ricordò Padre Tutto che non era più quando si alzava dal suo trono d’oro durante le cerimonie solenni e parlava agli Asi del Valhalla. Suo fratello teneva serrate le labbra nello stesso identico modo, imitando senza accorgersene movenze e gesti e sguardi. Persino il modo in cui arricciava le labbra quando era sovrappensiero, assomigliava a quello del genitore con cui non si era mai compreso.
“E adesso bevi o ti infilo di peso dentro una botte e ti ci affogo, nell’idromele.”

Thor sapeva essere insistente e petulante e, idiota com’era, avrebbe potuto tranquillamente rendere reali le sue minacce perché era un uomo senza fantasia e quando pensava qualcosa era inevitabile che la mettesse in atto. Così Loki afferrò con una maledizione il fiasco e bevve un lungo sorso di quello che credeva fosse idromele.

“È grappa di Jotunheim” disse fiero il Re degli Asi osservandolo tossire e sputare, “e sarebbe capace di stordire un drago.”

“Non ne dubito,” fu la sarcastica risposta. Non aveva bisogno di chiedergli perché fosse lì, anche se disapprovava il motivo per cui lo aveva fatto. Thor aveva sempre avuto nei suoi confronti l’indulgente comprensione dei fratelli maggiori, e certo Heimdall doveva averlo avvertito che Sigyn e la bambina rischiavano la vita. Forse era colpa sua: se fosse rimasto con lei, se il desiderio di sfoderare le armi e combattere contro un avversario tenace non gli avesse avvelenato lo spirito, avrebbe potuto fare qualcosa per aiutarla. Sarebbe stato accanto a lei nel momento in cui si era accorta che qualcosa non andava e una macchia rossa le aveva imbrattato il vestito. Invece non c’era: mentre sua moglie impallidiva dal terrore, lui godeva nell’ammazzare i suoi avversari per il gusto becero di far vedere loro quanto erano forti e invincibili gli Asi in generale, lui in particolare. Non lo avrebbe ammesso mai con lei, ovviamente, e nemmeno con Thor perché Sigyn non lo avrebbe mai incolpato ad alta voce per la crudeltà del loro destino e il fratello, dal canto suo, lo avrebbe capito troppo a fondo perché anche lui era intriso di orgoglio e non avrebbe rinunciato per nulla al mondo a combattere. Il giudice più severo, come sempre, aveva occhi verdi e un sorriso obliquo e lo guardava da dietro uno specchio, pronto a rivelargli tutte le incongruità e le bassezze della sua esistenza.

Sai perché non puoi pregare le Norne di risparmiare tua moglie e tua figlia, Loki? Perché non puoi pretendere la pietà, se non l’hai mai elargita. Thor sì, lui potrebbe nella sua infinita grandezza, ma tu non ne hai il diritto, e lo sai.

Per raggiungere i tuoi scopi non ti sei fatto scrupoli di nessun genere, per inseguire una vendetta che credevi giusta hai seminato distruzione e morte nei Nove Regni, e non solo. Hai agito valutando con spiccia grazia pro e contro, senza farti scalfire da dubbi morali e incongruenze, schiacciando sotto la suola dei tuoi stivali qualsiasi interesse che non fosse il tuo. Anche quando hai deciso che volevi lei non era per amore che l’hai corteggiata, ma per vendetta, sfida, interesse. Poi l’hai desiderata davvero, i lacci del tuo stesso piano ti hanno avvolto nelle loro maglie e ti hanno inevitabilmente incastrato, ma tu lo sai che l’hai baciata con le peggiori intenzioni. E adesso Loki Laufeyson, figlio di un gigante che ti ha abbandonato come una cosa rotta e di un uomo che ti ha mentito per tutta la vita, pretendi che le Norne non ti restituiscano ciò che hai seminato. Se ti fossi pentito per le tue azioni, forse potresti pregarle di non tagliare il filo troppo breve di Sigyn e della creatura che sta cercando di dare alla luce, ma tu non provi pentimento. Rifaresti ogni cosa nella stessa identica maniera, anzi. Correggeresti il tiro degli errori che hai compiuto affinché i tuoi piani possano, stavolta, essere ancora più efficaci.


Sigyn gli aveva chiesto di non andare. Si era accarezzata la pancia tonda e lo aveva guardato da sotto le ciglia nere con un fremito di agitazione. “Davvero è indispensabile la tua presenza?”
“Hai sposato un guerriero Asi, Sigyn. Cosa dovrei fare, rimanere qui a guardare gli altri che combattono per me, al posto mio? E poi magari ringraziarli per averci salvato?” Ogni parola gli era uscita dalla gola intrisa di un feroce orgoglio guerresco e con una decisione tale, che lei aveva capito immediatamente di non avere frecce al suo arco capaci di frenare il suo desiderio di andarsene. Si era allontanata offesa rannicchiandosi nel letto senza cercarlo. Quella dell’Ase era stata una bordata carica di un doppio senso velenoso e intrisa di una gelosia che, in un altro momento, l’avrebbe assolutamente divertita, ma non quella sera. C’era una critica velata a Theoric, nelle parole di Loki, che risentiva probabilmente del periodo di tempo non abbastanza breve in cui lei era stata la sua fidanzata. Nonostante il dio degli inganni fosse riuscito a strappargliela via e avesse affrontato a viso aperto le conseguenze delle sue azioni, gli era rimasto addosso il disprezzo per quell’uomo che non aveva avuto il coraggio di combattere contro di lui e si era fatto difendere da un campione. Forse, in un passato ancora troppo recente, Loki aveva dovuto nascondere il fastidio che gli provocava il solo vederli insieme sotto una coltre di imperturbabilità e disinteresse che ora finalmente poteva lacerare.

Si erano sposati in fretta, quando la figura sottile di Sigyn non suggeriva ancora che fosse incinta, sebbene si trattasse di una cosa nota a tutti, e Loki aveva ancora addosso i segni del combattimento cui si era cimentato per lei, come se sapessero entrambi, in qualche angolo recondito delle loro teste, che il tempo a loro disposizione avrebbe potuto essere scarso e volessero godere il più possibile l’uno della compagnia dell’altra.

Le nozze rapide e riparatrici non avevano avuto solo un’ovvia connotazione romantica; erano state una scelta precisa e deliberata del sagace ingannatore per non consentire a Njord o altri nobili Vanir inopportuni ripensamenti, e sancire definitivamente che chi toccava Sigyn, comunque rea di aver avuto una relazione al di fuori del matrimonio, colpiva Loki di Asgard e gli Asi ufficialmente.
Sposare il figlio di Odino aveva avuto il suo prezzo, ovviamente, un costo che la giovane donna stava iniziando a valutare e a comprendere giorno dopo giorno e che l’avrebbe portata, se avesse avuto un futuro, ad essere qualcosa di più che una semplice moglie o una compagna: sarebbe diventata la sua consorte, colei che per scelta avrebbe condiviso gioie e dolori, fortune e sventure, malattie e salute. Il requisito indispensabile per ottenere la devozione dello scostante Ase era quello di accettarne la natura volubile, pur non approvando molte delle sue azioni passate, presenti e future.

Sigyn sapeva chi era Loki e cosa aveva fatto, ma intuiva anche ciò di cui aveva bisogno. Soffocando le lacrime sulla federa candida del cuscino, ricordò quello che si era ripetuta allo specchio lisciandosi le pieghe del suo elegante ed etereo abito di sposa: non ci si può legare a un feroce e astuto guerriero signore del caos e dell’inganno e pretendere che, una volta stretto il vincolo nuziale, cambi improvvisamente il suo carattere e si trasformi in qualcos’altro. La giovane Vanir sapeva che Loki provava qualcosa per lei e che gli era cara, ma capiva allo stesso tempo che stare con lui avrebbe voluto dire inghiottire lontananze e convivere con scelte folli e feroci.
Non c’erano gare di forza o equilibri da difendere, ma l’ovvia considerazione che non si può chiedere a un guerriero di smettere di essere tale, neanche per amore, non nella vita reale almeno. Si era svegliata quando il dio degli inganni aveva lasciato il letto per andarsi ad allenare e, per una volta, non si era riaddormentata in attesa che lui all’alba tornasse per spazzolare via la ricca colazione che gli spettava. Lo aveva aspettato nella sala da pranzo invece, e lui nel coglierla lì aveva aggrottato con fare guardingo la fronte. Aveva ancora i capelli umidi per il bagno finito da pochi minuti e la casacca verde slacciata lasciava intravedere la muscolatura asciutta, tonica e perfetta, ancora tesa a causa degli sforzi compiuti poco prima.

Sigyn era arrossita di fronte alla sfacciata arroganza con cui sfoggiava il suo corpo agile e scolpito. Erano stati amanti appassionati, prima di diventare marito e moglie, e un brivido la colse nel vedere la virile perfezione della striscia degli addominali e il petto ampio e ben sviluppato oltre la casacca aperta. Era suo eppure non lo era; si addormentava abbracciandolo, respirando il suo odore, affondando il naso nel suo collo, o con una guancia poggiata su una delle sue forti spalle, gli si stringeva contro, eppure Loki non le apparteneva completamente, nonostante il legame che li univa. Lo avrebbe amato per sempre perché il desiderio nasce nell’assenza, si alimenta con lo sguardo, viene amplificato dalla lontananza, e si chiese come tutte le volte che questa consapevolezza l’attanagliava, come sarebbe riuscita a resistere alla disperazione il giorno in cui lui se ne sarebbe andato e lei non avrebbe avuto la forza di trattenerlo.

 Si versò del latte caldo in una tazza, sbocconcellò un biscotto sotto lo sguardo attento dell’Ase.
“Ho fatto entrare in casa un lupo. Ora non posso pretendere che si comporti come una lepre o un gattino.”
Il dio dell’inganno la squadrò da capo a piedi, soffermandosi sulla camicia da notte candida, sulla pancia rotonda che lei accarezzava distrattamente, sulla vestaglia di lana che la proteggeva dal freddo mattutino.
“Non c’era bisogno che ti alzassi così presto per dirmelo,” commentò sedendosi. “Ti piacciono i lupi?” ghignò, fingendo di ignorare il riferimento.
Un sospiro. “Sono animali bellissimi e pericolosi,” concesse, “anche se a volte fanno i loro bisogni sul tappeto.”

L’Ase buttò il capo all’indietro e rise, compiaciuto per quel paragone lusinghiero e la battuta salace. “Sono stato così indisponente? Ti sei così tanto infuriata?”

 Una parte di Sigyn quel mattino pregò le Norne che, di fronte al suo cedimento, lui scegliesse comunque di restare, rendendosi conto che aveva bisogno di lui e della sua presenza. Ma queste prove si risolvono positivamente solamente nei poemi d’amore e nei libri in cui la giovane donna affondava il naso. Nella realtà, lei aprì la porta di casa e il suo bel lupo dal manto nero, pur amandola per la libertà che gli stava riconoscendo, scappò via per andare incontro al suo destino. Baciò lei, si chinò per posare le labbra sottili e quasi sempre beffarde sulla pancia rotonda sempre più vicina al parto e andò a combattere, perché questo facevano gli Asi, erano gli Asi: guerrieri abili e potenti che anelavano sopra ogni cosa dimostrare la loro forza e Loki, sebbene usasse il seidr e facesse sfoggio delle molte arti con cui irretiva il suo prossimo, era e rimaneva a dispetto di tutto un figlio di Asgard fino alla punta dei capelli.

Questo era successo: la dolcezza racchiusa nel bacio con cui l’aveva salutata, l’orgoglioso affetto che era trapelato dalla carezza e dalle attenzioni al figlio ancora non nato, non rinnegavano il resto né potevano essere indice di un reale cambiamento della sua natura. Le ombre di Loki Laufeyson non si sarebbero diradate perché al suo fianco c’era Sigyn, ma avrebbero assunto, nel tempo, un peso più sopportabile. Tenere a lei e al figlio che avrebbero avuto – alla figlia, anzi, non voleva dire che le mire e le astuzie tipiche del sagace ingannatore si sarebbero annacquate in un brodo di buone intenzioni e sentimenti positivi. Lingua d’Argento aveva una natura volubile, orgogliosa, egoista, ma era sempre stato capace di sentimenti ed emozioni sconvolgenti. La freddezza di certe sue scelte passate, la cupa determinazione con cui aveva messo a segno tanti progetti di discutibile morale, non erano che una parte del suo spirito. Aveva odiato Odino e Thor e Asgard tutta tanto da arrivare a combatterli con ogni fibra del suo essere e con tutta l’abilità di cui era stato capace, ma il contrario dell’amore è l’indifferenza e in questo basilare concetto era racchiuso il motivo per cui anche l’irrisolto rapporto con il padre adottivo era un’ombra scura nel petto dell’Ase.
Così Loki aveva seguito Thor nonostante Sigyn gli avesse chiesto di restare, e il prezzo per quella scelta necessaria e azzardata era che ora doveva solo aspettare una notizia qualunque proveniente dalla porta sbarrata davanti a lui. Il forte sapore della grappa gli aveva allappato ancora di più la bocca.
 

La mano di Thor si posò sulla sua spalla chiudendosi in una stretta ferrea e dolorosa, ma consolante.
“Andrà tutto bene.”

Le labbra dell’Ase si piegarono in una smorfia nervosa, un sorriso beffardo e disperato insieme.
“Dall’alto di cosa giungi a questa conclusione?” Loki non desiderava parlare, eppure non poté fare a meno di insistere, ribattere, spiegare, perché non aveva un piano né una via di fuga sottomano. Era solo contro un destino che le sue conoscenze e abilità, per quanto riconosciute da tutti, non gli consentivano di mutare né migliorare. E allora a che serviva essere un maestro nell’uso del seidr e poter indovinare i pensieri della gente solo guardandoli con più attenzione, se poi era come tutti in balia degli eventi? Nell’attesa straziante parlò in fretta e con voce rapida.

Disse che Sigyn e la bambina stavano soffrendo ed erano in grave pericolo e raccontò come fosse riuscito a vedere sua moglie, appena arrivato a Vanheim. Le aveva preso una mano tra le sue, le aveva accarezzato i bei capelli biondi umidi e appiccicati al viso e le aveva promesso che tutto sarebbe andato bene, mentendole ovviamente. Non aveva idea, come non la potevano avere i guaritori e le levatrici che la assistevano, di come sarebbe andata a finire quell’infinita giornata. Lei gli aveva domandato se la guerra fosse definitivamente finita e anche lì Loki aveva mentito, confermando una vittoria che ancora non c’era stata. Poi lo avevano mandato via perché non si può pensare di far nulla sotto gli occhi vigili, giudicanti e vendicativi del dio dell’inganno che ti fissa con odio.

Gli avevano consigliato di andare a casa e di levarsi di dosso il fango, la polvere e gli altri segni della battaglia: Loki aveva spaccato il naso all’incauto suggeritore e aveva distrutto la stanza in un impeto d’ira. Non esisteva, una casa. C’era l’elegante dimora in cui avevano deciso di trasferirsi poco dopo le nozze per essere signori e padroni delle loro stanze: un palazzo non eccessivamente grande e con una vista incantevole, dove gli oggetti di Sigyn erano ovunque, persino negli spazi che avrebbero dovuto essere i suoi: uno scialle di lana rosa era senz’altro stato abbandonato sopra il suo mantello bordato di pelo, i poemi d’amore e le poesie avevano trovato posto accanto alle cronache storiche e ai libri di magia, nello studio troneggiava la poltrona sontuosa che lei gli aveva regalato, nell’anticamera si era impuntata per scegliere il colore delle tende: ogni cosa, in quelle stanza, raccontava di lei e delle abitudini che avevano instaurato nella manciata di mesi in cui avevano vissuto insieme. Non tornò per non dover vedere la stanzetta allestita per la nascitura che aveva definito come inutilmente leziosa, per non incappare, mentre cercava dell’idromele con cui stordirsi, nelle sue tisane alle erbe.

Ma questo non lo disse a Thor: si fermò prima, a lui che prendeva a calci mobili e sedie per sfogare la tensione accumulata ascoltando per dieci minuti le farneticazioni di quell’incapace di guaritore e alla levatrice rimbambita e non fracassare la loro testa. Finalmente la porta si aprì lasciando passare un’aiutante giovane e pallida, visibilmente spaventata. Loki la squadrò con palese dispetto, e quella balbettò in fretta che doveva entrare perché era necessario far nascere la bambina in quel momento e il parto non sarebbe avvenuto in maniera naturale. Non c’era altra scelta, spiegò.
Thor trattenne il respiro, Loki invece si alzò con naturalezza e seguì la giovane donna fin nella sala adiacente a quella dove era Sigyn: ascoltò le parole del guaritore con una tranquillità esasperante, annuendo distrattamente alle spiegazioni tecniche che ovviamente capiva, ma che non gli impedivano di pensare alla lunga sequela di difficoltà che aveva circondato quella storia. Lei era rimasta incinta e la sua gravidanza era stata scoperta nel peggiore dei modi e quasi era stata condannata a morte per aver disonorato i Vanir tutti, lui l’aveva salvata trattando e combattendo. La voce di Sigyn oltrepassava i muri – le sue urla, anzi. Ecco quanto costa, sposare il dio degli inganni.
“Non siamo in grado di garantire a Vostra Altezza che andrà tutto per il meglio,” esitò il guaritore, “è una situazione delicata e vostra moglie è giovane, ma noi faremo tutto quello che possiamo.”

“Lo farete, sì.” Loki Laufeyson non lo disse con un tono di voce severo o cupo, ma con una sicurezza spiazzante, come se fosse assolutamente certo che il gruppo di levatrici e guaritori davvero si sarebbe adoperato per il meglio affinché sua moglie e sua figlia sopravvivessero. Aveva ragione: non gli servivano le minacce per far capire all’uomo quanto feroce sarebbe stata la sua vendetta se. Per un istante troppo lungo, pensò che avrebbe fatto meglio a scalzare Njord quando poteva farlo senza posare mai i suoi occhi sulla figura snella e sottile di Sigyn: il potere sarebbe stato nelle sue mani e quella sensazione di sgomento non gli avrebbe scalfito il cuore, perché è sempre pericoloso circondarsi di punti deboli e Sigyn era diventato il suo, nonostante tutto. Entrò nella stanza per rincuorarla, salutarla, accomiatarsi da lei per un tempo che sarebbe stato dolorosamente breve o lungo fino alla fine dei tempi, regalandole la sua capacità di mutare il destino, sconvolgere le carte, deformare il presente. Lei gli prese la mano e gli disse che lo amava e che qualsiasi cosa fosse successa o avrebbero deciso le Norne, il suo primo pensiero doveva essere rivolto alla bambina di cui non avevano ancora deciso il nome e di cui conoscevano il sesso grazie al seidr dell’Ase e alle capacità divinatorie di un’anziana Vanir parente di Sigyn. Loki rise e scosse la testa e prese in giro la gravità delle sue frasi e con il tono più rilassato e sicuro del mondo, le promise sorridendo quello che nessuno avrebbe potuto garantirle, forse neanche le stesse Norne: una vita piena, lunga, felice; altri figli oltre a quella che sarebbe nata quel giorno.

“Aprirai gli occhi e la vedrai, te la ritroverai tra le braccia” le assicurò accarezzandole i capelli mentre l’addormentavano per procedere all’operazione, “e rideremo di queste tue frasi esagerate.”

Poi, mentre lei perdeva lentamente conoscenza e gli teneva ancora la mano, le ricordò quella sera disastrosa in cui, per colpa di un contrattempo, si erano ritrovati soli in casa e senza cuoca e l’Ase, preoccupato dalle scarsissime doti culinarie della neo-sposa, le aveva dimostrato come un vero guerriero di Asgard sapeva fare praticamente tutto, anche mettere su una cena commestibile: le aveva raccontato una serie di aneddoti buffi della sua giovinezza con Thor, spiegandole finalmente il senso di “Chiamate aiuto,” quella battuta che il dio del tuono ripeteva spesso, e si erano ritrovati sdraiati davanti al camino con degli spiedini improvvisati a ridere fino alle lacrime.
Sigyn chiuse gli occhi e il dio degli inganni, osservando critico i sensi che finalmente l’abbandonavano, si chiese se l’avesse convinta e fosse riuscito davvero a renderle più lieve quel sonno indotto. Non riuscì a trattenere oltre la maschera, né volle. Lanciò ai guaritori attorno a lui un’occhiata colma di gelida ira e se ne andò dalla stanza. Era il giusto compenso delle Norne per le sue azioni di cui non si sarebbe mai pentito, ma di cui riconosceva la gravità.
 

Passò troppo tempo e non fu solo Thor a pensarlo. Certamente il medesimo ragionamento si conficcò nella testa di Loki, che provava a celare lo strazio di quell’attesa battendo con inesorabile lentezza la suola dello stivale sul pavimento di marmo. Ad Asgard sarebbe stato di legno, e tra gli Asi forse lei avrebbe avuto meno difficoltà. Il recipiente che conteneva la grappa era stato interamente scolato, ma l’unico risultato evidente era stata l’ondata di caldo che aveva costretto Loki a levarsi il mantello e a slacciare il primo fermo della casacca e il dio del tuono a fare altrettanto.

“Non vuol dire che non stia andando bene,” si azzardò a ipotizzare il giovane re.
Loki si inumidì le labbra sottili e sarcastiche. “Dicono che io sia uno dei maestri di magia più potenti dell’Universo intero.”
“E anche un rompipalle di prima categoria,” gli fece eco il fratello.
L’ingannatore poggiò la schiena sulla poltrona. “Non c’è incantesimo che non mi riesca, né runa che non abbia studiato. Ho convinto popoli a trattare per la pace, altri a muoversi per la guerra. Mi basta sfiorare qualcuno per leggere i suoi pensieri e manipolarne le mente. Dicono che la mia voce sia incantata perché convinco, tratto, inganno. Imperi interi sono caduti sotto i miei attacchi, e persino Midgard ha beneficiato dei miei interventi, in passato. Ho stretto tra le mani il Tesseract e le Gemme…”

“Tutte belle cose,” commentò Thor. “Aggiungi che sei modesto, ti prego.”

“Sono un principe di Asgard, un grande guerriero,” lo ignorò Loki proseguendo, “ma queste mie abilità, conoscenze, capacità, intuizioni e poteri non mi servono assolutamente a niente, adesso. Non posso fare altro che aspettare inerte che quella porta si apra e dicano che non c’è stato niente da fare. Ecco il mio retaggio, fratello: il caos, la distruzione, la morte. Aveva ragione nostro padre e tu non avresti dovuto liberarmi.”

“Loki, non dipende da te. È il caso, sono le Norne.”
“Le Norne,” ripeté il dio dell’inganno, “sono tre esseri invidiosi che si divertono a tessere trame e destini per poi disfarli senza dar loro un senso.”

“Le Norne non hanno previsto per te un destino nefasto, ma hanno filato che ti prenderò a pugni se non la pianti!” si esasperò Thor.

La porta si aprì prima che il dio degli inganni potesse continuare a dare la sua versione cinica e disincantata dell’esistenza. Una delle donne che assistevano la levatrice aprì la porta concitata, e non fece in tempo a parlare che i due Asi erano balzati in piedi, in attesa. “Stanno bene,” disse in fretta, “stanno bene tutte e due.”

Loki Laufeyson non fece in tempo a rilassare la muscolatura tesa e contratta. Nel giro di pochi secondi entrò un’altra levatrice che gli affidò complimentandosi un fagotto avvolto in una copertina di lino e in una, più spessa, di lana, e l’Ase si rese immediatamente conto che quella cosina leggera e minuscola non sapeva neanche tenerla in braccio. L’aveva sentita scalciare decine di volte e si era messo in testa che sarebbe nata e avrebbe avuto il suo nome dal momento in cui Freya gli aveva detto che Sigyn era incinta, ma fu solo in quel momento, quando la vide per la prima volta, che capì di aver avuto una figlia. Il fragile esserino lo guardava da sotto le palpebre con quei suoi occhi dal colore indefinito che si sarebbero rivelati grigi come quelli della madre, e sulla testa spiccava un ciuffo nero. Aveva emesso un gemito quando dalla guaritrice era passata tra le sue braccia, un piccolo segno di protesta che già indicava come l’esserino avesse una sua personalità e una serie di bisogni che andavano soddisfatti e ascoltati. Gli afferrò un dito, e Loki Laufeyson si meravigliò di quanto minuscole e perfette fossero le manine e morbide le sue guance. Pensò che fosse bellissima. Il contrasto di quella giornata assurda si manifestò nella sua mente come un pensiero rapido ed evanescente, ma non per questo meno vero: all’alba era Loki di Asgard, il guerriero Asi astuto come nessuno e ora era quello di prima e qualcosa di diverso. Aveva rischiato di perderla, di non sapere mai come sarebbe stato il suo viso e invece ora era lì, tra le sue braccia, piccolissima e tenera e indifesa. Quella cosina avvolta nella lana e nel lino era loro: era l’imprevisto che aveva sconvolto la sua vita costringendolo a variare in maniera inesorabile la sua vita sregolata in cui piani e alleanze valevano il tempo di un effimero beneficio.

Aveva accarezzato l’idea di sottrarre un trono a un vecchio bilioso e malato e si era ritrovato a chiamare casa la terra dei Vanir. Non avrebbe smesso di essere ciò che era, il guerriero degli Asi abile nel padroneggiare il seidr come nessuno, ma la sua mente perennemente alla ricerca di uno scopo o di un vantaggio avrebbe mantenuto invariabilmente uno spazio per quella creatura che teneva tra le braccia.

“Sonje,” le disse, “tu sei Sonje Lokadottir,” e pronunciò la frase nel dialetto stretto degli Asi, perché voleva che le prime parole che si scambiavano in questo mondo fossero nella lingua che aveva imparato per prima, e lei rispose con un vocalizzo indefinito come se approvasse il nome scelto e amasse già la sua voce. Sarebbero diventate vere entrambe le cose: Sonje avrebbe sempre esibito con fierezza il suo nome Asi e nei momenti di infantile disperazione si sarebbe addormentata solo ascoltando le ninne nanne o le storie di Loki.
 “Non ti assomiglia per niente, fratello. Lei è davvero bella,” decise Thor. Poi i due grandi guerrieri si resero conto di non avere la più pallida idea di come gestire una neonata che piangeva, e tutte le abilità apprese in anni di studi e combattimenti e guerre e viaggi si rivelarono nulle.

 
***
 
“Sonje, Sonje” mormorò Sigyn sistemandosi la camicia da notte e cullando dolcemente la neonata, “quello che vedi lì mezzo svenuto è tuo padre. Non sa ancora cambiarti né prenderti in braccio, ma imparerà, è un uomo pieno di risorse” affermò decisa. “Ora noi non piangeremo e lui forse riposerà ancora mezz’ora,” promise.

Stravaccato sulla poltrona e con le gambe poggiate sul letto, gli stivali gettati a terra ma la bandoliera ancora addosso, Loki Laufeyson dormiva con la testa leggermente inclinata sulla spalliera e le labbra schiuse. Si era seduto circa un’ora prima, dopo aver osservato con circospetta attenzione i gesti fluidi con cui le levatrici e Sigyn stessa si occupavano della bambina. Poi era crollato, sfinito per l’attesa, il tormento, la battaglia e la pianificazione della stessa, tutti eventi che lo avevano visto attore protagonista. La donna si soffermò sul profilo affilato e deciso, la fronte alta con i capelli nerissimi tenuti all’indietro, la figura agile e asciutta che pure nel sonno manteneva un’innata eleganza fiera e poi guardò i teneri lineamenti della bimba che teneva in braccio, riconoscendo nel broncio che entrambi avevano mentre dormivano il segno inequivocabile del loro legame.
 
Fine
 
 
Carissimo Lettore, eccoci alla fine del secondo capitolo di questa raccolta di shot. Se la storia ti è piaciuta e ti ha suscitato qualcosa – qualsiasi cosa – prendi il coraggio a due mani e lasciami una riga, una frase, un presente, lanciami una ciabatta, che ne so. I feedback aumentano la creatività e fanno sorridere gli Autori! Non credo servano note specifiche a questo capitolo: le Norne sono 3 nella mitologia norrena (Urd, Verdandi e Skuld), la Voluspa è la profezia che annuncia il Ragnarok (la fine degli dei) e Sonje è una mia invenzione. Occhio che settimana prossima farete conoscenza di Vili Borson, al secolo il fratello del caro Odino.
Un grazie di cuore a quanti di voi hanno inserito la storia tra le preferite/ricordate/seguite.
S.
   
 
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