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Autore: Enchalott    21/03/2018    6 recensioni
Vegeta la fissò, socchiudendo gli occhi, quasi ammirato dalla sua testardaggine, che tuttavia aveva superato la misura concessa. Lei era incosciente tanto quanto lui, ma non aveva le sue stesse doti fisiche, gli stessi incredibili poteri nel ki. Perché, allora? Perché non era terrorizzata?
“Detesto ripetermi” le disse, spostandosi lentamente nella sua direzione. La guardò come se fosse una sfortunata preda.
Lei seguì il movimento con una certa apprensione, ma rispose con altrettanta sufficienza: “Credi che abbia paura di te?”
“No” ammise lui. Le indirizzò un sorriso freddo: “Ma ne avrai”.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Prima notte

L’astronave diede uno scossone, che fece perdere loro l’equilibrio. Vegeta si resse alla parete e lei al suo corpo solido. Si guardarono, col respiro ancora accelerato, come per accertarsi che fosse successo nella realtà e non in un sogno. Gli occhi di Bulma luccicarono nei suoi con l’effetto di una deflagrazione. Lui arrossì violentemente e si staccò dall’abbraccio, senza una parola, girandole la schiena. Afferrò la maglietta che aveva appoggiato su una delle poltroncine, quando aveva iniziato l’allenamento e se la rinfilò, provocandosi un’altra fitta all’addome, che gli restituì la contezza di sé. Le tempie gli pulsavano spasmodicamente e i battiti cardiaci non accennavano a rallentare. Piantò le mani sulla console dei comandi e diresse alle stelle, che sfilavano veloci nell’oblò difronte, uno sguardo rabbioso e terribilmente perso.
La ragazza lo lasciò fare, intuendo la sua tempesta interiore. Non che lei fosse in una condizione viscerale tanto differente: le era solo più congenito accettare il bacio che si erano scambiati, in quanto veicolo di sentimenti veri, estremi e profondi. Lui, invece, non era abituato a mostrare nulla di sé, se non la gelida imperturbabilità nella normalità o la ferocia incontenibile in combattimento. Figurarsi un atto così umano.
“Andiamo a casa” gli disse, dopo un silenzio interminabile.
La parola casa gli fece socchiudere leggermente le palpebre, ma non si mosse né verso di lei né verso gli strumenti di bordo.
Bulma gli si avvicinò, spezzando l’atmosfera tesa e surreale: “Vegeta!”
“Stai lontana da me…” mormorò lui in un brontolio sordo, come quello di una belva che si prepara alla difesa, a caccia di un inutile riparo dall’incontrollabile perdita della padronanza di sé. Non gli era mai accaduto.
“Allora spostati!” ribatté lei spazientita “Se non lo fai tu, ci penso io a riportare questo aggeggio sulla Terra! Non so neanche dove stiamo andando!”.
Il principe incrociò le braccia sul petto, facendosi lievemente da parte, ma non indietreggiò. Lei si sedette al comando e controllò la rotta; lui la osservò, mentre richiamava velocemente i dati che le servivano. Geniale e piena di risorse.
“Pianeta Isuyo? E dove sarebbe?” domandò la ragazza più a se stessa che a lui “Due giorni di navigazione a partire da ora… Ma cosa ti è venuto in mente?”
Vegeta le scoccò uno sguardo adirato, ma non si sprecò a rispondere.
Bulma reimpostò le coordinate per il terzo pianeta del Sistema Solare e le inviò al computer di bordo. La capsula non virò di un centimetro.
“Ma che…” borbottò lei ripetendo l’operazione da capo.
Stesso risultato. Al terzo tentativo, iniziò a preoccuparsi. Riprovò ancora. Niente.
“Si può sapere cos’hai combinato con i comandi, Vegeta?”
Il principe, che aveva seguito le manovre con crescente irrequietezza, si avvicinò al monitor, uscendo finalmente dal suo mutismo.
“Donna, se non sei in grado di rientrare a casa tua, non dare la colpa a me! Portavo astronavi quando tu giocavi ancora con le bambole!”
“Ehi!” brontolò Bulma risentita “Io ne ho fatta partire una quando avevo cinque anni! Dopo averla riparata! Perciò se ti dico che questo dannato sistema non funziona, puoi fidarti!”.
Vegeta la guardò con una certa meraviglia, sollevando un sopracciglio. Le si affiancò ai comandi, e reimpostò a sua volta la rotta del ritorno, con lo stesso fastidioso esito.
Chi! Stupida tecnologia terrestre!” ringhiò “Non vale niente!”
“Qui non è la scienza terrestre! È il cervello saiyan che non funziona!” strillò lei di rimando. “Se tu non avessi avuto l’acutissima iniziativa di portarmi quassù per non si sa bene cosa, non ci troveremmo in questa situazione!”
“Il mio cervello funziona perfettamente!” rispose lui con lo stesso tono irato, perché sapeva benissimo cosa l’aveva spinto a decollare con lei, ma non tollerava la domanda implicita “Passa ai comandi manuali, anziché parlare a vanvera!”
“Oh, già fatto, altezza reale!” rimandò lei sarcastica “Non ci spostiamo di un millimetro!”.
Si alzò e fece forza sul timone a leva, che rimase imperterrito nella stessa posizione.
“Cos… altezza reale?!” ripeté lui sbigottito da tanta impertinenza. “Prova a rivolgerti a me ancora in questo modo e…”
Altro scossone. Vegeta si aggrappò al sedile e rimase impassibile. Bulma si afferrò a lui, nascondendogli il viso contro la spalla. La mano di lui si posò sulla sua schiena a trattenerla.
“V-Vegeta…”
“Non è l’astronave” spiegò lui con calma “E’ la conformazione di questa zona dello spazio. Non serve agitarsi”.
Lei lo fissò con sincero riguardo, mentre i loro volti quasi si sfioravano e il sapore del bacio di poco prima tornava a farsi strada nei loro sensi. Gli occhi allungati e profondi del principe erano privi di incertezze. Non aveva paura. Forse non ne aveva mai avuta in vita sua.
“Ehi, donna” disse, sospendendo quel gioco di sguardi “Il comunicatore funziona?”
“Sì, perché?”
“Avvisa tuo padre. Le capsule di questo tipo solitamente hanno un sistema per essere richiamate dalla base, in caso di bisogno. Quando noi Saiyan tornavamo dalle missioni troppo malconci per navigare e il pilota automatico aveva dei problemi, ci facevano rientrare con una sorta di trazione a distanza”.
“Sarebbe fantastico” commentò lei.
Si mise in contatto con la Capsule Corporation e, dopo un paio di tentativi, il dottor Brief rispose, comparendo sullo schermo.
“Bulma, tesoro, ma dove sei?” le chiese con una certa apprensione. “Per caso sull’astronave che è decollata dal nostro giardino?”
“Sì, papà. Vegeta aveva nostalgia dello spazio!” aggiunse con un pizzico di sarcasmo.
Il principe brontolò qualcosa nella sua lingua.
“Capisco… Ma suppongo siate nei guai, invece! Quel veicolo non è stato testato completamente. Dal momento che Vegeta lo sta usando solo come palestra, gran parte delle funzioni di navigazione non è stata programmata! Non pensavo volesse salpare!”
“Cosa!?” esclamò lei in fibrillazione.
Il principe intervenne, chiedendo allo scienziato se fosse possibile richiamare via computer l’apparecchio dalla Terra, come aveva pensato.
“Mi dispiace” rispose lui “Non ho installato nulla del genere. Non è un’astronave da guerra”.
Vegeta incrociò le braccia e iniziò a meditare, tentando di ricordare i particolari della procedura di avvio che aveva eseguito quasi automaticamente. C’era qualcosa che gli era sfuggito, dato che, in quel frangente, era distratto da ben altro.
“Non riusciamo a tornare indietro!” esclamò la ragazza “Ci dovrà pur essere qualche sistema! L’unica cosa chiara è che siamo diretti verso il pianeta Isuyo!”
“Ohibò” commentò il vecchio “Perché non l’avete detto subito?” domandò, aggiustandosi gli occhiali “E’ uno dei luoghi inseriti nel menu dei test di navigazione”.
Il principe si illuminò: “Stai dicendo che il velivolo è programmato per raggiungere una meta di default, atterrare e tornare indietro automaticamente, anche senza passeggeri a bordo?”
Bulma lo guardò sgranando gli occhi. Sveglio, oltre che affascinante.
“Sì” rispose il dottor Brief “Se avete inserito il pilota automatico, è proprio il comando che avete fornito al computer. Raggiungerà il pianeta e poi rientrerà sulla Terra. Dovrete aspettare poco più di tre giorni e poi sarete a casa”.
“Ah, perfetto!” sbottò lei esasperata, lanciando al compagno di viaggio un’occhiata di rimprovero, ma anche di divertita ripicca “Sai dirmi almeno se è un posto con un’atmosfera, dell’ossigeno e una gravità decente?”.
“Ma certo, cara. Tutti i pianeti che ho scelto come eventuali test di prova presentano condizioni simili a quelle del nostro” affermò il padre, come se la cosa fosse matematica, provocandole un moto di stizza.
“Toccheremo terra e torneremo subito, comunque”.
“Uhm, vi converrà fermarvi per fare rifornimento” suggerì lo scienziato.
“Perché?” sbottò Vegeta spazientito.
“L’astronave non è equipaggiata con viveri o acqua per un viaggio. Ho lasciato qualcosa in dispensa, ma non vi basterà per i prossimi tre giorni. Dovrete fare scorta”.
Chi!”
“Ooh…” sospirò Bulma, pensando all’appetito formidabile dei Saiyan e a come diventavano noiosi quando erano a digiuno. “C’è altro?” chiese rassegnata.
“Beh, ragazzo” fece lui rivolgendosi al principe “Abbi cura di mia figlia e pensaci tu a farla ragionare, se serve”.
“Papà!!”
Vegeta serrò le braccia e sogghignò.
 
“La cena è pronta, tesoro!” trillò Bulma allegra.
Hah…” assentì il principe sovrappensiero, con la guancia appoggiata alla mano e l’aria tediata dal paesaggio monotono. Poi si ravvivò, rabbuiandosi, nel cogliere la tonalità satirica della terrestre: “Tesoro!?! Come osi prendermi in giro?”.
Sul tavolo facevano bella mostra un paio di scatole di biscotti, tre bottiglie d’acqua, una di un superalcolico non ben identificato e del caffè solubile.
“Lo so che mia madre ed io ti abbiamo viziato in questi mesi, ma questo è ciò che passa il convento oggi”.
“Viziato?” ripeté lui seccato. “Quando combattevo per Frieza, ero abituato a digiunare anche per giorni! Sopravvivo benissimo!”
“Ah, ecco perché eri così sciupato, quando sei arrivato…” commentò lei.
Vegeta la fissò, pensando a come si fosse occupata di lui, trasparente, per non farglielo pesare, salvo i rimbrotti, piuttosto frequenti, in merito ai suoi allenamenti estremi. La seguì con lo sguardo, mentre divideva le gallette e scaldava l’acqua per il caffè, il vestito bianco che frusciava ad ogni movimento. Forse, per atterrirla davvero, avrebbe dovuto toglierle anche quello. No. Sarebbe stato umiliante e basta. Lei non lo meritava. Poi, non sarebbe servito. Aveva avuto cura di sbattergli in faccia il motivo per cui, secondo lei, non aveva creduto neanche per un momento che lui l’avrebbe presa con la forza. Non si era sbagliata.
“Abbiamo un altro problema” disse Bulma porgendogli il piatto.
“Non mi dire…” sospirò lui.
“Abbiamo un solo letto”.
Vegeta quasi si strozzò con il biscotto che stava masticando. Lo buttò giù con un sorso di caffè e tornò a respirare.
“Lo risolveremo facendo i turni” rispose aleatorio “Nappa e Radiz si alternavano sempre”.
“Scordatelo!” esclamò lei perentoria “Io non sono un guerriero Saiyan e qui non siamo in fase d’attacco! Non c’è bisogno di fare la sentinella, abbiamo il pilota automatico più tenace dell’universo. Voglio dormire, ho bisogno di riposo, non posso mica farmi venire le rughe anzitempo!”
“Non ho intenzione di passare l’intera nottata su una poltroncina per farti un favore!” ribatté il principe irato.
“Non te l’ho chiesto! Guarda quella ferita! Continua a sanguinare! Hai bisogno di stare disteso e di sonno ristoratore. Se ti fai passare l’atteggiamento scontroso, il letto è abbastanza grande per entrambi e io non ho problemi a dividerlo con te”.
“Come?”
Vegeta la puntò come se fosse impazzita. Proporre al principe guerriero, che aveva quasi distrutto la Terra, di coricarsi con lei, senza fare una piega… Anzi, più che al sangue regale, stava pur sempre parlando a un uomo! O stava sottintendendo vagamente che non lo considerava tale? A quel pensiero, si infuriò parecchio.
“A tuo rischio!” le rispose sprezzante “Tu non hai mai spartito il letto con un Saiyan!”
“Ti sbagli” ribatté lei con un sorrisetto “L’ho fatto con Goku”.
Vegeta spalancò gli occhi: per fortuna, in quel momento non stava mangiando nulla o sarebbe stato soffocamento certo. La fronte iniziò a pulsargli come quando era veramente fuori di sé dalla rabbia.
“C-cos’hai… fatto tu?” balbettò, pensando, anzi, sperando di aver frainteso.
Lei lo fissò un istante, sbattendo le palpebre, stupita dalla sua reazione estrema, anche se era stata volutamente e maliziosamente ambigua per rispondergli a tono.
“Cosa vai a pensare!” strillò arrossendo “Son-kun era poco più che un bambino! Mi si è infilato tra le coperte senza permesso, perché era abituato così con il nonno adottivo e ha russato tutta la notte!”
Il principe la osservò con aria dubbiosa, prima di sputare fuori un: “Ane yatsoo…” che non era difficile interpretare come un’offesa rivolta all’odiato rivale.
“Ora che ci penso, però…” aggiunse Bulma, rimembrando la situazione incredibilmente imbarazzante, creata da Goku “Quella di togliere senza scopo i vestiti alle ragazze deve essere una caratteristica saiyan…”.
Rimarcò bene le parole per dispetto, dato che lui era sempre così odiosamente altezzoso.
Vegeta scattò in piedi, colpendo la tavola a mani aperte, nuovamente furioso. Fu da lei in due falcate e la sollevò senza complimenti, trasportandola sul letto. La sbatté giù, incombendole sopra a pochi centimetri. La ragazza lo guardò, trattenendo il respiro.
“E dimmi, donna...” mormorò “Kakarott ti ha dato anche il bacio della buonanotte?”.
“Beh... no di certo”.
Gli occhi neri del principe erano su di lei, terrificanti e ipnotici, feroci e tristi, profondi e scintillanti. Annullò la breve distanza e la baciò, più intensamente della prima volta, con una passione sfrenata che, scoprì, faticava sempre di più a controllare. Le sfiorò il collo con le labbra e Bulma sentì il calore salirle al viso, gli affondò le mani nei capelli, abbandonandosi a quel contatto repentino e inatteso.
Lui si allontanò, se lo impose brutalmente, puntellandosi con le braccia, senza staccarle lo sguardo di dosso, con il petto che si alzava e si abbassava più rapidamente del normale.
“Io non sono Kakarott” disse con un sogghigno.
Si sdraiò dall’altra parte del letto, dandole le spalle e fece di tutto per addormentarsi. Il sonno non giunse immediato. Una reazione fisica così forte non l’aveva mai avuta in vita sua.
Bulma si tirò addosso la coperta, con i pensieri in fiamme.
   
 
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