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Autore: Ginevra1988    21/03/2018    6 recensioni
All'alba del tre maggio Harry, Ginny e gli altri reduci della Seconda Guerra Magica si ritrovano a fare i conti con... il ritorno alla normalità. Le ferite sono fresche, gli incubi li perseguiteranno ancora per anni e poco sembra essere come prima, ma la voglia di ricominciare è tanta. A passi lenti e incerti dovranno trovare la loro strada verso un futuro nel quale non potevano nemmeno sperare fino a qualche giorno prima.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: George Weasley, Ginny Weasley, Harry Potter, Hermione Granger, Ron Weasley | Coppie: Harry/Ginny, Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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Fu quella sera che scoprii che quasi tutte le creature che consideriamo malvagie o cattive,
sono semplicemente sole.
E magari mancano un po' di buone maniere.
 
Big Fish – Tim Burton
 
 
 
31 ottobre 1998 – Godric’s Hollow
 
 
 
La settimana precedente
 
18 ottobre 1998 – Campo da Quidditch di Hogwarts
 
   Demelza sfogava l’agitazione parlando come un fiume in piena, snocciolando consigli non richiesti a McDonald, che aveva la faccia di chi stava per rigettare la cena della sera precedente, poi ad Abercrombie per passare infine a Julliet, che però aveva abbastanza carattere da mandarla a stendere senza troppi problemi. Ginny non si fece contagiare dal clima teso, ma si impose di vestirsi con calma, un gesto dopo l’altro: i pantaloni, la maglia spessa, la veste rosso e oro, gli stivali e i parastinchi. Stava per appuntarsi la spilla da Capitano sul petto, quando un verso gutturale di Demelza la fermò.
   “Cosa fai?” la rimproverò l’amica con le braccia minacciosamente incrociate sul petto. “Sai che quello è compito mio!”
   Ginny alzò gli occhi al cielo: sospettava fortemente che quella non fosse una tradizione, non aveva mai visto nessun vice appuntare la spilla al Capitano; la lasciò comunque fare, visto che sembrava essere importante per lei.
   “Ragazzi, ci siamo” disse Ginny battendo le mani; tutta la squadra si alzò in piedi, chi sistemandosi un guanto, chi terminando di allacciarsi la veste. “Abbiamo lavorato sodo fino ad oggi, sono orgogliosa di ognuno di voi e so che darete il meglio in campo. Rimanete concentrati e non fatevi distrarre dai Serpeverde.”
   Guardò volutamente Dean, che sostenne il suo sguardo per qualche momento prima di annuire con un sorriso.
   “Bene, si va in scena, forza!”
   Aspettò che tutti i componenti della squadra sfilassero davanti a lei verso l’uscita con la scusa di infilarsi i guanti; Dean era l’ultimo della piccola fila e Ginny si accodò a lui. Erano già sulla soglia quando il ragazzo si fermò e sfiorò con una mano il braccio di lei, che alzò lo sguardo dai guanti con aria interrogativa.
   “Ginny, io…” balbettò guardandola negli occhi. “Sei bellissima” esalò. Ginny si sentì improvvisamente molto a disagio; piazzò una mano al centro della schiena di Dean e diede una bella spinta, prima che lui potesse vedere le sue guance avvampare.
   “Muoviti, Thomas, abbiamo una partita da vincere.”
   Il ragazzo parve recepire il messaggio al volo e corse verso i suoi compagni, già al centro del campo insieme a Madama Bumb e a parte della squadra dei Serpeverde, mentre Ginny se la prese con una certa calma, godendosi lo spettacolo degli spalti già stracarichi di studenti. Sulla curva alla sua destra vide Luna con il suo ridicolo cappello a forma di testa di leone e non potè fare a meno di ridere; Hermione era accanto a lei con l’aria finalmente rilassata, mentre Astoria non c’era: forse avrebbe rischiato il linciaggio in qualunque parte dello stadio si fosse seduta, vista la sua attuale precaria posizione.
   “Ehi, Weasley!”
   Ginny si voltò verso gli spalti di sinistra, per vedere chi la stesse chiamando: Daphne Greengrass aveva alzato un braccio e muoveva giusto la punta delle dita, un ghigno che non prometteva nulla di buono stampato sulla faccia. Di fianco a lei Pansy Parkinson e una ragazzina bionda – forse la stessa nel cui piatto aveva sputato Brocklehurst la prima mattina – avevano la medesima espressione malevola.
   “Ho preparato un pensiero per te, per augurarti buona fortuna!” cinguettò Daphne.
   “Stupida gallina.”
   Ginny strinse il suo manico di scopa e non si preoccupò di abbassare la voce, mentre voltava le spalle alla Greengrass e alla sua dannata combriccola di Serpeverde.
   “Prima che cominci la partita” la viscida voce di Daphne risuonò nello stadio amplificata magicamente, attirando l’attenzione di tutti gli studenti sulle gradinate. “Vorrei leggervi una bella letterina, scritta davvero con il cuore, indirizzata al Capitano della squadra avversaria.”
   Ginny respirò a fondo e si costrinse a non voltarsi, ripetendosi le sue stesse parole: non lasciarti distrarre dai Serpeverde. Stanno solo cercando di provocarti, sii superiore. Proseguì a passo di marcia verso il resto della propria squadra.
   Daphne si schiarì la voce e cominciò a declamare:
   “Gin!”
   Ginny si bloccò in mezzo al campo sentendo quel nome. Nessuno la chiamava così. Nessuno, tranne…
   “Qualche giorno fa ci hanno comunicato che dal trentuno ottobre al due novembre andremo in ritiro a Godric’s Hollow.”
   La ragazza capì immediatamente che il suo sospetto era reale; si voltò di scatto ma finì dritta contro un muro d’aria. Pansy Parkinson teneva la bacchetta alzata, mantenendo attivo il proprio Sortilegio Scudo.
   “Godric’s Hollow, capisci? Proprio il trentuno. Io non posso andarci, Gin. Non ce la faccio.”
   Daphne continuava a leggere la lettera di Harry con un tono volutamente acuto e smielato.
   “Taci!” gridò Ginny prima di riuscire a pensare, scatenando le risate delle tre Serpeverde.
   “Fa troppo male, Gin, non posso andarci. Non senza di te” proseguì la Greengrass scimmiottando un pianto disperato. Ginny non ci vide più: salì sulla propria scopa, scalciò e prese quota, ignorando le urla di Madama Bumb che la diffidava dall’alzarsi in volo.
   Ad una certa altezza questo maledetto Sortilegio Scudo deve pur finire!
   Ginny vide la Parkinson alzare la propria bacchetta per ripetere l’Incantesimo, ma lei fu più veloce e la Disarmò con precisione. Scese in picchiata dritta sulla scalinata dove era seduta Daphne, che cercò di alzarsi in piedi. Ma era troppo tardi: Ginny le era già piombata addosso e le aveva strappato la lettera di Harry dalle mani. Accecata dalla rabbia, caricò il braccio destro e sferrò un pugno dritto sul naso della Greengrass, che urlò a pieni polmoni mentre il sangue si riversava a fiotti su quel bel faccino e sulla divisa immacolata.
 
   “La peggior rissa nel campo da Quidditch di Hogwarts da… da…” la McGranitt era talmente infuriata da non riuscire a trovare le parole adatte, mentre camminava rabbiosamente avanti ed indietro lungo la camerata dell’infermeria. “Da sempre!”
   Ginny si premeva una garza imbevuta di Dittamo sul labbro sanguinante, chiusa in un silenzio tetro; seduti sui letti di fianco, i membri del resto della squadra non sembravano in condizioni migliori: Dean, un ghigno che trasmetteva tutt’altro che pentimento, si teneva una bistecca su un occhio, Demelza e Peaks si reggevano un braccio fasciato, mentre la piccola Julliet aspettava che Madama Chips venisse a sistemarle un paio di denti rotti. Dopo che Ginny aveva tirato il primo pugno alla Greengrass, gli altri Grifondoro si erano lanciati nella mischia a sostenere il proprio Capitano. Inutile aggiungere che la partita era stata sospesa ancor prima di iniziare e Grifondoro aveva perso a tavolino, con una penalità che sarebbe rimasta negli annali.
   “Da te proprio non me lo aspettavo, signorina Weasley! E da nessuno di voi altri!” sbraitò la Preside indicando ognuno di loro. “Avete idea di quanti punti dovrò togliere a Grifondoro per questa… bravata?”
   “Bravata?!” Ginny scattò in piedi. “Professoressa, che cosa avrei dovuto fare? Quelle…” evitò di dire la parola che aveva sulla punta della lingua, le sarebbe costato almeno altri venti punti. “… ragazze hanno rubato la mia corrispondenza personale e hanno sbattuto in piazza…”
   Non riuscì a terminare la frase, ma si limitò ad agitare la mano nel vuoto, impotente. La McGranitt dilatò le narici e strinse le labbra, le mani piantate sui fianchi; sospirò a fondo poi riprese a parlare con più calma.
   “La signorina Greengrass e le sue compagne hanno commesso un fatto grave, davvero grave, e state tutti certi che non la passeranno liscia. Sarà mia premura far desistere ognuna di loro dal farsi venire idee del genere in futuro.”
   E se la McGranitt faceva una promessa del genere, c’era da star certi che l’avrebbe mantenuta.
   “Tuttavia, non c’è nulla che vi dia il diritto di mettere le mani addosso a chi che sia! Siete tutti in punizione, a tempo indeterminato. Presentatevi alla professoressa Caporal, deciderà lei quale sarà il trattamento più idoneo a un branco di adolescenti maneschi.” Fece una piccola pausa, poi aggiunse: “Thomas, tu aspettami nel mio studio. Ti raggiungerò lì con la professoressa Caporal.”
   La Preside congedò la squadra di Quidditch con un gesto brusco della mano; Julliet trotterellò verso l’ufficio di Madama Chips, mentre gli altri presero la via dell’uscita strascicando i piedi. Dean rimase per qualche momento impietrito al centro dell’infermeria, finché Abercrombe gli passò accanto e gli diede una pacca sulla spalla, incoraggiandolo ad uscire con il resto dei loro compagni. Demelza lanciò un ultimo sguardo a Ginny, come per chiederle se fosse davvero certa di fare quello che stava per fare; Ginny annuì e Demelza si voltò verso la porta.
   “Professoressa?”
   Estrasse dalla tasca della divisa la lettera di Harry, strappata in diversi punti e completamente stroppicciata.
   “Cosa c’è ancora, signorina Weasley?”
   “Ho… ho bisogno di un permesso per uscire dalla scuola.”
   La McGranitt alzò le sopracciglia così tanto che scomparvero sotto il cappello a punta.
   “Cosa ti fa credere che io ti accorderò una cosa simile?”
   “Il fatto che lei voglia bene a Harry.”
 
 
 
 
31 ottobre 1998
 
 
Hogwarts
 
   Quando Hermione e Ginny entrarono nell’Ufficio della Preside ad aspettarle c’erano solo Ernie Macmillan e Neville, che teneva tra le braccia quella che sembrava una piccola serra cilindrica dal vetro opaco; parlavano piano tra di loro, come se temessero di svegliare i ritratti dei Presidi che sonnecchiavano nelle loro cornici.
   “Non sono ancora arrivati i Prefetti?” chiese Hermione ad Ernie, saltando i convenevoli a pié pari; il ragazzo scosse la testa e lei sbuffò. “Li ho dovuto minacciare di turni pessimi fino a Natale perché cedessero.”
   “Come si può dar loro torto?” disse bonariamente Ernie. “E’ il primo fine settimana a Hogsmeade e li constringiamo a rientrare prima, certo, per un motivo importante, ma…”
   “E’ solo una cerimonia pomposa” sentenziò Ginny, le braccia strettamente incrociate.
   “E’ un anniversario importante” ribadì Ernie gonfiando il petto. “Ed è un onore per tutti noi essere stati scelti per far parte della delegazione di Hogwarts che vi parteciperà.”
   “Come no.”
   Una ragazza dai ricci rossastri stava facendo il suo ingresso nello Studio con l’espressione contrariata; Ginny non la conosceva, ma il distintivo appuntato sulla divisa la identificava come un Prefetto di Serpeverde.
   “Piantala, Phedra” disse bruscamente Micah Brocklehurst, Prefetto di Corvonero, emergendo dalla scala a chiocciola a poca distanza da lei. “Non sei l’unica a cui è saltato un impegno romantico oggi.”
   Phedra si fermò in mezzo alla stanza e osservò il piccolo gruppo davanti a lei con attenzione, come se stesse cercando di analizzare i ragazzi uno per uno; le sue narici si allargarono di poco prima che lei riprendesse a parlare.
   “Come mai così tanti Grifondoro? Cos’è, una festicciola privata?”
   “No, signorina Fawley” a rispondere fu la professoressa McGranitt, entrando nell’Ufficio da una porta laterale. “Lena Shacklebolt ci ha chiesto una delegazione che rappresentasse tutte le Case di Hogwarts e così è: i due Caposcuola per Tassorosso e Grifondoro, un Prefetto di Corvonero e uno di Serpeverde.”
   La Preside si allacciò il mantello da viaggio sotto al collo e sistemò ombrello e borsa su un braccio, ma Phedra non aveva intenzione di chiudere lì il discorso.
   “Paciock?” chiese con il peggior tono di voce che riuscì a trovare.
   “Il professor Paciock” sottolineò la McGranitt guardando la studentessa dritta negli occhi. “Rimarrà a Hogwarts, è solo venuto a salutare i suoi amici.”
   “E la Weasley?” rincarò la ragazza; Ginny sentì bollire lo stomaco di irritazione, ma leggeva perfettamente in faccia alla McGranitt la tensione che precedeva l’assegnazione di una punizione – insomma, era solo questione di tempo. Phedra non doveva aver colto i segnali di pericolo, perché continuò imperterrita la sua catilinaria: “Lei non è un Prefetto, né tanto meno un insegnante, questo è un bel favoritismo verso Grifondoro! Non credo che il professor Lumacorno ne sarà contento.”
   La McGranitt fece qualche passo verso Phedra e reclinò la testa leggermente verso destra, come se quella conversazione stesse prendendo una piega particolarmente interessante.
   “Non è un favoritismo verso Grifondoro, signorina Fawley, è un favoritismo verso il ragazzo che ha salvato il mondo magico e che in una sera come questa vorebbe avere di fianco una persona importante. Se questo ti dà in qualche modo fastidio, potrai certamente parlarne con il Direttore della tua Casa, sono sicura che saprà come farti riflettere sui tuoi sentimenti. Almeno per una settimana, direi. Signor Macmillan per favore al nostro ritorno ricordami di mandare una lettera al professor Lumacorno in merito.”
   La Preside voltò le spalle a Phedra e si diresse verso il camino, dove il fuoco scoppiettava già da un po’; prese una manciata di Polvere Volante e si rivolse a Hermione.
   “Signorina Granger controlla che tutti partano senza altre discussioni e raggiungici per ultima.”
   La professoressa scambiò un cenno di intesa con Hermione, poi avanzò tra le fiamme divenute verde smeraldo e disse con voce chiara:
   “Il rubino nella spada!”
   Quella era la piccola ma unica locanda di maghi di Godric’s Hollow in cui soggiornavano le Reclute Auror. Il nome richiamava ovviamente Godric Grifondoro e la sua spada, come del resto tutto in quel paese, dalla Farmacia al negozio di vesti; e quello che non era intitolato al fondatore era intitolato ai Potter.
   Ginny trasse un profondo respiro mentre osservava Hermione berciare contro Phedra e convincerla ad entrare nel camino; un giorno, Ginny ne era sicura, la sua amica sarebbe stata a capo di un qualche ufficio e davvero non invidiava i suoi futuri sottoposti.
   Con la coda dell’occhio vide Neville avvicinarsi e si voltò verso di lui, facendo del suo meglio per sorridere; il ragazzo le allungò quella specie di serra che teneva in mano e lei lo guardò perplesso.
   “Per Harry” disse Neville semplicemente. “Sono gigli, li ho incantati… insomma, ho trovato un Incantesimo carino che li farà sopravvivere praticamente a qualsiasi clima.” Si interruppe un attimo, cercando di capire se Ginny avesse colto il senso di quel gesto, e proseguì: “Sai, per i genitori di Harry. Banale?”
   Ginny prese tra le braccia il regalo del ragazzo e scosse la testa, non sapeva davvero come rispondere.
   “Grazie” disse alla serra. “Sono sicura che lo apprezzerà.”
   Si voltò verso il camino e si accorse di essere l’ultima; sorrise ancora una volta a Neville e si affrettò a raggiungere Hermione.
 
 
 
Godric’s Hollow, Il rubino nella spada
 
   La piccola stanza era ricoperta di legno dal pavimento al soffitto ed era illuminata solo dal camino collegato alla Metropolvere; Minerva avanzò con cautela oltre le fiamme verdi sul tappetto consunto e dal colore indefinibile, togliendosi un po’ di fuliggine dal braccio sinistro con un gesto automatico. A dispetto di quanto la sua espressione dura probabilmente trasmetteva, la Preside era piuttosto agitata per ciò che la aspettava quella sera: aveva una serie di cose importanti da fare, una più difficile dell’altra, ma erano tutte necessarie.
   “Benvenuta, professoressa.”
   Roy Leatherman fece qualche passo ed entrò nel cerchio di luce del caminetto, porgendole una mano per aiutarla, mano che Minerva ignorò.
   “Da quanti anni non mi chiami più così, Leatherman?” rispose bruscamente. “Piantala con i convenevoli e torniamo alle vecchie abitudini.”
   Roy esibì un ghigno divertito, dando prova di apprezzare il caratteraccio della sua vecchia insegnante di Trasfigurazione come il primo giorno. Un’altra ombra avanzò nel cerchio di luce e Minerva fu in grado di vedere una sorridente Lena Shacklebolt; come Leatherman, indossava l’alta uniforme da Auror, con il simbolo del dipartimento ricamato a filo d’oro sulla parte sinistra del petto e, appena sotto, le due bacchette, una più piccola che ne incrociava una più grande, che la identificavano come Istruttrice di Reclute.
   “Che piacere averti qui, Minerva” disse Lena con calore. “Credo che sia molto importante la presenza dei ragazzi a questa cerimonia.”
   Minerva strinse le labbra e si limitò ad annuire; Lena cercò di attirarla a sé per un abbraccio, ma ottenne solo una cauta pacca sulla spalla.
   “Kingsley sarà qui a momenti” proseguì la donna come se nulla fosse successo. “Penso che in questo momento Harry abbia bisogno di un segno tangibile del sostengo del Ministero” Lena alzò una mano e cominciò a contare sulla punta delle dita mentre parlava. “Dopo essere stato bollato come pazzo, essere stato usato e poi perseguitato come Indesiderabile numero uno, direi che una cerimonia in onore dei suoi genitori sia il minimo che il Ministero possa offrirgli.”
   Usato, perseguitato… Lena faceva sembrare tutto un gioco leggero, un piccolo incidente che poteva capitare a chiunque – o forse era solo il nervosismo di Minerva a parlare, mescolato ai ricordi della studentessa Serpeverde che era riuscita a non farsi mai togliere nemmeno un punto in sette anni, nonostante non fosse di certo la pacata ragazza che voleva far credere.
   “Spero davvero che la cosa possa aiutare Harry” ribatté atona la professoressa.
   Le fiamme del camino virarono nuovamente al verde e gli studenti fecero il loro ingresso nella stanzetta, uno dopo l’altro, rendendola via via sempre più affollata. Quando Hermione chiuse la piccola processione l’aria sembrò diventare praticamente irrespirabile.
   “Benvenuti” trillò Lena alzandosi sulle punte dei piedi cercando di guardare tutti i ragazzi contemporaneamente. “Se volete seguirmi, sono certa che le Reclute non vedono l’ora di salutare la delegazione di Hogwarts!”
   Gli Istruttori fecero strada fuori dalla stanza lungo un corridoio fino a raggiungere una porta oltre la quale si apriva una sala lunga ed ingombra di tavoli disposti alla bell’e meglio. Nell’angolo più lontano c’era un bancone alto dietro il quale un mago corpulento, probabilmente il proprietario de Il rubino nella spada, puliva pigramente una serie di bicchieri a colpi di bacchetta, intento più che altro a sbirciare platealmente il gruppo di Reclute poco distante da lui. Minerva si soffermò brevemente con lo sguardo su ognuno dei ragazzi: ricordava bene Micheal O’Leary, che già al quarto anno aveva cominciato a sperimentare nuovi incantesimi e che aveva fatto andare in brodo di giuggiole Vitious; così come era impossibile dimenticare Sybill Major, la Legillimens più giovane che Minerva avesse mai visto nelle sue classi e particolarmente ostinata nell’uso delle proprie capacità durante i compiti in classe. Aveva ricordi più vaghi degli altri studenti, così come probabilmente sarebbe successo per Hannah Abbott, se non fosse stata parte attiva della resistenza contro i Mangiamorte a Hogwarts. Quasi dovette costringersi a guardare Harry, impassibile in un angolo vicino a Ronald; Minerva percepì uno spostamento d’aria quando Ginevra le passò di fianco correndo verso il suo ragazzo per stringerlo in un abbraccio silenzioso. Agiva d’istinto, la piccola Weasley, senza pensare a cosa gli altri avrebbero pensato o a cosa fosse più opportuno; adorava quella ragazzina e non poteva nasconderselo.
   Gli altri studenti di Hogwarts si avviarono a salutare i loro vecchi compagni e Hermione raggiunse Ronald con la calma che richiedeva il suo ruolo di Caposcuola; Minerva approfittò di quel momento in cui tutti erano distratti per incrociare uno sguardo che sapeva essere puntato su di lei: come aveva immaginato, Theodore la stava guardando da un angolo della sala, le braccia incrociate. La Preside lo fissò per qualche momento, poi fece un cenno con la testa e lo invitò a raggiungerlo in corridoio.
 
   Minerva si era fermata sotto una delle lampade ad olio appese ad intervalli regolari lungo le pareti, in modo da poter studiare Theodore alla luce diretta: le guance erano più piene di come le ricordava, il colore un po’ più acceso, le braccia, fasciate nella divisa da Recluta invece che nella solita veste nera, sembravano più robuste. Insomma, nel complesso il ragazzo appariva… sano.
   “Come stai?” chiese infine Minerva; solo prima di rispondere Theodore alzò gli occhi dal pavimento per guardarla.
   “Bene.”
   “Il dolore?”
   Theodore tirò i polsini della veste fino a coprire i palmi e si passò velocemente le nocche sull’avambraccio sinistro, prima di incrociare le braccia a disagio.
   “Meglio. La pozione del suo Guaritore mi aiuta. Specialmente di notte.”
   Minerva annuì; la cosa avrebbe dovuto sollevarla, ma per qualche ragione non fu così.
   “Ti sei fatto degli amici?”
   Theodore alzò un sopracciglio e per un attimo sembrò di nuovo lo spocchioso Purosangue che discuteva con Minerva quando lei gli toglieva i punti per le pessime battute che si permetteva di fare nei corridoi, quando pensava che nessuno lo sentisse.
   “Sono un Nott in mezzo a dei fan sfegatati dei Mangiamorte, che tipo di amici vuole che mi sia fatto?”
   “Ti stanno dando problemi?”
   Theodore scrollò le spalle.
   “Niente di importante.”
   “Vuoi che parli con gli Istruttori?”
   “Professoressa, me la cavo da solo!”
   Un silenzio teso di dilatò velocemente tra i due, il ragazzo teneva di nuovo gli occhi su un punto imprecisato del pavimento, ma poi fu lui a parlare di nuovo.
   “In realtà… una specie di amico ce l’ho.”
   “Davvero?”
   Minerva si aspettava una bugia detta solo per rabbonirla, ma una piccola parte di lei sperava che fosse la verità.
   “Potter. E beh, di conseguenza Weasley.”
   La professoressa si lasciò scappare un debole sorriso. Harry. Certo, chi altri se non lui? Harry avrebbe fatto amicizia con Grindenwald in persona se avesse sospettato una storia tormentata dietro alla faccenda del Bene Superiore.
   Leatherman fece capolino dalla porta alle spalle di Theodore, con l’aria perplessa, poi raggiunse i due al centro del corridoio; guardò prima uno, poi l’altra finché Minerva non si decise a congedare Nott.
   “Vorrei parlare un momento con l’Istruttore Leatherman, ti dispiace Theodore?”
   Il ragazzo annuì e si avviò verso la sala; Minerva avrebbe voluto dire qualcosa di più, ma ancora una volta fu lui ad anticiparla: era già con la mano sulla maniglia della porta quando si voltò verso di lei e sillabò un grazie. La professoressa sbatté più volte le palpebre e si costrinse a concentrarsi su Leatherman.
   “Si sta cacciando nei guai?” chiese bruscamente.
   “Almeno una volta a settimana” rispose Roy con il suo ghigno poco rassicurante.
   “Devo preoccuparmi?”
   “Non devi. E’ tutto a posto. Niente che non si possa risolvere con un po’ di lavori domestici senza bacchetta.”
   Minerva strinse le labbra e lo sguardo le ricadde sulla porta nella quale era entrato Theodore pochi momenti prima. Leatherman cambiò posizione e argomento.
   “Il tuo gufo diceva che hai bisogno di aiuto; quindi eccomi, come posso aiutarti, cara professoressa?”
   “C’è stata la prima partita di Quidditch, a Hogwarts. Grifondoro contro Serpeverde.”
   “Dimmi che è finita bene.”
   Lo sguardo che si beccò Leatherman avrebbe tagliato il portone di ingresso di Hogwarts; Minerva riassunse brevemente il disastroso incontro.
   “Ho dovuto mettere tutta la squadra di Grifondoro e metà del Dormitorio femminile di Serpeverde in punizione” concluse. “Ma ho dovuto fare anche un’altra cosa.” Spostò il peso da un piede all’altro e proseguì: “Uno dei miei studenti aveva già aggredito una volta alcuni compagni Serpeverde. Era stato avvisato che se lo avesse rifatto le conseguenze sarebbero state gravi. Ho dovuto sospenderlo per un mese.”
   Leatherman inarcò le sopracciglia, ma non diede altro segno di particolare sconvolgimento e lasciò che la professoressa continuasse.
   “E’ un Nato Babbano, ha vissuto in clandestinità per tutto l’ultimo anno e ha… grossi problemi nel gestire la sua rabbia” disse Minerva tutto d’un fiato, alzando finalmente gli occhi su Roy, che di nuovo sfoggiò quel suo sorriso beffardo.
   “Ed ecco che entro in scena io!” commentò a mezza voce. La professoressa estrasse dal mantello una busta sigillata, indirizzata ai signori Thomas, e la porse all’uomo.
   “Qui c’è scritto chi sei e perché ti mando da loro figlio. Temo seriamente che un mese lontano da Hogwarts, da solo a rimuginare sul suo dolore, lo potrebbe spezzare. Ma se tu gli mostrassi… non lo so, quello che ti pare, che c’è un modo per uscirne, che passerà… allora, forse…”
   Minerva si rese conto che la sua mano tremava e rinsaldò la presa sulla busta. Leatherman prese la lettera, la guardò a lungo, poi la ripose con cura nella veste.
   “Non puoi salvarli tutti” sussurrò Roy; la donna sentì le lacrime riempirle gli occhi, ma le ricacciò indietro a forza.
   “No” ammise. “Ma almeno posso provarci.”
 
 
 
Godric’s Hollow, Casa Potter
 
   La porzione di strada davanti a casa Potter era presidiata strettamente da un piccolo gruppo di Auror, che avevano evocato una sorta di barriera magica con la doppia funzione di celare la cerimonia agli occhi babbani e di evitare l’ingresso di maghi non graditi. Oltre alle Reclute Auror e ai pochi studenti di Hogwarts, alla cerimonia in ricordo di James e Lily Potter erano presenti una cinquantina di maghi e streghe, per lo più dipendenti del Ministero, sospettava Harry, anche se aveva visto spuntare tra le teste l’inconfondibile cappello di Augusta Paciock; forse dopo la cerimonia ci sarebbe stato tempo per salutarla. Sopra un piccolo palco che dava le spalle a casa Potter si susseguirono per quelle che a Harry sembrarono ore tutte le autorità del caso: prima Lena, che aveva dato il via ufficiale al ritiro delle Reclute Auror, poi Frank Prewett e infine Kingsley, che si dilungò in un discorso sulle virtù umane che Harry smise di seguire molto presto.
   I pensieri naufragarono inevitabilmente sui ricordi della sua prima visita a Godric’s Hollow, tanto che riusciva ancora sentire un lieve moto di panico, residuo della paura di quei momenti concitati in cui lui e Hermione avevano scoperto per caso quelle macerie, poco prima di accorgersi di essere seguiti. Harry lasciò che lo sguardo si perdesse su casa Potter, su quella che era stata la sua casa; nella penombra del tramonto si ritrovò ad osservare con attenzione i particolari, tutte quelle piccole cose che non aveva avuto il tempo di vedere la prima volta che era stato lì: il brandello di carta da parati scolorita che si intravvedeva al primo piano, il disegno morbido che ornava il cancello, il semplice decoro di quello che rimaneva della porta di ingresso. Poteva quasi vederla, sua madre, sulla soglia di casa con un bambino in braccio e un gatto rosso che faceva capolino tra le caviglie.
   Capì di aver esagerato e si costrinse a concentrarsi su ciò che in quel momento gli sembrava l’unica cosa reale: la mano di Ginny, stretta nella sua, e vi si aggrappò come ad un salvagente in mare aperto.
   Ginny cambiò posizione di fianco a lui e Harry si riscosse, accorgendosi che stava salendo sul piccolo palco la delegazione di Hogwarts; la professoressa McGranitt si limitò a presentare i quattro studenti, che accesero quattro simboliche candele dei quattro colori rappresentativi delle Case, poi le lasciarono fluttuare davanti a loro in un minuto di raccoglimento.
   Harry lasciò la mano di Ginny e le passò un braccio attorno alle spalle, stringedola a sé: aveva paura di quel silenzio, paura dei pensieri che avrebbero potuto inverstirlo da un momento all’altro e voleva a tutti i costi tenere la mente occupata. Guardò Ron, che con il capo chino si tormentava le mani a poca distanza da loro; come se avesse percepito lo sguardo di Harry, il ragazzo alzò gli occhi su di lui per poi riabbassarli subito.
   Il minuto di silenzio finì in fretta e Kingsley congedò tutti i convenuti con altre parole altisonanti; Harry si staccò da Ginny e lasciò che il brusio della folla che si disperdeva gli riempisse le orecchie, grato di avere qualcosa su cui concentrarsi. Quasi tutte le altre Reclute si erano riunite sotto al palco, stretti come uccellini su un ramo attorno a Lena che parlava sorridente come se fosse appena terminato un ballo di gala particolarmente piacevole. Harry notò Theodore a poca distanza da Ron, le braccia incrociate, chiaramente indeciso se unirsi a loro o no; Hermione gli passò accanto senza nemmeno vederlo e mise una mano sulla spalla di Ron, sospirando.
   “E’ finita” esalò togliendosi lo spillone che le teneva fermi i capelli in una crocchia ordinata; scosse la testa un paio di volte, passandosi le dita tra le ciocche crespe, poi fece scorrere lo sguardo sui propri amici. “Andiamo a mangiare qualcosa? Non so voi, ma io non ho voglia di rimanere qui un minuto di più.”
   Ginny si voltò verso Harry, attendendo la sua risposta; il ragazzo annuì.
   “Andate avanti, noi… ci fermiamo un attimo al…”
   “Sì” si affrettò a rispondere Hermione, come se volesse risparmiargli la fatica di dire cimitero; ma Harry era perfettamente in grado di dirlo. Forse. La ragazza si voltò e si incamminò, ma Ron rimase lì impalato a guardarsi i piedi.
   “Harry, mi dispiace” bisbigliò senza alzare lo sguardo.
   “Ti dispiace?” ripeté Harry senza capire di che cosa l’amico stesse parlando.
   “Siete venuti qui, tu e Hermione, e io non c’ero” borbottò Ron. “Per te era importante. L’hai detto tante di quelle volte, ma non ti ho mai dato retta. Non volevo venirci.”
   “Era un’idea stupida” Harry sentì le proprie parole lontane, come se le stesse pronunciando qualcun altro. “E ci ho quasi lasciato le penne.”
   Lanciò uno sguardo velocissimo a Hermione, che si era fermata a poca distanza da Ron e ascoltava la conversazione con le mani premute sullo stomaco.
   “Senti, è acqua passata, Ron. Io non ci penso più e dovresti farlo anche tu.”
   Il ragazzo teneva ancora lo sguardo basso e non sembrava per nulla convinto di quello che gli stava dicendo Harry.
   “L’unica cosa di cui ho bisogno” proseguì con una punta di impazienza. “E’ di un amico che mi faccia ridere quando torneremo dal…” deglutì e si costrinse a dirlo. “Cimitero.”
   Ron finalmente guardò Harry e annuì; si voltò senza aggiungere altro, prese per mano Hermione e si incamminò verso la locanda; Nott era ancora in indecisa attesa a pochi passi da loro, ma bastò un semplice cenno della testa di Ron per fargli capire che anche lui era il benvenuto.
 
   L’erba umida si piegava senza far rumore sotto i passi dei due ragazzi, che avanzavano tra le lapidi sconosciute mano nella mano, senza dire nulla. Harry si sorprese a pensare che il cimitero di Godric’s Hollow senza neve sembrava quasi un posto diverso, tanto che risultò non facile ritrovare l’esatto punto dove erano sepolti i suoi genitori; ma la loro lapide, bianca e silenziosa, era ancora lì, due file dopo quella di Kendra e Ariana Silente, come se per quasi un anno non avesse fatto altro che aspettarlo.
   Dovrei essere qui anch’io.
   Se tutto fosse andato come si era prefigurato Silente, i nomi sul marmo bianco avrebbero dovuto essere tre quella sera; per un attimo vide il proprio nome inciso sotto quello dei suoi genitori, una cerimonia pomposa in onore di tutta la famiglia Potter al completo, e vide Ginny, da sola davanti a quella stessa lapide, in lacrime.
   Harry scosse bruscamente la testa e di nuovo cinse le spalle di Ginny con un braccio; lei sgusciò delicatamente dalla sua presa e appoggiò con cura il regalo di Neville ai propri piedi, poi gli prese il volto con entrambe le mani e lo fissò dritto negli occhi, seria. Non piangeva – non piangeva mai, la sua Gin – ma era tesa e preoccupata. Harry appoggiò una mano su una delle sue e tentò un sorriso.
   “Non fare finta di stare bene, non con me, Potter” sibilò Ginny aggrottando la fronte. “Sei rimasto impassibile come un pezzo di marmo per tutta la sera, ma io non me la bevo.”
   “Che cosa avrei dovuto fare?”
   A Harry venne da ridere e staccò le mani di lei dalle sue guance, stringendole entrambe.
   “Avrei dovuto piangere e strapparmi i capelli in mezzo alla folla? La Shacklebolt ci sarebbe rimasta troppo male, ha organizzato tutto questo per sostenermi” calcò sull’ultmia parola con marcata ironia e a quel punto anche Ginny rise sommessamente insieme a lui.
   Qualcuno tossì alle spalle di Harry, come per attirare l’attenzione; il ragazzo si voltò di scatto, improvvisamente spaventato, estraendo la bacchetta senza nemmeno accorgersi di averlo fatto.
   “Che diavolo…?”
   Non riuscì a trattenere lo stupore riconoscendo la figura esile di una donna dal collo lungo e dai fini capelli biondi, che avanzava verso di loro nel buio incerto dell’autunno con una scatola stretta al petto.
   “Ciao Harry” disse zia Petunia fissandolo con quel certo disprezzo che gli aveva sempre riservato; lanciò uno sguardo veloce anche a Ginny.
   “Ciao zia.”
   “E’ tua zia? Quella zia?” chiese la ragazza senza preoccuparsi di quanto suonasse male quella frase.
   “Sì, è lei” rispose Harry. “Zia, lei è Ginny, la mia…”
   “E’ una di voi, vero?” Petunia non lasciò nemmeno il tempo a Harry di terminare la frase, il disgusto si era già dipinto con chiarezza sul suo volto. Il ragazzo annuì.
   “Non credere che sia venuta a trovare lei” dichiarò la donna accennando alla lapide bianca. “Ho solo pensato che, se tu fossi stato ancora vivo, oggi avresti potuto essere qui. Sono venuta anche l’anno scorso, ma non c’eri” gli scoccò uno sguardo di rimprovero, come se Harry avesse mancato un appuntamento che avevano fissato da tempo. “Così mi sono concessa un ultimo tentativo quest’anno.”
   Petunia rimase a labbra strette per qualche momento, mentre Harry si limitava ad aspettare.
   “Volevo ridarti questa.”
   La donna gli allungò la scatola e la lasciò nel momento in cui il ragazzo la prese tra le braccia; Harry aprì con cautela il coperchio e inarcò le sopracciglia quando vide il contenuto: una copertina da bambino, azzurra con decori blu e gialli a forma di stelle. Alzò lo sguardo perplesso sulla zia, che lo fissava a narici dilatate.
   “E’ la coperta in cui eri avvolto” spiegò sbrigativamente Petunia.
   Harry provò l’improvviso impulso di portarsi quella copertina al volto e annusarla, come se dopo diciasette anni potesse ancora portare intriso l’odore dei suoi genitori, o della sua casa, o qualche pelo rossiccio del loro gatto. Qualunque cosa.
   “Grazie” sussurrò il ragazzo, colpito, ma Petunia strinse le labbra ancora di più.
   “Non ringraziarmi. Voglio che tu sparisca dalla nostra vita definitivamente. L’ultima cosa che ci era rimasta in casa era quella coperta.”
   Harry sentì Ginny muoversi inquieta al suo fianco e le lanciò uno sguardo eloquente, che lei ricambiò indispettita: avrebbe voluto dire qualcosa, qualcosa di non molto gentile a giudicare dall’espressione, ma Harry sapeva di potersela cavare, non aveva nessun bisogno di essere protetto.
   “Questo è un addio, Harry” Petunia sottolineò il concetto drizzando il lungo collo; si stava già voltando verso l’uscita del cimitero, quando Ginny non riuscì più a trattenersi.
   “Non gli ha nemmeno chiesto cosa è successo nell’ultimo anno!” gridò; Petunia si girò nuovamente e osservò la ragazza con freddezza. “Non sa nemmeno…”
   “Oooh, io ne so abbastanza su di voi!”
   La donna aveva alzato la voce per sovrastare quella di Ginny e le guance le si erano congestionate, due tondi rossi sulla pelle diafana.
  “Tu” sibilò rivolgendosi nuovamente a Harry. “Tu forse credi che io sia cattiva, che abbia odiato te e quelli come te solo per il gusto di farlo. Oh certo, ho sempre saputo che in voi c’è qualcosa che non va, ma ho avuto la certezza che quel qualcosa è malvagio la notte in cui hanno ucciso i miei genitori.”
   Harry sbatté le palpebre, accusando la notizia come un pugno nello stomaco; sapeva che gli unici parenti in vita era i Dursley, ma nessuno si era mai preso la briga di spiegargli che fine avevano fatto i suoi nonni materni, né lui aveva mai osato chiedere qualcosa, visto le risposte che gli venivano date sui genitori. All’improvviso sentì un folle senso di comunanza con sua zia: entrambi erano orfani, ed entrambi lo erano diventati in modo violento. Voleva chiedere di più, ma non fu necessario: Petunia iniziò il suo racconto livida di rabbia, sputando le parole come veleno.
   “I poliziotti che li trovarono, la sera del quindici gennaio 1981, non sapevano spiegarsi come due brave persone in salute potessero essere morte, senza segni di violenza; disposero le autopsie e i medici dissero che era stata una sfortunata coincidenza, un infarto, per entrambi, nella stessa notte. Era una storia quasi romantica!” la voce di Petunia si incrinò sotto il rancore accumulato negli anni. “E io seppellii, da sola, mio padre e mia madre in quella convinzione, senza che lei si degnasse anche solo di mandare un telegramma!”
   Con un gesto lento, quasi impercettibile, Ginny fece scivolare la mano in quella di Harry e strinse disperatamente.
   “Ma si fece viva, qualche giorno dopo il funerale. Mi mandò una lettera, piena di parole tristi e di scuse. Scuse! Come se fosse sufficiente chiedere scusa!”
   Qualcosa brillò sulla guancia di Petunia nella luce dei lampioni lontani e Harry si accorse con una certa sorpresa che era una lacrima; non pensava avrebbe mai visto sua zia piangere.
   “In due paginette di bella grafia mi comunicò che dei maghi cattivi stavano dando la caccia a lei e alla sua famigliola nuova di zecca. E così si doveva nascondere. Ma ahimé! I maghi cattivi erano riusciti a scoprire dove abitavano i suoi genitori ed avevano pensato bene di cominciare la loro ricerca da lì, non si sa mai che Lily si fosse rifugiata da loro!”
   Petunia urlava, completamente in preda alla rabbia.
   “Non era stato un infarto. Sono stati torturati per sapere dove diavoli fosse mia sorella. Ma non potevano saperlo, non potevano! Alla fine, solo alla fine, sono stati uccisi e lasciati a marcire!”
   Harry non sapeva cosa dire, non sapeva nemmeno cosa pensare; si sentiva svuotato e sfibrato, come un calzino vecchio che non serve più a niente.
   “Lei” ripeté ancora una volta Petunia come se stesse parlando di una perfetta sconosciuta e non di sua sorella. “Lei e quello spostato di tuo padre si erano infilati in questa… in questa guerra, che non ci riguardava minimamente. Ma lei doveva fare l’eroina, certo, doveva mettersi in mostra!”
   Petunia si strinse le braccia attorno al corpo e abbassò finalmente lo sguardo, respirando affannosamente; velocemente come si era scaldata, si ricompose e rialzò gli occhi su Harry, allungando di nuovo il collo.
   “Ti ho dato l’ultima cosa che ti apparteneva. Sta lontano dalla mia famiglia, da tutta la mia famiglia, per sempre.”
   Si voltò e raggiunse a passi veloci l’uscita del cimitero.
   “Harry” sussurrò Ginny, ma lui lasciò la sua mano e si chinò verso i fiori che gli aveva mandato Neville.
   “Non importa” bisbigliò scrollando le spalle.
   “Harry, non è colpa tua. Non è colpa di tua madre, lo sai.”
   “Lo so. Ginny, va tutto bene.”
   “No, non va tutto bene!”
   Qualcosa nel tono di voce di Ginny spinse Harry a guardarla: stava piangendo. Lasciò perdere i fiori e si rialzò, mentre lei gesticolava come un Fata intrappolata in un barattolo, trattenendosi a stento dal gridare ogni parola.
   “Non c’è niente che vada bene! Non è giusto! Non c’è un bel niente di giusto. Quella donna non sa nulla, ti ha reso la vita un inferno e invece di scusarsi non fa che riempirti di…”
   Harry la abbracciò, cullandola appena tra le sue braccia.
   “Lo so. Ma è così e basta.”
   Il ragazzo si staccò da lei quel tanto che bastava per guardarla negli occhi.
   “Adesso ho bisogno di te. Ho bisogno che tu mi aiuti con questi gigli. Dobbiamo piantarli davanti alla lapide, voglio che tutti li vedano sempre. Mi aiuterai?”
   “Certo” soffiò Ginny asciugandosi le lacrime con il dorso della mano.
   Harry e Ginny si chinarono davanti alla lapide di James e Lily Potter e con gesti lenti, calmi, misurati trapiantarono i fiori bianchi nel terreno umido, un po’ aiutandosi con la bacchetta, un po’ lavorando con le mani. Harry si impose di concentrarsi con ogni cellula del proprio corpo su quelle operazioni semplici ma importanti: le lacrime sarebbero arrivate, lo sapeva, così come sarebbero arrivati la consapevolezza e il dolore, ma la cosa più importante in quel momento era piantare quei gigli, che sarebbero sopravvissuti, a detta di Neville, a qualunque clima, neve, pioggia o sole battente. Ed era importante farlo con Ginny.
 
 
 
 
 



 
 
 
 
 
 
Angolo di Gin
Eeee che questo capitolo fosse una tragedia annunciata lo sapevamo. Di quei bei drammoni a me tanto cari. Non deludo mai su quelli – sempre che il genere drammone piaccia, s’intende!
 
Dunque, ho un po’ di ansia su questo capitolo per una serie di motivi:
  1. Un giusto consiglio mi ha messo il pepe a scrivere, ma ho il timore di non aver riletto abbastanza, quindi se ci sono errori incongruenze o bestemmie letterarie segnalatemele pls!
  2. La mia versione dell’odio covato negli anni da Petunia me la studio da un po’ – ma non per questo ho un po’ di tremarella per le opinions. A mio modesto parere uno non può essere incattivito così tanto per anni contro un bambino senza un motivo veramente valido, e quella dell’invidia per la sorella + odio verso la diversità è una storia che ho accettato fino ad un certo punto. L’omicidio di entrambi i genitori mi sembrava un motivo molto valido nonché un tassello mancante della saga che mi sono bellamente permessa di aggiungere. C’è chi mi ripete spesso che “nel mondo di Harry Potter i nonni non esistono” (ciao Sphynx) e la cosa mi è entrata nel cervello come un tarlo.
 
Ho recuperato il pezzo sulla partita Grifondoro – Serpeverde, che chiaramente in origine doveva far parte dello scorso aggiornamento, ma è finito come “prologo” di questo che c’entra anche di più, dai. Ho buttato solo qua e là Dean, ma direi che nel prossimo capitolo chiudo il cerchio anche per lui.
 
Mi sono sfogata per bene con l’idea che c’è nella mia testa di Minerva McGranitt, votata completamente ai suoi studenti tanto quanto Silente era votato alle cause giuste, anche a costo di sacrificare persone (ciao Harry).
 
Ultimo appunto: sono caduta anch’io nel solito romanticismo dei gigli, che, per chi non lo sapesse, in inglese si chiamano lily; ed è questo il motivo per cui Neville chiede a Ginny se pensa che il suo pensiero sia banale.
 
Il prossimo giro molto meno drammoni, promesso, solo uno forse, ma ci sarà un po’ più di azione.
 
Ottimo.
Non ho l’ansia.
(E’ una bugia)
Adesso pubblico.
 
Special thanks to:
aventador1, GattiP, Dawx e Ginnwsb, che per la prima volta hanno recensito lo scorso capitolo. Grazie del vostro incoraggiamento, siete preziosi!
 
Grazie come sempre di cuore anche tutti i lettori silenziosi e soprattutto a quelli non silenziosi!
Smack
Gin
   
 
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